Fu nel 1940-41 che si cominciò a sentir parlare di Charlie Parker, ventenne saxofonista di Kansas City. Dopo qualche esperienza in gruppi locali, Parker era stato assunto dal concittadino pianista Jay McShann, la cui orchestra era allora molto nota e, fra quelle originarie della città del Missouri, seconda solo all’orchestra di Count Basie.
In Hootie Blues le dodici battute di assolo di Parker dimostrano come il suo stile forse per la gran parte già formato alcuni anni prima che qualcuno inventasse il termine bebop; e altrettanto il lungo assolo su Cherokee, un pezzo forte dei primi bopper e specialmente di Parker, che sul suo giro armonico, rititolato Ko Ko, incise nel 1945 il suo assolo forse più famoso (sicuramente lo conosci, ma per un immediato confronto l’ho pubblicato subito dopo).
Direi che i progressi che Parker avrebbe compiuto nei tre o quattro anni a venire sono soprattutto ritmici; qui la sua verve in tal senso è trattenuta in un caso dal contesto orchestrale, nell’altro dall’occasionalità degli sconosciuti accompagnatori. Nota comunque, in Hootie Blues, l’eccellenza della sezione ritmica di McShann, in quel 4/4 lieve ed elastico che è sinonimo di Kansas City e che trovò la sua espressione più famosa nel quartetto ritmico dell’orchestra di Basie (Basie, Freddie Green, Walter Page, Jo Jones). In Cherokee si sente anche chiara la derivazione di Parker da Lester Young.
Hootie Blues (McShann), da «Charlie Parker – A Studio Chronicle», 1940-1948, JSP915A-E. Buddy Anderson, Harold Bruce, Orville Minor, tromba; Joe Taswell Baird, trombone; John Jackson, Charlie Parker, sax alto; Harold Ferguson, Bob Mabane, sax tenore; Jay McShann, piano; Gene Ramey, contrabbasso; Gus Johnson, batteria; Walter Brown, cantante. Registrato il 30 aprile 1941.
Cherokee (Noble), ibidem. Charlie Parker, sax alto; Efferge Ware, chitarra; Little Phil Phillips, batteria. Registrato nel settembre 1941.
Ko Ko [alias Cherokee], ibidem. Dizzy Gillespie, tromba, piano; Charlie Parker, sax alto; Curly Russel, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 26 novembre 1945.
5 commenti:
la cosa impressionante è che parker era praticamente 10 anni avanti rispetto ai colleghi.
nel caso di "koko", io ci sento addirittura molto di ornette.
In Cherokee a momenti sembra di vederlo in una camicia di forza, perché lui sta già suonando, 'grosso modo', sugli accordi alterati che userà poi in Ko Ko mentre il chitarrista, povera anima, gli scandisce stolidamente, "four to the bars", gli accordi fondamentali…
> io ci sento addirittura molto di ornette.
mi fai venire in mente che c'è un punto nel suo assolo su Night in Tunisia, nel concerto della Carnegie Hall del '47, in cui sembra davvero di sentire l'Ornette del '60, e anche in certi live come "Bird at Nick's".
che, poi, ci sarebbe da porsi problemi che rischiano di sconfinare un po' nel metafisico.
parker ha intuito, per una sorta di preveggenza, gli sviluppi futuri del jazz?
tale sviluppo segue uno sviluppo in qualche modo predestinato (era "necessario" che dopo il bebop ci fossero il cool, e l'hardbop, e il modale, ecc. ecc.)?
oppure parker ha solo sviluppato, prima degli altri, alcune possibilità insite nell'idioma jazzistico?
oppure, ancora, sono stati altri a riprendere e sviuppare quelle idee, e quindi ora noi, in retrospettiva, vediamo quelle di parker come "anticipazioni" (cosa che non faremmo se quelle idee fossero rimaste isolate)?
io intanto medito...
errata corrige: "tale sviluppo segue un CAMMINO in qualche modo predestinato"... ecc.
parker ha intuito, per una sorta di preveggenza, gli sviluppi futuri del jazz?
Di sicuro nel contesto jazz dei suoi anni ci stava stretto, donde p.e. l'idea di prendere lezioni di composizione da Edgar Varèse, che pare fosse ben disposto (era un appassionato ascoltatore del jazz) – ma Parker si rese defunto prima.
tale sviluppo segue uno sviluppo in qualche modo predestinato (era "necessario" che dopo il bebop ci fossero il cool, e l'hardbop, e il modale, ecc. ecc.)?
Questioni di filosofia della storia! Non giurerei su questa necessità, tant'è che nella storia del jazz, come di tutte le arti, è possibile individuare alcune strade non percorse ma più che accennate. Ma, dirai tu, non sono state percorse, appunto.
Quello che è certo è che, mentre per paradosso è possibile immaginare la storia del jazz senza Duke Ellington, non la si può immaginare senza Parker (così come puoi immaginare la storia della poesia europea più facilmente senza Dante che senza Petrarca - per dire).
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