mercoledì 31 luglio 2013

The Red Rooster (Howlin’ Wolf) - Howlin’ For My Darlin’ (Albert King)

 Prima il blues crudo e intemperato (cioè «non temperato» proprio nel senso dell’intonazione) di Howlin’ Wolf, poi, dal medesimo anno, un’esecuzione più cool di un pezzo di Howlin’ Wolf da parte di Albert King, grande bluesman chitarrista.

 The Red Rooster (Dixon), da «First Time I Met The Blues», Chess CD RED 11. Howlin’ Wolf (Chester Arthur Burnett) con Henry Gray, piano; Hubert Sumlin e Jimmy Rogers, chitarra; Willie Dixon, contrabbasso; Sam Lay, batteria. Registrato nel giugno 1961.



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 Howlin’ For My Darlin’ (C. Burnett), ib. Albert King con Wilbur Thompson, tromba; Hal White, sax tenore; Freddie Robinette, sax baritono; Sam Wallace, piano; Lee Otis, contrabbasso; Theodus Morgan, batteria. Registrato il 1 Maggio 1961.



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martedì 30 luglio 2013

Epistrophy (Thelonious Monk)

 Thelonious Monk e compagni erano in stato di esaltazione in quella primavera del 1963. Sostenuti dall’entusiasmo del pubblico giapponese, diedero fra le altre cose questa versione del tema-sigla di Monk, sconvolgente per concentrazione e intensità. Frankie Dunlop si conferma uno dei migliori batteristi ad aver mai suonato con Monk.

 Epistrophy (Monk-Clarke), da «Monk In Tokyo», Columbia/Legacy 63538. Charlie Rouse, sax tenore; Thelonious Monk, piano; Butch Warren, contrabbasso; Frankie Dunlop, batteria. Registrato il 21 maggio 1963.



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lunedì 29 luglio 2013

Cool And Caressing (Billy Taylor)

 Così non sono state le notti di Milano della settimana passata né tampoco le giornate: certo, per riassumermi l’impegno di aggiornare il blog tutti i giorni (e anche più volte al giorno) sono stato preziosamente intempestivo.

 Cool And Caressing (Sconosc.), da «Billy Taylor 1952-1953», Classics 1383. Billy Taylor, piano; Earl May, contrabbasso; Charlie Smith, batteria. Registrato il 2 novembre 1953.



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domenica 28 luglio 2013

First Snow In Kokomo (Aretha Franklin)

 Così, perché non si vive di solo jazz, anche se per vivere bene non bisogna mai allontanarsene troppo, e anche perché con 37° Celsius a Milano fa bene pensare alla prima nevicata a Kokomo, Indiana.

 La canzone viene dal disco più famoso di Aretha Franklin, dal titolo iconico, e me l’ha fatta ricordare il romanzo di Stanley Crouch Don’t the Moon Look Lonesome: A Novel In Blues And Swing (2000), il cui titolo era originariamente proprio First Snow In Kokomo.

 First Snow In Kokomo (Franklin), da «Young, Gifted And Black», Atlantic 7213. Registrato nel 1972.



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sabato 27 luglio 2013

Parker’s Mood (Barry Harris)

 Un pomeriggio di mezza estate può anche riuscire terribile, ma in compagnia di Barry Harris che, solitario, medita su Parker’s Mood, di sicuro lo è un po’ meno.

 Parker’s Mood (Parker), da «Barry Harris - Live At Maybeck Recital Hall Vol. 12», Concord CCD-4476. Barry Harris, piano. Registrato il 12 marzo 1990.



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Central Park West (John Coltrane) (Jack DeJohnette)

 La ballad di John Coltrane – una linea estatica in forma AA' che non richiede improvvisazione, come Naima – , prima nella versione dell’Autore (1960), poi in un'armonizzazione a quattro parti di Jack DeJohnette nel 1979.

 Central Park West (Coltrane), da «Coltrane’s Sound», Atlantic 7567-81358-2. John Coltrane, sax soprano; McCoy Tyner, piano; Steve Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 24 ottobre 1960.



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 Central Park West, da «Special Edition», ECM 1152. Jack DeJohnette, melodica; Arthur Blythe, sax alto; David Murray, sax tenore; Peter Warren, violoncello. Registrato nel marzo 1979.



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venerdì 26 luglio 2013

Senza fine (Wes Montgomery) - Take Me Back (Keith Jarrett)

 Oggi, per prima un’offerta tutta estiva che è anche l’esordio su Jnp di Wes Montgomery, esordio veramente tardivo; poi Keith Jarrett nella sua particolare e controversa vena country-soul (quella che Whitney Balliett chiamava soul soap), così, tanto per far rabbia a Matthew Shipp, che di sicuro mi legge, e a chiunque altro voglia unirsi.

 Senza fine (Paoli), da «Movin’ Wes», Verve 521433-2.  Wes Montgomery con orchestra arrangiata e diretta da Johnny Pate: Ernie Royal, Clark Terry, Snooky Young, tromba; Jimmy Cleveland, Urbie Green, Quentin Jackson, Chauncey Welsh, trombone; Don Butterfield o Harvey Phillips, tuba; Jerome Richardson, flauto; Bobby Scott, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Grady Tate, batteria. Registrato il 19 novembre 1964.



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 Take Me Back (Jarrett), da «Expectations», Columbia/Legacy C2K 65900. Keith Jarrett, piano, tamburino, sax soprano; Sam Brown, chitarra; Charlie Haden, contrabbasso; Paul Motian, batteria; Airto Moreira, percussioni. Registrato il 5 aprile 1972.



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giovedì 25 luglio 2013

Bop Abyss (Matthew Shipp) - Sundial Part II (Keith Jarrett)

 Il pianista Matthew Shipp ha detto la sua su Keith Jarrett in occasione del nuovo disco del famoso trio, e l’ha detta senza ambagi. Alcune critiche o perplessità si condividono facilmente (Jarrett, in gran parte per colpa sua, è diventato un bersaglio più facile della Croce Rossa), ma questa, che è poi il cuore dell’argomentazione di Shipp:

He never seemed to me to have sculpted a specific language system, but instead seemed like someone who had a lot of piano chops and knew a lot of devices from classical music and had some jazz chops and could get a line going when needed.

Non mi è mai parso che abbia saputo modellarsi un linguaggio suo personale; mi pare anzi uno che di pianoforte ne sa un sacco, che domina il vocabolario della musica classica e che, quanto al jazz, lo sa suonare un po’ e, all’occorrenza, sa esprimersi con un certo swing e fluidità

 a me pare una cosa detta per dare aria ai denti: anche chi detesta Jarrett, infatti, è in grado di riconoscerlo dopo quattro battute, se non è sordo. Comunque, a lot of piano chops… could get a line going: scusa se è poco. Io aspetto fidente il giorno in cui potrò dire le stesse cose di Matthew Shipp, musicista che aveva cominciato forte, come sentirai anche qui sotto, e che in seguito mi ha deluso.

 Taccio poi sul «complotto dei critici bianchi di mezza età» a cui Jarrett dovrebbe le sue fortune: credo proprio che nessun jazzista di fama paragonabile alla sua sia mai stato tanto maltrattato o ignorato dai critici, intendo da quelli che contano qualcosa, gli americani.

 (Pensa te: se qualche anno fa mi avessero detto che mi sarei fatto avvocato di Keith Jarrett, non ci avrei creduto. Del resto, ce n’è bene di cose che non avrei mai creduto di fare, solo qualche anno fa).

 PS Settant’anni fa come oggi Benito Mussolini cadeva, facendosi un gran male.

 Bop Abyss (Shipp), da «Symbol System», No More Records 1. Matthew Shipp, piano. Registrato il 22 novembre 1995.



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 Sundial Part II (Jarrett), da «Staircase», ECM 1090/91. Keith Jarrett, piano. Registrato nel maggio 1976.



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mercoledì 24 luglio 2013

Jana’s Delight - New Beginnings (Don Pullen)

 Il trio ha un richiamo da all-stars, per quanto eterogenea; di fatto, Peacock e Williams si tengono rispettosamente e affettuosamente piuttosto indietro, lasciando in tutto favore di proscenio il pianoforte di Don Pullen.

 Jana’s Delight (Pullen), da «New Beginnings», Blue Note CDP 7 91785 2. Don Pullen, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Tony Williams, batteria. Registrato il 16 dicembre 1988.



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  New Beginnings (Pullen), id.



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martedì 23 luglio 2013

Shiny Stockings - Here Is That Rainy Day (Elvin Jones & Richard Davis)

 Mi riaffaccio qui dopo un bel pezzo («ah, eri andato via?») con musica che non richiede che io dica altro. Se non che, perfino nel 2050 dove sono appena stato – a verificare che il progresso è la più trita delle illusioni – , il jazz non è per forza tanto più bello quanto più assomiglia al rock o a chissà che cos’altro lo spirito del tempo comandi, ma anzi quando basta a sé, et encore.

 Shiny Stockings (Foster), da «Heavy Sounds», Impulse! 9036. Frank Foster, sax tenore; Richard Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 19 giugno 1967.


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 Here Is That Rainy Day (Burke-Van Heusen), id. più Billy Green, piano.



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lunedì 22 luglio 2013

[Guest post #37] Gennaro Fucile & The Soft Machine


«Dovrei stare in pensiero per Gennaro Fucile? Di recente vedo quel caro uomo via via smateriarsi per (così apprendo da questo guest post) riconfigurarsi nel futuro». Così parlò il nostro ospite lo scorso 9 maggio, nel presentare un contestatissimo guest post e le cose sono anche andate avanti. 

 Nel tentativo di recuperare il «caro uomo», l’audace Bertoli si è lanciato in un viaggio nel tempo animato dallo stesso spirito della pattuglia inviata a salvare il soldato Ryan. Ora trovarsi di fronte un panzer animato da cattive intenzioni può procurare guai seri, ma anche maneggiare la macchina del tempo senza conoscerne perbene i vari marchingegni che la governano ci può rendere la vita difficile. Così è stato per il nostro viaggiatore alle prime armi (o forse scafatissimo, ma i modelli di time machine – è noto – hanno un elevato tasso di obsolescenza). Morale: nell’avventurarsi nei paraggi del 2050, si è smarrito. Dov’è Bertoli? Chissà chi lo sa, come recitava il titolo della trasmissione condotta da Febo Conti ed emularlo, ovvero mettersi sulle sue tracce, cercarlo è stato inevitabile, come un imperativo morale, o quasi. Che si fa in questi casi? Si parte da dove si può ipotizzare si sia diretto, ovvero il 2050, ma lì la sua confusione deve essere stata tale da rendere comunque inevitabile pasticciare con le coordinate temporali.   

 Ricordiamoci che nel post citato si augurava di non arrivare a vivere fino al punto di ritrovarsi in tempi segnati da musica di “bruttezza sesquipedale” (così nel commento del pubblico di JNP e come non condividere un simile stato d’animo). Non restava che cercare in tempi migliori, quelli dove i jazzisti non irritavano, si facevano capire subito da grandi masse, non scoraggiavano l’ascoltatore, anche il più paziente, insomma, gente come Thelonious Monk, per capirci. Macché, nessun indizio del suo passaggio da quelle parti. Poi l’occhio è caduto su un quadrante secondario, un anno ponte tra due decenni: il 1970. Insomma, un nascondiglio ideale (i viaggiatori nel tempo lo sanno bene: negli anni cerniera si sprecano gli anfratti ideali per trovar riparo). I VU meeter (qui i nuovi modelli con display digitale ancora non si vedono) si agitavano a ritmo crescente, un segno eloquente: catturavano segnali di presenza. In questi casi occorre far ruotare la manopola del volume per capirci qualcosa … ed eccolo il nostro ospite, prima rapito dalla macchina del tempo, ora dai suoni della morbida macchina… ma come farà sentire certe cose? Sentite qui che diavolo stava ascoltando (di tornarsene, per ora, non ne ha voluto sapere).

 Facelift (Hopper), da «Third», Sony/Columbia CGK 30339. Elton Dean, sax alto, saxello; Lyn Dobson, flauto; Mike Ratledge, organo, piano elettrico; Hugh Hopper, basso elettrico; Robert Wyatt, batteria. Registrato il 4 gennaio 1970.