venerdì 28 febbraio 2014

The Two Headed Freap (Ronnie Foster)

 Dal ’68 circa in poi, soprattutto dopo che Alfred Lion si fu ritirato, la Blue Note discese rapidamente la china, non tanto perché scelse la via di un jazz-funk facile, quanto perché, in quell’ambito, scritturò degli autentici tombini, per esempio la flautista Bobby Humphrey.

 Ogni tanto però, forse per caso, qualcosa di ascoltable usciva, per esempio questo disco dell’organista Ronnie Foster. Nel clima di revival attuale,  potrebbe anche essere ristampato con vantaggio (e forse lo è stato).

 The Two Headed Freap (Foster), da «The Two Headed Freap», Blue Note 30282. Ronnie Foster, organo; Gene Bertoncini, chitarra; Gordon Edwards, basso elettrico; Jimmy Johnson, batteria; Arthur Jenkins, conga. Registrato nel gennaio 1972.



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giovedì 27 febbraio 2014

Autumn Leaves - Walk On By (Wynton Kelly)

 Non so te, ma a qui Milano è autunno e ieri (oggi, perché io zibaldino viene scritto e preparato la sera prima) ha piovuto tutto il giorno. Un autunno quasi in primavera è molesto, logora la salute e il buonumore a chi ne abbia. Del resto fa solo il suo mestiere, che è di annunciare il perpetuo inverno a cui ci destina il nostro scontento. Sì, tutti; sì, anche te che oggi 27 del mese tiri lo stipendio e ti freghi le mani. D’ora innanzi le stagioni si succederanno infatti così: autunno, inverno, inverno, inverno.

 È chiaro come Wynton Kelly l’avesse capito già nel 1966, da come prende Les Feuilles Mortes a un tempo brusco, per fraseggiarla impaziente, quasi scocciato. Oh oh oh.

 Poi Walk On By di Bacharach, perché era pur sempre il 1966.

 Autumn Leaves (Prévert-Kozma), da «Full View», [Milestone] OJCCD-912-2. Wynton Kelly, piano; Ron McClure, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato nel settembre 1966.



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 Walk On By (Bacharach), id.



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mercoledì 26 febbraio 2014

[Guest post #44] Negrodeath & NEXT Collective

Per fortuna c’è chi si preoccupa di tenere la programmazione di «Jazz nel pomeriggio» minimamente accosto ai tempi… A farlo oggi, un lieto ritorno dopo anni, c’è Negrodeath. Non deve essergli stato facile il compito, considerando che ora che Miles e Duke e Thelonious sono morti non c’è niente.

 Fra i numerosi schieramenti del pubblico jazz ne spiccano due in particolare, i nostalgici, per cui ora che Miles e Duke e Thelonious sono morti non c’è niente, e gli avanguardisti radicali, quasi oltraggiati dal fatto che molta gente si addormenti dopo cinque minuti di Anthony Braxton, Roscoe Mitchell o Butch Morris.

 Entrambi si lamentano che il jazz non lo ascolta nessuno, ed entrambi sin troppo arroccati sulle rispettive posizioni. In realtà, la madre di tutte le guerre (riportare il jazz al pubblico o viceversa) sembra persa in partenza, però è ampiamente dimostrato che esista del jazz fresco e moderno che non si vergogna affatto di essere, appunto, jazz. Come quello del NEXT Collective, un gruppo di giovani musicisti americani che ha deciso di rigenerare in chiave jazz una decina di brani pop, rock, neo-soul: la speranza è quella di catturare l’orecchio dell'appassionato di musica curioso e attento, il risultato, comunque vada, ottimo.

 Sentite questa bella Come Smoke My Herb, per esempio, in origine un brano neo-soul di Me’Shell NdegéOcello.

 Come Smoke My Herb (Me’Shell NdegéOcello), da «Come Smoke My Herb», Concord Music Group CJA-33362-02. 2012. NEXT Collective: Logan Richardson, sax contralto; Walter Smith III, sax tenore; Gerald Clayton, piano; Kris Bowers, piano elettrico; Matt Stevens, chitarra; Ben Williams, basso elettrico; Jamire Williams, batteria. Registrato nel 2012.



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martedì 25 febbraio 2014

Polka Dots And Moonbeams (Bud Shank)

 Polka Dots And Moonbeams è uno dei più zuccherosi standard; il testo, in particolare, fa proprio allegare i denti. Ciò non ha impedito che tantissimi grandi jazzisti vi si cimentassero; nessuno ne ha scalfitto quella glassa coriacea – ci sarebbe voluto Monk, forse, o Earl Hines nei suoi tardi anni, quando non aveva più paura di niente. Tuttavia, accettata la canzone per quello che è, in molti ne hanno dato esecuzioni piacevoli, a cominciare da Frank Sinatra, che credo sia stato il primo a cantarla, quando ancora era con l’orchestra di Tommy Dorsey.

 È il caso anche di questa compagnia mista californiano-europea, a nome del più quintessenziale dei West coaster, Bud Shank, che con Bob Cooper era in tournée in Europa, appunto, nel 1957. Sopra gli arpeggioni di Attila Zoller, Shank ci dà dentro di flauto, ricordandoci che egli fu, finché lo suonò, uno dei flautisti più forti e swinganti del jazz.

 Polka Dots And Moonbeams (Burke-Van Heusen), da «European Tour 1957», Lone Hill Jazz LHJ10246. Bud Shank, flauto; Attila Zoller, chitarra; Gary Peacock, contrabbasso; Karl Sanner, batteria. Registrato nell’aprile 1957.



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lunedì 24 febbraio 2014

Come Sunday (Tommy Flanagan)

 Tommy Flanagan nel 1960 intento a una resa solitaria di Come Sunday di Duke Ellington.

 Forse non è un’interpretazione profonda come meriterebbe questa composizione meravigliosa e particolarissima, che ha pochi confronti perfino entro il corpus stesso di Ellington, ma è una versione assai elegante, come sempre ci si aspetta da questo pianista.

 Da queste parti, fra l’altro, Flanagan interprete di Come Sunday è già passato; quella volta era in un quartetto a nome di Booker Ervin.

 Come Sunday (Ellington), da «The Tommy Flanagan Trio», Prestige/Moodville No. 9. Tommy Flanagan, piano. Registrato il 18 maggio 1960.



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domenica 23 febbraio 2014

Darn That Dream (Art Pepper)

 Ecco Art Pepper registrato l’anno della morte, che l’avrebbe colto tre mesi dopo. Questa esecuzione, virtuosistica e commovente come di rado capita di sentire insieme, viene da un disco di cui Art fu titolare con Joe Farrell.

 George Cables era il pianista regolare di Pepper nell’ultimo periodo di attività e di vita. Il saxofonista aveva per lui un’ammirazione grandissima: lo chiamava «mister Beauty».

 Darn That Dream (DeLange-Van Heusen), da «Darn That Dream», Drive Archive. Art Pepper, sax alto; George Cables, piano; Tony Dumas, contrabbasso; John Dentz, batteria. Registrato il 23 marzo 1982.



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venerdì 21 febbraio 2014

Nature Boy (Misha Mengelberg)

 Misha Mengelberg può non piacere, ma è molto difficile sentirgli fare qualcosa di banale. Qui, insieme al quasi inseparabile Han Bennink, Mengelberg appare particolarmente stimolato da uno dei più begli standard del secondo dopoguerra, Nature Boy, la canzone di Eden Ahbez resa celebre da Nat King Cole.

 Il saxofonista Piet Noordijk  è memore di Dolphy, che con Mengelberg e Bennink aveva suonato il suo ultimo concerto pochi mesi prima proprio in Olanda, e fraseggia con musicalità e passione, ma il fulcro dell’esecuzione è l’assolo di Mengelberg, che in quegli anni scopriva fra i primi il repertorio di Herbie Nichols, prestando un orecchio attento anche al suo stile pianistico, come qui si sente benissimo (l’ultimo pezzo di questo disco è dedicato a Nichols).

 Nature Boy (Ahbez), da «Driekusman Total Loss», Varajazz 210. Piet Noordijk, sax alto; Misha Mengelberg, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Han Bennink, batteria. Registrato il 4 dicembre 1964.



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giovedì 20 febbraio 2014

[Guest Post #43] Paolo il Lancianese & Abbey Lincoln

Con il ritorno di un classico e caro ospite di «Jazz nel pomeriggio», sento di poter dire che la programmazione è tornata regolare. Se non succede niente…

 Come conciliare l’amore per il jazz con quello per la grande canzone francese che mi accompagna da quando ero ragazzino? C’è Nina Simone ­­- ma di lei s’è già detto, qui, più di una volta, a proposito della stupefacente versione di Ne me quitte pas, il capolavoro di Brel.
 Ci sarebbe poi Dee Dee Bridgewater (penso in particolare al disco del 2005 «J’ai deux amours») che però è sempre pericolosamente in bilico sulla linea che separa la bravura, quando è eccessiva, dal cattivo gusto.

 Ci saranno poi anche altre voci, chissà quante! Ma in questo momento me ne viene in mente una sola: quella di Abbey Lincoln che canta Avec le temps di Léo Ferré. Una voce che potrà pure sembrarti non ineccepibile (si può dire lo stesso della Simone, del resto, o della suprema Billie Holiday) ma capace di comunicarti sempre un’emozione profonda, di farti partecipe della sua passione (delle sue passioni).

 Avec le temps (Ferré) da «A Turtle’s Dream», Verve 527382-2. Abbey Lincoln con Pat Metheny, chitarra; Rodney Kendrick, piano; Charlie Haden, contrabbasso; Victor Lewis, batteria. Registrato a New York City nel 1994.



mercoledì 19 febbraio 2014

Idea F (De Libero Arbitrio) (XY Quartet)

 Capita anche che io ne faccia una giusta: di recente, per esempio, nel referendum dei critici della rivista «Musica Jazz», ho dato il mio voto al disco dell’XY Quartet di Nicola Fazzini e Alessandro Fedrigo.

 Risentendolo dopo qualche mese, posso compiacermi della scelta. I quattro, che suonano prevalentemente nella ferace area veneta, sono musicisti dal penchant intellettuale e la nota al disco mette in chiaro il loro interesse verso un incontro del jazz con certe procedure compositive della musica europea del Novecento: in particolare le mie orecchie di «messiaeniano» si sono rizzate alla menzione dei modi a trasposizione limitata e dei ritmi non retrogradabili.

 Ma sono cose che tutto sommato passano in secondo piano all’ascolto. In questo disco sentiamo della musica, del jazz, di certo molto pensato, ma swingante, ricco di fantasia e di senso dell’umorismo. Chi voglia approfondire, vada qui, dove troverà, fra molte altre cose, le partiture del quartetto.

 Idea F (De Libero Arbitrio) (Fazzini), da «Idea F», Nusica.org 03. XY Quartet: Nicola Fazzini, sax alto; Luigi Vitale, vibrafono; Alessandro Fedrigo, chitarra basso acustica; Luca Colussi, batteria. Registrato nel marzo 2012.



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martedì 18 febbraio 2014

Saints (Albert Ayler)

 Rieccoci, per il momento. Be grateful for little mercies.

 Un Albert Ayler di esattamente cinquant’anni fa meno una settimana. Il volume del quartetto è contenuto, particolarmente quello della sezione ritmica e della tromba – Norman Howard, che non conosco.

 Il suono del sax di Ayler, più che contenuto, vi appare compresso, il fraseggio, stilizzato. Un pezzo (e un disco) lievemente discosto dalla vociferante vulgata ayleriana, più introvertito e umbratile, molto affascinante.

 Saints (Ayler), da «Witches And Devils», Freedom 2383 089. Norman Howard, tromba; Albert Ayler, sax tenore; Henry Grimes, contrabbasso; Sunny Murray, batteria. Registrato il 24 febbraio 1964.



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