sabato 30 aprile 2016

[Extracurricolare] Wunderkammer di Carlo Tosetti

 Se mi segui da un po’ sai che mi piace la poesia e che quando posso trascrivo qualche verso (non mio) nei post del blog. A loro volta, alcuni poeti sono lettori di Jazz nel pomeriggio.

 Uno di questi, l’a me carissimo Carlo Tosetti, autore anche di un guest post in tempi non vicinissimi, è fuori con una nuova raccolta edita da un altro mio amico e lettore, l’ottimo a sua volta poeta Antonio Lillo di Pietre Vive.

La raccolta si chiama Wunderkammer e contiene poesie e alcune prose bellissime; e molto, molto insolite.

Black Hands Bejewelled (Henry Threadgill)

 Per una volta un post celebrativo: festaggiamo Henry Threadgill che da poco ha ricevuto il premio Pulitzer per la composizione musicale, assegnato a In For A Penny, In For A Pound, contenuto in un disco omonimo; non è forse una cosa delle sue più belle, ma fa niente. Questo intanto è un disco del 1987.

 Black Hands Bejewelled (Threadgill), da «Easy Slip Into Another World», RCA/Novus 3025-2-N11. Rasul Siddick, tromba: Frank Lacy, trombone; Henry Threadgill, sax alto; Diedre Murray, violoncello; Fred Hopkins, contrabbasso; Pheeroan akLaff, Reggie Nicholson, batteria. Registrato il 20 settembre 1987.

venerdì 29 aprile 2016

Evolution (Teddy Charles)

Il line up, l’organico e l’anno fanno pensare subito al West Coast Jazz; la complessità della composizione, multitematica, scritta per la massima parte, fa pensare alla third stream. C’è un po’ (molto poco) del primo e un po’ della seconda, ma c’è soprattutto una genuina vena sperimentale e avventurosa del compositore e leader Teddy Charles che evita le affettazioni e il linfatismo del West Coast e l’ambizione superciliosa della third stream.

 Evolution (Charles), da «Evolution», Prestige/OJC-1731. Shorty Rogers, tromba; Jimmy Giuffre, sax tenore; Teddy Charles, vibrafono; Curtis Counce, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato nel 1953.

giovedì 28 aprile 2016

Two Pieces Of One: Red (Tony Williams)

 Two Pieces Of One: Red (Williams), da «Life Time», Blue Note CDP 784180 2. Sam Rivers, sax tenore; Gary Peacock, Richard Davis, contrabbasso; Tony Williams, batteria. Registrato il 21 agosto 1964.

mercoledì 27 aprile 2016

On Green Dolphin Street (Herb Ellis & Ray Brown)

 Questa è così per accompagnarti nel giorno nuovo senza pensieri. Volevo fare un post più impegnativo, con musica più seria, ma non ce l’ho fatta, scusami, non ce l’ho proprio fatta. Vedo se ci riesco durante la giornata, ma non me la sento di prometterti niente. Ci vuole tanta pazienza.

 On Green Dolphin Street (Kaper-Washington), da «Soft Shoe», Concord Jazz CJ-3.  Herb Ellis, chitarra; Ray Brown, contrabbasso. Registrato nel 1974.

martedì 26 aprile 2016

Cantaloupe Island – Oliloquy Valley (Herbie Hancock)

 Nel 1964 Herbie Hancock fece in questo disco la prova generale del suo capolavoro, «Maiden Voyage», registrato l’anno successivo in identica formazione con l’aggiunta di George Coleman. Freddie Hubbard, insolitamente con la cornetta, vi suona come il Padreterno e anche Tony Wiliams non scherza mica.

 La vamp introduttiva  ha un groove da una tonnellata e infatti molti anni dopo è stata campionata da un rapper.

 Cantaloupe Island (Hancock), da «Empyrean Isles», Blue Note CDP 7 84175 2. Freddie Hubbard, cornetta; Herbie Hancock, piano; Ron Carter, contrabbasso; Tony Williams, batteria. Registrato il 17 giugno 1964.

 Oliloquy Valley (Hancock), id.

lunedì 25 aprile 2016

Milestones – Our Day Will Come (The Three Souls)

 Una così tipica seduta Argo/Cadet degli anni Sessanta, Chicago raw, fedeltà sonora un po’ così, Hammond aggraziato come una sega elettrica, atmosfera unta come soul food ma al tempo stesso stranamente, piacevolmente leggera: e tutti suonano bene. Il saxofonista London «Sonny» Cox raggiunse poi una sua gloria come allenatore di basket juniores; Our day Will Come era stata una hit l’anno prima.

 Questi Three Souls, nome che fa il verso ai Three Sounds, incisero tre dischi per la Argo in quegli anni. Altro non ne so.

 Buon 25 aprile!

I file non si eseguono in streaming; per sentirli, dovrai scaricarteli.

 Milestones (Davis), da «Dangerous Dan Express», Argo LP 4036. The Three Souls: Sonny Cox, sax altro; Ken Prince, organo; Robert Shy, batteria. Registrato nel 1964.

 Our Day Will Come (Hilliard-Garson), ib. più George Eskridge, chitarra.

domenica 24 aprile 2016

Crackle Hut – Speculate – Audio Blues (Max Roach)

 Essenzialmente, questo è grande bebop, insomma, hard bop nella declinazione curiosamente precisa e «raffreddata» che Max Roach ne aveva data, nella prima metà di quel decennio, nel suo quintetto con Clifford Brown. In secondo luogo, e per la storia, questa è una delle pochissime occasioni in cui il pianista Ramsey Lewis si senta fuori da Chicago e fuori dal setting abituale del suo trio.

 Ciò detto, considerato che qui abbiamo Roach, Kenny Dorham e Hank Mobley at the top of their game, direi che il brav’uomo del Lewis è veramente l’ultimo motivo d’interesse in questo disco.

 Crackle Hut (Marshall), da «MAX», Argo LP 623. Kenny Dorham, tromba; Hank Mobley, sax tenore; Ramsey Lewis, piano; George Morrow, contrabbasso; Max Roach, batteria. registrato il 14 gennaio 1958.

 Speculate (Dorham), id.

 Audio Blues (Roach), id.

sabato 23 aprile 2016

El Camino Real – Stolen Moments – Stratusphunk (J.J. Johnson)

 Oh che bellezza! J.J. Johnson ha anche scritto gli arrangiamenti in una vena semplice ed elegantissima, a cui l’uso del clarinetto basso in Stolen Moments (dove J.J., nel suo assolo, allude con discrezione all’assolo di Oliver Nelson nella «editio princeps» di questa grande composizione) e dell’obesa sezione di ottoni conferisce una pennellata evansiana – mi riferisco a Gil Evans, naturalmente.

 Disco molto felice di uno dei maggiori pensatori del jazz moderno, oltreché del suo direi indiscutibilmente massimo trombonista. Ciò non toglie, tuttavia, che contenga una composizione di Monk, Bemsha Swing, in un arrangiamento a mio gusto assai anti-monkiano, proprio sbagliato – ne è sbagliato perfino il titolo sulla copertina, che è diventato «Bimsha». Non te lo fò sentire!

 El Camino Real (J.J. Johnson), da «J.J.!», RCA  LSP-3350. Jimmy Maxwell, Thad Jones, Joe Wilder, Ernie Royal, tromba: Jimmy Cleveland, trombone; Tommy Mitchell, Tony Studd, trombone basso; Jim Buffington, corno; Bill Stanley, tuba; Jerry Dodgion, Oliver Nelson, sax alto; Budd Johnson, sax tenore; Harvey Estrin, sax baritono; Hank Jones, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Grady Tate, batteria. Registrato nel 1965.

 Stolen Moments (Nelson), ib. Royal, Jones; Cleveland, Studd ; Dodgion, sax alto e flauto; Nelson, sax tenore; Ray Beckenstein, clarinetto basso. Jones; Cranshaw, Tate.

 Stratusphunk (George Russell), id.

venerdì 22 aprile 2016

You Must Believe In Spring (Bill Evans)

Belles journées, souris du temps,
Vous rongez peu à peu ma vie.


           Guillaume Apollinaire, La Souris

 You Must Believe In Spring (Legrand), da «You Must Believe In Spring», Warner Bros. 7599-23504-2. Bill Evans, piano; Eddie Gomez, contrabbasso; Elliot Zigmund, batteria. Registrato nell’agosto 1977.

Inner Passions Out (Lee Morgan)

 L’ultima seduta di registrazione di Lee Morgan, della tarda estate 1971, uscì per la Blue Note come doppio LP l’anno dopo con il titolo «Lee Morgan» e fu ristampata in CD nel 1998 sotto quello, in una referenziale ed evocativo, «Last Session», con implicito ricorso alla retorica dell’opus ultimum: come sai, Morgan morì assassinato nel febbraio del 1972.

 L’organico, come vedi, è nutrito e illustre (fa eccezione Bobbi Humphrey, un’insignificante flautista all’epoca piccola star di una Blue Note già da anni dilapidata). L’atmosfera non è lontana da quella del live al Lighthouse dell’anno prima, con una formazione molto simile, ma allo stesso tempo è più out e più, come si dice, «testurale».

 Qui ho scelto di farti ascoltare una composizione del batterista Waits che risulta essere, come dice la Penguin, la cosa più radicale mai registrata da Morgan. Un altro pezzo del disco, che oggi non sentiamo, è scritto da Harold Mabern e s’intitola forse allusivamente In What Direction Are You Headed? È probabile che Lee Morgan se lo domandasse; viene facile credere anzi che ci stesse pensando proprio quando posò per l’enigmatico ritratto che illustra la copertina del disco.

 Inner Passions Out (Waits), da «Lee Morgan», Blue Note BST 84901. Lee Morgan, tromba; Grachan Moncur III, trombone; Bobbi Humphrey, flauto; Billy Harper, sax tenore; Harold Mabern, piano; Jymie Merritt, contrabbasso elettrificato; Freddie Waits, batteria e flauto diritto. Registrato il 17 settembre 1971.

giovedì 21 aprile 2016

Maple Leaf Rag – I’ve Found A New Baby – Shag (Sidney Bechet)

 Nel 1932, tornato da poco da una delle sue esplorazioni europee nel corso della quale era riuscito anche a finire in galera a Parigi per un anno (niente di che, aveva preso a revolverate un altro musicista americano; l’aveva mancato ma aveva ferito dei passanti), Sidney Bechet mise insieme, a New York, un sestetto con il trombettista Tommy Ladnier e con quello incise anche diversi dischi molto belli.

 Ma la Depressione infuriava: i due finirono con il dover sciogliere il complesso e aprire una stireria, dove Ladnier arrotondava anche lustrando le scarpe degli avventori. La vita del jazzman è sempre dura, ma in certi periodi è stata più dura che in altri, mi pare.

 Maple Leaf Rag (Joplin), da «Sidney Bechet & The New Orleans Feetwarmers Vol. 1», King Jazz sm 3571. Tommy Ladnier, tromba; Teddy Nixon, trombone; Sidney Bechet, sax soprano; Henry Duncan, piano; Wilson Meyers, contrabbasso; Morris Morand, batteria. Registrato il 15 settembre 1932.

 I’ve Found A New Baby (Palmer-Williams), id.

 Shag (Bechet), id.

mercoledì 20 aprile 2016

[Guest post #62] Alberto Forino & Thelonious Monk

 La rubrica del guest post in quasi sei anni ha radunato contributi che sono le cose migliori presenti su questo blog, opera di poeti, critici, appassionati cultori tutti di ottima penna. Mancava un musicista, ed ecco a colmare la lacuna Alberto Forino, abituale commentatore e soprattutto pianista e compositore non solo di jazz, nonché didatta; il guest post che ha scritto, secondo me solo un musicista lo poteva fare. 
 Se non sbaglio dovremmo sentire Forino a Milano nel mese di maggio.

 «If a guy needs a little spark, a boost, he can just be around Monk, and Monk will give it to him».
                             John Coltrane, «Down Beat», 1960.

 Quando ho dovuto arrovellarmi nella scelta di un brano da proporre per il guest post di questo illustre spazio ho seguito il consiglio del buon Trane.

 Credo sia superfluo per i lettori di questo blog ribadire i pregi e l’importanza di un musicista come Thelonious Monk, anche perché è stato già ampiamente ascoltato, discusso, trattato, analizzato e lodato. Allo stesso modo mi pare ancora più superficiale raccontare l’evidente, cristallina, profonda e incontaminata bellezza che scaturisce dalla sua musica.

 Il brano è stato registrato durante una tournée in Europa nel 1965. Il quartetto vede Monk al piano con Charlie Rouse al sax tenore, Larry Gales al basso e Ben Riley alla batteria.

 Dopo l’introduzione di Riley e l’esposizione del tema,  il sax comincia a destreggiarsi sull’accompagnamento irruento di Monk che, come spesso accade, non vuole che nessuno si dimentichi cosa si sta suonando. Improvvisamente il sax si trova da solo a muoversi liberamente sull'accompagnamento di contrabbasso e batteria, il piano è in silenzio.

 Ma è dopo il solo di Rouse, seppur sempre meritevole, che inizia qualcosa che ad ogni ascolto non finisce mai di stupirmi.

 Monk riprende il tema (3:20), lo espone di nuovo con qualche piccola variazione accordale ma rimanendovi piuttosto fedele. Inizia poi ad inserire una variazione dopo l’altra sempre nel suo stile spigoloso e swingante. Le idee si inanellano inesorabili ma riportano sempre a frammenti di tema, miracolosamente, senza forzature: ora anticipati, ora modificati ritmicamente, ora inghiottiti in cluster dissonanti.

 Dopo tre minuti di arpeggi, accordi, note ribattute, riff poliritmici e variazioni di un tema estremamente essenziale dal punto di vista melodico e armonico, a 6:00 l’assolo di pianoforte potrebbe tranquillamente essere finito.

 Ma ecco l’idea! La nota grave finale del tema, spostata.

 Il piano che risuona nel registro grave e attende, gioca, salta fuori all'improvviso come raccontava Mingus del modo di suonare di Monk.

 Poi aspetta ancora.

 Non molla quell’idea, no. Aspetta ancora.

 Si inventerà qualcosa d’altro, forse.

 No, ancora quella nota grave.

 Poi silenzio.

Solo una nota acutissima a raddoppiare il basso arricchisce il timbro ma non cambia il gioco: attesa-agguato.

 Ancora.

Ogni silenzio è un brivido, l’eccitazione cresce. Fino a quando?

 A 7:54 finisce con una nota ben marcata e il contrabbasso lasciato da solo a terminare il giro. Assolo di batteria, esposizione finale, fine.

 In quei due minuti Monk ci tiene con le orecchie tese ad ascoltare lui che non suona e ad aspettare. Un’attesa inebriante e piena di desiderio. Con una nota. Ripetuta. E un sacco di silenzio vibrante attorno.
   
 In una conferenza a Vienna negli anni ’30 Anton Webern parlava di coerenza e ripetizione per la comprensibilità di un discorso musicale: «... da questo semplice fenomeno, da questa idea di dire qualcosa due volte, più volte, il maggior numero di volte possibile, per farsi capire, si sono originate opere di grande valore artistico... ».

 Nella produzione monkiana ci sono molte cose che tornano, girate in un modo o nell’altro, montate e smontate, come se quasi fosse tutto una grande composizione. Basta osservare i temi o ascoltarlo autocitarsi con un tema in un solo di un pezzo diverso. Questa è la coerenza più radicale!

 Ora io non so se ho capito il discorso di Monk, che di coerenza e ripetizione ha fatto consapevolmente o no un caposaldo di tutta la sua carriera e della sua opera. Quello che so è che ogni volta che lo ascolto mi sento un po’ più felice.

 «Con le dita adesso… le metti lì sui tasti, sbatti e viene fuori la musica che va nelle orecchie alla gente».      Mago Forrest
 Jackie-ing (Monk), da «Thelonious Monk - April In Paris», Bandstand (J) TKCB-30143. Charlie Rouse, sax tenore; Thelonious Monk, piano; Larry Gales, contrabbasso; Ben Riley, batteria. Registrato il 23 maggio 1965.

martedì 19 aprile 2016

Quittin’ Time – Cumberland Court (Clifford Jordan)

 Hard bop da manuale in due formazioni guidate nel 1961 da Clifford Jordan. In una figura Sonny Red, saxofonista contralto che mi pare di non averti ancora mai fatto ascoltare e che qui ricorda Jackie McLean; la sua concitazione e la sua intonazione poco temperata fanno gradevole contrasto, in front line, con l’aplomb del leader.

 Su Jnp avrai invece già sentito il bravissimo pianista Ronnie Mathews.

 Quittin’ Time (Jordan), da «Mosaic», Milestone MCD 470922. Kenny Dorham, tromba; Clifford Jordan, sax tenore; Cedar Walton, piano; Wilbur Ware, contrabbasso; Albert «Tootie» Heath, batteria. Registrato il 15 giugno 1961.

 Cumberland Court (Jordan), ib. Jordan; Sonny Red, sax alto; Ronnie Mathews, piano; Art Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 14 febbraio 1961.

lunedì 18 aprile 2016

Un regalino

 Non mi ricordavo proprio che cinque anni fa, ancora nel corso del primo anno di Jazz nel pomeriggio, avevo senza molto impegno e brevemente mantenuto un altro blog in cui avevo digitalizzato e messo a disposizione alcuni miei dischi un po’ rari: The Jazz Ear, l’avevo chiamato.

 Mi ci sono imbattuto per caso e ho visto che il server Mediafire ha conservato tutto. Sono dischi belli, di quasi tutti i quali prima o poi ti ho presentato qualche cosa. Ma qui ci sono  interi, in formato MP3 a 320 kbps, con tanto di copertine. Puoi scaricarli, se ti fa piacere; a me lo fa.

Misterioso – Duke Ellington’s Sound Of Love (Paul Motian)

 Sì, tutto sommato questi tre sono plausibili monkiani – mi riferisco a una conversazione che va avanti da anni su questi schermi, in particolare fra me e il Lancianese, su quanti, fra i molti che suonano le composizioni di Thelonious Monk, lo facciano con buona cognizione di causa. Direi che in particolare Bill Frisell abbia lo stigma del monkiano, senti come la sua improvvisazione stia sempre accosta al tema. Su Joe Lovano non metterei la mano sul fuoco temendo di bruciarmela, anche se naturalmente suona molto bene.

 Paul Motian, questa è una cosa che molti non sanno, sul finire degli anni Cinquanta fu davvero monkiano, per una breve scrittura: e con lui c’era Scott LaFaro, insomma la ritmica del trio più celebrato di Bill Evans. Monk, a cui non piaceva quasi nessun batterista e, categoricamente, nessun bassista, fu entusiasta dei due giovanotti bianchi, e avrebbe voluto tenerseli e registrare con loro. Ma la Riverside, che aveva sotto contratto in quel momento e Monk e Bill Evans (appunto), aveva per LaFaro e Motian altri programmi, come si vide. Monk se ne ebbe molto a male.

 Duke Ellington’s etc è naturalmente la notissima composizione di Mingus che cita Lush Life (dovrebbe più precisamente intitolarsi Billy Strayhorn’s Sound Of Love).

Può darsi che per qualche misteriosa ragione i due file non si eseguano in streaming; ti invito in quel caso a farne il download, se vorrai sentirli.

 Misterioso (Monk),  da «Sound of Love», Winter & Winter 910 008-2. Joe Lovano, sax tenore; Bill Frisell, chitarra; Paul Motian, batteria. Registrato dal 3 al 10 giugno 1995.

 Duke Ellington’s Sound of Love (Mingus), id.

domenica 17 aprile 2016

A Foggy Day (Stanley Turrentine)

A Foggy Day (Gershwin), da «Easy Walker», Blue Note CDP 7243 8 29908 2 6. Stanley Turrentine, sax tenore; McCoy Tyner, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Mickey Roker, batteria. Registrato l’8 luglio 1966.

sabato 16 aprile 2016

Dusk – Blue Serge (Duke Ellington)

 Back to basics! Duke Ellington nel 1940-41 con la c.d. Webster-Blanton band, la miglior compagine che abbia mai suonato del jazz. Dusk te la faccio sentire qui nella take 1, che rispetto alla più nota ha delle evidenti punteggiature di pianoforte (leggi pure che cosa Gunther Schuller ha scritto dell’Ellington pianista). Fa’ attenzione al chorus dei tromboni. Io credo che nessuno abbia mai scritto bene come il Duke per una sezione di tromboni, e mi lascia sempre di stucco il suono così ben fuso che sapeva ottenere da tre voci così individuali come Nanton, Brown e Tizol.

 Blue Serge è una stupenda composizione di Mercer, il figlio di Duke, con un assolo sensazionale di Harry Carney, il cui baritono, in evidenza particolare nel voicing dei sax, colora tutta l’esecuzione.

 Nelle prossime settimane sentiremo ancora da questa orchestra favolosa dei primissimi anni Quaranta; ne sento proprio il bisogno.

 Dusk (Ellington), da «Never No Lament: The Blanton-Webster Band», Bluebird 82876 50857 2. Wallace Jones, Cootie Williams, tromba; Rex Stewart, cornetta; Joe Nanton, Lawrence Brown, trombone; Juan Tizol, trombone a pistoni; Barney Bigard, clarinetto e sax tenore; Johnny Hodges, sax alto e clarinetto; Otto Hardwick, sax alto; Ben Webster, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano; Fred Guy, chitarra; Jimmy Blanton, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Registrato il 28 maggio 1940.

 Blue Serge (Mercer Ellington), id. Registrato il 15 febbraio 1941.

venerdì 15 aprile 2016

Escanaba Beat – Spinning Wheel (Sonny Stitt)

 Nei commenti al post che precede sono stati evocati episodi crossover della carriera di Sonny Stitt e allora eccolo qui, Sonny, al contralto in un contesto soul jazz, in compagnia del complesso Mixed Bag del pianista Eddie Russ.

 Il quale Russ, in quel torno di tempo, doveva ben essere qualcuno, visto che la curiosa copertina di questo disco – dico curiosa, perché nella grafica potrebbe essere di vent’anni prima – ne strilla addirittura la partecipazione: «Featuring the exciting EDDIE RUSS on the Electric Piano», così come anche la presenza in programma di Spinning Wheel, canzone resa famosa dagli Earth, Wind & Fire dai Blood, Sweat & Tears e qui resa in maniera, mah, dinoccolata.

 Niente di che, anzi diciamocelo: Spinning Wheel non finisce più e ora della fine è un po’ una menata, soul soup, altro che exciting, ma insomma, prendilo come un piacevole anticipo d’estate, perché oggi a Milano era proprio estate, i cani giravano con un metro di lingua fuori e io ho allargato di un buco la cinta alla mia prosa.

 Escanaba Beat (Russ), da «Tornado», Jazz Masters JM 1003. Sonny Stitt, sax alto, e The Mixed Bag con Eddie Russ, piano elettrico. Registrato nel 1974.

 Spinning Wheel (David Clayton-Thomas), id.

giovedì 14 aprile 2016

Impressive Rome – Stella By Starlight (Lee Konitz)

 Stando alle note di copertina di Adriano Mazzoletti, Lee Konitz arrivò a Roma inatteso da tutti nell’ottobre del 1968 da New York dove viveva in semi-ritiro, suonò un po’ in giro – ma che meraviglia – poi si esibì al festival di Bologna con Jimmy Woode s Stu Martin e quindi, di ritorno a Roma, fu portato a registrare con la ritmica francese che vedi. Non so dirti su due piedi se questo fosse il suo primo incontro con Martial Solal, ma non credo; so che la seduta produsse abbastanza da fare un secondo disco, «European Episode». Ignoro chi nasconda lo pseudonimo «Dinamo» che compare come autore di due composizioni.

 Ciò che trattiene questo disco dall’essere una riuscita completa è la sconsiderata decisione di Lee di applicare (come farà poco dopo in un altro suo disco italiano, «Stereokonitz») l’octave divider al saxofono per buona parte del programma, non in questi due pezzi, tuttavia. È un peccato, perché era in gran forma e i suoi assoli sono tutti da ascoltare. La versione in duo di Stella è una delle più singolari che abbia mai sentito, con Solal scatenato.

 Chissà che bella, Roma, quell’autunno.

 Impressive Rome (Dinamo), da «Impressive Rome», CAM 498376-2. Lee Konitz, sax alto; Martial Solal, piano; Henri Texier, contrabbasso; Daniel Humair, batteria. Registrato il 12 ottobre 1968.

 Stella By Starlight (Young), ib. solo Konitz e Solal.

mercoledì 13 aprile 2016

Palo Alto (Lennie Tristano)

 Palo Alto (Konitz), da «Chicago April 1951», Uptown UPCD 27.79. Willie Dennis, trombone; Lee Konitz, sax alto; Warne Marsh, sax tenore; Lennie Tristano, piano; Burghes «Buddy» Jones, contrabbasso; Dominic «Mickey» Simonetta, batteria. Registrato dal 6 al 13 aprile 1951.

martedì 12 aprile 2016

Afro-Bossa – Silk Lace (Duke Ellington)

 Il disco raccoglie esecuzioni dell’orchestra di Duke Ellington in Europa («uncommon market» per il jazz, secondo le note di Stanley Dance) con fresca noncuranza per date e località, le quali ultime sono indicate genericamente come «Inghilterra, Germania, Belgio, Italia, Francia e Scandinavia (fra altre)». L’epoca sono gli anni Sessanta, la prima metà.

 Duke annuncia come Bula quella che è in realtà Afro-Bossa, che a sua volta della bossa non ha nulla, essendo piuttosto un bolero («a gutbucket bolero» la definì altrove il compositore).

 Bula [Afro-Bossa] (Ellington), da «In the Uncommon Market», Pablo. Cootie Williams, Cat Anderson, Roy Burrows, Ray Nance, tromba; Lawrence Brown, Buster Cooper, Chuck Connors, trombone; Jimmy Hamilton, clarinetto, sax tenore; Johnny Hidges, Russell Procope, sax alto; Paul Gonslves, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano; Ernie Shepard, contrabbasso; Sam Woodyard, batteria. Data imprecisata, ma 1963-66.

Silk Lace (Ellington), id.

lunedì 11 aprile 2016

You’ve Been A Good Old Wagon (Bessie Smith & Louis Armstrong)

 Bessie Smith e Louis Armstrong, serve che dica altro? Spero proprio di no. Auguri alla cara ascoltatrice Luciana, che compie oggi gli anni.

 You’ve Been A Good Old Wagon (Smith-Bacon), da «The Complete Louis Armstrong & The Singers 1924/30», King Jazz 139. Bessie Smith con Louis Armstrong, cornetta; Fred Longhsaw, piano. Registrato il 7 gennaio 1925.

domenica 10 aprile 2016

The Sun And The Moon Have Come Together – Farewell Goodbye – Skiffling (The Fourth Way)

 Registrato nell’ottobre del 1968 a Berkeley, città universitaria e altro che in quel periodo era, in ispirito, più Northern California ancora della vicinissima San Francisco. Anno e luogo spiegano molto, fra cui la presenza del violino, che credo si ascolti qui per la prima volta in simile ambito stilistico, e il fascino di questa fusion intensa, elegante, laid back e anche psichedelica, a suo modo, che sono sicuro ti piacerà molto, se già non la conoscessi.

 Il quartetto Fourth Way, pur assai meno noto di altri complessi della prima fusion (registrò tre soli dischi e agì prevalentemente nella Bay Area, donde il violinista White era originario), non sfigura accanto a nessun altro, anzi, e nella miscela mette un più di jazz e per quanto mi riguarda datemelo ogni giorno al posto dei Weather Report. I quattro, tutti bravissimi, sono già comparsi tutti su Jnp in diversi setting, anche se solo il neozelandese Nock a suo nome. In exergo dell’album troviamo le famose parole pronunciate da Eric Dolphy alcuni anni prima nel famoso ultimo concerto olandese, scandite come fossero versi:
When you hear music,
After It’s over,
It’s gone in the air.
You can never capture it again.
 The Sun And The Moon Have Come Together (Marshall), da «The Sun And The Moon Have Come Together», [Harvest] Take 5 35014. Michael White, violino; Mike Nock, piano e piano elettrico; Ron McClure, contrabbasso; Eddie Marshall, batteria. Registrato nell’ottobre 1968.

 Blues My Mind (Nock), id.

Skiffling (McClure), id.

sabato 9 aprile 2016

Law Years – Marmaduke (Geri Allen, Charlie Haden, Paul Motian)

 Questo trio funzionava davvero bene, senza che le due cariatidi della ritmica, che avevano dai venti ai trent’anni più della pianista, nata nel 1957, proiettassero alcuna ombra di chaperonage.

 In Marmaduke e in Segment, due temi di Charlie Parker, Geri Allen dà mostra di una spareness, di un senso dello spazio e del colore monkiani, e dell’aspra facondia del primo Cecil Taylor; lì, e in Law Years, Paul Motian segue la sua prassi di stare accosto alle divisioni del pianista più che al tempo di base (così aveva fatto con Evans, Bley, Jarrett) senza perdere niente in swing. Charlie Haden era, appunto, Charlie Haden.

 Law Years (Ornette Coleman) da «Segments», DIW 833. Geri Allen, piano; Charlie Haden, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nell’aprile 1989.

 Marmaduke (Parker), id.

 Segment (Parker), id.

venerdì 8 aprile 2016

Through For The Night (Coleman Hawkins)

 Ascolta fra le note: in questo temino di rara insulsaggine, Coleman Hawkins, pur in buonissima compagnia, lo sentirai addirittura insofferente, sbuffante, fuori dalla grazia di Dio; in luogo del fumo che ti aspetteresti, come ai tempi di Queer Notions dagli orecchi gli esce una scala a toni interi, a principio del suo assolo : «che cosa ci faccio io, IO!, con questi stupidi quattro accordi fra i piedi?»

 Secondo me, alla fine della seduta ha preso tutti a calci nel culo.

 Through For The Night (Trummy Young), da «Hawk Eyes!», [Prestige] OJC 0002521869423. Charlie Shavers, tromba; Coleman Hawkins, sax tenore; Tiny Grimes, chitarra; Ray Bryant, piano; George Duvivier, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato il 3 aprile 1959.

giovedì 7 aprile 2016

Lamenting (Bunky Green)

 Lamenting (Green), da «Apex», Pi Recordings. Bunky Green, sax alto; Jason Moran, piano; François Moutin, contrabbasso; Damion Reid, batteria. Registrato nell’aprile 2010.

mercoledì 6 aprile 2016

One Sister (Julia Hülsmann)

 Julia Hülsmann (1968), pianista e compositrice tedesca, ha conseguito una certa notorietà e considerazione critica soprattutto con le incisioni effettuate per la ECM di cui anche qui sopra s’è dato conto, e tanto è bastato – intendo, l’aver lavorato con la ECM – a renderla sospetta a molti ascoltatori e d’altra parte interessante a molti altri.

 Io, a vero dire, torno più volentieri al disco in cui l’ho conosciuta, disco di oltre dieci anni fa per la ACT e piuttosto diverso da quelli che sarebbero venuti; qui, con il concorso del cantante  Roger Cicero, la Hülsmann musicava alcune poesie di Emily Dickinson con sensibilità e freschezza di sguardo.

Epigram

One sister have I in our house,
And one a hedge away,
There ’s only one recorded
But both belong to me.
One came the way that I came
And wore my past year’s gown,
The other as a bird her nest,
Builded our hearts among.


She did not sing as we did,
It was a different tune,
Herself to her a music
As Bumble-bee of June.


To-day is far from childhood
But up and down the hills
I held her hand the tighter,
Which shortened all the miles.


And still her hum the years among
Deceives the Butterfly,
Still in her eye the Violets lie
Mouldered this many May.
I spilt the dew but took the morn,
I chose this single star
From out the wide night’s numbers,
Sue—forevermore!

 One Sister
(Hülsmann), da «Good Morning Midnight», ACT 9702-2. Roger Cicero con Julia Hülsmann, piano; Marc Muellbauer, contrabbasso; Heinrich Köbberling, batteria. Registrato  l’11 agosto 2005.

martedì 5 aprile 2016

Straight, No Chaser (Bill Evans)

 Straight, No Chaser (Monk), da «The Complete Bill Evans On Verve», Verve. Jeremy Steig, flauto; Bill Evans, piano; Eddie Gomez, contrabbasso; Marty Morell, batteria. Registrato il 30 gennaio 1969.

lunedì 4 aprile 2016

[Guest post #61] Alberto Arienti Orsenigo & Sarah Vaughan

 Let’s twist with Sarah Vaughan potrebbe essere il titolo sottinteso del singolo che vi presento. Un singolo comprato su una bancarella quando ero giovane, che portava in copertina il viso molto stilizzato di Sarah e in un angolo della copertina lo schizzo di una coppia inequivocabilmente impegnata a ballare il twist. La suggestione è evidente e non so se sia frutto della Ricordi che distribuiva il disco o se arrivasse da lontano.

 I ritmi delle due canzoni (due vecchi successi rhythm and blues),  proposti con la solita arguta esperienza da Quincy Jones, sono certamente  ballabili a twist, anche se sono più elastici e felpati e l’atmosfera è molto più rilassata e sembra divertire molto la Divina.

 
One Mint Julep era un successo del 1952 dei Clovers, rifatto già un anno prima da Ray Charles all’organo (sempre con Quincy Jones) per l’unico disco Impulse! da lui inciso. Il fatto che sia una drinking song consente a Sarah un approccio molto disinvolto e delle acrobazie vocali (tra il serio e il faceto) molto ardite.

 (Mama) He Treats Your Daughter Mean fu un successo del 1953 della star Ruth Brown e Sarah affronta la sfida alzando la temperatura del brano: ci si aspetta da un momento all’altro di vedere i ballerini sgambettare allegramente. Il ritmo incalzante stimola Sarah a volare sopra l’orchestra e a svisare come una tromba scatenata.


 Dietro la leggerezza dei brani e al puro divertimento fanno capolino una tecnica e una disinvoltura strabilianti.

 One Mint Julep (Toombs), da «You’re Mine, You», Roulette. Sarah Vaughan con orchestra arrangiata e diretta da Quincy Jones. Registrato nel 1962.

  (Mama) He Treats Your Daughter Mean (Lance-Singleton-Wallace), id.

domenica 3 aprile 2016

Drunk On God (Julius Hemphill)

 Diciamo che mi ha attratto il titolo di questo pezzo perché sono in pieno san Juan de la Cruz (Noche oscura), che è una bella gatta da pelare. Tu fa’ pure la tara alla declamazione di K. Curtis Lyle (boh), che sta fra il Genesi, Castaneda, A Drum is a Woman e di sicuro qualcos’altro che non so;  alla fin fine si cade nella nauseante spoken word con qualche anno d’anticipo. Quello che di sotto traspare, cioè il cimento con la big band di Julius Hemphill, è interessante.

 Di questo disco avrei potuto proporti un pezzo più breve e più esclusivamente musicale, ma ho deciso di non renderti le cose troppo facili: El corazón generoso / Nunca cura de parar / Donde se puede pasar / Sino el más dificultoso.

 Drunk On God (Hemphill-Lyle), da «Julius Hemphill Big Band», Electra/Musician. David Hines, Rasul Siddik, tromba; Frank Lacy, David Taylor, trombone; Vincent Chancey, corno;  Julius Hemphill, John Purcell, John Subblefield, Marty Ehrlich, sax e flauti; Bill Frisell, Jack Wilkins, chitarra; Jerome Harris, basso elettrico; Ronnie Burrage, batteria; Gordon Gottlied, percussioni. Registrato nel febbraio 1988.

sabato 2 aprile 2016

Stardust (Donald Byrd)

 Bella questa versione di Stardust, canzone nella quale un trombettista, e uno poi della generazione e dell’estrazione di Donald Byrd, finisce inevitabilmente attratto nell’orbita espressiva armstronghiana. Questo è evidente soprattutto dal fraseggio di Byrd nel verse della canzone.

 Questo disco del 1960, pubblicato dalla Betlehem sotto il titolo «Motor City Scene» con riferimento alla città di provenienza di Byrd, Pepper Adams, Kenny Burrell (presenti entrambi negli altri pezzi) e Tommy Flanagan, è stato di recente ristampato con un titolo diverso e generico, non so perché.

 Stardust (Carmichael), da «In A Soulful Mood», [Betlehem] Music Club MCCD577. Donald Byrd, tromba; Tommy Flanagan, piano; Paul Chambers, contrabbasso; «Hey» Lewis, batteria. Registrato nel 1960.

venerdì 1 aprile 2016

Tally-Ho (Dizzy Gillespie)

 Una regola pratica dell’improvvisatore jazzistico prescrive così: quando tu incorra in una nota falsa, non pensata, in una stecca insomma, ripetila subito più forte, così che gli ascoltatori la credano voluta. Seguo senz’altro la saggezza tradizionale anche nella mia improvvisazione in prosa; dopo essermi svelato ieri per quel che sono, lodando una compagine gillespiana che anzi la critica accreditata vitupera, la ri-lodo stasera e ne pubblico subito un altro pezzo.

 Tally -Ho è una composizione ancora più semplice di Say When sentita ieri, perché è il blues in dodici battute senza neanche un vero tema: ha un inciso poco rilevato che nel profilo rimanda a Night Train, lo hit r’n’b di Jimmy Forrest  che però è successivo di un anno.

 Dopo un esordio circospetto con Dizzy che allude al tema sopra un riff minaccioso dei tromboni che ricorda quello che si ascolterà anni dopo in un altro blues ferroviario, Blue Train di John Coltrane (qui secondo sax alto), sax e trombe si rimpallano quell’inciso discendente sulla scala blues, che galleggia frammentato in un sospetto d’imitazione sopra il cupo pedale dei tromboni.

 In questa eterofonia il carattere modale del temino, che è poi essenzialmente il carattere modale del blues, finisce per obliterare la forma a chorus di dodici battute se uno non si metta a contarle, dando perfino l’impressione di travalicare le stanghette (ma è un’illusione) . Dopo un assolo di Paul Gonsalves, il pezzo finisce in uno strano insieme vociferante eppure ordinato, che a me ha fatto venire in mente Mingus.

 Tally-Ho (Gillespie), da «The Dizzy Gillespie Story 1939-1950», Properbox 30. Dizzy Gillespie, Willie Cook, Don Slaughter, Elmon Wright, tromba; Matthew Gee, Sam Hurt, Harneefan Majeed (Charles Greenlee), trombone; Jimmy Heath, John Coltrane, sax alto; Jesse Powell, Paul Gonsalves, sax tenore; Al Gibson, sax baritono; John Acea, piano; Al McKibbon, contrabbasso; Specs Wright, batteria. Registrato il 21 novembre 1949.