martedì 25 febbraio 2020

Just One Of Those Things (Gil Evans & Steve Lacy)

 Just One Of Those Things forse è la canzone più bella di Cole Porter, o almeno è quella che piace di più a me, che alla fine è dire la stessa cosa. L’arrangiamento di Gil Evans – che si produce anche come pianista con effusione insolita – , sontuoso nella sua economia di mezzi, è a sua volta il più bello che abbia mai sentito di questa canzone.

 Ma quello che lascia davvero di stucco è l’assolo di Steve Lacy ventiduenne, che aveva appena cominciato a suonare «moderno».

 Just One Of Those Things (Porter), da «Gil Evans And Ten», Prestige PRSA-720-6. Louis Mucci, tromba, Jimmy Cleveland, trombone; Bart Varsalona, trombone basso; Willie Ruff, corno; Steve Lacy, sax soprano; Lee Konitz, sax alto; Dave Kurtzer, fagotto; Gil Evans, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Nick Stabulas, batteria. Registrato il 10 ottobre 1957.

mercoledì 19 febbraio 2020

Too Marvelous For Words – Just Too Late – Bye Bye Blackbird (Vic Dickenson)

 Non leggerai mai su Jazz nel pomeriggio che il tale o il talaltro sono «il mio pianista (saxofonista, batterista…) preferito» o che è il mio preferito un tale disco: a meno che non esprima una mera risonanza sentimentale, mi pare che chi, in ambiti vasti come quelli artistici, esprima preferenze così nette ed esclusive lo faccia o per superficialità o per inopia di riferimenti, i.e.: ho un film, un romanzo «preferito» perché… ho letto pochi romanzi, e ho visto pochi film.

 Ecco, quando sento Vic Dickenson io non riesco a trattenermi dal pensare, quindi dal dire, che è il mio trombonista preferito e che, perbacco!, è così che il trombone andrebbe suonato. Del suo stile ho già scritto qui sopra e non trovo di meglio da dire, pertanto mi ricopio da un post di qualche anno fa: «Mi piace tanto Vic Dickenson perché suona il trombone come andrebbe suonato ma soprattutto perché suona come parla. Mi spiego: io naturalmente non so come parlasse Vic Dickenson, non l’ho mai sentito, ma i suoi assoli hanno l’articolazione, il passo, il pathos, le pause, l’umorismo, anche gli occasionali difetti o eccentricità di pronuncia di un eccellente e affabile conversatore, di quelli che sanno parlare di tutto con tutti e hanno sempre cose interessanti da dire, mai invadenti, mai ossessi di sé».

 Qui, colto a Nizza nel 1975, Vic aveva settant’anni portati come li può portare chi della vita e del jazz ha capito quello che c’era da capire. In Just Too Late canta anche! Apprezza l’accompagnamento orchestrale e interattivo, perfino troppo, di uno dei grandi pianisti del jazz classico, Johnny Guarnieri, del quale un giorno o l’altro ti parlerò più distesamente e che in questo disco combatte vittorioso contro il classico pianoforte-catenaccio.

 Too Marvelous For Words (Whiting-Mercer), da «Gentleman Of The Trombone», Mahogany 558105. Vic Dickenson, trombone; Johnny Guarnieri, piano; Bill Pemberton, contrabbasso; Oliver Jackson, batteria. Registrato il 25 luglio 1975.

 Just Too Late (Dickenson), id.

 Bye Bye Blackbird (Henderson-Dixon), id.

martedì 18 febbraio 2020

Perdido – Dream A Little Dream Of Me – All The Things You Are (Wade Legge)

 Wade Legge era nato nel 1934 in Virginia. Aveva cominciato professionalmente come contrabbassista, e aveva cominciato bene, con Milt Jackson. Dal complesso di Jackson lo prese Dizzy Gillespie che dopo poco lo convinse a passare al pianoforte. Con Dizzy rimase per alcuni anni, fra l’altro accompagnandolo nel 1953 in una tournée europea di cui esistono delle succose testimonianze discografiche. A Parigi e a Stoccolma registrò in trio a proprio nome, con basso e batteria di Gillespie e, lo senti qui, anche con il grande baritonista svedese Lars Gullin. 

 In seguito suonò e registrò ancora con Jackson, ma al pianoforte, con Gigi Gryce, con Mingus («The Clown»), con Rollins e con Jackie McLean. Morì a ventinove anni a Buffalo, NY, la città in cui era cresciuto e in cui era tornato a vivere.

 Io non so come Legge suonasse il contrabbasso: bene, immagino. Di sicuro suonava assai bene il piano e del resto Dizzy non si sbagliava mai. Da quello che si sente era un pianista tecnicamente completo, di base powelliana con qualche influsso di Erroll Garner e una sua particolare, pensosa inclinazione melodica che a momenti (senti soprattutto Perdido e All The Things) mi fa pensare a Hampton Hawes.

 Perdido (Tizol), da «Wade Legge Trio», Fresh Sound FSR-CD 894. Wade Legge, piano; Lou Hackney, contrabbasso; Al Jones, batteria. Registrato nel febbraio 1953.

 Dream A Little Dream Of Me (Andre-Schwandt-Kahn), id.

 All The Things You Are (Kern-Hammerstein II), id. Più Lars Gullin, sax baritono.

venerdì 14 febbraio 2020

Exactly Like You (Gene Ammons)

 Dico il vero, non conosco bene Gene Ammons, anche se l’ho presentato su Jnp più di una volta e in un’occasione ne ho addirittura fatto l’oggetto di un quiz, tanti anni fa (sai che fra tre mesi Jazz nel pomeriggio finirà i dieci anni?).

 Comunque Ammons è quasi un archetipo del sax tenore; se penso astrattamente al suono di quello strumento nel jazz, mi viene alla mente e alle orecchie un suono come io suo: caldo, al tempo stesso umano e monumentale e in una vena decisamente lirica.

 Exactly Like You (Fields-McHugh), da «Jug», Prestige PRLP 7192. Gene Ammons, sax tenore; Richard Wyands, piano; Doug Watkins, contrabbasso; J. C. Heard, batteria; Ray Barretto, conga. Registrato il 27 gennaio 1961.

giovedì 13 febbraio 2020

Nardis – The Kicker (Joe Henderson)

 Nardis è un tema molto bello e suggestivo che Miles Davis compose per un disco di Cannonball Adderley, «Portrait Of Cannonball», ma che non suonò mai; diventò invece un pezzo forte del repertorio di Bill Evans, pianista in quella seduta del 1958.  

 Non mi risulta che Nardis sia stata poi molto eseguita da altri, ma mi posso sbagliare; qualche versione che mi è capitato di sentire, anche dal vivo, non mi ha sedotto. Invece mi piace questa di un sestetto di Joe Henderson del 1967, perché, in un’esecuzione succinta, ne coglie l’atmosfera afosamente malinconica nell’ambiguità del modo frigio. Buona parte della riuscita, oltre che a Henderson, estroso e geniale come sempre, si deve a Kenny Barron e al trombettista Mike Lawrence, che morì di cancro appena trentasettenne, nel 1983.

 Segue, dal medesimo disco, una cosa completamente diversa, The Kicker di Horace Silver. Henderson ebbe parte nella editio princeps di questo pezzo, contenuta in «Song For My Father» del 1964.

 Nardis (Davis), da «The Kicker», Milestone MSP-9008. Mike Lawrence, tromba; Grachan Moncur III, trombone; Joe Henderson, sax tenore; Kenny Barron, piano; Ron Carter, contrabbasso; Louis Hayes, batteria. Registrato il 10 agosto 1967.

  The Kicker (Silver), id.

martedì 11 febbraio 2020

Night Sound (George Russell) RELOADED

Reload dal dicembre 2010.

 Uso le parole del suo compositore George Russell per descrivere questo pezzo del 1956: «un tema di blues è sviluppato in un contesto in prevalenza cromatico, data la mobilità continua dei centri tonali» (fra i quali prevale comunque Fa).

 Night Sound (Russell), da «The Complete Bluebird Recordings», Lone Hill Jazz LHJ10177. Art Farmer, tromba; Hal McKusick, sax alto; Barry Galbraith, chitarra; Bill Evans, piano; Milt Hinton, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato il 17 ottobre 1956.



domenica 9 febbraio 2020

The Song Is You – Summertime (Art Blakey)


 In questo disco insolito senti Art Blakey a capo di un quartetto composto per l’occasione anziché di una formazione dei Jazz Messengers, come viceversa Blakey si è presentato quasi esclusivamente dai tardi anni Cinquanta in poi, l’eccezione più significativa essendo stata, credo, la sua partecipazione (con Gillespie, Winding, Monk e Al McKibbon) ai Jazz Giants, nei primissimi anni Settanta. 

 Si tratta in breve di una blowing session (e anche questa, data l'etichetta Impulse!, è cosa insolita) molto riuscita, con tre standard e tre originali basati sul blues, tutti head arranged. Sonny Stitt alterna alto e tenore ed è in forma brillante, e altrettanto il leader nominale della seduta, il quale, come è tratto distintivo di un batterista autorevole, crea e colora lo spazio sonoro con il suo drumming dalla sonorità inconfondibile. 

 The Song Is You (Kern-Hammerstein III), da «A Jazz Message», Impulse!. Sonny Stitt, sax alto; McCoy Tyner, piano; Art Davis, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 16 luglio 1963.

 Summertime (Gershwin-Gershwin-Heyward), ib. ma Stitt suona il sax tenore.

sabato 8 febbraio 2020

Bess, You Is My Woman Now – I Got Plenty O’ Nuttin’ – Strawberry Woman (Oscar Peterson & Joe Pass)

 Conosco questo disco famoso o famigerato da moltissimi anni; mi era sempre sembrato una bizzarria oziosa, per non dire una boiata. Per molti anni non l’ho ascoltato e non ci ho pensato.  

 Risentendolo, mi è piaciuto. Questo non dice niente del disco, si capisce.

 Bess, You Is My Woman Now (Gershwin), da «Porgy And Bess», Pablo. Oscar Peterson, clavicordo; Joe Pass, chitarra. Registrato il 26 gennaio 1976.

  I Got Plenty O’ Nuttin’ (Gershwin), id.

  Strawberry Woman (Gershwin), id.

venerdì 7 febbraio 2020

Self-Portrait In Three Colors (Greg Osby)


 Ecco, a me piace abbastanza Greg Osby e moltissimo Self-Portrait In Three Colors di Mingus (da «Mingus Ah Um»), ma questa versione di Self-Portrait In The Three Colors di Greg Osby non mi piace per niente. Non ha, non dico tre, ma nessun colore, e non perché compensi con pregi di forma, di tratto o di tratteggio. 

 È un’esecuzione penosamente equalizzata, meccanica nel ritmo e indolente nel fraseggio, vagamente plasticosa. Osby nel suo assolo gira a vuoto, Stefon Harris ogni tanto fa plink perché tanto ormai era lì e qualcosa doveva fare e anche un pianista estroso come Jason Moran fa soltanto quello che può, cioè, nella circostanza, non fa quasi nulla.

 Self-Portrait In Three Colors (Mingus), da «Inner Circle», Blue Note 7243 4 99871 2 8. Greg Osby, sax alto; Jason Moran, piano; Stefon Harris, vibrafono; Tarus Mateen, contrabbasso; Eric Harland, batteria. Registrato nel 1999.

giovedì 6 febbraio 2020

Enlightenment – Velvet – Blues At Midnight (Sun Ra) RELOADED

Reload dal 3 giugno 2015.

 La musica contenuta nei primi dischi di Sun Ra (questo è del 1959) ha una speciale qualità intemporale: sono dischi che suonano freschi eppure sono nello stesso momento molto della loro epoca.

 Questa musica ha poi un suono complessivo particolarissimo, una specie di emulsione sonora che la ricopre, carica di infinitesimi corpuscoli di energia; qualcosa di più e di meno dell’interplay, una qualità corale, cerimoniale, che mi richiama quel tratto tipico afroamericano del jazz al quale Ethan Iverson ha con intuizione preziosa applicato l’aggettivo devotional.

 Un altro carattere unico è conferito a quest’orchestra ridotta dall’uso inortodosso, molto mobile, fatto del sax baritono, qui nelle mani di due unsung heroes dello strumento, Pat Patrick e Charles Davis, spesso presenti simultaneamente.

 Enlightenment (Dotson-Sun Ra), da «Jazz In Silhouette», [Impulse!] Real Gone Jazz RGJCD927. Hobart Dotson, tromba; Bo Bailey, trombone; Marshall Allen, James Spaulding, sax alto; John Gilmore, sax tenore; Pat Patrick, Charles Davis, sax baritono; Sun Ra, piano; Ronnie Boykins, contrabbasso; William Cochran, batteria. Registrato il 6 marzo 1959.

 Velvet (Sun Ra), id.

 Blues At Midnight (Sun Ra), ib., Sun Ra suona anche la celesta.

mercoledì 5 febbraio 2020

You Don’t Know What Love Is (Lee Konitz & Joe Henderson)

 Del famoso disco di duetti di Lee Konitz del 1967 questo è forse il duetto più bello. Il fitto intrecciarsi delle linee dei due saxofoni è reso avvincente dal colore scuro del contralto di Konitz e dal quello, invece, piuttosto chiaro del tenore di Joe Henderson.

 You Don’t Know What Love Is (Raye-DePaul) da «The Lee Konitz Duets», Milestone 0002528646628; Lee Konitz, sax alto; Joe Henderson, sax tenore. Registrato il 25 settembre 1967.

martedì 4 febbraio 2020

Tee Piece – What, Does It Matter? – Big Bad Henry (New York Jazz Quartet)


 Ecco un disco del 1977 che non è invecchiato, non mi pare, per merito innanzitutto di Roland Hanna, il cui piano jazz è uno spettacolo sonoro gioioso, ma anche degli altri tre virtuosi implicati. 

 Mi ha colpito specialmente What, Does It Matter?, composizione di George (Jiří) Mraz, che è una specie di bossa nova survoltata dal percorso armonico filante ma accidentatissimo, speziato da una ricorrente scala a toni interi. L’esecuzione del quartetto è febbrile e che i musicisti stessi l’abbiano considerata il pezzo forte del disco dà indizio il fatto che il lead sheet autografo di Mraz si trovi riprodotto sul retrocopertina.

 Il funky elegante di Big Bad Henry di Hanna sembra concepito e servito per far fare a Mraz figura eccelsa come accompagnatore e come solista. Frank Wess, ai sax e ai flauti, è pari al suo nome, ed è tutto dire.

 Il New York Jazz Quartet, invenzione di Hanna che ne è stato l’elemento stabile, esordì nel 1974 con Hubert Laws, Ron Carter e Billy Cobham e conobbe poi vari cambi d’organico. Questo disco magnifico (che, confesso, è l’unico che io conosca del complesso) mi dimostra come l’attualità di un’enunciato jazzistico non dipenda di necessità dal suo reale o supposto aggiornamento estetico o formale.

 Ed eccoti un omaggio video, perché Roland Hanna mi piace tanto.

 Tee Piece (Hanna), da «Surge», [Enja] Inner City 3011. Frank Wess, flauto; Roland Hanna, piano; George Mraz, contrabbasso; Richard Pratt, batteria. Registrato il 19 febbraio 1977.

 What, Does It Matter? (Mraz), ib. Wess suona il sax tenore.

 Big Bad Henry (Hanna), id

lunedì 3 febbraio 2020

Tingle (Sam Rivers)


 Sam Rivers pianista te l’avevo già fatto sentire? Non credo e rimedio qui. Rivers è ripreso con uno dei suoi complessi più classici a Parigi nel 1977.

 Tingle (Rivers), da «Paragon», Fluid Records. Sam Rivers, piano; Dave Holland, contrbbasso, violoncello; Barry Altschul, batteria. Registrato il 18 aprile 1977.

domenica 2 febbraio 2020

Trying To Find A Way – The Gembhre (Stanley Cowell)


 Mah. Ogni tanto, non spesso, su Jazz nel pomeriggio mi piace presentarti della musica che mi abbia lasciato perplesso o posto qualche assillo all’ascolto. 

 Stanley Cowell è il grande pianista che hai sentito qui diverse volte coi suoi trii, con Max Roach e con Charles Tolliver. Con Tolliver fondò e diresse negli anni Settanta la Strata East, etichetta discografica indipendente e cooperativa che pubblicò dischi significativi del jazz black di quegli anni, quasi tutti interessanti e alcuni bellissimi.

 Ecco, fra i bellissimi, ma anche fra i belli, io non riuscirei a noverare questo di Cowell; fra quelli significativi sì, perché la regeneration del titolo è presumibile sia nel segno di una black music senza delimitazioni interne, che nel disco trascorre da motivi di carattere africano, eseguiti con musicisti e strumenti africani, a un canzone pop-soul anodina.

 Questo genere di sincretismo endogeno è stato ripreso nel jazz in anni recenti, volto piuttosto alle musiche dell’universo hip-hop. Oggi come allora, io non vi trovo interesse musicale; con la differenza che, in questo lavoro di Cowell come in altri coevi e affini sento un afflato sincero di sperimentazione musicale applicata a un’idea, diciamo, politica; in tanti lavori odierni sento la furbizia o il non saper bene che cosa fare.

 Nadi Quamar, che suona il mama lekimbe in The Gembhre, è il pianista Spaulding Givens, noto per alcune incisioni con Charles Mingus.

 Trying To Find A Way (Cowell-McLaughlin), da «Regeneration», Strata-East/Charly CDGR 247. Glenda Barnes, Charles Fowlkes, canto; Jerry Venable, chitarra; Stanley Cowell, sintetizzatore, piano; Aleke Kanonu, grancassa; Billy Higgins, rullante e piatto sospeso; Ed Blackwell, tamburo ad acqua. Registrato il 27 aprile 1975.

 The Gembhre (Higgins), ib. Higgins, gembhre; Cowell, kora; Nadi Quamar, mama-lekimbe, percussioni.

sabato 1 febbraio 2020

Aluminum Baby – Journey/Hollis Stomp/Milan to Lyon (Jaki Byard)


 Aluminum Baby (Byard), da «Blues For Smoke», Candid CJS 9018. Jaki Byard, piano. Registrato il 16 dicembre 1960.