giovedì 31 dicembre 2015

Thieves’ Carnival – Travelog (Clarence Shaw)

 Questo post improptu è una sorpresina riservata a chi, non si sa mai, si trovi collegato a Jazz nel pomeriggio proprio in questo momento psicologicamente entre le chien et le loup, quando non si sa bene se siamo ancora quelli del 2015 o se siamo già quelli del 2016 – in realtà, per quanto intuisco io del tempo, e Philip K. Dick sarebbe d’accordo e forse anche quell’antipatico Sant’Agostino (però insomma, non so bene), potremmo essere nel secondo secolo d.C. o chissà quando nel futuro e in realtà siamo dappertutto sempre, come in quel famoso fumetto di Richard McGuire. Divago.

 Insomma, eccoti due pezzi di un musicista che mi piace molto, Clarence Shaw,  che ha fatto poco, perché la vita del jazz, o forse la vita, era troppo dura per lui, ma noi gli vogliamo bene perché era un poeta e poeti sono alcuni lettori abituali di Jazz nel pomeriggio. Sono belle anche le composizioni dovute a due dei suoi oscuri sidemen: Travelog è una ballad malinconica ma provvista di nerbo, con un bellissimo titolo, e Thieves’ Carnival ha da parte sua un titolo molto letterario, di una commedia di Jean Anouilh, e un hook straordinariamente orecchiabile, nonché un’incalzante progressione armonica.

 Per gli auguri urbi et orbi, domani mattina primo gennaio 2016 di sicuro, con Dicky Wells. Adesso, entre le chien etc., un abbraccio affettuoso e due canzoni.

 Thieves’ Carnival (Taylor), da «Debut In Blues», Argo LPS-726. Clarence Shaw, tromba; Herb Wise, trombone; Jay Peters, sax tenore; James Taylor, piano; Sidney Robinson, contrabbasso; Gerald Donovan, batteria. Registrato l’8 luglio 1963.

 Travelog (Robinson), id.

Sweat – People Make The World Go ’Round (Ramon Morris)

 «Niente di cui scrivere a casa» ma dell’onesto, vivace jazz funk con l’anno di concezione, il 1973, stampato su ogni nota, suonato da un complesso con dentro alcuni nomi davvero belli. Il poco noto leader Ramon Morris vi appare saxofonista capace. Se questa sera festeggi l’arrivo dell’anno nuovo andando a ballare, ricordati, mentre il giro frontale inferiore ti viene triturato dalla house music, che questa mattina su Jnp hai sentito come si ballava nel 1973 (non come ballavo io, s’intende: nel 1973 avevo nove anni), e poi fa’ un brindisi e un ballo alla mia salute se ti va.

 Presento questa musica soprattutto perché oggi ripensavo al romanzo di Michael Chabon «Telegraph Avenue», che con musica come questa c’entra molto, c’entra eccome, ma non ti dirò perché. Ecco, diciamo che avevo semplicemente voglia di nominare questo libro: «Telegraph Avenue» di Michael Chabon. C’è anche in italiano, credo proprio.

 Sweat (Bass), da «Sweet Sister Funk», Groove Merchant GM 516. Cecil Bridgewater, tromba; Ramon Morris, sax tenore; Albert Dailey, piano elettrico; Lloyd Davis, chitarra; Mickey Bass, basso elettrico; Mickey Roker, batteria; Tony Warren, conga. Registrato nel 1973.

 People Make The World Go ’Round (Bell-Creed), id.

mercoledì 30 dicembre 2015

Status Seeking – Warm Canto (Mal Waldron)

 Status Seeking è una composizione di Mal Waldron che ha trovato l’esecuzione più famosa in un live di Eric Dolphy, con Waldron stesso e Booker Little, al Five Spot di NY del 16 luglio 1961, tre settimane dalla registrazione di questa editio princeps. Durante quella scrittura al Five Spot Dolphy suonò anche Fire Waltz, altra composizione di Waldron che pure è presente in questo disco a nome del pianista, uno dei primi che Jazz nel pomeriggio presentò, ormai qualche anno fa.

 Rispetto alla più nota versione dolphyana, che ha un’intensità scabra e quasi violenta ed è più veloce, questa d’autore, in cui suona ancora Dolphy, è più testurale e modulata nelle dinamiche, conforme ai colori autunnali di questo disco bellissimo, uno dei più belli di quegli anni. Il violoncello pizzicato di Ron Carter non manca mai di lasciarmi perplesso, e io non manco mai di fartelo sapere.

 (Colgo l’occasione, visto che la musica pubblicata anni fa qui sopra non c’è più, per riproporre di seguito Warm Canto, composizione di soave tristezza in cui – rarità – Dolphy suona il clarinetto in Si bemolle).

 Status Seeking (Waldron), da «The Quest» [Prestige] OJCCD-082-2. Eric Dolphy, sax alto; Booker Ervin, sax tenore; Mal Waldron, piano; Ron Carter, violoncello; Joe Benjamin, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 27 giugno 1961.

 Warm Canto (Waldron), ib. ma senza Ervin; Dolphy suona il clarinetto.

martedì 29 dicembre 2015

Evidence – Ask Me Now – My One And Only Love – Some Might Think We’re Dancing (Bennie Wallace)

 Di Bennie Wallace (Tennessee, 1946) ricordo che si parlava e si scriveva con interesse a tratti prossimo all’entusiasmo fra anni Settanta e Ottanta: un mainstreamer nel repertorio e nelle compagnie ma con l’aria di aver tenuto il passo di altre cose a lui coeve, lì nella New York inquieta e inquietante di quegli anni. Poi, o Wallace è un po’ uscito di scena oppure, cosa più probabile, l’ho semplicemente perso di vista io in uno dei miei congedi dal mondo intorno, e non l’ho più riacchiappato.

 Il disco del 1981 presenta un repertorio monkiano, nella cui orbita poetica Wallace mi sembra entrare con spontaneità, e Jimmie Knepper, che è sempre un piacere sentire e che è un altro che consuona naturalmente con la musica di Monk.

 Nel duetto con Chick Corea del 1982 il saxofonista dimostra agio e disinvoltura nell’interpretare uno standard non dei meno triti con libertà e, in una, con fedeltà all’evidente archetipo hawkinsiano.

 Nel disco del 1984 Wallace si accompagna a un altro trombonista, Ray Anderson; questa sua composizione esprime di nuovo, in una felice ispirazione eterofonica, degli umori monkiani e, in una sezione a contrasto che arriva inavvertita, anche un ricordo del calypso rollinsiano.

 Evidence (Monk), da «Bennie Wallace Plays Monk», Enja. Jimmie Knepper, trombone; Bennie Wallace, sax tenore; Eddie Gomez, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria.  Registrato nel marzo 1981.

 Ask Me Now (Monk), id.

 My One And Only Love (Mellin-Wood), da «Mystic Bridge», Enja. Wallace; Chick Corea, piano. Registrato nel maggio 1982.

 Some Might Think We’re Dancing (Wallace), da «Sweeping Through The City», Enja. Ray Anderson, trombone; Wallace; John Scofield, chitarra; Mike Richmond, contrabbasso; Tom Whaley, batteria. Registrato nel marzo o aprile 1984.

lunedì 28 dicembre 2015

I Talk To The Trees – Strange Music (Coleman Hawkins)

 Coleman Hawkins nel 1962. Disse di lui Roy Eldridge in quel periodo: «Lo senti una sera e ti pare che non abbia mai suonato così bene. Torni a sentirlo la sera dopo, e lui suona ancora meglio».

 Non conosco altre versioni di I Talk To The Trees (dal musical «Paint Your Wagon») ma è il tipo di show tune che sarebbe piaciuto a Rollins: e Hawkins, qui, a me ricorda proprio Rollins (or the other way around).

 Strange Music, dal musical «Song Of Norway» di Wright-Forrest del 1944, riprende, ma molto alla lontana, il famoso pezzo lirico di Grieg «Giorno di nozze a Troldhaugen». Almeno, così pare a me.

 I Talk To The Trees (Lerner-Loewe), da «Good Old Broadway», JVC JVCXR-0035-2. Coleman Hawkins, sax tenore; Tommy Flanagan, piano; Major Holley, contrabbasso; Eddie Locke, batteria. Registrato il 2 gennaio 1962.

 Strange Music (Wright-Forrest-Grieg), id.

domenica 27 dicembre 2015

This Is For Bennie (Sonny Criss)

 Sonny Criss (Memphis, 1927-1977)  è stato un altosaxofonista attivo soprattutto a Los Angeles, ovviamente parkeriano data la sua generazione, dalla sonorità scura e robusta, molto personale, dal fraseggio filante ma non «slick».

 Pare che una volta Ornette Coleman l’abbia chiamato «il saxofonista più veloce del mondo» o qualcosa del genere. Criss ebbe ben poca fortuna nella vita; qui, due anni prima di morire, era se non altro nella compagnia eccellente dello squisito Dolo Coker, un pianista californiano che ti ho già presentato, e del grande chitarrista Ray Crawford, pure già visto da queste parti, già componente del primo trio di Ahmad Jamal.

 Nemmeno nuovo a Jazz nel pomeriggio è il compositore di questo spiritato 6/8, Horace Tapscott.

 This Is For Bennie (Tapscott), da «Crisscraft», 32 Jazz 32049. Sonny Criss, sax alto; Ray Crawford, chitarra; Dolo Coker, piano; Larry Gales, contrabbasso; Jimmie Smith, batteria. Registrato il 24 febbraio 1975.

sabato 26 dicembre 2015

Stardust – Deep River (Arnett Cobb)

 L’offerta musicale di oggi è adeguata a quella che, per volgare convenzione, si ritiene debba essere la dieta delle feste: lipidica. C’è il sax tenore di Arnett Cobb, che tramite la sua sintassi semplice e, a quel punto, affaticata, dà forma a una sostanza musicale crassa e unta di blues.

 Ma le metafore musicali non rendono giustizia alla musica, se non forse quella, molto a proposito, che assimili il particolare lirismo di questa escuzione al soul food: cibo a un tempo di nutrimento per il corpo e di conforto per l’anima. Augh!

 Questa Stardust è posseduta a identico titolo di Cobb da Junior Mance, anche lui un grande suonatore di blues. Vi fa seguito il duetto di Cobb con George Duvivier, bravo come al solito ma sovra-amplificato, che avevo già pubblicato alcuni anni fa.

 Stardust (Carmichael-Parish) da «Keep On Pushin’», BeeHive BH 7017. Arnett Cobb, sax tenore; Junior Mance, piano; George Duvivier, contrabbasso; Panama Francis, batteria. Registrato il 27 giugno 1984.

 Deep River (trad.), ib. Cobb e Duvivier.

venerdì 25 dicembre 2015

Futile Frustration (Count Basie)

 E così, questo è il sesto Natale che trascorriamo insieme ascoltando il jazz; tanti auguri!

 Questo pezzo di Count Basie del 1947, scritto e arrangiato da Jimmy Mundy, mi incuriosisce perché alle mie orecchie suona come una specie di parodia dello Stan Kenton di quegli anni o di qualche anno prima.

 Futile Frustration (Mundy), da «RCA Years In Complete», RCA SVCJ-8601-03. Ed Lewis, Emmett Berry, Snooky Young, Harry Edison, tromba; Ted Donnelly, George Matthews, Eli Robinson, Bill Johnson, trombone; Preston Love, Rudy Rutherford, sax alto; Buddy Tate, Paul Gonsalves, sax tenore; Jack Washington, sax baritono; Count Basie, piano; Freddie Green, chitarra; Walter Page, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 13 marzo 1947.

giovedì 24 dicembre 2015

Going Up (Duke Ellington & Johnny Hodges)

 Uno dei miei dischi preferiti! L’assolo di Duke Ellington mi fa uscire gli occhi dalle orbite, e anche il modo in cui Jo Jones gli sta dietro.

 Going Up (Ellington), da «Side By Side», Verve 521 405-2. Harry «Sweets» Edison, tromba; Johnny Hodges, sax alto; Les Spann, flauto; Duke Ellington, piano; Al Hall, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 20 febbraio 1959.

mercoledì 23 dicembre 2015

Valerie – My Dog Friday (Joe Newman & Frank Wess)

 Le note di copertina di questo allegro disco, fra l’altro costellate di un numero  di refusi favoloso, la mettono giù molto dura sul presunto primato del disco nel presentare il flauto, qui suonato dal grande Frank Wess, in front line di un piccolo gruppo.

 Questo genere di precedenze è sempre difficile da acclarare e non mi ci metto nemmeno; sono semplicemente contento di proporti, insieme con Wess, Joe Newman, trombettista basiano a me caro e già sentito da queste parti, sempre con Wess ma in veste di saxofonista. Il repertorio del disco è composto quasi per intero da Ernie Wilkins, un altro basiano come del resto Freddie Green ed Eddie Jones e forse anche Osie Johnson, ma di lui non sono sicuro e non ho voglia di controllare.

 Valerie (Wilkins), da «The Midgets», RCA. Joe Newman, tromba; Frank Wess, flauto; Hank Jones, piano; Barry Galbraith, Freddie Green, chitarra; Eddie Jones, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato l’8 luglio 1956.

 My Dog Friday (Wilkins), id.

martedì 22 dicembre 2015

Dearly Beloved (John Coltrane)

 Il grande quartetto di John Coltrane un attimo prima della fine. Era la tarda estate del 1965, Tyner e Jones se ne sarebbero andati nel gennaio successivo. Ma la pagina, a questo punto, era già stata voltata.

 Questo disco uscì solo nel 1971.

 Dearly Beloved (Coltrane), da «Sun Ship», Impulse! John Coltrane, sax tenore; McCoy Tyner, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 26 agosto 1965.

lunedì 21 dicembre 2015

Games (Dorothy Ashby)

 Ma sì, va’. È lunedì dopo tutto, il primo giorno dell’inverno, e fra quattro giorni sarà Natale: se non ascolti l’arpa adesso, quando? E poi questa è Dorothy Ashby, perbacco.

 Games (Ashby), da «Afro-Harping», Cadet LPS-809. Dorothy Ashby, arpa, con orchestra arrangiata e diretta da Richard Evans. Registrato nel febbraio 1968.

domenica 20 dicembre 2015

On Green Dolphin Street – One Note Samba (Erroll Garner)

 Quando finalmente Erroll Garner attacca On Green Dolphin Street, al minuto 1:30, dopo una intro rapsodica che s’inizia in una tonalità lontana e arriva a contenere perfino una fuggevole parodia di preludio bachiano, uno non sa dire come sia arrivato lì, ma tutto quanto ascoltato fino a quel momento assume senso e forma in un lampo retrospettivo. E tuttavia il bello deve ancora cominciare: nell’ultimo chorus, il pianista improvvisa una linea melodica non accompagnata, spezzandola fra le due mani… a essere capziosi, qui verrebbe in mente la tecnica dell’«hoquetus» propria dell’Ars antiqua.

 One Note Samba, Garner la affronta con la delicatezza ritmica e dinamica dell’energumeno, dimostrando che a lui, anticonformista naturale com’era, il Brasile gli faceva un baffo.

 [Queste esecuzioni vengono, secondo i dati che ho, da un concerto alla Free Trade Hall di Manchester del 1963. Io confesso di averle scaricate tempo fa da qualche parte, ma non ho identificato il disco da cui provengono, ammesso che ce ne sia uno, nemmeno dopo aver consultato un autorevole sito di discografie. L’identità di bassista e batterista è una mia facile congettura].

 On Green Dolphin Street (Kaper-Washington). Erroll Garner, piano; Eddie Calhoun, contrabbasso; Kelly Martin, batteria. Registrato il 19 novembre 1963.

 One Note Samba (Jobim), id.

sabato 19 dicembre 2015

Suspended View – Visions Of Gaudí (Tom Harrell)

 Due belle composizioni di Tom Harrell, colorite e impressioniste nel senso che ho cercato di definire qualche settimana fa.  

 Visions Of Gaudí è abbastanza bella da farmi passare sopra all’atroce, atroce, stupido rumore generato dal «guitar synthesizer» nelle mani di John Abercrombie: un ordigno che nemmeno so precisamente che cosa sia ma, se così stanno le cose, è meglio che non sappia.

 Suspended View (Harrell), da «Visions», Contemporary CCD-14063-2. Tom Harrell, tromba; Bob Berg, sax soprano; Niels Lan Doky, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Billy Hart, batteria. Registrato il 27 gennaio 1988.

 Visions Of Gaudí (Harrell), ib. Harrell, flicorno; David Liebman, sax soprano; John Abercrombie, «guitar synthesizer»; James Williams, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Adam Nussbaum, batteria. Registrato il 23 marzo 1989.

venerdì 18 dicembre 2015

Evans City (Mostly Other People Do The Killing)

 Questi quattro newyorkesi del Mostly Other People Do The Killing, anche loro quasi giovani (di giovani veri non se ne trova più in giro…) di sicuro hanno il talento di imporsi all’attenzione e di farsi ascoltare, e non solo per qualche gimmick concettuale o per il vezzo di rifare le copertine di dischi famosi

 Evans City (Elliott), da «The Coimbra Concert», Clean Feed CF214CD. Mostly Other People Do The Killing: Peter Evans, tromba; Jon Irabagon, sax tenore; Moppa Elliott, contrabbasso; Kevin Shea, batteria. Registrato nel maggio 2010.

giovedì 17 dicembre 2015

River Run – The Lake Isle Of Innisfree (Stefano Battaglia)

 Altri due pezzi di Alec Wilder da questo disco di Stefano Battaglia che ti ho presentato solo poche settimane fa e che mi è piaciuto molto. Soprattutto mi piacciono le canzoni di Alec Wilder, che qui trovano delle versioni originali e appropriate, più di altre «jazzistiche».

 River Run non ha relazione con «Finnegans Wake», ma The Lake Isle Of Innisfree mette in musica proprio la famosa poesia di WB Yeats, ricreata in scorcio da Wilder e resa dal trio di Battaglia in modalità estatica, priva di impulso in avanti, praticamente ferma, che si ricongiunge così, con gesto poetico, alla visione a un tempo fuggitiva e archetipica dei versi di Yeats.

 Curiosità: questo è il post numero 2000 (duemila) di Jazz nel pomeriggio.

 River Run (Wilder), da «In the Morning. Music Of Alec Wilder», Ecm 2429 473 8673. Stefano Battaglia, piano; Salvatore Maiore, contrabbasso; Roberto Dani, batteria. Registrato il 28 aprile 2014.

 The Lake Isle Of Innisfree (Wilder), id.

mercoledì 16 dicembre 2015

Native Land (Curtis Amy)

 Senti qui: di Curtis Amy ti ho parlato anni fa, puoi cercare qui a destra, tanto la musica è scomparsa e ne dicevo comunque poco o niente.

 Da poco ho approfondito questo saxofonista e, meglio tardi che mai, mi pare che da dire ce ne fosse di più. In attesa che trovi la voglia di farlo (e se tardassi, ti prego, ricordamelo tu), ascoltati questo, dove ci sono anche Dupree Bolton e Jack Wilson, entrambi pure incontrati qui sopra e tristemente svaniti con il disastro del server del marzo scorso.

Ah – buon compleanno di Beethoven.

 Native Land (Amy), da «Mosaic Select: Curtis Amy», MS-007 72453 93419 2 7. Dupree Bolton, tromba; Curtis Amy, sax soprano; Ray Crawford, chitarra; Jack Wilson, piano; Victor Gaskin, contrabbasso; Doug Sides, batteria. Registrato il 3 febbraio 1963.

martedì 15 dicembre 2015

St. Thomas – The Prophet Speaks – Stolen Moments (Milt Jackson)

 Jazz nel pomeriggio, constato con molto piacere, non solo mantiene più o meno tutti gli ascoltatori che in qualche anno ha radunato, ma, piano piano, se ne conquista anche di nuovi.

 Due recentissimi, per esempio, visiteranno il Giappone la primavera ventura, quando vi saranno in fiore i ciliegi. Si tratta di due persone che viaggiano con gli occhi bene aperti e con aperte anche le orecchie, soprattutto per il jazz, che in Giappone è molto presente e amatissimo. A Tokyo non potranno andare alla Kosei Nenkin, famosa sala da concerto che ha chiuso i battenti qualche anno fa; per loro oggi scelgo da questo disco di Milt Jackson, registrato proprio là nel 1976: saranno quarant’anni proprio quando i nostri amici vi saranno.

 Disco piacevolissimo, completamente dominato da Jackson in umore ebullient e bluesy più che mai, e da Cedar Walton, anche al piano elettrico.

 St. Thomas (Rollins), da «At The Kosei Nenkin», Pablo. Teddy Edwards, sax tenore; Milt Jackson, vibrafono; Cedar Walton, piano elettrico; Ray Brown, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 22 marzo 1976.

 The Prophet Speaks (Jackson), id.

 Stolen Moments (Nelson), id. ma Walton suona il pianoforte.

lunedì 14 dicembre 2015

West End Blues (King Oliver)

 West End Blues, nella versione degli Hot Five di Louis Armstrong del 28 giugno 1928, è forse l’esecuzione jazz più famosa di tutti i tempi. Joe «King» Oliver aveva tuttavia già registrato almeno due versioni di questa sua composizione (la prima a metterla su disco fu Ethel Waters).

 Questa versione cantata con testo di Clarence Williams segue quella di Armstrong di due mesi. La cantante è nefanda e dico poco, ma tu cerca per quanto puoi di isolare la cornetta di Oliver, che era ovviamente cosciente della versione del suo ex sideman ma esprime una commozione particolare, sobria e a modo suo quasi solenne.

 West End Blues (Oliver-Williams), da «Working Man Blues», MJCD 1131. Hazel Smith con Joe «King» Oliver, cornetta; Clarence Williams, piano. Registrato il 29 agosto 1928.

domenica 13 dicembre 2015

What’s New – Sound-Koller (Jutta Hipp)

 Di Jutta Hipp ti ho già detto i punti salienti del poco che c’è da sapere. Qui la pianista tedesca è colta prima che emigrasse negli USA, dai quali non sarebbe più tornata, in compagnia di connazionali che avrebbero fatto parlare di sé.

 Questi due pezzi hanno un nettissimo, direi smaccato cachet tristaniano. In quel linguaggio non facile e all’epoca ancora relativamente nuovo in Europa, la Hipp si esprime con bella disinvoltura, così come Koller – che rifà Warne Marsh con germanico scrupolo – e Mangelsdorff. Erroll’s Bounce, che oggi non ti faccio sentire, la sente invece percorrere con ben minore convinzione il paesaggio pianistico di Erroll Garner.

 What’s New (Haggart), da «Lost Tapes: The German Recordings 1952-1955», Jazz Haus 101723. Albert Mangelsdorff, trombone; Hank Koller, sax tenore; Jutta Hipp, piano; Franz «Shorty» Roeder, contrabbasso; Karl Sanner, batteria. Registrato nel giugno 1953.

 Sound-Koller (Mangelsdorff), id.

sabato 12 dicembre 2015

Dark Times – Not While I’m Around (Sean Jones)

 Sean Jones, nato nell’Ohio nel 1978, è uno di parecchi trombettisti neri americani, giovani o quasi, di bel talento nell’ambito di un jazz moderno ben temperato.

 Jones, che è stato sideman fra altri di Nancy Wilson, Joe Lovano e Frank Foster e anche prima tromba nell’orchestra del Lincoln Center, tiene cattedra alla Duquesne University di Pittsburgh, dove risiede.

 La sua tromba, che com’era da aspettarsi è tecnicamente ineccepibile, mostra una sonorità delicata e versicolore che ricorda Thad Jones, e un apprezzabile pudore espressivo, di cui non scapita l’intensità. Con la canzone di Stephen Sondheim, da «Sweeney Todd», Jones fa anche una scelta di repertorio non banale.

 Dark Times (Jones), da «Im.pro.vise: Never Before Seen», Mack Avenue MAC 1080. Sean Jones, tromba; Orrin Evans, piano; Luques Curtis, contrabbasso; Obed Calvaire, batteria. Registrato nel 2014.

 Not While I’m Around (Sondheim), ib. senza Curtis e Calvaire.

venerdì 11 dicembre 2015

Light Blue – Nutty (Thelonious Monk)

 Monk nel 1969 a Parigi con Rouse e il quartetto arronzato con due sconosciuti. Ma per due pezzi, Monk chiamò su Philly Joe Jones, che era fra il pubblico.

 Secondo Robin D. G. Kelley, autore di una ponderosa biografia di Monk, in quell’occasione «Jones aveva un aspetto terribile: macilento, privo degli incisivi, fragile». Fragile non si sarebbe proprio detto, a sentirlo in Nutty.

 Light Blue (Monk), da «Paris 1969», Blue Note 0602537460502. Charlie Rouse, sax tenore; Thelonious Monk, piano; Nate Hygelund, contrabbasso; Paris Wright, batteria. Registrato il 15 dicembre 1969.

 Nutty (Monk), id. ma Philly Joe Jones al posto di Wright.

mercoledì 9 dicembre 2015

A Swing For Joey (David Allyn)

 Ogni tanto compare qui sopra David Allyn, un cantante un po’ misterioso. Anche questa canzone, di cui Allyn ha scritto la musica e che esegue nuda e cruda nelle sue 32 battute e basta, viene dall’unico disco suo che io conosca, in duo con Barry Harris – accompagnatore con il quale canterei bene anch’io (ma io, in realtà, canto piuttosto bene).

 Una nostra amica sostiene che David Allyn abbia voce cipollosa, ma a me piace.

 A Swing For Joey (Allyn-Webb), da «Don't Look Back», Xanadu 101. David Allyn con Barry Harris, piano. Registrato nel febbraio 1975.

martedì 8 dicembre 2015

Etcetera – Indian Song (Wayne Shorter)

 Wayne Shorter registrò nel 1965 questo disco che la Blue Note non pubblicò; sarebbe uscito solo nel 1980.

 Altre volte sono rimasto perplesso, come tutti, per questa strana politica che la Blue Note usò per esempio con Tina Brooks (sempre) e poi alcune volte con Bobby Hutcherson, Andrew Hill e altri: faceva registrare i musicisti, li pagava – e la Blue Note pagava loro anche il tempo delle prove – , poi chiudeva i nastri nell’armadio anche quando conservavano musica ottima o addirittura eccelsa.

 Stavolta non mi scandalizzo: direi che la pur degna musica contenuta in «Etcetera» non tenga tutto sommato il passo con i capolavori che Shorter e Hancock andavano registrando e pubblicando in quel torno di tempo a nome proprio, a nome l’uno dell’altro, e a nome di Miles Davis. Il disco è un po’ diffuso, che è il contrario di concentrato; c’è forse un pezzo di troppo, Penelope, ballad che somiglia ad altre più riuscite di Shorter, e manca un fuoco espressivo che renda il tutto distinto e memorabile. E mentre le composizioni sono piuttosto interessanti, non ce n’è una indimenticabile, anche se colpisce il 10/4 di Indian Song.

 Sono ottimi però l’esecuzione generale e gli assoli, in particolare quelli di Hancock che è spiritato e si carica il disco sulle spalle, e poi io resto sempre ammirato quando ascolto Joe Chambers. In Etcetera, che ha il profilo del blues senza averne le armonie né lo spirito (ma ha un bell’head polifonico), egli «batte» un backbeat feroce ma leggero senza quasi farsene accorgere.

 «Bene gli altri», benissimo, anzi: è Cecil McBee!

 Etcetera (Shorter), da «Etcetera», Blue Note CDP 533581. Wayne Shorter, sax tenore; Herbie Hancock, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Joe Chambers, batteria. Registrato il 14 giugno 1965.

 Indian Song (Shorter), id.

lunedì 7 dicembre 2015

I Remember You (Jim Hall)

 Non si passano senza scotto le negligenze, e per buona sorte: a questo, anche, servono gli amici. Paolo il Lancianese non mi ha fatto passare liscia, nella mia trascuranza dei chitarristi, quella davvero poco perdonabile di Jim Hall. Hall è qui in un trio californiano dal nome, molto tongue in cheek, di «Modest Jazz Trio» con la particolarità di avere uno dei massimi contrabbassisti del jazz, Red Mitchell, in veste di pianista.

 Il titolo di questo disco è in elegante contrattempo con l’imminente periodo festivo.

 I Remember You (Mercer-Schertzinger), da «Good Friday Blues», Pacific Jazz Records PJ-10. Jim Hall, chitarra; Red Mitchell, piano; Red Kelly, contrabbasso. Registrato il 2 aprile 1960.

domenica 6 dicembre 2015

So Do It! – Sandu – I Don’t Stand A Ghost Of A Chance With You (Wes Montgomery)

 Wes Montgomery rappresenta uno dei vuoti più cospicui e tutto sommato meno giustificabili in Jazz nel pomeriggio, che pure non si è mai prefisso nessuna agenda; blame it on my youth, no, scherzo, da’ pure la colpa al mio non grande amore per la chitarra, non davvero a una mia ostilità per questo chitarrista.

 Le tre esecuzioni, in cui Wes è accompagnato da un quartetto fortissimo che include l’inglese Victor Feldman e quel James Clay non nuovo a questi lidi, ne illustrano bene le qualità: un suono vibrante e gutsy, non troppo elettrico, un fraseggio swingante e intriso di blues su tutti i registri dello strumento con preferenza per quello medio basso (in Sandu Montgomery tocca e ritocca note non udite sovente sulla chitarra) e poi quelle potenti, caratteristiche frasi in ottava.

 So Do It! (Montgomery), da «Movin’ Along», [Riverside] OJC 00025218608923. James Clay, sax tenore; Wes Montgomery, chitarra; Victor Feldman, piano; Sam Jones, contrabbasso; Louis Hayes, batteria. Registrato il 12 ottobre 1960.

 Sandu (Clifford Brown) id. ma  Clay suona il flauto.

 I Don’t Stand A Ghost Of A Chance With You (Crosby-Washington-Young), id.  ma senza Clay.

sabato 5 dicembre 2015

Nature Boy (Miles Davis)

 Il disco che Miles Davis fece per l’etichetta di Mingus (e di Max Roach), la Debut, poco dopo la sua trionfale esibizione al festival di Newport di quell’anno.

 Nature Boy (Eden Ahbez), da «Blue Moods», [Debut] OJC 0025218604321. Miles Davis, tromba; Britt Woodman, trombone; Teddy Charles, vibrafono; Charles Mingus, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 9 luglio 1955.

venerdì 4 dicembre 2015

Death Letter Blues (Jimmy Yancey)

 Jimmy Yancey, secondo me il più grande dei pianisti boogie e uno dei più grandi bluesman sul pianoforte, qui canta anche, e conclude come sempre con il suo incongruo tag in mi bemolle (il pezzo, calante nel riversamento, è in do).

 Death Letter Blues (Yancey), da «Barrelhouse Boogie», Bluebird 8334-2-RB. Jimmy Yancey, piano. Registrato il 6 settembre 1940.

giovedì 3 dicembre 2015

[Guest Post #59] Alberto Arienti Orsenigo e Friedrich Gulda

  Il guest post del ben noto Alberto Arienti Orsenigo oggi è di un impegno particolare, anche tecnico per l’A.O., che si è dovuto cimentare in un editing audio. Approviamo la scelta: benché Gulda sia molto apprezzato qui a Jnp soprattutto come interprete beethoveniano e bachiano, vi è comparso già come jazzista di distinzione.


 Un monumento del pianismo classico del secolo scorso alle prese col jazz. A differenza di altri esponenti della musica colta che hanno visitato il jazz sporadicamente con curiosità e disinvolta superiorità, Friedrich Gulda l’ha affrontato per anni con grande passione ed impeto, buttandosi anche in rischiose imprese con tastiere tecnologicamente improbabili. La sua eccellenza tecnica associata ad una non comune conoscenza del jazz (per un artista della sua estrazione) gli ha consentito di produrre della buona musica, spesso anche ottima, che però non ha mai convinto del tutto gli appassionati che lo vedevano più come un curioso diversivo che come uno di famiglia.


 Questo disco doppio è forse l’unico veramente riuscito, certamente è il più originale e quello che mostra con più chiarezza la profonda conoscenza e il suo amore per il jazz. Il lungo viaggio che ci propone è quello, autobiografico, intrapreso da un musicista europeo di educazione classica, nel mondo del jazz. La grande intuizione è quella di analizzare il jazz nelle sue strutture, secondo lo schema eurocentrico, producendo degli esercizi propedeutici che evidenziano le caratteristiche ritmico-armoniche di questa musica. Un libro di studi che passo dopo passo integrano i vari aspetti del jazz e che porteranno all'esecuzione finale (molto libera) in duo con una batteria: l’acquisizione della libertà musicale conquistata lentamente, razionalmente, sistematicamente.


 I due dischi sarebbero da ascoltare in sequenza per gustare «levoluzione del viaggio», io ho dovuto fare delle scelte e tagliare moltissimo i pezzi scelti: Play Piano Play (Zehn Übungsstücke Für Klavier), come dice il sottotitolo è costituito da dieci esercizi per piano e dura quasi mezz’ora. Il mio breve estratto evidenzia un pianista a metà strada tra Hines e Waller ma dall’educazione elegantemente viennese (nell’opera intera i richiami pianistici son ben più ampli).


 Variationen Über «Light My Fire» dura poco meno di un quarto d’ora e mette in evidenza una piccola ossessione di Gulda, affascinato dalla canzone dei Doors che ha spesso suonato in trio nei concerti ed incisa su disco. Il momento selezionato è la riflessiva parte centrale e l’inizio nel finale in crescendo in cui il musicista si tuffa con un coraggioso «spirito rock».



 Play Piano Play (Zehn Übungsstücke Für Klavier) (Gulda) [estratto], da «The Long Road To Freedom», MPS. Friedrich Gulda, piano. Registrato nel 1971.


 Variationen Über «Light My Fire» (Gulda) [estratto], id.

mercoledì 2 dicembre 2015

Buried Somewhere – Change Of Heart (Martin Speake)

 Non sono ben riuscito a trovare capo e coda nella musica di questo disco; in qualche modo tuttavia, anche se parlarne a mia volta non so, dev’essere riuscita a parlarmi lo stesso, visto che mi è piaciuta.

 Londinese, nato nel 1958, Martin Speake è uno di quei jazzisti che, come Danny Zeitlin, Eddie Henderson, Art Themen e qualche altro, affianca alla pratica musicale quella medica (nutrizionista). Sul sax alto ha una voce personale pur con un‘eco molto distinta di Lee Konitz, e guida questo quartetto in esecuzioni diffuse ma non lasche, non convenzionalmente «atmosferiche», anche perché la sezione ritmica e in particolare la batteria vi trovano una presenza insolitamente corposa per una produzione ECM. Spazio amplissimo ha Bobo Stenson.

 Buried Somewhere (Speake), da «Change Of Heart», ECM 1831. Martin Speake, sax alto; Bobo Stenson, piano; Mick Hutton, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nell’aprile 2002.

 Change Of Heart (Speake), id.

martedì 1 dicembre 2015

Let Me Look Down Your Throat or Say Ah (Henry Threadgill)

 Il titolo di questo disco del 1987 descrive bene l’impressione che mi fa la musica di Henry Threadgill quando la giudichi ben riuscita: di scivolare inavvertitamente in un mondo diverso.

 Del disco, che è tutto molto bello e d’ispirazione versicolore, come sempre in Threadgill quando è in forma, ho scelto questo pezzo dal titolo otorinolaringoiatrico in omaggio alla stagione.

 Let Me Look Down Your Throat or Say Ah (Threadgill), da «Easily Slip Into Another World», RCA/Novus 3025-2-N11. Rasul Siddick, tromba; Frank Lacy, trombone; Henry Threadgill, sax alto e clarinetto; Diedre Murray, violoncello; Fred Hopkins, contrabbasso; Pheeroan akLaff, Reggie Nicholson, batteria. Registrato il 20 settembre 1987.