venerdì 29 aprile 2011

The Night Has a Thousand Eyes (McCoy Tyner)

  Ecco, a contesto storico del post che precede, McCoy Tyner nel 1972, quando guidava un quintetto con Sonny Fortune e Calvin Hill. Qui Tyner, come aveva imparato a fare con Coltrane, assoggetta alle proprie leggi armoniche The Night Has a Thousand Eyes.

  The Night Has a Thousand Eyes (Brainin-Bernier), da «Song for My Lady», Milestone/OJCCD 313-2. Sonny Fortune, sax alto; McCoy Tyner, piano; Calvin Hill, contrabbasso; Alphonse Mouzon, batteria. Registrato il 27 novembre 1972.



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M.C. Blues - The Camel (Michael Carvin)

  Il blues da un distinto quintetto di metà Settanta a nome del batterista Michael Carvin, seguito da una composizione, semplice ma efficace, di Carvin stesso, che se l’è tagliata su misura Non si tratta di una working band ma di un complesso riunito per la seduta; l’intesa è tuttavia ottima. Cecil Bridgewater e Calvin Hill erano in quegli anni impegnati con Max Roach; Sonny Fortune, dopo essere stato per alcuni anni con McCoy Tyner, era in quel momento con Miles Davis, prima e unica volta che Miles ebbe un sax contralto in formazione dopo Cannonball; Ron Burton è l’eccellente pianista che si ascolta in diversi dischi di Rahsaan Roland Kirk e Michael Carvin era (ed è, suppongo) un batterista coi fiocchi, anche lui sodale di McCoy Tyner, come il secondo pezzo rende chiaro.

  M.C. Blues (Carvin), da «The Camel», SteepleChase SCCD3103. Cecil Bridgewater, tromba; Sonny Fortune, sax alto; Ron Burton, piano; Calvin Hill, contrabbasso; Michael Carvin, batteria. Registrato l’8 luglio 1975.



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  The Camel (Carvin), ibid.



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giovedì 28 aprile 2011

Al-Adhilli’s Litany of the Seas: Sunrise (Wadada Leo Smith)

  Quando la musica si propone come creazione istantanea, immagino sia importante annotare anche l’istante esatto in cui si è manifestata; da qui l’insolita indicazione dell’orario di questa esibizione newyorkese abbastanza recente, che ha radunato personaggi importanti del jazz sperimentale di oggi e di ieri sotto il nome di Wadada Leo Smith, compositore e trombettista maestoso e carismatico. Sia Vijay Iyer sia John Lindberg si sono già sentiti da queste parti in contesti molto differenti.

  Al-Adhilli’s Litany of the Seas: Sunrise, da «Spiritual Dimensions, Vol. 1», Cuneiform Records Rune 290/291. Wadada Leo Smith, tromba; Vijay Iyer, piano; John Lindberg, contrabbasso; Pheeroan Aklaff, Don Moye, batteria. Registrato a New York al XIII Vision Festival il 13 giugno 2008, ore 21:30.



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mercoledì 27 aprile 2011

Killing Me Softly (With His Song) (Barney Kessel - Red Mitchell) (Roberta Flack)

  La versione di Killing Me Softly che ti propongo, di Barney Kessel e Red Mitchell, non è niente di che ed è solo una scusa per condividere con te la versione più famosa di questa canzone, che la rese un hit mondiale nel 1973 con l’arrangiamento di Eumir Deodato (la versione originale, bella ma non quanto questa, la cantò Lori Lieberman nel 1971), anche se non portò speciale fortuna alla sua interprete, la splendida Roberta Flack. È stata sempre una delle mie canzoni preferite.

  Killing Me Softly (With His Song) (Fox-Gimbel), da «Two Way Conversation», Emarcy 981488t85. Barney Kessel, chitarra; Red Mitchell, contrabbasso. Registrato il 2 ottobre 1973.



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  Killing Me Softly, da «Killing Me Softly», Warner Bros. 25228. Roberta Flack. Registrato nel 1973.



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Feather Comfort (Yusef Lateef)

  Yusef Lateef è capace come pochi di fare accadere un sacco di cose simultaneamente o in stretta successione o secondo entrambe le modalità nel giro di pochi minuti. Te ne ho proposto un esempio quasi dimostrativo in Happyology qualche settimana fa; qui un procedimento più complesso e astratto è applicato a un materiale più semplice, il blues, su tutti i parametri musicali: ritmo, melodia, armonia e timbro.

  Su un ostinato nel tempo di sette ottavi, Lateef si alterna al pianista Hugh Lawson in tre frammenti di chorus (al sax tenore, al flauto e al sax alto) sui cui si muove atonalmente, Lawson invece sugli accordi del blues. Raggiunti infine dal basso, con la batteria sempre imperturbabile nel suo tempo composto, Lateef (ora all’oboe) e Lawson eseguono un chorus di blues, un breve ponte modulante e concludono sul blues in minore.

  Feather Comfort (Lateef), da «A Flat, G Flat and C», Impulse! A-9117. Yusef Lateef, sax tenore e contralto, flauto, oboe; Hugh Lawson, piano; Reggie Workman, contrabbasso; Roy Brooks, batteria. Registrato nel marzo 1966.



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martedì 26 aprile 2011

The Sweet Alice Blues (George Benson)

  Se non ho capito male, in questi giorni circolerà in Italia George Benson. Benson ebbe un buon successo pop fra anni Settanta e Ottanta con un soul annacquato, ma prima d’allora era stato un rispettato chitarrista jazz, salutato da molti cultori dello strumento come il suo più importante esponente apparso dopo Wes Montgomery. Qui lo senti in compagnia molto soulful, in una seduta originariamente a nome di Jack McDuff.

  The Sweet Alice Blues (Benson), da «George Benson & Jack McDuff», Prestige Records 24072. Red Holloway, sax tenore; Jack McDuff, organo; George Benson, chitarra; Joe Montego, batteria. Registrato il primo maggio 1964.



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lunedì 25 aprile 2011

Old San Juan (Alan Skidmore)

  Ecco un magnifico quintetto inglese del saxofonista tenore Alan Skidmore. Le armonizzazioni del pianoforte lo collocano nella temperie coltraniana dell’epoca, ma il pezzo, come il resto del disco, porta una riconoscibile marca inglese nella singolare complicazione metrica del tema, un 7/4 marcatamente sincopato, con un bridge in quattro, complicazione che richiama il jazz rock e il rock progressive di quegli anni.

  Questo cervellotico livello ritmico è dominante su un’armonia semplificata. Il tono generale è conferito dal flicorno di Kenny Wheeler più ancora che dal sax del titolare, e infatti questo pezzo ricorda fortemente quelli contenuti nel disco «Around 6», a nome di Wheeler, di dieci anni dopo.

  Old San Juan (Skidmore), da «Once Upon A Time», Deram Nova SDN 11. Kenny Wheeler, flicorno; Alan Skidmore, sax tenore; John Taylor, piano; Harry Miller, contrabbasso; Tony Oxley, batteria. Registrato nel 1969.



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It’So Peaceful in the Country (Bobby Hackett)

  Buona Liberazione! Annoto nella mia agendina di parlarti meglio, un giorno o l’altro, delle canzoni di Alec Wilder, e anche di Bobby Hackett .

  It’So Peaceful in the Country (Wilder), da «Live at the Roosevelt Grill feat. Vic Dickenson», Chiaroscuro CR(D) 105. Bobby Hackett, cornetta; Dave McKenna, piano; Jack Lesberg, contrabbasso; Cliff Leeman, batteria. Registrato in aprile o maggio 1970.



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domenica 24 aprile 2011

Theme from ‘Exodus’ (The Jazz Crusaders)

  «Freedom Sound» fu il primo di una serie lunghissima di dischi dei Jazz Crusaders, che si ricavarono una nicchia di buon e durevole successo fra l’incudine dell’hard bop e il martello del soul jazz. A conferire loro un suono particolare era la front line di trombone e sax tenore, quest’ultimo fervido, addirittura convulso nelle mani di Wilton Felder. Il tema dal film Exodus era stato inciso l’anno prima, con immenso successo, anche dal saxofonista Eddie Harris.

  Non ti sfugga la valenza pasquale di questa scelta.

  Theme from ‘Exodus’ (Ernest Gold), da «Freedom Sound», Pacific Jazz 96864. The Jazz Crusaders: Wayne Henderson, trombone; Wilton Felder, sax tenore; Joe Sample, piano; Roy Gaines, chitarra; Jimmy Bonds, contrabbasso; «Sticks» Cooper, batteria. Registrato il 24 maggio 1961.



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Like Someone in Love (Cecil Taylor-John Coltrane)

  Poi dimmi che Horace Silver non ha avuto un’influsso decisivo su Cecil Taylor (la cosa non dovette riuscire di consolazione a Kenny Dorham, che con Silver aveva suonato pochissimi anni prima e a cui gli accompagnamenti di Taylor, in quest’occasione, provocarono un travaso di bile).

  Like Someone in Love (Burke-Van Heusen), da «Coltrane Time», Blue Note 9255. Kenny Dorham, tromba; John Coltrane, sax tenore; Cecil Taylor, piano; Chuck Israels, contrabbasso; Louis Hayes, batteria. Registrato il 13 ottobre 1958.



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sabato 23 aprile 2011

My Ideal (Barry Harris)

  A proposito di My Ideal, soave ballad di Richard Whiting, Barry Harris ha un aneddoto toccante che riguarda Monk, con il quale convisse sotto il tetto della baronessa Nica de Koenigswarter, dove Monk trascorse gli ultimi anni in completa reclusione e senza mai toccare il piano. Un giorno del 1980 o del 1981 Monk emerse dalla sua camera e si sedette al piano con Harris.
  Mi disse, «Suoniamo “My Ideal”». E cominciò a suonare “My Ideal”. Lui suonò un chorus, uno ne suonai io (…). Vorrei che ci fosse stato qualcuno con un registratore, perché mi fece suonare forse cento chorus di “My Ideal” e dopo ognuno dei miei ne suonava uno lui, senza interruzione (…). Sarà durato… di sicuro più di un’ora, ma non mi fece suonare altro. Concluso l’ultimo chorus, si alzò e tornò senza una parola nella sua camera.

  My Ideal (Whiting-Newell Chase), da «The Bird of Red and Gold», Xanadu XCD 1220. Barry Harris, piano. Registrato il 18 settembre 1989.



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Greensleeves (Coleman Hawkins) (John Coltrane)

  Conoscerai quasi certamente questa versione coltraniana di Greensleeves, che raddoppia con un’obesa sezione di ottoni, soprattutto corni, arrangiata da Eric Dolphy, le armonie e i voicing usati dal quartetto di Trane; quella di Coleman Hawkins forse non la conosci.

  Presentartele una dietro non è altro che una giustapposizione gustosa. Osservo solo en passant che il modo dorico (minore naturale senza sensibile), che appare del tutto naturale nel contesto dello stile di Coltrane, opera uno straniamento sottile nell’esecuzione di Hawkins e dei suoi, che si mantengono molto accosti alla melodia, e giustamente. Nelle note al disco, Ira Gitler scrive come Hawk, nella ripresa, gli ricordi un chazzan, un cantore di sinagoga: immagino che alluda al colore dorico della melodia e anche alle note ribattute (2:24) o alternate (2:47) che sono caratteristiche della cantillazione.

  Greensleeves (Trad.), da «Soul», Prestige 00025218609623. Coleman Hawkins, sax tenore; Kenny Burrell, chitarra; Ray Bryant, piano; Wendell Marshall, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato il 7 novembre 1958.



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  Greensleeves, da «Africa/Brass», Impulse! 0602517486225. John Coltrane, sax soprano; McCoy Tyner, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Elvin Jones, batteria, con orchestra: Booker Little, Freddie Hubbard, tromba; Julian Priester, Charles Greenlea, euphonium; Julius Watkins, Donald Corrado, Bob Northern, Jimmy Buffington, Robert Swisshelm, corno; Bill Barber, tuba, Eric Dolphy, Garvin Bushell, clarinetto basso; Pat Patrick, sax baritono. Registrato il 23 maggio 1961.



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venerdì 22 aprile 2011

Cornbread - Most Like Lee (Lee Morgan)

  Alle volte uno si chiede perché dovrebbe sforzarsi di trovare parole quando qualcuno le ha trovate per lui. Ecco presempio che cosa ha da dire su «Cornbread» di Lee Morgan la Penguin Guide to Jazz On CD di Richard Cook e Brian Morton, VII edizione, 2004 (p. 1167, trad. mia).
  Cornbread è un Morgan d’ordinaria amministrazione, niente di più. (…) tutte le composizioni sono del trombettista e, a eccezione di Ceora, quasi tutte dimenticabili. Morgan ha sempre l’attacco, la potenza e la spavalderia, ma suona ormai senza più alcuna urgenza (…).
  Ecco, se tu volessi sapere come la penso io su «Cornbread», ti basterebbe fare il controtipo di queste righe (di Cook, suppongo) ed estrarne il negativo, perché io la penso esattamente al contrario, su ogni singolo punto: questo è uno dei miei Lee Morgan preferiti e le sue composizioni vi sono memorabili, tutte. Tanto per dire, le meno belle sono le due che ti propongo qui. E poi suonano tutti al loro massimo, soprattutto Hank Mobley e Billy Higgins.

  Cornbread (Morgan), da «Cornbread» Blue Note CDP 7 84222-2. Lee Morgan, tromba; Jackie McLean, sax alto; Hank Mobley, sax tenore; Herbie Hancock, piano; Larry Ridley, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 18 settembre 1965.



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  Most Like Lee (Morgan), ibid.



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giovedì 21 aprile 2011

Purple Shades (Thelonious Monk-Art Blakey)

  Non era un caso rarissimo, quando al piano sedeva Monk, che il suo accompagnamento fosse più interessante di ciò che era destinato ad accompagnare.

  Avviene così in questo Purple Shades, che pure appartiene a un disco splendido: ascolta con attenzione Monk soprattutto sotto il tema (alquanto anodino) e nota come scelga di assentarsi quasi subito sotto l’assolo di Bill Hardman. Qui, forse, «c’era per aria un dispiacere», come avrebbe detto Gadda: a Monk dispiacque come Hardman suonò le sue composizioni in quell’occasione e quando il trombettista si azzardò a chiedergli un parere, Monk rispose molto crudelmente: «Certo che suoni davvero tanto per non dire niente». Del resto, alla fine della seduta avrebbe osservato che non era andata così male, con tutto che «il batterista non sapeva tenere il tempo». «Il batterista» era Art Blakey

  Purple Shades (Griffin), da «Art Blakey's Jazz Messengers with Thelonious Monk», Atlantic/Rhino R2 755598. Bill Hardman, tromba; Johnny Griffin, sax tenore; Thelonious Monk, piano; Spanky DeBrest, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato nel maggio 1957.



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mercoledì 20 aprile 2011

[comunicazione di servizio]

  Come forse avrai notato, da qualche giorno non è più possibile scaricare gli mp3 del blog. La colpa non è mia ma del servizio (gratuito) che adopero. Spero che la funzione venga ripristinata al più presto; nell’attesa, metterò i link per il download dei file e t’invito a chiedermi qui sotto quelli per i file che avresti voluto scaricare in questi giorni e non hai potuto.

Pots en Verre no. 1, 2, 3, 4 (Ahmad Jamal)

  Questi quattro assoli di Ahmad Jamal, che il pianista ha registrato nella sua casa di Millbrook, NY, sono contenuti in un singolare disco che, per l’altra metà, vede Jamal associato a un quartetto d’archi composto da studenti di conservatorio e della Yale University: un esperimento sorprendente perché riuscito, di cui parlarti rimando a un momento in cui sarò più concentrato.

  I quattro pezzi di Jamal, intanto: il titolo suggerisce qualcosa di Erik Satie, ma lo spirito e il modo in cui si tengono fra loro mi ricorda piuttosto i Three Preludes di Gershwin (un’altra osservazione un po’ buttata lì, ma oggi dovrai accontentarti). Bellissimi, comunque, e suonati supremamente bene da Jamal.

  Pots en Verre no. 1 (Jamal), da «Ahmad Jamal with the Assai Quartet», Roesch Records RR0042. Ahmad Jamal, piano. Registrato nel 1994.



  Pots en Verre no. 2 (Jamal), ibid.



  Pots en Verre no. 3 (Jamal), ibid.



  Pots en Verre no. 4 (Jamal), ibid.

martedì 19 aprile 2011

The Fable of Mabel (Dick Twardzik-Serge Chaloff)

  The Fable of Mabel, brevissima suite scritta da Dick Twardzik, ne ricorda certe di Duke Ellington,* per esempio The Tattooed Bride, anche per la natura programmatica: il programma, come lo ha raccontato Twardzik stesso, è questo:

  The Fable of Mabel fu resa nota nei circoli jazzistici nel 1951-52 dal quartetto di Serge Chaloff. Il pubblico accolse questa leggenda satirica sul jazz come un gradito diversivo dall’offerta consueta dei club.
  In questa leggenda, Mabel appare come una donna che apprezza gli uomini, la musica e un suo saxofono d’argento in grado di eseguire il contrappunto, sua invenzione che si rivela poco pratica.
  L'opera è divisa in tre movimenti: primo, New Orleans, quindi Classico, infine, Conclusione non troppo triste. L'intenso assolo di sax baritono di Serge Chaloff ripercorre gli umili esordi di Mabel a New Orleans fino alla sua crociata per la causa del jazz. La sua battaglia per l’espressione di sé durante i suoi giorni parigini, a bordo della sua Casa Galleggiante del Jazz, è simboleggiata da un insolito duetto di saxofoni di Charlie Mariano e Varty Haritounian.

  L’organico è quello di una big band a ranghi ridotti e la scrittura di Twardzik è fantasiosa e disinibita, con richiami alla storia del jazz – e dirette memorie ellingtoniane: si tratta di un concerto per il sax baritono di Serge Chaloff, e questi è spesso la voce-guida della sezione, come lo era Harry Carney nell’orchestra di Ellington – e alla sua attualità, con una sorta di post-bop ora astratto (l’utima sezione) ora espressionistico, ma senza nulla della rigidità e delle pretese di altro jazz sperimentale del periodo (1954). Su Dick Twardzik, more to follow, anche se non so quando.

*   Sulla musica a programma di Ellington, ti consiglio quest’interessante articolo di Edward Green su Harlem Air Shaft.

  The Fable of Mabel (Twardzik), da «The Fable of Mabel», Black Lion BLCD 760923. Herb Pomeroy, Nick Capazutto, tromba; Gene DiStachio, trombone; Charlie Mariano, sax alto; Varty Haritounian, sax tenore; Serge Chaloff, sax baritono; Dick Twardzik, piano; Ray Oliveri, contrabbasso; Jimmy Zitano, batteria. Registrato il 3 settembre 1954.


lunedì 18 aprile 2011

Chloe (Duke Ellington) (Al Cohn)

  Chloe, che fu cantata anche da Louis Armstrong, qui è trasfigurata da Duke Ellington, che nei due anni scarsi che durò la prodigiosa compagine «Blanton-Webster» pareva non sapersi trattenere dall’inventare capolavori – lui e Strayhorn, naturalmente. Anche questo è un breve poema sinfonico dove il primo tema è affidato a Joe «Tricky Sam» Nanton, il maestro della sordina plunger, il bridge alla tromba del giudizio di Cootie Williams e poi c’è un assolo breve e indimenticabile di Ben Webster. Segue un outchorus con ottoni in staccato e legni contrapposti, un’ultima perorazione di Cootie a cui, sull’ultimo acuto, sembra che l’orchestra sfili il tappeto da sotto i piedi e infine, negli ultimi dodici secondi, la più sorprendente delle code.

  Segue una briosa e divertente lettura di Al Cohn e Bob Brookmeyer, il cui merito maggiore, per me, è di avere Mose Allison al piano. Prima della riesposizione si sente il tema di Chloe combinato con quello di Fascinatin’ Rhythm.

  Chloe (Song of the Swamp) (Daniels-Kahn), da «The Blanton-Wabster Band», Bluebird 74321131812. Wallace Jones, Cootie Williams, Rex Stewart, tromba; Lawrence Brown, Joe Nanton, Juan Tizol, trombone; Barney Bigard, clarinetto; Johnny Hodges, Otto Hardwicke, sax alto; Ben Webster, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano; Fred Guy, chitarra; Jimmy Blanton, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Registrato il 28 ottobre 1940.



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  Chloe, da «Al Cohn Quintet Featuring Bob Brookmeyer», Verve 000393502. Al Cohn, sax tenore; Bob Brookmeyer, trombone a pistoni; Mose Allison, piano; Teddy Kotick, contrabbasso; Nick Stabulas, batteria. Registrato nel dicembre 1956.



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Flamingo (Duke Ellington) (Don Byas) (Gary Chandler)

  Flamingo è la melodia da cui sono stato perseguitato negli ultimi due giorni. A renderla famosa fu la prima incisione, opera di Duke Ellington con la più splendida delle sue orchestre, la cosiddetta «Blanton-Webster», nel 1941, e con il canto di Herb Jeffries.
  Jeffries, cioè Jeffrey Umberto Bellentino, di origini afroamericane, italiane, etiopi e irlandesi, fu cantante, attore e altro di carriera lunghissima – dev’essere ora sui cento e credo abbia lavorato fino a pochissimi anni fa. Jeffries possedeva una voce ricca ed estesa che usava, bisogna dire, a grande effetto, anche se con un gusto alle nostre orecchie sorpassato. Secondo Ellington, quest’incisione di Flamingo ebbe importanza storica, in quanto la prima in cui un arrangiamento destinato ad accompagnare un cantante – questo è di Billy Strayhorn – non fosse puramente funzionale (in realtà non fu Flamingo il primo caso)

  Segue Don Byas con alcuni dei suoi amici francesi e infine un Gary Chandler, trombettista, di cui ignoro qualsiasi cosa. Ho ritrovato questo suo LP sul mio hard disk e non mi è parso per niente disprezzabile, oltre che essere in linea con il soul jazz che ti sto servendo nelle ultime settimane.

  Flamingo (Grouya-Anderson), da «The Great Ellington Vocalists», RCA 63863. Herb Jeffries con Wallace Jones, Rex Stewart, Ray Nance, tromba; Lawrence Brown, Joe Nanton, Juan Tizol, trombone; Barney Bigard, clarinetto; Johnny Hodges, Otto Hardwicke, sax alto; Ben Webster, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano; Fred Guy, chitarra; Jimmy Blanton, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Arrangiamento di Billy Strayhorn. Registrato il 28 dicembre 1940.



  Flamingo, da «Laura», FMD 36714-2. Don Byas, sax tenore; Art Simmons, piano; Jean-Jacques Tilché, chitarra; Roger Grasset, contrabbasso, Claude Marty, batteria. Registrato il 4 luglio 1950.



  Flamingo, da «Outlook», Eastbound Records LP 9001. Gary Chandler, tromba; Harrold Ousley, sax tenore; Caesar Frazier, organo; Cornell Dupree, chitarra; Idris Muhammad, batteria. Registrato nel 1972.

domenica 17 aprile 2011

Poinciana (Shelly Manne)

  Questa canzone di Buddy Bernier è nota in ambito jazzistico soprattutto per l’interpretazione di Ahmad Jamal colta dal vivo al Pershing Lounge di Chicago il 16 gennaio 1958 (Jamal la esegue ancora oggi in ogni sua esibizione); qui a suonarla, l’anno successivo, è un quintetto di Shelly Manne in un disco famoso, registrato live alle estreme propaggini del West Coast jazz. Una versione diversissima da quella estatica di Jamal, tutta giocata su un ostinato: veloce e mordente, invece, grazie soprattutto alla presenza dell’eccellente e sfortunato Joe Gordon alla tromba e dell’inglese Victor Feldman al piano.

  La poinciana reale (Poinciana regia) è questa magnifica pianta.

  Poinciana (Bernier), da «At The Black Hawk, Vol. 1», Contemporary/OJCCD-656-2. Joe Gordon, tromba; Richie Kamuca, sax tenore; Victor Feldman, piano; Monty Budwig, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 22 settembre 1959.

Venus In Transit I-II (Franz Koglmann)

  Il trombettista e compositore austriaco Franz Koglmann (1947) ha composto le musiche per lo spettacolo Vivace dell’autrice e regista Beverly Blankenship, andato in scena alla Schauspielhaus di Vienna nel gennaio 2001 e in particolare per Venus In Transit, una di cinque pièce interconnesse, a proposito di un giovane che, indotto dalla fidanzata ad assumere degli anabolizzanti, si vede crescere un bel paio di mammelle. Due dettagli dell’opera e delle sue circostanze, oltre forse alla suggestione inconscia delle mammelle, hanno suggerito a Koglmann lo spunto per le musiche di scena: l’apparizione, in un quadro di Venus In Transit, del cast intero abbigliato e truccato a somiglianza di Marilyn Monroe, e il fatto che la Blankenship, nell’illustrargli il lavoro, si fosse abbandonata a un’ispirata interpretazione di I Wanna Be Loved By You, la più famosa fra le canzoni che la Monroe cantava nel film di Billy Wilder Some Like It Hot (A qualcuno piace caldo, 1959).

  Dalla canzoncina di Ruby-Stothart-Kalmar, Koglmann ritaglia le due figure cromatiche dell’inciso iniziale, a distanza di una quarta l’una dall'altra, e ne fa il modulo strutturale di questa suite in dodici brevi movimenti, di cui ti propongo i primi due: nel primo il motivo è cantus firmus di un arrangiamento dai suoni ovattati e dall’andamento sonnambolico, quasi un parallelo sonoro dell’ancheggiare della celebre attrice, meno il sex appeal; nel secondo è sottoposto a moto retrogrado in un valzer, mahleriano fin nel canto d'incerta intonazione della viola sullo staccato di contrabbasso, fagotto e sax tenore.

  Pardon, ist da noch Frei? (I Wanna Be Loved By You), da «Venus in Transit», between the lines 016. Franz Koglmann, tromba; Chris Speed, sax tenore; Michael Rabinowitz, fagotto; Mat Maneri, viola; David Fiuczynski, chitarra; Peter Herbert, contrabbasso; John Mettam, percussioni. Registrato il 12 febbraio 2001.




  Überstorung, ibid.

sabato 16 aprile 2011

Appointment in Milano (Bobby Watson)

  Anche Bobby Watson ha dedicato un pezzo a Milano, Appointment in Milano; lo incise la prima volta, proprio a Milano, con il trio milanese Open Form (Piero Bassini, Attilio Zanchi e Giampiero Prina) e ancora cinque anni dopo, in quintetto, su questo disco molto bello.

  Appointment in Milano (Watson), da «Post-Motown Bebop», Blue Note CDP 7 951482. Melton Mustafa, tromba; Bobby Watson, sax alto; Edward Simon, piano; Carroll Dashiell, contrabbasso; Victor Lewis, batteria. Registrato il 17 o il 18 settembre 1990.

Milano (Modern Jazz Quartet)

  Mi ero convinto che Milano, la soave ballad intitolata da John Lewis alla mia città, venisse dalla colonna sonora che il MJQ fornì a un dimenticato film di Eriprando Visconti, Una storia milanese, del 1962. Scopro per caso che è contenuta invece in «Django», che predata quel film di sei anni, e dunque la dedica della composizione a Milano non è doverosa o meramente occasionale. Credo, ma potrei sbagliarmi e al momento non ho modo di controllare, che quell’anno il MJQ passasse in Italia con il Jazz At The Philarmonic (dove accompagnò anche Lester Young) e quella potrebbe essere stata l’occasione per visitare Milano. Ridotta com’è stata la città negli anni, oggi potrebbe giusto aspirare a una dedica dei Butthole Surfers.

  Milano (Lewis), da «Django», Prestige 8110. The Modern Jazz Quartet: Milt Jackson, vibrafono; John Lewis, piano; Percy Heath, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato il 23 dicembre 1954.

Strollin’ (Horace Silver) (Shirley Scott)

  Una composizione di Horace Silver, suonata sull’Hammond, finirà per patire lo stesso inconveniente dei film basati sui drammi di Shakespeare: così come Shakespeare ha in sé già tutto del cinema, dai controcampi alle tecniche del découpage ai varî tipi di transizione e dissolvenza, al punto che un allestimento cinematografico lo appesantisce e basta, allo stesso modo le composizioni di Horace esprimono per loro natura il massimo del funky accoppiato al massimo dell’eleganza, e quindi il «più» di funkyness dell’Hammond, altrove così saporito, finisce per rendere la pietanza in una indigesta e sciapa*. Perfino quando l’ordigno sia sotto le mani e i piedi di Shirley Scott, che ne fu, fra i praticanti, la più aerea.

  * Certo, anche un periodo di nove righe non scherza.

  Strollin’ (Silver), da «Horace-Scope», Blue Note 0946 3 55207 2 9. Blue Mitchell, tromba; Junior Cook, sax tenore; Horace Silver, piano; Gene Taylor, contrabbasso; Roy Brooks, batteria. Registrato il l’8 luglio 1960.



  Strollin’, da «Shirley Scott Plays Horace Silver», Prestige PR 7240. Shirley Scott, organo; Henry Grimes, contrabbasso; Otis Finch, batteria. Registrato il 17 novembre 1962.

venerdì 15 aprile 2011

Estate (Richard Davis - John Hicks)

  Alla fine della settimana è legittimo aspettarsi un momento distensivo anche da Jazz nel pomeriggio, specie dopo i cimenti degli ultimi giorni; del resto, preferisco senz’altro immaginare questo luogo come una lounge piuttosto che come un’aula di scuola.

  Estate (B. Martino), da «The Bassist: Hommage to Diversity», Palmetto 2071. John Hicks, piano; Richard Davis, contrabbasso. Registrato il primo maggio 2001.

Hadasha (John Zorn)

  La parte che conosco io della discografia di John Zorn è infinitesimale, se fosse possibile meno ancora. Non me ne rammarico troppo, perché mi sembra di aver capito che l’incontinenza di Zorn nel pubblicare lavori suoi, che supera perfino quella di Braxton, sia un atto voluto di eccesso, un gesto situazionista, che trova senso in sé.
  Comunque sia, gente fededegna ed esperta del campo concorda con me nel dire che il secondo volume di Masada sia una meraviglia e una delle cose più belle di Zorn. «Masada Vol. 2» è noto anche con il titolo «Beit», la seconda lettera dell’alfabeto ebraico – il rabbino Isaia Levi, nella grammatichetta Hoepli, me la insegnava come Bet, ma insomma è questa: ‫ב
  Con una patina kletzmer che sospetto essere non molto più di un pretesto, Masada, in quel momento aurorale, era un quartetto d’impianto ornettiano, ma con un’energia e una sinergia tutte sue, molto impressionanti. Hadasha vuol dire «nuovo».

  Hadasha (Zorn) da «Masada Vol. 2: Beit», DIW 889. Dave Douglas, tromba; John Zorn, sax alto; Greg Cohen, contrabbasso; Joey Baron, batteria. Registrato il 20 febbraio 1994.

I’m Getting Sentimental Over You - Long Night - The Need For Love (Frank Strozier)

  Ogni volta che lo sento mi persuado meglio che Frank Strozier sia stato (o sia? Chissà se ne risentiremo mai parlare) uno dei maggiori sax contralto del dopoguerra. Eccolo dapprima in un disco a nome di Roy Haynes. In Gettin’ Sentimental espone il consunto tema con molto umorismo e il suo assolo è poi di originalità sorprendente: senti le frasi sospese, volutamente inconcluse con cui lo comincia, e la maniera con cui le adagia un po’ in tralice sul tempo (circa da 2:39 a 3:12) e la logica compositiva a cui rispondono, pur nella loro imprevedibilità, con varietà costante di accentuazione e di pattern ritmici e su tutta intera l’estensione dello strumento.

  Il secondo e il terzo pezzo vengono da uno dei non tanti dischi a suo nome, ed è un disco splendido, dove Frank suona benissimo anche il flauto. In Long Night, una variazione sul blues, e nel valzer The Need For Love, come altrove nel disco, si dimostra anche compositore interessante e arrangiatore efficace. Il bassista Bill Lee è il padre del regista Spike.

  I’m Gettin’ Sentimental Over You (Washington-Bassman), da «Cymbalism», Prestige/OJCCD-1079-2. Frank Strozier, sax alto; Ronnie Mathews, piano; Larry Ridley, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 10 settembre 1963.



  Long Night (Strozier), da «Long Night», Milestone MCD-47095-2. Frank Strozier, sax alto; George Coleman, sax tenore; Pat Patrick, sax baritono; Chris Anderson, piano; Bill Lee, contrabbasso; Walter Perkins, batteria. Registrato il 12 settembre 1961.



  The Need For Love (Strozier), ibid.

giovedì 14 aprile 2011

Kattorna - Svantetic (Krzysztof Komeda)

  Parte II e III della suite «Astigmatic» di cui ieri ho pubblicato la prima.

Kattorna   (Komeda), da «Astigmatic», Polskie Nagrania 10343. Tomasz Stanko, tromba; Zbigniew Namyslowski, sax alto; Günter Lenz, contrabbasso; Rune Carlsson, batteria. Registrato nel dicembre 1965.



Svantetic (Komeda), ibid.

Nóż w wodzie IV (Krzysztof Komeda)

  Un esempio di Komeda compositore per il cinema preso dalla più famosa delle sue colonne sonore, Il coltello nell’acqua di Roman Polanski. A quel punto, nel 1962, Komeda era già esperto del mezzo, essendo quello il suo sesto film (al momento della morte, trentottenne nel 1969, ne aveva musicati, fra corti e lungometraggi, sessantacinque). L’ascolto di queste musiche scollegate dalle immagini è frustrante, perché il respiro caratteristicamente ampio degli sviluppi di Komeda è impedito dalla frammentarietà dettata dalle esigenze del cinema. Se però hai visto quel film bellissimo, converrai con me come dovesse gran parte della sua atmosfera ambigua e sospesa alla musica di Komeda – naturalmente, come sempre in simili casi, si potrebbe dire che è la memoria delle immagini di Polanski a conferire alle musiche di Komeda il loro particolarissimo colore. Il pezzo che ti propongo, quarto nella sequenza del disco, gioca su una modulazione metrica da sei a quattro quarti. Michał Urbaniak, allora saxofonista del quintetto di Komeda, si sarebbe più tardi illustrato (’nsomma…) come violinista fusion.

  Questo pomeriggio, gli altri due movimenti di«Astigmatic».

  Nóż w wodzie IV (Komeda), da «The Complete Recordings of Krzysztof Komeda, Vol. 7: Film Music» Polonia 62. Michał Urbaniak, sax tenore; Krzysztof Komeda, piano; Maciej Suzin, contrabbasso; Czeslaw Bartkowski, batteria. Registrato nel 1962.

mercoledì 13 aprile 2011

Summit Ridge Drive (Artie Shaw)

  Per augurarti la buonanotte di questo bel giorno di sole e vento, ecco un hit dei Gramercy Five, il gruppo composto da membri della big band di Artie Shaw che fungeva da intermezzo nelle esibizioni dell’orchestra, seguendo una tradizione dell’era dello Swing (facevano così anche Goodman, Basie, Lunceford…). I Gramercy Five con Shaw erano sei e comprendevano il clavicembalo, suonato con molto gusto da uno dei grandi pianisti del jazz classico, Johnny Guarnieri.

  Summit Ridge Drive (Shaw), da «The Complete Gramercy Five Sessions», RCA 87637. Billy Butterfield, tromba; Artie Shaw, clarinetto; Johnny Guarnieri, clavicembalo; Al Hendrickson, chitarra; Jud DeNaut, contrabbasso; Nick Fatool, batteria. Registrato nel 1940.

Things Ain’t What They Used To Be (Booker Little)

  Senti questa: un’esecuzione del blues di Duke Ellington da parte di cannoni come il grandissimo Booker Little, titolare della seduta, Frank Strozier, Louis Smith, George Coleman e Phineas Newborn: pregevolissima, come è lecito aspettarsi, ma insomma, niente più che una parata di begli assoli.
  Sì, se non fosse per un particolare: le quattro battute d’introduzione, che riprendono le ultime quattro del tema, Little le ha arrangiate per tre voci in quarte parallele, la prima delle quali aumentata, che è un voicing dissonante, estraneo alla cordialità della composizione:
  
  Questo dispositivo armonico estende su quanto segue una specie di velo, un tono asprigno, una distanza; è lo stesso voicing a cui Booker ricorrerà quasi sistematicamente negli ultimi suoi due dischi, sconcertanti e sublimi, «Out Front» e «Victory and Sorrow», entrambi incisi l’anno della sua morte (1961).

  Things Ain’t What They Used To Be (Ellington), da «Booker Little 4 & Max Roach», Blue Note CDP 7 84457 2. Booker Little, Louis Smith, tromba; Frank Strozier, sax alto; George Coleman, sax tenore; Phineas Newborn, piano; Calvin Newborn, chitarra; George Joyner, contrabbasso; Charles Crosby, batteria. Registrato nel 1958 o ’59.

Astigmatic (Krzysztof Komeda)

  Astigmatic è il primo movimento della suite omonima di Krzysztof Komeda (1931-1969), il compositore polacco e pianista, ex-otorinolaringoiatra, che in vita raggiunse la fama per le colonne sonore dei primi film di Roman Polanski, fra cui capolavori come Il coltello nell’acqua (Nóż w wodzie, 1962; anche la musica di Komeda è un capolavoro) e Cul-de-sac, e di Jerzy Skolimowski.

  Sospinto da un’energia cinetica irresistibile, enfatizzata dalla sua peculiare struttura ciclica, «Astigmatic» è uno dei dischi di jazz più importanti mai registrati in Europa, forse il più importante, e in assoluto uno dei più bei dischi degli anni Sessanta. Tomasz Stanko probabilmente saprai chi è (oggi, estinto il fuoco, si aggira per le brumose lande ECM); Zbigniew Namyslowski, assai meno noto da noi, era (è) un saxofonista avvincente, teste qui la sua cadenza vertiginosa. Ma i componenti del quintetto suonano davvero tutti come se non ci fosse un domani.

  Fammi sapere se gradisci e pubblicherò anche gli altri due movimenti della suite.

  Astigmatic (Komeda), da «Astigmatic», Polskie Nagrania 10343. Tomasz Stanko, tromba; Zbigniew Namyslowski, sax alto; Krysztof Komeda, piano; Günter Lenz, contrabbasso; Rune Carlsson, batteria. Registrato nel dicembre 1965.

martedì 12 aprile 2011

Manteca (Dizzy Gillespie)

  Sempre lungo quella corrente carsica del cibo che percorre il blog, immagino con soddisfazione del colto e dell’inclita (quanto più mangio magro, tanto più grasso voglio il mio jazz), ecco un dei titoli più unti del repertorio, Manteca, nella versione datane dall’autore al festival di Newport del 1957. All’inizio senti l’orchestra salmodiare «I’ll never go back to Georgia» – presa di posizione politica? Vaudeville? Tutti e due? Il solista di sax tenore è Benny Golson.

  Manteca (Gillespie-Chano Pozo), da «Dizzy Gillespie at Newport», Avid Jazz AMSC968. Dizzy Gillespie, Lee Morgan, E. V. Perry, Carl Warwick, Talib Dawd, tromba; Melba Liston, Al Grey, Chuck Connors, trombone; Jimmy Powell, Ernie Henry, sax alto; Billy Mitchell, Benny Golson, sax tenore; Pee Wee Moore, sax baritono; Wynton Kelly, piano; Paul West, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 6 luglio 1957.

There’s No Greater Love (Dizzy Gillespie) (Booker Ervin) (Charles Williams)

  Alle volte non ho tanto da dire a proposito di ciò che pubblico, se non che mi è venuta voglia di ascoltare un certo disco: non sempre so perché. In questo caso, avevo in mente quest’interpetazione gillespiana della canzone di Isham Jones (nell’edizione di Have Trumpet che ne riporta 3 alternate take, è interessante vedere come Dizzy esegua praticamente sempre lo stesso assolo, rifinendolo progressivamente). Per contrasto, la faccio seguire da una di segno opposto, di Booker Ervin, materiale, estremistica, priva di garbo quanto quella di Dizzy è suadante nei colori e nella dinamica.

  Poi ce n’è una terza che è ancora una cosa diversa, e che avrei voluto tenere da conto per presentartela con un contorno adeguato e farci sopra un discorso che mi sta a cuore. Non resisto però dal fartela sentire subito, «per aguzzarti meglio l’appetito» – fra l’altro, in quest’esecuzione, sembra davvero di sentire sfrigolare il lardo del soul food… Non è una versione del rango delle due precedenti, forse, ma si regge per meriti proprî, che intuirai da solo/a, ma di cui ti parlerò meglio perché hanno delle implicazioni non ovvie; intanto, guarda chi ti ritrovi all’Hammond: Don Pullen in uno dei suoi più riusciti travestimenti.

  There’s No Greater Love (Syme-Jones), da «Have Trumpet, Will Excite!», Verve 549744. Dizzy Gillespie, tromba; Junior Mance, piano; Les Spann, chitarra; Sam Jones, contrabbasso; Lex Humphries, batteria. Registrato il 17 febbraio 1959.



  There’s No Greater Love, da «The Space Book», Prestige/OJCCS-896-2. Booker Ervin, sax tenore; Jaki Byard, piano; Richard Davis, contrabbasso; Alan Dawson, batteria. Registrato il 2 ottobre 1964.



  There’s No Greater Love, da «Charles Williams», Mainstream MRL 312. Charles Williams, sax alto; Don Pullen, organo; Earl Dunbar, Jr, chitarra; Gordon Edwards, contrabbasso; Bill Curtis, batteria. Registrato nel 1971.

lunedì 11 aprile 2011

What Laurie Likes - Here’s That Rainy Day (Art Pepper)

  Il primo è uno di quei period piece per i quali, come avrai capito, ho un debole. Il quartetto è composto da eminentissimi a vario titolo legati alla scena jazzistica di Los Angeles, dove il pezzo è stato registrato; nota come Shelly Manne, uno dei batteristi più versatili del jazz, sappia sostenere e variare una feroce pulsazione rock che diresti lontanissima dal suo gusto.

  Here’s That Rainy Day, viceversa, è resa in mood decisamente depresso, in fondo congruente con i versi piuttosto cupi di Johnny Burke, grazie soprattutto al voicing molto denso e scuro di Hampton Hawes. La cadenza finale, dove Haden usa l’archetto, suona proprio funerea.

  What Laurie Likes (Pepper), da «Living Legend», Fantasy OJCCD 408-2. Art Pepper, sax alto; Hampton Hawes, piano elettrico; Charlie Haden, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 9 agosto 1975.



  Here’s That Rainy Day (Burke-Van Heusen), ibid. ma Hawes suona il pianoforte.

domenica 10 aprile 2011

Violets For Your Furs - I Remember Clifford (JR Monterose)

  Torna il maverick JR Monterose in una delle sue rare uscite discografiche, con un trio ritmico ferratissimo. Interessa notare come tutti i componenti del trio fossero associati, o fossero in procinto di esserlo, a John Coltrane, che in quel momento (fine del 1959) stava diventando il sax tenore di riferimento, come appare anche negli assoli di Monterose: in maggio di quell’anno, Flanagan era stato pianista delle due sedute di «Giant Steps» e Pete LaRoca Sims, con Steve Kuhn e Steve Davis, l’anno dopo avrebbe costituito la prima versione del quartetto di Coltrane, che nella forma definitiva, assunta nel 1961, avrebbe avuto Jimmy Garrison al contrabbasso.

  Non sarà poi per caso che Monterose suoni Violets For Your Furs, ballad non frequentatissima, che Coltrane aveva inserito nel primo disco a suo nome, inciso nel 1957 (a differenza di Coltrane, Monterose ne esegue anche il verse).

  Violets For Your Furs (Dennis-Adair), da «Straight Ahead», Xanadu 126. JR Monterose, sax tenore; Tommy Flanagan, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Pete LaRoca Sims, batteria. Registrato il 24 novembre 1959.



I Remember Clifford (Golson), ibid.

Looking Good But Feeling Bad (Aki Takase)

  Aki Takase, pianista giapponese germanizzatasi anche per matrimonio con il collega di strumento Alexander von Schlippenbach, condivide con quest’ultimo l’interesse per la rivisitazione del repertorio jazzistico: con sproposito molto tedesco, von Schlippenbach ha inciso tutte le composizioni di Monk, che con il suo quartetto (che comprendeva Rudi Mahall, che sentirai anche qui) eseguiva tutte in una sera – lo fece anche da noi, a Novara, cinque o sei anni fa.

  L’intrapresa della Takase, rivolta a Fats Waller, non ha ambizioni completistiche e si è contenuta su un disco del 2003. Qui te la presento in una versione radiofonica di cinque anni dopo. I risultati sono misti: buoni negli assieme, meno negli assoli di Rudi Mahall e della bandleader, che sembrano avere l’idea giusta ma non riuscire ad acchiapparla e soprattutto non buoni negli assoli del trombonista Wogram, che mi sembra davvero non entrare nel gioco (con tutto che, in differente contesto, Wogram è un mostro dello strumento). Un tentativo apprezzabile, ad ogni modo; comunque a a rubare la scena è quel fantastico mentecatto americano di Eugene Chadbourne cantante e banjoista, vero e spregiudicato medium dello spirito di Fats.

  Looking Good But Feeling Bad (Waller): Nils Wogram, trombone; Rudi Mahall, clarinetto basso; Aki Takase, piano; Eugene Chadbourne, banjo e cantante; Paul Lovens, batteria. Registrato negli studi NDR di Amburgo il 21 febbraio 2008.

sabato 9 aprile 2011

Do It - A Time for Love - Nirvanna (Jack Wilson)

  Qualche giorno fa hai mostrato di apprezzare, con Earl Anderza, il pianista che si ascolta in quel suo disco, Jack Wilson. Wilson (1935-2007), chicagoano, era un musicians’ musician, capace di fare di tutto ma apprezzato in particolare come accompagnatore di cantanti (fra i molti, Dinah Washington, Julie London, Lou Rawls, Sammy Davis Jr).

  Fece anche due dischi a suo nome per la Blue Note, un attimo prima che per la storica etichetta s’iniziasse un lungo declino. Dal secondo di questi, mi piace farti per prima cosa ascoltare la traccia che apre il disco e che entra con pieno diritto in quella categoria di sfacciate imitazioni di Watermelon Man di Herbie Hancock che in quegli anni venivano via a un soldo la dozzina – ne fece una Hancock stesso, intitolata Blind Man – , così come quelle di Sidewinder di Lee Morgan (guarda caso, in questo disco sono presenti tre quinti della band di «The Sidewinder»: Morgan, Cranshaw e Higgins). Poi però, per rendere giustiza a Wilson, te lo faccio sentire in una versione in trio davvero molto bella della stupenda e non tanto frequentata canzone di Johnny Mercer A Time for Love, e infine in un’altra sua composizione in tre quarti che mette in giusta luce il suo talento di compositore e orchestratore, d’idee per niente affatto banali. Nirvanna ha un chorus di 52 battute così divise: 24 più 16 su un pedale che, nell’esposizione, sono eseguite in sorprendente eterofonia dai tre fiati, quindi 12 battute di outchorus o riesposizione scorciata.

  Do It (Wilson), da «Easterly Winds», Blue Note CD 73161. Lee Morgan, tromba; Garnett Brown, trombone; Jackie McLean, sax alto; Jack Wilson, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 22 settembre 1967.



  A Time for Love (Mercer), ibid., ma solo Williams, Cranshaw e Higgins.



  Nirvanna (Wilson), come in Do It.