sabato 31 luglio 2010
Early Autumn (Woody Herman) (Anthony Braxton)
Questo soave tema di Ralph Burns appare nell’ultima delle quattro parti della Summer Sequence scritta nel 1946 per il Second herd di Woody Herman. Nel 1948 Burns lo rielaborò facendone un veicolo per Stan Getz e per i suoi colleghi della sezione sax di quell’orchestra di Herman, i famosi Four Brothers.
Early Autumn (Burns), da «Keeper Of The Flame: The Complete Capitol Recordings», Capitol 984532-2. Stan Fishelson, Bernie Glow, Red Rodney, Shorty Rogers, Ernie Royal, tromba; Bill Harris, Bob Swift, Earl Swope, Ollie Wilson, trombone; Woody Herman, clarinetto, sax alto; Sam Marowitz, sax alto; Al Cohn, Zoot Sims, Stan Getz, sax tenore; Serge Chaloff, sax baritono; Terry Gibbs, vibrafono; Lou Levy, piano; Chubby Jackson, contrabbasso; Don Lamond, batteria. Registrato nel 1948.
Ed eccone la versione di Anthony Braxton dal vivo a Bruxelles nel 2006, un ingaggio testimoniato per intero da un box di ben sei CD. Ora, mi riprometto di approfondire l’ascolto di questi dischi prima o poi (anzi no: mi piacerebbe farlo, non prometto niente), perché a un ascolto cursorio non ho capito bene che cosa Braxton stia facendo o intenda fare in questa occasione. La sua resa strumentale dei temi è volutamente sfocata (oltre che decisamente stonata), quasi volesse chiamarsi fuori tutta questa faccenda degli standard, alla quale nella sua ormai lunga carriera ha già dato e spesso con risultati memorabili, mentre l’impegno è più evidente nelle sezioni astratte, a cui gli standard sembrano essere pretesto. Il risultato è che l’italico trio ritmico si trova un po’ abbandonato a sé, cavandosela comunque senza battere ciglio, anzi con eccellenza. È sopratutto per loro che questi misteriosi (e faticosi) sei dischi valgono l’ascolto: in particolare per il pianista Alessandro Giachero, che mi sembra uno di quei tipi in grado di suonare bene qualunque cosa con chiunque.
Early Autumn (Burns), da «Standards (Brussels) 2006», Amirani Records AMRN014. Anthony Braxton, sax alto; Alessandro Giachero, piano; Antonio Borghini, contrabbasso; Cristiano Calcagnile, batteria. Registrato nel novembre 2006.
Penny, Split Kick, Potter’s Luck (Horace Silver - Stan Getz)
Nel 1950 Horace Silver suonò al Sundown Club di Hartford, Connecticut, in un gruppo guidato da Harold Holdt. In quell’occasione lo ascoltò Stan Getz, che subito lo assunse per un ingaggio in quel medesimo locale, in un quartetto completato da Joe Calloway al contrabbasso e da Walter Bolden alla batteria. Di questa giovane sezione ritmica Getz rimase tanto soddisfatto da portarsela a New York.
Silver entrò in sala d’incisione con il gruppo di Getz in tre occasioni, registrando un totale di quindici pezzi con due formazioni diverse: una serie magnifica, «che inanella in modo indimenticabile pezzi agili ed eleganti come gazzelle» (Gary Giddins). La seconda e la terza seduta comprendono anche le prime composizioni registrate di Silver: Penny e Split Kick nella seconda e Potter’s Luck nella terza.
A questo punto aurorale della carriera, Silver, che aveva cominciato a scrivere a quattordici anni, disponeva già di una piccola scorta di composizioni che ne mettevano in luce la vena melodica. Nei dischi con Getz il ventiduenne pianista dimostra di avere già sotto le dita gli ingredienti principali del suo stile, che contrasta benissimo con quello del leader e che fece subito colpo: essenzialmente un accompagnamento fitto e interattivo, che tende a coprire tutti i movimenti della battuta; un embrionale call and response fra le due mani; una passione quasi inordinata per le citazioni. In Penny si sente per la prima volta il suo molto caratteristico «bugle call». La scrittura di Silver mostra già un interesse insolito verso la forma, nel segno della varietà: Potter’s Luck ha una struttura di quarantaquattro battute (AABA, 12+12+8+12) con bridge di otto e la frase A che s’interrompe in sincope sull’undicesima battuta, lasciando alla successiva un break di batteria.
Penny (Silver), da «Stan Getz - The Sound», Properbox 52. Stan Getz, sax tenore; Horace Silver, piano; Joe Calloway, contrabbasso; Walter Bolden, batteria. Registrato il primo marzo 1951.
Split Kick (Silver), ib.
Potter’s Luck (Silver), ib. Stan Getz, sax tenore; Horace Silver, piano; Jimmy Raney, chitarra; Leonard Gaskin, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 15 agosto 1951.
venerdì 30 luglio 2010
Down Another Road (Graham Collier)
Pochi, probabilmente nessuno, hanno fatto per il jazz inglese quello che ha fatto Graham Collier, contrabbassista, compositore, caporchestra e organizzatore, insegnante e saggista nato nel 1937. A cominciare dalla metà degli anni Sessanta, nei suoi complessi e nelle sue big band (la sua autentica vocazione) sono passati praticamente tutti i musicisti di jazz più importanti della Gran Bretagna e le sue composizioni sono state fra le prime a mostrare una via al jazz che, senza mai rinunciare alle sue peculiarità linguistiche basilari, non coincideva esattamente con quella americana.
Down Another Road mostra come, più o meno contemporaneamente a Don Ellis negli USA, Collier sperimentasse con i metri composti: qui, come spiega il compositore stesso nelle note, «quattro battute in 5/4, due in 4/4, due in 5/4, una in 4/4, una in 3/4 e per finire due in 5/4». In questo sestetto del 1969, come in tante altre occasioni seguenti, Collier ha Harry Beckett, il bravissimo trombettista originario nelle isole Barbados, che è mancato la scorsa settimana.
Down Another Road (Collier), da «Down Another Road», BGOCD767. Harry Beckett, flicorno; Stan Sulzmann, sax tenore; Nick Evans, trombone; Karl Jenkins, piano; Graham Collier, contrabbasso; John Marshall, batteria. Registrato il 21 marzo 1969.
Down Another Road mostra come, più o meno contemporaneamente a Don Ellis negli USA, Collier sperimentasse con i metri composti: qui, come spiega il compositore stesso nelle note, «quattro battute in 5/4, due in 4/4, due in 5/4, una in 4/4, una in 3/4 e per finire due in 5/4». In questo sestetto del 1969, come in tante altre occasioni seguenti, Collier ha Harry Beckett, il bravissimo trombettista originario nelle isole Barbados, che è mancato la scorsa settimana.
Down Another Road (Collier), da «Down Another Road», BGOCD767. Harry Beckett, flicorno; Stan Sulzmann, sax tenore; Nick Evans, trombone; Karl Jenkins, piano; Graham Collier, contrabbasso; John Marshall, batteria. Registrato il 21 marzo 1969.
I Should Care (Milt Jackson)
Milt Jackson nel 1955 in una riuscita seduta con la ritmica del Modern Jazz Quartet e Horace Silver al posto di John Lewis. Fu Bud Powell, che la eseguiva spesso, a rendere popolare presso i jazzmen questa bella canzone, prima patrimonio quasi esclusivo dei cantanti.
I Should Care (Cahn-Stordahl-Weston), da «The Milt Jackson Quartet», Prestige-Fantasy OJCCD 001. Milt Jackson, vibrafono; Horace Silver, piano; Percy Heath, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato il 20 maggio 1955.
giovedì 29 luglio 2010
The Tattooed Bride (Duke Ellington)
The Tattooed Bride (Ellington), da «Masterpieces By Ellington», Columbia/Legacy 87043. Cat Anderson, Harold «Shorty» Baker, Nelson Williams, Fats Ford, Ray Nance, tromba; Quentin Jackson, Lawrence Brown, Tyree Glenn, trombone; Mercer Ellington, corno; Russell Procope, clarinetto; Johnny Hodges, sax alto; Jimmy Hamilton,clarinetto; Paul Gonsalves, sax tenore; Harry Carney, sax tenore; Duke Ellington, piano; Wendell Marshall, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Registrato il 18 dicembre 1950.
Yes, Indeed (Ron Carter)
Questa seduta di registrazione precede quella di «The Quest» di Mal Waldron di una settimana, con l’identica formazione, ma è a nome di Ron Carter, il suo primo disco da leader. Il clima espressivo ne è tuttavia molto diverso. In Yes, Indeed Eric Dolphy esegue un estroverso assolo di flauto in una vena meno out del consueto, conforme del resto alla composizione, che ricorda The Preacher di Horace Silver. Carter è al violoncello, come sempre un po’ noncurante dell’intonazione.
Yes, Indeed (Carter), da «Where?», Fantasy OJCCD 432-2. Eric Dolphy, flauto; Mal Waldron, piano; Ron Carter, violoncello; Joe Benjamin, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 20 giugno 1961.
Yes, Indeed (Carter), da «Where?», Fantasy OJCCD 432-2. Eric Dolphy, flauto; Mal Waldron, piano; Ron Carter, violoncello; Joe Benjamin, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 20 giugno 1961.
Broken Shadows (Ornette Coleman)
Naturalmente io non ho capito la teoria degli harmolodics di Ornette Coleman; pare anzi che non l’abbia davvero capita nessuno e che Ornette stesso, richiesto di spiegazioni, si trovi in qualche affanno (del resto le «spiegazioni» di Ornette sono sempre oblique at best). Ma quando ascolto la musica di Ornette, e soprattutto un pezzo eterofonico come Broken Shadows (1969) in cui la melodia davvero guida interamente il pezzo e ne è, come si dice in semiotica letteraria, il «livello dominante», portandolo lontano dalle cadenze armoniche che parrebbero inevitabili e determinandone la pulsazione, ecco, allora mi sembra d’intuire tutto.
Broken Shadows (Coleman), da «Crisis», Impulse! A9187. Ornette Coleman, sax alto; Don Cherry, tromba; Dewey Redman, sax tenore; Charlie Haden, contrabbasso; Denardo Coleman, batteria. Registrato il 22 marzo 1969.
mercoledì 28 luglio 2010
The Cloister (Kurt Rosenwinkel)
È la giornata della chitarra (non capiterà spesso, quindi, se ti piace la chitarra, approfittane). Kurt Rosenwinkel è un musicista di spicco sulla scena di New York ed è uno strumentista immacolato e uno di quei musicisti in grado di suonare qualunque cosa: e ha suonato un po’ di tutto, ma a mio parere ha dato il meglio in un contesto mainstream post-moderno e disinvolto in cui esprime una sua vena meditativa e crepuscolare, come in tutto questo disco, un po’ monotono ma molto suggestivo. Rosenwinkel (che spesso raddoppia con la voce le linee della chitarra) ha poi alle mie orecchie la qualità di farmi apprezzare musicisti che di norma non mi entusiasmano affatto: qui, Brad Mehldau, che come sideman mi convince sempre di più che come leader, e Joshua Redman, che di solito trovo un musicista molto esteriore.
The Cloister (Rosenwinkel), da «Deep Song», Verve B30003928-02. Joshua Redman, sax tenore; Brad Mehldau, piano; Kurt Rosenwinkel, chitarra; Larry Grenadier, contrabbasso; Ali Jackson, batteria. Senza data, ma 2005.
The Cloister (Rosenwinkel), da «Deep Song», Verve B30003928-02. Joshua Redman, sax tenore; Brad Mehldau, piano; Kurt Rosenwinkel, chitarra; Larry Grenadier, contrabbasso; Ali Jackson, batteria. Senza data, ma 2005.
What Is This Thing Called Love? (Grant Green, Sonny Clark)
«Trascinante».
What Is This Thing Called Love? (James P. Johnson)
Da James P. Johnson, massimo rappresentante dello stride piano e uno dei maggiori pianisti di jazz, ecco la prima versione mai registrata di questa celeberrima canzone di Cole Porter, incisa l’anno dopo la sua pubblicazione. Alle nostre orecchie, avvezze a migliaia di interpretazioni moderne, potrà sembrare strana, cupa o addirittura truculenta nei suoi accenti così marcati; in realtà James P. Johnson è più vicino al testo di chiunque, data anche l’ovvia vicinanza temporale alla composizione: nota fra l’altro come ne esegua il verse, cioè la strofa, non si limitandosi al chorus secondo la prassi moderna; quindi, come improvvisi mantenendosi strettamente accosto alla melodia.
What Is This Thing Called Love? (Porter), da «King of Stride Piano 1918-1944», Giant Of Jazz Recordings. James P. Johnson, piano. Registrato nel gennaio 1930.
It’s Time (Max Roach)
Dal concerto milanese del 1978 di cui devi essere grato a Inconstant Sol, ecco la bruciante esecuzione di It’s Time che in quegli anni apriva sempre le esibizioni del quartetto di Max Roach. Confrontala con la versione originale.
It’s Time (Roach). Cecil Bridgewater, tromba; Billy Harper, sax tenore; Calvin Hill, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato dal vivo a Milano il 4 maggio 1978.
martedì 27 luglio 2010
My Funny Valentine, Blue Moon (Ruby Braff - Ellis Larkins)
Non credo che molti, alla richiesta di nominare i – diciamo – cinque pianisti e trombettisti di jazz preferiti, si ricorderebbero di Ellis Larkins e di Ruby Braff. Non me ne ricordo neanch’io, almeno finché non sento un disco di Larkins o di Braff o magari dei due insieme: perché allora penso che è impossibile suonare meglio di così (con tutto che Ruby Braff odiava la tromba).
My Funny Valentine (Rodgers-Hart) da «2 x 2: Ruby Braff And Ellis Larkins Play Rodgers And Hart», Vanguard 8507. Ruby Braff, cornetta; Ellis Larkins, piano. Registrato nell’ottobre 1955.
Blue Moon (Rodgers-Hart), ib.
Shanghai Shuffle (Buster Bailey and His Seven Chocolate Dandies)
Dal sestetto di Buster Bailey che già ti è piaciuto alcune settimane fa, ecco Shanghai Shuffle, canzone famosa per due versioni di Fletcher Henderson, che qui figura come arrangiatore. La seconda versione Henderson l’aveva registrata in quello stesso 1934, tre mesi prima, con una formazione comprendente proprio Bailey, Allen, Carter e Johnson. Anche J. C. Higginbotham aveva fatto parte in precedenza dell’orchestra di Henderson.
Shanghai Shuffle (Rodemich-Conley), da «Swing Street», TAX S-9-2. Henry «Red» Allen, tromba; J. C. Higginbotham, trombone; Buster Bailey, clarinetto; Benny Carter, sax alto; Charlie Beal, piano; Danny Barker, chitarra; Elmer Jones, contrabbasso; Walter Johnson, batteria; Fletcher Henderson, arrangiamento. Registrato il 28 dicembre 1934.
Gnossienne No. 3, Reflections On Gnossienne No. 2 (Erik Satie-Vienna Art Orchestra)
«Riflessioni» Mathias Rüegg ha voluto chiamare le letture di alcune fra le più note composizioni pianistiche di Erik Satie.
La strumentazione della Vienna Art Orchestra (due trombe/flicorni, trombone, tuba, tre ance/flauti, tre percussioni, voce) manca di uno strumento armonico e del contrabbasso: la presenza in sua vece di un mobilissimo basso tuba, insieme con l’assenza di drumming continuo, favorisce il risalto del colore modale della musica e soprattutto del suo caratteristico ritmo armonico, lento e ieratico (e, nell’esecuzione della VAO, lo swing implicito).
Parti scritte o solo preordinate e improvvisazione si combinano in un drive costante pur senza il ricorso alla pulsazione continua e regolare della sezione ritmica. Mi pare che Mathias Rüegg e i suoi vedano in Satie (non solo nelle Vexations) una prefigurazione dell’intuizione stockhauseniana – già individuata da Ian Carr nel Miles Davis anni ‘70 – della musica come organismo in perpetuo formarsi, da cui sia possibile e lecito entrare e uscire in qualunque momento.
Forse è questa l’eredità maggiore di Satie e quella che più consuona con lo spirito del jazz.
(Qui la recensione completa di questo disco. In Reflections il solista di sax tenore è Roman Schwaller).
Gnossienne No. 3 (Erik Satie), da «The Minimalism of Erik Satie», HatOLOGY 560. Karl «Bumi» Fian, Hans Kottes, tromba, flicorno; Christian Radovan, trombone; John Sass, tuba; Harry Sokal, Wolfgang Puschnig, Roman Schwaller, ance, flauto; Woody Schabata, vibrafono; Wolfgang Reisinger, Ima, percussioni; Lauren Newton, cantante; Mathias Rüegg, arrangiamenti e direzione. Registrato nel settembre 1983.
La strumentazione della Vienna Art Orchestra (due trombe/flicorni, trombone, tuba, tre ance/flauti, tre percussioni, voce) manca di uno strumento armonico e del contrabbasso: la presenza in sua vece di un mobilissimo basso tuba, insieme con l’assenza di drumming continuo, favorisce il risalto del colore modale della musica e soprattutto del suo caratteristico ritmo armonico, lento e ieratico (e, nell’esecuzione della VAO, lo swing implicito).
Parti scritte o solo preordinate e improvvisazione si combinano in un drive costante pur senza il ricorso alla pulsazione continua e regolare della sezione ritmica. Mi pare che Mathias Rüegg e i suoi vedano in Satie (non solo nelle Vexations) una prefigurazione dell’intuizione stockhauseniana – già individuata da Ian Carr nel Miles Davis anni ‘70 – della musica come organismo in perpetuo formarsi, da cui sia possibile e lecito entrare e uscire in qualunque momento.
Forse è questa l’eredità maggiore di Satie e quella che più consuona con lo spirito del jazz.
(Qui la recensione completa di questo disco. In Reflections il solista di sax tenore è Roman Schwaller).
Gnossienne No. 3 (Erik Satie), da «The Minimalism of Erik Satie», HatOLOGY 560. Karl «Bumi» Fian, Hans Kottes, tromba, flicorno; Christian Radovan, trombone; John Sass, tuba; Harry Sokal, Wolfgang Puschnig, Roman Schwaller, ance, flauto; Woody Schabata, vibrafono; Wolfgang Reisinger, Ima, percussioni; Lauren Newton, cantante; Mathias Rüegg, arrangiamenti e direzione. Registrato nel settembre 1983.
Reflections on Gnossienne No. 2 (Satie-Rüegg), ib.
lunedì 26 luglio 2010
The Blues With A Feelin’ (Duke Ellington)
Sempre dagli anni del Cotton Club di Duke Ellington, un blues-canzone (con un bridge modulante, molto lirico e perfino sofisticato, contro la earthiness del primo tema blues) introdotto solennemente da due clarinetti in armonia e, dopo l’esposizione del tema da parte di Joe «Tricky Sam» Nanton, con un assolo trasudante blues di Johnny Hodges al sax soprano. Qui si dimostra la sua derivazione da Sidney Bechet, per quanto già molto temperata.
The Blues With A Feelin’ (Ellington), da «The Original Edward “Duke” Ellington Hits Vol. 1, 1927/31», King Jazz 144 FS. Bubber Miley, Arthur Whetsol, Freddy Jenkins, tromba; Joe Nanton, trombone; Barney Bigard, clarinetto; Johnny Hodges, sax soprano; Harry Carney, clarinetto e sax baritono; Duke Ellington, piano; Fred Guy, banjo; Wellman Braud, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Registrato nel novembre 1928.
Night Lights 1, 2 (Gerry Mulligan)
Un Gerry Mulligan più disteso del solito, quasi easy listening, in due versioni di questa sua carezzevole composizione. Nessuna delle due vede Gerry al sax baritono.
Night Lights (Mulligan), da «Night Lights», Mercury 818 271-2. Art Farmer, tromba; Bob Brookmeyer, trombone a pistoni; Jim Hall, chitarra; Gerry Mulligan, piano; Bill Crow, contrabbasso; Dave Bailey, batteria. Registrato nel settembre 1963.
Night Lights, ib. Gerry Mulligan, clarinetto; Pete Jolly, piano; Jond Gray, chitarra; Jimmy Bond, contrabbasso; Hal Blaine, batteria; archi. Registrato nel 1965.
Night Lights (Mulligan), da «Night Lights», Mercury 818 271-2. Art Farmer, tromba; Bob Brookmeyer, trombone a pistoni; Jim Hall, chitarra; Gerry Mulligan, piano; Bill Crow, contrabbasso; Dave Bailey, batteria. Registrato nel settembre 1963.
Night Lights, ib. Gerry Mulligan, clarinetto; Pete Jolly, piano; Jond Gray, chitarra; Jimmy Bond, contrabbasso; Hal Blaine, batteria; archi. Registrato nel 1965.
Stop Kiddin’ (McKinley Cotton Pickers)
I McKinley Cotton Pickers furono una delle prime orchestre degli anni Venti. Fondata a Springfield, Ohio, da un certo batterista William McKinley che ne sarà poi l’agente, crebbe progressivamente d’importanza con l’acquisizione, dal 1924, di musicisti importanti quali il batterista Cuba Austin, il trombonista Claude Jones, Don Redman, già artefice delle principali formazioni di Fletcher Henderson, e soprattutto del trombettista, compositore e arrangiatore John Nesbitt (1900-1935), uno degli unsung heroes del jazz.
È opera sua questo Stop Kiddin’ di cui lasciano ancora oggi di stucco i contrattempi che generano poliritmi forzando la regolarità metrica (una frase ha dieci battute, un’altra sette), l’uso della scala a toni interi non a scopo di effetto, com’era comune nella scrittura del tempo, ma strutturale, l’inventiva in un ambito di grande continuità fra un chorus e l’altro, il tutto a un tempo mozzafiato e interpunto da virtuosisistici break dei solisti (Redman, Nesbitt, Jones).
Stop Kiddin’ (Nesbitt), da «Changes», MJCD 1135. John Nesbitt, Langston Curl, tromba; Claude Jones, trombone; Don Redman, Milton Senior, sax alto e clarinetto; George Thomas, Prince Robinson, sax tenore e clarinetto; Todd Rhodes, piano; Dave Wilborn, banjo; Ralph Escudero, tuba; Cuba Austin, batteria. Registrato il 12 luglio 1928.
domenica 25 luglio 2010
Monk’s Mood (Eric Watson)
Eric Watson, nato nel 1955, è un pianista e compositore americano da molti anni residente a Parigi. Lo si ricorda soprattutto per un bel quartetto con il contrabbassista John Lindberg, il batterista Ed Thigpen e il trombonista Albert Mangelsdorff che una ventina d’anni fa fece due o tre dischi per la Black Saint (qui ne senti qualcosa).
Come solista, Watson è un po’ un gusto acquisito, con la sua preferenza esclusiva per tempi lentissimi, immobili quasi, per le zone basse della tastiera e dunque per una musica densa, dai colori e dagli umori cupi e ruminativi. Mi piace questo Monk’s Mood il cui solenne gioco di bassi fa pensare a una passacaglia; il tema è enunciato solo a metà dell’esecuzione.
The Moontrane (Larry Young)
La mia indifferenza, confinante con il fastidio, per l’organo Hammond nel jazz conosce l’unica eccezione di questo disco meraviglioso di Larry Young, «il John Coltrane dell’organo».
The Moontrane (Shaw), da «Unity», Blue Note 56416-2. Woody Shaw, tromba; Joe Henderson, sax tenore; Larry Young, organo; Elvin Jones, batteria. Registrato nel novembre 1965.
Intuition, Digression (Tristano)
Di free jazz si cominciò a parlare a partire dal disco omonimo di Ornette Coleman (1960), ma per almeno quindici anni prima si erano dati esperimenti per condurre il jazz fuori dai confini della tonalità, del giro armonico (cioè della forma a chorus), della pulsazione regolare. Furono esperimenti fra loro molto diversi, sistematici od occasionali, quelli di Cecil Taylor (qualcosa te ne ho fatto sentire qui sopra), Charles Mingus, Jimmy Giuffre, George Russell, di uomini della Third Stream come Gunther Schuller e Duane Tatro e, in Europa, di Joe Harriott e Giorgio Gaslini.
Uno dei primissimi tentativi, e dei più singolari, è certo stato quello di Lennie Tristano e dei suoi accoliti nella terza delle tre sedute di registrazione del 1949 che generarono alcuni classici del cool jazz come Wow, Crosscurrent, Marionette, Sax of a Kind. Si tratta di due improvvisazioni collettive senza materiali predefiniti, basate per il loro buon esito sulle reazioni empatiche fra i componenti il quintetto. Mi pare dica molto della poetica e delle concezione del jazz di Tristano il fatto che questo suo free avanti lettera escluda l’uso della batteria, lo strumento che nel jazz rappresenta più direttamente l’elemento africano e che Tristano mal sopportava.
Intuition (Tristano-Konitz-Marsh-Bauer-Fishkin), da «Intuition», Capitol Jazz CDP 7243 8 52771 2 2. Lee Konitz, sax alto; Warne Marsh, sax tenore; Lennie Tristano, piano; Billy Bauer, chitarra; Arnold Fishkin, contrabbasso. Registrato il 16 maggio 1949.
Digression, ibidem.
sabato 24 luglio 2010
Be Bop, I Got Rhythm, Harvard Blues, N.M.E. (Don Byas)
S’impone un crash course in Don Byas. In I Got Rhythm e in Harvard Blues Slam Stewart, com’è suo solito, esegue l’assolo con l’arco, raddoppiando con la voce all’ottava superiore.
Be Bop (Gillespie), da «Dizzy Gillespie Story», Proper Box 30. Dizzy Gillespie, tromba; Don Byas, sax tenore; Clyde Hart, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 9 gennaio 1945.
I Got Rhythm (Gershwin), da «Laura», FMD 36714-2. Don Byas, sax tenore; Slam Stewart, contrabbasso. Registrato il 9 giugno 1945.
Harvard Blues (Basie-Rushing-Smith), da «Don Byas», MJCD 1088. Don Byas, sax tenore; Erroll Garner, piano; Slam Stewart, contrabbasso; Harold «Doc» West, batteria. Registrato il 30 agosto 1950.
N.M.E (Williams), da «Don Byas», MJCD 1088. Don Byas, sax tenore; Mary Lou Williams, piano; Gérard Pochonnet, contrabbasso; Buddy Banks, batteria. Registrato il 2 dicembre 1953
Old Folks (Don Byas) - Soluzione al Quiz #3
Bel fiasco del terzo Quiz di Jazz nel pomeriggio: una risposta sola, sbagliata. E dire che ritenevo Don Byas una voce inequivocabile, l’unico dei saxofoni tenori classici, di scuola hawkinsiana, ad avere un suono ancora più voluminoso di quello di Hawkins, un vibrato ancora più ampio e implacabile, un fraseggio ancora più elaborato.
Va bé, diamo la colpa al caldo.
Old Folks (Robison-Hill), da «Jazz in Paris - Laura», Gitanes Jazz 013 027-2. Don Byas, sax tenore; Art Simmons, piano; Joe Benjamin, contrabbasso; Bill Clark, batteria. Registrato nel 1950.
venerdì 23 luglio 2010
Hallucinations (Bud Powell) - Budo (Miles Davis)
Hallucinations fu registrato da Bud Powell in assolo nel 1951, sul disco da cui ho già attinto più volte. La composizione, con il titolo di Budo, era stata incisa due anni prima dal nonetto guidato da Miles Davis, le cui registrazioni sarebbero uscite anni dopo nella raccolta intitolata «Birth of the Cool». L’arrangiamento è di John Lewis.
Hallucinations (Powell), da «The Genius of Bud Powell», Verve MGV 8115. Bud Powell, piano. Registrato nel febbraio 1951.
Budo [aka Hallucinations] (Powell), da «Birth of the Cool», Capitol Jazz 0777 7 92862 5. Miles Davis, tromba; Kai Winding, trombone; Junior Collins, corno francese; John Barber, tuba; Lee Konitz, sax alto; Gerry Mulligan, sax baritono; Al Haig, piano; Joe Shulman, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 21 gennaio 1949.
Tea for Two (Bud Powell)
Ebbrezza della velocità: una categoria espressiva propria del jazz moderno e del bebop specialmente, ma che in Bud Powell, soprattutto il giovane Bud, diventa una compiuta dimensione poetica.
Tea for Two (Youmans-Caesar), da «The Genius of Bud Powell», Verve MGV 8115. Bud Powell, piano; Ray Brown, contrabbasso; Buddy Rich, batteria. Registrato il primo luglio 1950.
Taxi War Dance (Count Basie)
Questa mattina mi è andato di ascoltare questo superclassico di Count Basie, con Lester Young, Dickie Wells, brevi interventi di Buddy Tate e naturalmente il piano del leader.
Taxi War Dance (Basie-Young), da «Count Basie Vol. 2 - Kansas City and Beyond 1936-1958», Bellaphon 625-50-010. Buck Clayton, Ed Lewis, Harry «Sweets» Edison, Shad Collins, tromba: Dickie Wells, Benny Morton, Dan Minor, trombone: Earl Warren, sax alto; Buddy Tate, Lester Young, sax tenore; Jack Washington, sax baritono; Count Basie, piano; Freddie Green, chitarra; Walter Page, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 19 marzo 1939.
giovedì 22 luglio 2010
Brilliant Corners (Thelonious Monk) (Anthony Braxton)
Brilliant Corners, dal disco omonimo di Thelonious Monk, era una composizione inconsueta per quegli anni, difficile nei ritmi e negli intervalli da intonare e da rispettare nell’improvvisazione, al punto che il quintetto riunito in studio nel 1956 dovette produrne non so quante takes per poi pubblicare questa, risultato di un meticoloso splicing fra tutti i tentativi. E guarda che parliamo di Sonny Rollins, Oscar Pettiford e Max Roach, non di Pierino Còtica.
Brilliant Corners (Monk), da «Brilliant Corners», Riverside-OJCCD-026-2. Ernie Henry, sax alto; Sonny Rollins, sax tenore; Thelonious Monk, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato nel dicembre 1956.
Trentun anni dopo, in uno studio di registrazione milanese, Anthony Braxton riprese la composizione (credo che nessun altro l’avesse mai fatto prima, e dopo, forse, solo Alexander von Schlippenbach in «Monk’s Casino»). Del quartetto facevano parte Mal Waldron e Buell Neidlinger, il bassista dei primi dischi di Cecil Taylor. L’esecuzione, giocata sull’alternarsi di due tempi, non solo è impeccabile, ma mostra l’affinità fra Monk e Braxton. Meraviglia.
Brilliant Corners, da «Six Monk’s Compositions», Black Saint 120116-2. Anthony Braxton, sax alto; Mal Waldron, piano; Buell Neidlinger, contrabbasso; Billy Osborne, batteria. Registrato il 30 giugno 1987.
Picasso - The Essence of You (Coleman Hawkins)
Due facce di Coleman Hawkins: prima il musicista d’avanguardia, quale Hawkins fu almeno dal 1933, quando registrò con Fletcher Henderson la sua composizione Queer Notions. Nel 1948 lo sentiamo cimentarsi per la prima volta nella storia in un assolo di saxofono non accompagnato, Picasso. Per questo tour de force organizzato in forma di tema e variazioni, Hawkins scelse accortamente una canzone poco nota, Prisoner of Love, il cui tema del resto non è nemmeno enunciato.
Quindi, pochi anni dopo, l’espansivo e lirico virtuoso del sax tenore with strings and woodwinds arrangiati da Bill Byers, nella presa sonora morbidissima di un disco il cui titolo dice tutto (curiosità: uno dei violoncelli è nelle mani di Bernard Greenhouse, membro del Beaux Arts Trio, uno dei più distinti complessi da camera del dopoguerra).
The Essence of You (Hawkins), da «The Hawk in Hi-Fi», Bluebird 09026-63842-2 (RCA Victor). Coleman Hawkins con Jimmy Buffington, corno francese; Julius Baker, flauto; Phil Bodner, oboe; Sid Jekowsky, clarinetto; Gene Orloff, Tosha Samaroff, Paul Gershman, Dave Newman, Alvin Rudnitsky, Arnold Eidus, Max Hollander, Max Cahn, Cy Miroff, Stan Kraft, Dave Sarser, violino; Bert Fisch, viola; George Ricci, Bernie Greenhouse, Eduardo Sodero, violoncello; Hank Jones, piano; Marty Wilson, Glockenspiel, xilofono; Jack Lesberg, contrabbasso; Osie Johnson, batteria; Phil Kraus, campane. Registrato il 20 gennaio 1956.
Quiet Dawn (Archie Shepp)
Big Band and more per Archie Shepp nel 1972 in uno dei suoi dischi più ambiziosi. La bambina che canta è la figlia del compositore Cal Massey, Waheeda Massey.
Quiet Dawn (Massey), da «Attica Blues», Impulse! 654 414-2. Roy Burrowes, Michael Ridley, Charles McGhee, tromba; Cal Massey, flicorno; Clifford Thornton, cornetta; Charles Stephens, Kiane Zawadi, Charles Greenlee, trombone; Hakim Jami, euphonium; Clarence White, sax alto; Archie Shepp, Billy Robinson, Roland Alexander, sax tenore; James Ware, sax baritono; Leroy Jenkins, John Blake, Lakshinarayana Shankar, violino; Ronald Lipscomb, Calo Scott, violoncello; Walter Davis Jr, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Billy Higgins, batteria; Ollie Anderson, Juma Sutan, Nene DeFense, percussioni. Direttore Romulus Franceschini; arrangiamento di «RoMas». Registrato nel gennaio 1972.
Quiz #3
mercoledì 21 luglio 2010
Nice Work If You Can Get It (Sarah Vaughan)
Sarah Vaughan con una bella formazione di studio nel 1950. Miles è autore di un buon assolo, ma Sarah onora il suo appellativo di divina nella ripresa: ascolta la sottigliezza delle variazioni melodiche, timbriche e ritmiche del tema e particolarmente le prime quattro battute dell’ultima 'A', una progressione discendente a zig-zag di quinte diminuite.
Nice Work If You Can Get It (Gershwin), da «Lover Man», FMD 36739-2. Sarah Vaughan con Miles Davis, tromba; Benny Green, trombone; Budd Johnson, sax tenore; Tony Scott, clarinetto; Jimmy Jones, piano; Mundell Lowe, chitarra; Billy Taylor, contrabbasso; J.C. Heard, batteria. Registrato il 19 maggio 1950.
Quiz #3
Blues for the Groundskeeper (Ethan Iverson)
Due terzi dei Bad Plus in questa bellissima ripresa dal vivo del 1999 con Billy Hart alla batteria. Scrive Ethan Iverson di questo pezzo: «l’ho scritto per il mio eroe Jimmy Yancey, il più profondo dei pianisti del boogie-wooogie. Lavorava come custode [groundskeeper] al Comiskey Park, il campo di baseball di Chicago».
Blues for the Groundskeeper (Iverson), da «The Minor Passions», Fresh Sound FSNT 064CD. Ethan Iverson, piano; Reid Anderson, contrabbasso; Billy Hart, batteria. Registrato nel maggio 1999.
Quiz #3
martedì 20 luglio 2010
I’ll Remember April (Erroll Garner)
Errol Garner impersonava un bel po’ dei luoghi comuni sui jazzmen che mandano in bestia gli intenditori avvertiti: musicalmente analfabeta e renitente all’istruzione (ci provò Mary Lou Williams) e di conseguenza autodidatta, in possesso di un orecchio soprannaturale e di una facilità enorme. È vero che l’essere autodidatta non esclude un tirocinio impegnativo, per quanto inortodosso, come è vero che lo stile di Garner non è immaginabile diversamente, distante com’è da tutti gli altri, soprattutto da quelli dei pianisti della sua generazione fra i quali Garner è probabilmente l’unico a non recare la minima traccia di Bud Powell. Il suo pianismo orchestrale ha l’impianto ritmico delle orchestre Swing e la disinvoltura armonica dei bopper, coi quali ebbe però contatti sporadici e nessuna affinità, malgrado le note incisioni con Charlie Parker.
«Concert By The Sea» è uno dei live più famosi del jazz. Fu registrato nel 1955 a Carmel, località sulla costa della California settentrionale, in un locale che era una chiesa sconsacrata. Il suono ambientale è scadente (gli accompagnatori, fra cui il grande Denzil Best, si sentono appena), il pianoforte suona spesso come un concerto di barattoli, ma questo è l’I’ll Remember April più entusiasmante che io conosca.
I’ll Remember April (Raye-De Paul), da «Concert By The Sea», Columbia 40589. Erroll Garner, piano; Eddie Calhoun, contrabbasso; Denzil Best, batteria. Registrato il 19 settembre 1955.
Quiz #3
Da’ un nome al saxofonista tenore. Invia la risposta all’email qui a destra, accanto al mio ritrattino. Il premio è lo stesso delle altre due volte. La risposta, sabato 24 luglio in mattinata.
How Deep Is The Ocean? (Benny Goodman)
Peggy Lee canta con l’orchestra di Benny Goodman nel 1941. Il bellissimo e «progressivo» arrangiamento è di Eddie Sauter.
How Deep Is The Ocean? (Berlin), da «Changes», MJCD 1135. Peggy Lee con l’orchestra di Benny Goodman: Billy Butterfield, Cootie Williams, Jimmy Maxwell, Al Davis, tromba; Lou McGarity, Cutty Cutshall, trombone; Benny Goodman, clarinetto; Skippy Martin, Clint Neagley, sax alto; Vido Musso, George Berg, sax tenore; Chuck Gentry, sax baritono; Mel Powell, piano; Tom Morgan, chitarra; Sid Weiss, contrabbasso; Ralph Collier, batteria. Registrato l’8 ottobre 1941.
lunedì 19 luglio 2010
Dance of the Cosmo-Aliens (Sun Ra)
Ancora live a Milano, ancora nel 1978, ancora al teatro Ciak (ma io purtroppo quella volta non c’ero): Sun Ra con lo stesso quartetto che nelle stesse settimane, a Roma, registrò «New Steps», stavolta seduto davanti al misterioso «Crumar Mainman», un prototipo di strumento di cui, a quanto pare, nemmeno il produttore è stato in grado in grado di dire niente. Secondo Sun Ra, trattavasi di qualcosa «like a piano, organ, clavichord, cello, violin and brass instruments», di sicuro c’è che fu il primo strumento con incorporata una rhythm box programmabile. Da quella, Ra trae grande partito soprattutto in questa Dance of the Cosmo Aliens, in cui precorre di vent’anni electronica, house e ambient (ma da poco prima del minuto 4 in poi quello che suona è il classico spiritual Sometimes I Feel Like a Motherless Child, unendo come suo solito l’arcaico e lo smaccatamente avveniristico, con lo scopo – secondo me chiarissimo – di prendere le distanzee, satireggiandolo, dal proprio presente).
Di quell’esibizione milanese mi piace riportare qui un ricordo di Roberto Gatti:
Lui era lì in quartetto, con i meravigliosi e fedelissimi John Gilmore e Marshall Allen, e la prima fila del teatro era interamente occupata da alcuni musicisti di casa nostra: di cui anche in questo caso non farò i nomi, sempre per carità di patria. Fatto sta che durante un assolo incandescente di John Gilmore, un paio di questi musicisti, probabilmente folgorati sulla via di Saturno da quella musica celestiale, cominciarono a cavare dai loro strumenti una lunga sequela di suoni a casaccio, perché per molti, a quei tempi, la parola d’ordine era una soltanto: «aho’, famo er free!». Sun Ra, paziente come Giobbe, attese un paio di minuti buoni prima di interrompere i suoi prodi. Poi prese il microfono e, rivolto ai disturbatori, disse testualmente: «Dovreste vergognarvi! Non avete neppure capito che la musica è ORDINE e DISCIPLINA! E ora vi prego di uscire!»
Dance of the Cosmo-Aliens (Sun Ra), da «Disco 3000», Art Yard. Sun Ra, tastiere; Luqman Ali, batteria. Registrato live a Milano nel gennaio 1978.
Di quell’esibizione milanese mi piace riportare qui un ricordo di Roberto Gatti:
Lui era lì in quartetto, con i meravigliosi e fedelissimi John Gilmore e Marshall Allen, e la prima fila del teatro era interamente occupata da alcuni musicisti di casa nostra: di cui anche in questo caso non farò i nomi, sempre per carità di patria. Fatto sta che durante un assolo incandescente di John Gilmore, un paio di questi musicisti, probabilmente folgorati sulla via di Saturno da quella musica celestiale, cominciarono a cavare dai loro strumenti una lunga sequela di suoni a casaccio, perché per molti, a quei tempi, la parola d’ordine era una soltanto: «aho’, famo er free!». Sun Ra, paziente come Giobbe, attese un paio di minuti buoni prima di interrompere i suoi prodi. Poi prese il microfono e, rivolto ai disturbatori, disse testualmente: «Dovreste vergognarvi! Non avete neppure capito che la musica è ORDINE e DISCIPLINA! E ora vi prego di uscire!»
Dance of the Cosmo-Aliens (Sun Ra), da «Disco 3000», Art Yard. Sun Ra, tastiere; Luqman Ali, batteria. Registrato live a Milano nel gennaio 1978.
domenica 18 luglio 2010
African Violets (Cecil Taylor)
Looking Ahead, del 1958, è il secondo disco di Cecil Taylor e sicuramente il più accessibile (posto che a me Cecil Taylor, anche al suo più out, non è parso mai inaccessibile).
Jubilee Stomp (Duke Ellington)
Duke Ellington ha registrato tre volte questo pezzo nella prima metà del 1928; ho scelto questa versione, del 19 gennaio (Okeh), perché è la più rifinita, cosa che ha la sua importanza dato l’impegno dell’arrangiamento, che contiene un unisono per sax e culmina gloriosamente in una fanfara di ottoni. Ma anche gli assoli, fra cui un chorus stride di Ellington e un’insolita apparizione di Harry Carney al sax alto, sono eccellenti.
Jubilee Stomp (Ellington), da«The Original Edward “Duke” Ellington Hits Vol. 1, 1927/31», King Jazz 144 FS. Bubber Miley, Louis Metcalf, tromba; Joe Nanton, trombone; Barney Bigard, clarinetto; Otto Hardwicke, sax alto; Harry Carney, sax alto e baritono; Duke Ellington, piano; Fred Guy, banjo; Mack Shaw, tuba; Sonny Greer, batteria. Registrato il 19 gennaio 1928.
As Long As You’re Living (Max Roach)
Il 4 maggio 1978, al teatro Ciak di Milano (altri tempi…), quartetto di Max Roach con Cecil Bridgewater, Billy Harper e Calvin Hill. Ultimo pezzo, prima del bis Cherokee, questo assolo di batteria su As Long As Long As You're Living (da «Quiet As It’s Kept», 1961).
Nel discorsetto introduttivo, Roach racconta di come avesse suonato per la prima volta questa composizione, nell’allora innovativo tempo di 5/4, nel 1959, a un festival a Detroit, ricevendone gli stupiti complimenti di Dave Brubeck, che più tardi in quell’anno avrebbe inciso con grande risonanza Take Five nell’LP jazz best seller di tutti i tempi, «Time Out».
Nota personale: quella sera del 1978, accompagnato dal papà, al Ciak c’ero anch’io, al terzo o quarto concerto jazz della mia vita. Ringrazio di cuore il blog Inconstant Sol, impareggiabile spacciatore di rarità live di quegli anni.
As Long As You’re Living (Roach). Max Roach, batteria. Registrato dal vivo a Milano il 4 maggio 1978.
sabato 17 luglio 2010
Kelly Blue (Wynton Kelly)
Wynton Kelly (1931-1971), il pianista di origine giamaicana legato soprattutto al quintetto di Miles Davis e a «Kind of Blue», è stato un dei pianisti più intensamente bluesy del jazz moderno. In questo pezzo si ascolta anche il flautista belga Bobby Jaspar, in grande forma.
Kelly Blue, da «Kelly Blue», Original Jazz Classics OJC 033. Nat Adderley, tromba; Benny Golson, sax tenore; Bobby Jaspar, flauto; Wynton Kelly, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato nel febbraio 1959.
The Third World - The Gig (Herbie Nichols)
Da quando ho cominciato questo blog (che altro non è che una condivisione di ascolti che di giorno in giorno mi va di fare, senza altro criterio che il gusto e il whim del momento), da quando ho cominciato, dicevo, ancora non mi è capitato di parlare di Herbie Nichols. È uno dei miei preferiti, ma mentre ascoltavo il pezzo suo che segue e altri dal medesimo disco, pensavo che pur con tutto l’entusiasmo che nutro per questo compositore e pianista, non saprei bene che cosa scriverne. Forse è proprio il piacere che mi dà il suo ascolto che non me ne lascia dire molto, come mi capita con Duke Ellington.
Importa comunque fartelo ascoltare o riascoltare, limitandomi per questa volta a farti notare la modernità della progressione armonica in The Third World e la singolarità della forma (un tema di 67 battute) in The Gig.
The Third World, da «The Complete Bue Note Recordings», Blue Note 8 59355 2. Herbie Nichols, piano; Al McKibbon, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 6 maggio 1955.
Importa comunque fartelo ascoltare o riascoltare, limitandomi per questa volta a farti notare la modernità della progressione armonica in The Third World e la singolarità della forma (un tema di 67 battute) in The Gig.
The Third World, da «The Complete Bue Note Recordings», Blue Note 8 59355 2. Herbie Nichols, piano; Al McKibbon, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 6 maggio 1955.
The Gig, ib. Herbie Nichols, piano; Al McKibbon, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il primo agosto 1955.
venerdì 16 luglio 2010
Deep Night - This Can’t Be Love (Art Tatum, Buddy DeFranco)
Anche se il suo nome si associa spontaneamente al piano solo, Art Tatum ha lasciato un buon numero di registrazioni con altri musicisti e non solo con i suoi trii: negli ultimi due anni della vita del pianista Norman Granz lo associò, in una serie di dischi, ad alcuni famosi solisti fra i quali Ben Webster, Benny Carter, Roy Eldridge. Io ho sempre avuto una predilezione per il disco con il grande clarinettista Buddy DeFranco: un incontro sul piano del virtuosismo, di risultato musicale felicissimo.
Deep Night (Vallee-Henderson), da «The Tatum Group Masterpieces vol. 7», Pablo 2405-430. Buddy DeFranco, clarinetto; Art Tatum, piano; Red Callender, contrabbasso; Bill Douglass, batteria. Registrato nel febbraio 1956.
This Can’t Be Love (Rodgers-Hart), ib.
Anatomy (John Coltrane, Paul Quinichette)
Esattamente due settimane prima dell’esordio discografico a suo esclusivo nome, «Coltrane», John Coltrane si trovò affiancato in un’altra seduta Prestige a Paul Quinichette. Quinichette (1916-1983), oggi dimenticato, era un solido saxofonista di così chiara derivazione lesteriana da meritarsi il soprannome di Vice-Pres.
Le composizioni del disco sono di Mal Waldron, tolti due standard (ma anche questa Anatomy non è che una lieve contraffazione di All the Things You Are).
Anatomy (Waldron), da «Cattin’ with Coltrane and Quinichette», Prestige OJCCD-460-2. John Coltrane, Paul Quinichette, sax tenore; Mal Waldron, piano; John Euell, contrabbasso; Ed Thigpen, batteria. Registrato il 14 maggio 1957.
giovedì 15 luglio 2010
Stella By Starlight (Derek Bailey)
Questa ero tentato di proportela come Quiz, ma poi ho pensato che sarebbe stata troppo facile. Derek Bailey, il chitarrista inglese fra i praticanti più distinti della c.d. «improvvisazione radicale» (e il suo principale teorico: lui la chiamava, più propriamente, improvvisazione non idiomatica), nel 2002 si cimentò nell’interpretazione di una dozzina di standard su istigazione di John Zorn.
È un disco bellissimo, e te lo dice uno che non sente particolari affinità con l’improvvisazione radicale e che Derek Bailey ha spesso lasciato perplesso. Ma l’uomo sapeva benissimo quello che faceva: solo chi conosce il linguaggio degli standard e le loro progressioni armoniche alla perfezione può ignorarli con tanta classe e sensibilità. Per una volta lasciami citare da un libro, la Penguin Guide to Jazz on CD di Richard Cook e Brian Morton: «Stupisce la delicatezza del suo approccio, e tutto il disco comunica un’emozione profonda, un po’ come darebbe sentire Samuel Beckett rintanato in un bar a cantare vecchie canzoni irlandesi».
Stella By Starlight (Young), da «Ballads», Tzadik 7607. Derek Bailey, chitarra. Registrato il primo febbraio 2002.
mercoledì 14 luglio 2010
It’s Time (Max Roach)
Questo andrebbe forse alla voce «stranezze»: Max Roach nel 1962 aggiunge al un sestetto un coro misto, diretto da Coleridge Perkinson (che altrove lavorò con Roach in veste di pianista). It’s time sarebbe rimasto a lungo nel repertorio del gruppi di Roach; l’idea del complesso jazz + coro sarebbe stata ripresa pochissimi anni dopo, un po’ involgarita, da Donald Byrd per un disco Blue Note.
Così scrive Roach nelle note di copertina: «Questo pezzo è scritto in Do minore e in tempo tagliato. Il periodo iniziale adopera la teoria dei metri misti, detti anche poliritmi, per creare le frasi melodiche e ritmiche, per esempio: le prime dieci battute sono composte di di due battute in 3/4, due in 4/4, due in 6/4 e due in 7/4. La forma è A-A-B-A. Segue un’improvvisazione di sax tenore quindi una di percussioni, entrambe con l’accompagnamento del coro. Infine, una ricapitolazione dell’apertura».
It’s Time (Roach), da «It’s Time - Max Roach His Chorus and Orchestra», Impulse 11852. Richard Williams, tromba; Julian Priester, trombone; Clifford Jordan, sax tenore; Mal Waldron, piano; Art Davis, contrabbasso; Max Roach, batteria, arrangiamento; coro diretto da Coleridge Perkinson. Registrato il 15 febbraio 1962.
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