sabato 30 ottobre 2021

People, Places & Things – Smokin’ (Fuller)

 Sabato ancora con Curtis Fuller. È un piacevole disco del 1972 con qualche escursione funk. Sono sempre contento quando sento Bill Hardman e Jimmy Heath, ma anche il chitarrista Ted Dunbar, che qui figura sotto il suo primo nome Earl, con il quale non è di norma conosciuto.

 People, Places & Things (Fuller), da «Smokin’» Mainstream 370. Bill Hardman, tromba; Curtis Fuller, trombone; Jimmy Heath, sax tenore; Cedar Walton, piano elettrico; Earl Dunbar, chitarra; Mickey Bass; basso elettrico; Billy Higgins, batteria. Registrato nel 1972.


 Smokin’ (Fuller), id.

giovedì 28 ottobre 2021

A Lovely Way To Spend An Evening (Curtis Fuller)

 Una ballad con il trombone, come migliore non si potrebbe desiderare. Curtis Fuller, quel Bloomsday del 1957,  aveva una sezione ritmica che lévati.

 A Lovely Way To Spend An Evening (McHugh-Adamson), da «The Complete Blue Note/UA Curtis Fuller Sessions», Mosaic. Curtis Fuller, trombone; Bobby Timmons, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Regstrato il 16 giugno 1957.

mercoledì 27 ottobre 2021

Cherokee (Don Byas)

 Don Byas, di cui è trascorso da una settimana l’anniversario di nascita (avrebbe compiuto centonove anni), è uno dei pochissimi nella cui produzione discografica posso pescare a caso, sicuro di non restare deluso. Quando poi pesco fra i suoi dischi americani di metà anni Quaranta, trovo sempre qualcosa che mi fa riflettere.

 Mi piace oggi farti sentire Cherokee, la canzone di Ray Noble che sarebbe diventata in quel decennio un vessillo dei modernisti, suonata da Byas ancora nella fase «alta» del bebop, con una sezione ritmica indistinta e in un contesto che intende presentarsi come bebop ma non riesce a esserlo, a dispetto dell’inserzione nell’arrangiamento di quattro battute di progressione «moderna» (o classicheggiante) fourth up / fifth down (a 1:25 e ancora a 1:37).

Senti come la ritmica, che già arranca al tempo staccato dal saxofonista, arretri stilisticamente di quindici anni, mettendosi addirittura a dividere in due, non appena Byas esce di scena, al minuto 2:08, e lascia solo il pover’uomo del pianista. Don, che un bopper vero e proprio non fu, qui è sicuramente il più moderno dei quattro con il suo fraseggiare scioltissimo.

 Charlie Parker avrebbe registrato la sua versione di Cherokee, Ko-Ko, forse l’assolo più famoso e rivoluzionario di tutto il jazz, sei mesi dopo, il 26 novembre 1945. A me sembra probabile che avesse nelle orecchie questa pionieristica versione di Don Byas.

 Cherokee (Noble), da «Savoy Jam Party», Savoy SJL 2213. Don Byas, sax tenore; Teddy Brannon, piano; Frank Skeete, contrabbasso; Fred Radcliffe, batteria. Registrato il 17 maggio 1945.

martedì 26 ottobre 2021

After Hours (Erskine Hawkins)

 After Hours è uno standard jazz del pianista Avery Parrish, che lo incise nel 1940 in questo disco popolarissimo dell’orchestra di Erskine Hawkins. Horace Silver ha raccontato di aver trascritto e imparato l’assolo di Parrish in quel disco, e David H. Rosenthal (in Hard Bop. Jazz & Black Music, 1992), ha ricordato che «frasi tolte dall’assolo di Parrish e dal repertorio standard di frasette funky (funky licks) del blues e del boogie-woogie emergono in pezzi che pure non sono blues: un elemento dello stile di Silver, questo, che ebbe un impatto incalcolabile su altri pianisti alla fine degli anni Cinquanta. Incorporando materiale delle radici del jazz nella sua musica, [Silver] tramandò molte delle sue frasi preferite, che a tutt’oggi sono parte costitutiva del vocabolario del jazz».

 Di Erskine Hawkins (The Twentieth Century Gabriel) e della sua orchestra ti dirò meglio presto.

 After Hours (Parrish), da «Erskine Hawkins and his Orchestra 1939-1940», Classics 678. Erskine Hawkins, Sammy Lowe, James Harris, Marcellus Green, tromba; Edward Sims, Robert Range, trombone; William Johnson, Jimmy Mitchelle, sax alto; Julian Dash, Paul Bascomb, sax tenore; Haywood Henry, sax baritono; Avery Parrish, piano; William McLemore, chitarra; Leemie Stanfield, contrabbasso; James Morrison, batteria. Registrato il 10 giugno 1940.

lunedì 25 ottobre 2021

Bass Mood – Turmoil (Pete Rugolo & Art Pepper)

 Questa seduta del 1947 mi risulta la prima registrazione di Art Pepper fuori dalla big band di Kenton, nella quale era entrato nemmeno diciottenne nel 1943. 

 Siamo sempre in quell’alveo, perché compongono il settetto tutti musicisti di quell’orchestra; al pianoforte siede Pete Rugolo, il compositore e arrangiatore di molte delle cose migliori di Kenton negli anni Quaranta (fra le altre, Eager Beaver, Concerto to End Alll Concertos, Artistry in Rhythm, Opus in Pastels), che qui mostra l’abilità di far suonare il settetto come una formazione più ampia, con un’insolita profondità di piani sonori. Nei quattro pezzi registrati ha sempre un rilievo particolare il contrabbasso del leader nominale Eddie Safranski.

 Bass Mood, come sentirai subito, è Sophisticated Lady travisata e si svolge sopra una sorta di assolo continuo di Safranski.

 Nell’assolo di Turmoil, composizione in tipica vena rugoliana, Pepper suona come una piacevole convergenza di Benny Carter e Charlie Parker; la somiglianza con Lee Konitz, all’epoca più novizio di Pepper, la direi casuale.

 Bass Mood (Safranski-Rugolo), da «Complete 1947 Small Groups Recordings», Definitive DRCD11217. Ray Wetzel, tromba; Eddie Bert, trombone; Art Pepper, sax alto; Bob Cooper, sax tenore; Pete Rugolo, piano e arrangiamenti; Eddie Safranski, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 20 dicembre 1947.

 Turmoil (Rugolo), id.

sabato 23 ottobre 2021

Body and Soul (Coleman Hawkins)

 E questo, per caso, l’avevi mai sentito?

 Body and Soul (Heyman-Sour), da «The Complete Recordings, 1929-1941», Affinity CD AFS 1026-6. Tommy Lindsay, Joe Guy, tromba; Earl Hardy, trombone; Jackie Fields, Eustis Moore, sax alto; Coleman Hawkins, sax tenore; Gene Rogers, piano; William Oscar Smith, contrabbasso; Arthur Herbert, batteria. Registrato l’11 ottobre 1939.

venerdì 22 ottobre 2021

Wee – In A Sentimental Mood (Charlie Rouse & Stan Tracey)

 Charlie Rouse è stato uno dei solisti più individuali del jazz moderno. Il suo nome è legato inestricabilmente a quello di Monk, del quale è stato sideman e ben più che sideman per moltissimi anni. 

 Non voglio dilungarmi qui perché a Rouse ho dedicato negli anni non pochi post di Jnp. Da uno di questi mi limito a riprendere un semplice compendio di quelli che mi paiono i suoi tratti stilistici principali: «(un) suono asciutto e un po’ abrasivo, (un) fraseggio staccato e asimmetrico, in una cauto e nervoso, che comunica il senso di qualcuno che si muova circospetto, e (…) un’intonazione lievemente crescente». Per saperne di più fa’ clic sul nome di Rouse nella «nuvola» qui a destra e leggerai di come la sua personalità musicale fosse più varia di quanto comunemente si creda. 

 Questo disco lo coglie poco prima della morte insieme con un bellissimo trio ritmico del grande Stan Tracey (per puro caso, a mio giudizio uno dei pianisti più monkiani) e in front line con un formidabile tenorista inglese, Art Themen, che è quando più disforme possa esserci da Rouse, sulla linea dei sax tenori britannici esuberanti alla Tubby Hayes.

 Faccio torto alla finezza del tuo orecchio specificandolo, comunque il primo solista in questi due pezzi è Themen. Stan Tracey quando accompagna è sottile, in assolo è turbolento: in compagnia di questi inglesi, è l’americano ad apparire compassato.

 (Nota di colore: il disco fu inciso a Londra quel 16 ottobre 1987 in cui l’Inghilterra meridionale fu investita dal più spaventoso uragano a memoria d’uomo, raccontato indimenticabilmente da W. G. Sebald nel penultimo capitolo di Gli anelli di Saturno).

 Wee (Dameron), da «Playin’ in the Courtyard. Charlie Rouse with the Stan Tracey Quartet», Steam SJ 116. Charlie Rouse e Art Themen, sax tenore; Stan Tracey, piano; Dave Green, contrabbasso; Clark Tracey, batteria. Registrato il 16 ottobre 1987.

 In A Sentimental Mood (Ellington), id.

giovedì 21 ottobre 2021

I’m Gettin’ Sentimental Over You (Frank Strozier) RELOAD

Reload dal 15 aprile 2011

 

 Ogni volta che lo sento mi persuado meglio che Frank Strozier sia stato (o sia? Chissà se ne risentiremo mai parlare) uno dei maggiori sax contralto del dopoguerra. Eccolo in un disco a nome di Roy Haynes. In Gettin’ Sentimental espone il consunto tema con molto umorismo e il suo assolo è poi di originalità sorprendente: senti le frasi sospese, volutamente inconcluse con cui lo comincia, e la maniera con cui le adagia un po’ in tralice sul tempo (circa da 2:39 a 3:12) e la logica compositiva a cui rispondono, pur nella loro imprevedibilità, con varietà costante di accentuazione e di pattern ritmici e su tutta intera l’estensione dello strumento.

 I’m Gettin’ Sentimental Over You (Washington-Bassman), da «Cymbalism», Prestige/OJCCD-1079-2. Frank Strozier, sax alto; Ronnie Mathews, piano; Larry Ridley, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 10 settembre 1963.

mercoledì 20 ottobre 2021

Lover Come Back To Me – Cheremoya (Conte Candoli & Lou Levy)

 Di tanto in tanto mi piace farti sentire qualche West Coast jazz, da quel periodo del jazz degli anni Cinquanta che una volta, pigliando ciecamente per buona la vulgata storiografica, ignoravo, se non spregiavo addirittura.

 Non che quella sia stata un’età d’oro del jazz, considerando poi quello che era venuto appena prima e che sarebbe venuto subito dopo (e che c’era già simultaneamente, sulla costa Est degli USA): tanti dei tantissimi dischi registrati sotto quell’egida sono d’ indifferente valore. Ma nelle sue buone istanze il «jazz californiano» era swingante e musicalmente rimunerativo, e ad ascoltarlo con le orecchie dei posteri e magari posteri letterariamente inclinati, dietro quella superficie levigata e solatìa era possibile sentire, o immaginare, ben dell’altro.

 Il quintetto schiera alcuni dei migliori della Los Angeles dell’epoca, tutti già sentiti e commentati qui sopra, e il disco tipizza alcuni dei caratteri più apprezzabili del West Coast. Il pianista Lou Levy, in particolare, è un mio pallino.

 Lover Come Back To Me (Hammerstein II-Romberg), da «West Coast Wailers», Collectables [Atlantic] COL-CD-6277. Conte Candoli, tromba; Bill Holman, sax tenore; Lou Levy, piano; Leroy Vinnegar, contrabbasso; Lawrence Marable, batteria. Registrato il 16 agosto 1955.

 Cheremoya (Holman), id.

martedì 19 ottobre 2021

Flim-Flam – Madeline (Rex Stewart)

 Oggi non ho voglia di dire niente, lascio parlare questi quattro.

 Flim-Flam (Stewart), da «Rex Stewart and the Ellingtonians», OJCCD-1710-2 [Riverside]. Rex Stewart, cornetta; Billy Kyle, piano; John Levy, contrabbasso; Cozy Cole, batteria. Registrato nell’autunno del 1946.

 Madeline (Stewart), id.

lunedì 18 ottobre 2021

Bop-Be – Confirmation (Keith Jarrett) (Billy Hart) RELOAD

 Reload dal 20 febbraio 2011. Dove esordisco dicendo «in questo periodo», alludo a quel periodo, dieci anni fa. Il quartetto di Billy Hart si è esibito da poco in alcune città italiane, e in almeno due casi in presenza di lettori di Jnp. 

 

 In questo periodo, come ti sarai accorto, sto riflettendo sulla questione del «repertorio» nel jazz moderno e della reinterpretazione di composizioni jazzistiche del passato.

 Keith Jarrett, che come ogni pianista jazz moderno ha le radici nel bebop (anche se è stato fra quelli che se ne è più cospicuamente allontanato), queste origini ha omaggiato in particolare nell’ultimo suo disco con l’American Quartet, e segnatamente in Bop-Be, un pezzo che a me pare proprio una versione di Confirmation di Parker, con un’alterazione del bridge e con una melodia diversa. Senza rinunciare a nessuna delle sue idiosincrasie e a dispetto di una sezione ritmica in questo senso non idiomatica, la sua è, al cuore, un’esecuzione bebop di classe.

 Quasi trent’anni dopo, Billy Hart con il suo quartetto di giovani cannoni dà di Confirmation una versione, mah, postmoderna?, in cui lo head originale di Parker è mantenuto, anzi, è enunciato con deliberata pedanteria (e per ben tre volte), come Jarrett non faceva, mentre i solisti trattano poi il giro armonico con una molta libertà e discrezione ritmica; Ethan Iverson, che sotto l’assolo di Mark Turner tace, è al suo più astratto e arzigogolato, anche se si concede la civetteria di inserire nel suo assolo una delle citazioni predilette di Parker, la Habanera della Carmen. Se Jarrett dava del bebop una versione elaborata ma di discendenza ancora chiara e non rinnegata, qui la musica di Parker appare definitivamente storicizzata, cioè lontana: tanto che i quattro non hanno sentito, come Jarrett, il bisogno di cambiare titolo.

 Bop-Be, da «Bop-Be», Impulse! IA 9334. Keith Jarrett, piano; Charlie Haden, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nel febbraio 1977.

 Confirmation (Parker), da «Quartet», High Note HCD 7158. Mark Turner, sax tenore; Ethan Iverson, piano; Ben Street, contrabbasso; Billy Hart, batteria. Registrato il 14 ottobre 2005.

domenica 17 ottobre 2021

Outer Surge – Soft Focus (Rick Laird)

 Rick Laird (1941), bassista irlandese, è il solo nome a me noto in questo disco, in cui compare come distinto ospite Joe Henderson (Outer Surge è la sua Inner Urge rititolata).

 Laird è morto tre mesi fa; noto soprattutto come bassista della disamena Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin (1971-73), ha avuto prima e dopo una buona carriera in contesti più mainstream, fra l’altro come house bassist al Ronnie Scott’s di Londra, e in questa seduta a proprio nome del 1976 è veramente bravissimo anche come solista sullo strumento elettrico. Abbandonata la musica attiva nel 1982, Laird si è poi distinto anche come fotografo e come insegnante.

 Il quartetto americano, registrato in Olanda, fa del jazz di eccellente livello, divertente, molto di quegli anni ma che degli anni trascorsi non risente. Mi sembra brillare in particolar modo il pianista Tom Grant.

 Outer Surge (Henderson), da «Soft Focus», Solid CDSOL-6384. Joe Henderson, sax tenore; Tom Grant, piano elettrico; Rick Laird, basso elettrico; Ron Steen, batteria. Registrato nel dicembre 1976.

 Soft Focus (Laird), ib. Senza Henderson; Grant suona il pianoforte.

sabato 16 ottobre 2021

I Got It Bad and That Ain’t Good – Friday the 13th (Thelonious Monk)

 Mi rendo conto che, quando si tratta di jazz, i miei entusiasmi hanno talvolta dell’infantile. Credo lo si debba al fatto che io ho cominciato ad ascoltare il jazz che ero bambino o pochissimo di più, a dodici anni, prima che m’interessassi davvero di qualsiasi altra cosa. È stato il jazz la mia porta sul mondo.

 Per Thelonious Monk ho sempre avuto una passione impetuosa, con qualche picco e nessun avallamento. Un picco alpino lo ebbi in quei tre o quattro mesi del 2011 che mi videro intento alla versione italiana di quella sua portentosa biografia a opera di Robin D.G. Kelley: la mia vita all’epoca solitaria era occupata, quando non dal lavoro, dalla musica di Monk e dal quotidiano esercizio di questo blog.

 Monk è poi stato sempre parte dei miei rari ascolti (io ascolto pochissima musica), ma in questi giorni, in corrispondenza casuale con l’anniversario della sua nascita, sto conoscendo un altro picco, su cui pianto la bandiera del mio entusiasmo incomposto e lietamente bambinesco. Del resto, a me pare che la musica di Monk, che è fra le più razionali, luminose e profonde che io conosca, tenga non poco della gioia e della sorpresa proprie dell’infanzia, e anche dei suoi disperati spaventi.

 Breve: oggi ho voluto offrirti un compendio dell’infinita varietà espressiva della musica di Thelonious Monk e ho scelto prima un’istanza del Monk più sereno e giocoso, poi un’altra, di un Monk più ispido e ossessivo, sensazione corroborata dalla presenza stranissima nel complesso del magnifico Julius Watkins che, con il corno, conferisce all’insieme una qualità sonora otherworldly.

 I Got It Bad and That Ain’t Good (Ellington), da «Thelonious Monk Plays the Music of Duke Ellington», Riverside OJC 24. Thelonious Monk, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Kenny Clarke, batteria. Registrato il 21 luglio 1955.

 Friday the 13th (Monk), da «Thelonious Monk, Sonny Rollins», OJCCD-059-2. Julius Watkins, corno; Sonny Rollins, sax tenore Thelonious Monk, piano; Percy Heath, contrabbasso; Willie Jones, batteria. Registrato il 13 novembre 1953.

venerdì 15 ottobre 2021

Lush Life – Monk’s Mood (Edward Simon)

 Ricompare dopo circa dieci anni su Jnp Edward Simon (1969), pianista e compositore venezuelano che ha svolto in USA una bella carriera, prima come sideman di nomi illustri (ricordo Terence Blanchard e Greg Osby) e poi con complessi suoi, alcuni dei quali vòlti a combinare il jazz con le musiche del Venezuela.

 Tale fusion non è nel programma di questo piano solo recente, che avrebbe ben figurato nella famosa serie pianistica della Maybeck Hall (è anche questa una ripresa dal vivo, a Oakland in California). Simon è un pianista di grande destrezza, classicamente istruito ed esperto nei vari dialetti del mainstream jazzistico e affronta il cimento del piano solo come ci si può aspettare: Lush Life presenta molti appoggi alle tentazioni «concertistiche» che si offrono a un musicista del genere, con la sua melodia continua e ritmicamente fluttuante, in recitativo, che ben si presta a una resa agogica ad libitum, ricca di cadenze e fermate.

 Interessante trovo la versione simoniana di Monk’s Mood, dove interessante va letto come nel famoso malaugurio cinese o preteso tale, «possa tu vivere in tempi interessanti». Mi limiterò a dire – e mi piacerebbe che completassi tu nei commenti, o se no mi contraddicessi – che Edward Simon non è di quei pochi musicisti naturalmente inclinati a interpretare la difficile musica di Thelonious Monk.

 Nel disco, Simon suona anche Monk’s Dream, con esiti di poco migliori.

 Lush Life (Strayhorn), da «Solo Live», Ridgeway Records. Edward Simon, piano. Registrato il 27 luglio 2019.

Monk’s Mood (Monk), id.

giovedì 14 ottobre 2021

Hank’s Prank – My Sin (Hank Mobley)

 Ecco Hank Mobley venticinquenne nel primo disco a suo nome (il live «Newark 1953» ha visto infatti luce postumissima solo qualche anno fa).

 Il lineup è quello degli originali Jazz Messengers, quelli del leggendario live «A Night at Birdland» dell’anno prima, meno Kenny Dorham. Art Blakey risulta più leggero del solito e Horace Silver a me sembra il pianista ideale per stimolare il giovane Mobley, che qui è vivace e spiritoso come rare altre volte sarebbe stato in seguito ma anche già caratterizzato da quella pensosità che a mio giudizio lo apparenta a Wardell Gray, che ti ho fatto sentire due giorni fa.

 Per il mio gusto, e mi piace rimarcarlo ogni volta che te lo presento, pur nell’accidentata sua carriera Mobley è stato il terzo grande del sax tenore negli anni Sessanta, insieme con Shorter, dopo gli ovvî Coltrane e Rollins e prima di Dexter Gordon. 

 Hank’s Prank (Mobley), da «Hank Mobley Quartet», Blue Note. Hank Mobley, sax tenore; Horace Silver, piano; Doug Watkins, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 27 marzo 1955.

 My Sin (Mobley), id.

mercoledì 13 ottobre 2021

A Sense Of Direction (Walt Dickerson)

 Un caro amico mio e di Jazz nel pomeriggio ha subìto la scorsa primavera un brutto colpo alla salute; per fortuna si sta rimettendo bene. Parlo di Paolo il Lancianese, che può ben dirsi una colonna del blog per averlo seguito fin dal primo post (2010), blog a cui ha contribuito spesso con guest post prelibati e commenti eruditissimi.

 Gli offro i miei auguri più affettuosi (ti invito a fare lo stesso nei commenti) e gli dedico questo pezzo di Walt Dickerson, che conoscerà di sicuro perché Paolo è un appassionato del vibrafono.

 (Se, come me, ti fossi fatto qualche domanda sull’oscuro, bravissimo pianista Austin Crowe che si ascolta nei primi dischi di Dickerson, qui potrai leggere un’intervista con Dickerson in cui si parla brevemente anche di lui).

 A Sense Of Direction (Dickerson), da «A Sense Of Direction», New Jazz. Walt Dickerson, vibrafono; Austin Crowe, piano; Eustis Guillemet Jr, contrabbasso; Edgar Bateman, batteria. Registrato il 5 maggio 1961.

martedì 12 ottobre 2021

Taking A Chance On Love – Donna Lee (Wardell Gray)

 Wardell Gray ebbe una vita e una carriera movimentate, la seconda caratterizzata da brevi collaborazioni di alto profilo, sovente interrotte e riprese, e da peregrinazioni da una costa degli USA all’altra, alla fine con una preferenza o forse solo una prevalenza casuale della costa Ovest. 

 Carriera e vita di Gray sembrano quelle di un uomo che si sia abbandonato in balìa del caso. Verrebbe facile e banale parlare di un’occasione sprecata, ma come si fa a dirlo? Ascoltando il suo tenore leggero e concettoso, la declinazione più naturale dello stile di Lester in lingua moderna via Charlie Parker, proprio niente appare di sprecato o poco risolto.

 Qui Gray è ripreso in un ingaggio losangelino del 1952, in compagnia squisitamente californiana. L’atmosfera è senz’altro californiana per il relax che la caratterizza, anche se ha poco, anzi niente, del «jazz californiano» che proprio quell’anno (il primo del quartetto pianoless di Mulligan) cominciava ad affermarsi.

 Taking A Chance On Love (Duke-Latouche), da «Live At The Haig», Fresh Sound FSRCD 157. Wardell Gray, sax tenore, Hampton Hawes, piano, Joe Mondragon, contrabbasso, Shelly Manne, batteria. Registrato il 9 settembre 1952.

 Donna Lee (Davis), id. più Art Farmer, tromba; Howard Roberts, chitarra.

lunedì 11 ottobre 2021

Yellow Violet – Love Nocturne (Andrew Hill)

 Musica suonata esattamente cinquantatré anni fa; musica bella, personalissima, la musica di Andrew Hill nella sua piena fioritura. Di un’espressione così intelligente e pura d’intenti c’è gran bisogno, mi pare.

 Si tratta inoltre, da parte mia, di un omaggio in tralice a Thelonious Monk, che avrebbe finito ieri o l’altrieri centoquattro anni se non fosse morto nel 1982. Andrew Hill è il pianista-compositore che più me lo ricorda, pur non somigliandogli.

 Yellow Violet (Hill), da «Dance With Death», Blue Note. Charles Tolliver, tromba; Joe Farrell, sax soprano; Andrew Hill, piano; Victor Sproles, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato L’11 ottobre 1968.

 Love Nocturne (Hill), id. Ma Farrell suona il sax tenore.

domenica 10 ottobre 2021

Ain’t Misbehavin’ – After You’ve Gone – Imagination (Sonny Stitt) RELOAD

 Reload dall’8 ottobre 2012

    Sarà stato per scrollarsi di dosso il paragone con Charlie Parker se dal 1949 in poi Sonny Stitt si dedicò in prevalenza al sax tenore, strumento sul quale, pur restando entro un'ineludibile orbita espressiva parkeriana, si espresse con personalità ed eloquenza inconfondibili. 

  Stitt si pone senz’altro a fianco di Dexter Gordon come il rappresentante più autorevole dello strumento fra la fine degli anni Quaranta e i primissimi Cinquanta (rappresentante di scuola moderna, s’intende, visto che erano ancora ben attivi Coleman Hawkins, Lester Young e Ben Webster); è chiara, per dire, l’attrazione che dovette esercitare così su Sonny Rollins – con il quale duettò anni dopo nel bellissimo disco a nome di Gillespie «Sonny Side Up» – come su John Coltrane. Il secondo, credo io, dovette prestare attenzione speciale alla velocità d’esecuzione di Stitt sul tenore, che Sonny sapeva controllare con la velocità e a momenti con l’edge lievemente isterica caratteristica del contralto, teste qui l’esecuzione di Ain’t Misbehavin’.

  In After You’ve Gone ti faccio notare la presenza insolita come baritonista di Gene Ammons, un altro sax tenore con il quale Stitt duettò in quel medesimo 1950.

  L’atletica versione di Imagination che chiude la selezione di oggi mostra come il tenorista Stitt non avesse lasciato tuttavia ad arrugginire il contralto.

  (Di Sonny Stitt Jnp ha parlato sovente; un link lo trovi qui sopra alla prima riga, e altrove ho discusso il suo legame musicale con Parker).

  Ain’t Misbehavin’ (Waller-Razaf), da «Prestige First Sessions Vol. 2», Prestige-Fantasy PCD-24115-2. Sonny Stitt, sax tenore; Kenny Drew, piano; Tommy Potter, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 17 febbraio 1950.

  After You’ve Gone (Layton-Creamer), ib. Bill Massey, tromba; Matthew Gee, trombone; Stitt, sax tenore; Gene Ammons, sax baritono; Junior Mance, piano; Gene Wright, contrabbasso; Wes Landers, batteria. Registrato l’8 ottobre 1950.

  Imagination (Burke-Van Heusen), ib. Stitt, sax alto; Junior Mance, piano; Gene Wright, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 15 dicembre 1950.

sabato 9 ottobre 2021

Misterioso – Sixteen (Alexander von Schlippenbach)

 Di queste esecuzioni monkiane di un quartetto di Alexander von Schlippenbach Jnp aveva già parlato giusto un paio d’anni fa.

 Misterioso – Sixteen (Monk), da «Monk’s Casino», Intakt 100. Axel Dörner, tromba; Rudi Mahall, clarinetto basso; Alexander von Schlippenbach, piano; Jan Roder, contrabbasso; Ulli Jennessen, batteria. Registrato nel giugno 2003.

venerdì 8 ottobre 2021

I Can’t Help Lovin’ Dat Man (Ella Fitzgerald)

 I songbook di Ella Fitzgerald (ne dedicò anche a Gershwin, Porter, Rodgers & Hart, Berlin, Ellington) sono indispensabili non solo per la perfezione musicale e la proprietà delle esecuzioni, ma anche perché le canzoni vi sono eseguite in forma completa: comprendono cioè, oltre al chorus, il ritornello sulla cui sequenza armonica i jazzisti sono soliti improvvisare, anche il verse o strofa, o sia quella parte «narrativa» della canzone che colloca la canzone stessa all’interno della situazione drammatica da cui è tolta. Non dimentichiamo che gli standard del jazz vengono per la più gran parte dalle commedie musicali, nelle quali svolgono la funzione dei pezzi chiusi nell’opera sette- e ottocentesca, con il verse come recitativo che introduce l’Aria.

 Ai songbook che Norman Granz produsse per Ella diedero contributi essenziali i direttori musicali, qui Nelson Riddle e altrove Buddy Bregman, con arrangiamenti raffinati che contemperano l’orchestra di fossa di Broadway con la big band jazzistica. 

 I Can’t Help Lovin’ Dat Man (Kern-Hammerstein II), da «Ella Fitzgerald Sings the Jerome Kern Songbook», Verve. Ella Fitzgerald con orchestra arrangiata e diretta da Nelson Riddle. Registrato nel 1963.

giovedì 7 ottobre 2021

Peyote Song No. III (Horace Tapscott)

 Non è che trovi di interesse eccezionale questo pezzo di un’orchestra, anzi Arkestra, di Horace Tapscott, ma non è banale e anzi è abbastanza insolito e serve lo scopo di annunciare con una certa fanfara la riapertura dei lavori, qui a Jazz nel pomeriggio, dopo una pausa di tre mesi, che negli ultimi anni del blog non è nemmeno stata la più lunga.

 Riapro bottega con due obiettivi, opportunistici entrambi: uno, propiziatorio; l’altro, terapeutico, perché l’ultima ventina di mesi sono stati, ovviamente non solo per me, un periodo ispido e ci sono ancora dentro. Possa io e possiamo tutti allontanarcene sul passo, se non altro, ampio e vigoroso di questa composizione in 3, dal drive colossale, di Jesse Sharp.

 Peyote Song No. III (Sharps), da «The Call», Nimbus West Records. Pan Afrikan Peoples Arkestra diretta da Horace Tapscott. Jesse Sharps, Adele Sebastian, Herbert Callies, James Andrews, Kafi Larry Roberts, legni; Archie Johnson, trombone; Red Callender, tuba; Horace Tapscott, piano; Louis Spears, violoncello; Dave Bryant, Kamonta Lawrence Polk, contrabbasso; Everett Brown Jr, William Madison, batteria e percussioni. Registrato l’8 aprile 1978.