venerdì 31 marzo 2017

The Gig – Les Croquants (Dave Douglas) (Herbie Nichols)

 Ricordavo pochi giorni fa Dave Douglas come interprete di Herbie Nichols. Eccolo, ormai ventidue anni fa (!), intepretare con il suo brillantissimo trio Tiny Bell una delle composizioni più originali di quel grande. Sentirai quindi l’editio princeps di The Gig con l’Autore al piano.

 Grande musica: a Herbie Nichols forse non è stata ancora resa piena giustizia e nella sua insignificanza anche Jnp ne ha parlato poco, perché, paradossalmente, la sua musica mi tocca tanto da non saperne che cosa dire. E grande rilettura, da una prospettiva nuova e molto diversa, testimonianza della sensibilità di Douglas e dei suoi e della vitalità inesaurible delle composizioni di Nichols.

 In mezzo, bonus track che non c’entra niente, dallo stesso disco i Tiny Bell suonano una canzone di George Brassens, che come sempre associa una musica melodiosa e soave a versi di acre moralità. In assenza del canto, qui l’acido è demandato alla tromba di Douglas.

 The Gig (Nichols), da «Constellations», hatOLOGY 542. Dave Douglas, tromba; Brad Shepik, chitarra; Jim Black, batteria. Registrato nel febbraio 1995.

 Les Croquants (Brassens), id.

 The Gig, da «The Complete Blue Note Recordings», Blue Note 7243 8 59352 2. Herbie Nichols, piano; Al McKibbon, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il primo agosto 1955.

giovedì 30 marzo 2017

Panonica (Doug Watkins & Donald Byrd)

 La Transition fu un’etichetta discografica che ebbe breve vita nella prima metà degli anni Cinquanta, creatura di Tom Wilson (1931-1978), un produttore discografico nero famoso per aver lavorato con Dylan, Zappa, Simon & Garfunkel e che per la sua piccola e distinta etichetta produsse, fra altre belle cose, Sun Ra e l’esordio discografico di Cecil Taylor.

 Nel 1956 produsse anche queste sedute a nome ora di Doug Watkins ora di Donald Byrd, due giovani talenti di Detroit, poi le vendette alla Blue Note che, secondo un suo strano costume, le nascose in un armadio. Videro infatti postumissima la luce nel 2002. Panonica, di Duke Jordan, è una di alcune composizioni dedicate a Pannonica de Koenigswarter, la «baronessa del jazz» e viene dal primo disco a nome di Doug Watkins, «Watkins At Large».

 Panonica (Jordan), da «The Transition Sessions», [Transition] Blue Note 7243 5405302 3. Donald Byrd, tromba; Hank Mobley, sax tenore; Duke Jordan, piano; Kenny Burrell, chitarra; Doug Watkins, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Registrato l’8 dicembre 1956.

mercoledì 29 marzo 2017

The House Of Blue Lights – My Funny Valentine (Eddie Costa)

 Ecco Eddie Costa, un pianista interessante che nel corso di una carriera molto breve (morì di automobile a trentadue anni, nel 1962) incise moltissimo soprattutto come sideman, distinguendosi anche al vibrafono.

 Come si sente bene in questo blues in minore e poi in Valentine portata a valzer lento, era un impovvisatore rapsodico, tecnicamente ferrato, con un gusto piuttosto truculento e non sempre sorvegliato per i contrasti forti e per le ottave medio-basse dello strumento, a momenti singolarmente poco idiomatico dal punto di vista jazzistico.

 Avevo presentato un pezzo di Eddie Costa qui sopra già anni fa, ma la Universal Music Group in persona, che ridere, me ne aveva imposto la rimozione. Chissà se oggi avranno cose più serie a cui pensare.

NOTA TECNICA: ho abbassato lievemente il tono del fondo della pagina, che non è più bianco smagliante. Si legge meglio così o prima?

 The House Of Blue Lights (Costa), da «The House Of Blue Lights», Dot DLP 3206. Eddie Costa, piano; Wendell Marshall, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nel gennaio o febbraio 1959.

 My Funny Valentine (Rodgers-Hart), id.

martedì 28 marzo 2017

Sleepwalker’s Serenade (Count Basie)

 Che strani gli anni Cinquanta, che strana l’America; che strani gli anni Cinquanta in America. La Bomba, la paura della guerra atomica coloravano la politica e la vita di tutti i giorni; nelle scuole degli USA, come nelle fabbriche e negli uffici, si svolgevano regolarmente esercitazioni per la prevista emergenza, prova a domandarne a qualche americano sulla settantina o a guardare, se già non lo conoscessi, il bellissimo, disturbante film di montaggio The Atomic Cafe (1982).

 E con tutto ciò, la Roulette poteva intitolare allegramente questo disco nel 1958 «The Atomic Mr. Basie» e fargli una copertina così (sottotitolo ineffabile: «E=mc2=Count Basie Orchestra + Neal Hefti Arrangements»). Mica male come ambivalenza, eh?

 Comunque io sono vecchio (non tanto da essere da avere memoria diretta di queste cose, però) e mi ripeto: questo disco celeberrimo mi piace poco, anzi, le sole cose che me ne piacciano sono tre pezzi – cinque, con le alternate takes – arrangiati da Jimmy Mundy.

 Sleepwalker’s Serenade (Mundy), da «The Atomic Mr. Basie», [Roulette] Blue Note 7243 8 28635 2 6. Wendell Culley, Snooky Young, Thad Jones, Joe Newman, tromba; Henry Cocker, Al Grey, Benny Powell, trombone; Marshall Royal, Frank Wess, sax alto; Eddie Lockjaw Davis, Frank Foster, sax tenore; Charles Fowlkes, sax baritono; Count Basie, piano; Freddie Green, chitarra; Eddie Jones, contrabbasso; Sonny Payne, batteria. Registrato nell’ottobre 1957.

lunedì 27 marzo 2017

Night Float – Notions (Gary McFarland)

 Torna a pochi giorni dall’ultimo ascolto Gary McFarland in questo suo riuscito incontro con John Lewis featured soloist del 1962, di cui già ti ho detto.

 Queste non sono composizioni delle più tipiche dello stile di McFarland, sono più brassy del suo solito; io ci sento un omaggio a Lewis e in particolare Night Float mi suona memore di Rouge, uno dei contributi di John Lewis alla tuba band di Miles Davis del 1949 («Birth Of The Cool»; di quella seduta c’è qui anche Gunther Schuller al corno).

 Notions, invece, è il blues.

 Com’è sempre il caso con McFarland, guarda che formazioni da leccarsi i baffi.

 Night Float (McFarland)), da «Essence - John Lewis Plays The Compositions And Arrangements of Gary McFarland», Atlantic 8122-79713-8. Herb Pomeroy, tromba; Gunther Schuller, corno; Eric Dolphy, sax alto; Benny Golson, sax tenore; Jimmy Giuffre, sax baritono; John Lewis, piano; Jim Hall, chitarra; George Duvivier, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato il 25 maggio 1962.

 Notions (McFarland), ib. ma Freddie Hubbard, tromba, al posto di Pomeroy; Nick Travis, Louis Mucci, tromba; Bob Northern, Robert Swisshelm, corno, al posto di Schuller; Mike Zwerin, trombone; Don Butterfield, tuba; Lewis; Billy Bean, chitarra, al posto di Hall; Richard Davis, contrabbasso, al posto di Duvivier; Kay.

sabato 25 marzo 2017

Water Kite (Enrico Rava)

 Torniamo agli umori South of the border di due giorni fa, stavolta molto più quieti e anche più idiomatici, con Enrico Rava in un bel disco di oltre quarant’anni anni fa per la Japo, sussidiaria della ECM. È diviso fra due formazioni, una All Stars di statunitensi (con Jeanne Lee) e un’altra di sudamericani genuini, quella che senti qui.

 Non sono mai andato matto per Rava, ma sulle sue composizioni, in buona compagnia e soprattutto in quegli anni, ha detto una parola personale e spesso suggestiva.

 Water Kite (Rava), da «Quotation Marks», Japo 2360 010. Enrico Rava, tromba; Héctor «Finito» Bingert, sax tenore; Rodolfo Medero, bandoneon; Matias Pizarro, piano; Ricardo Lew, chitarra; El Negro Gonzales, basso elettrico; Nestor Astarita, batteria. Registrato nell’aprile 1974.

venerdì 24 marzo 2017

Stella By Starlight – Visa (Oscar Dennard)

 Del leggendario Oscar Dennard ti ho detto ancora nell’infanzia di questo blog il pochissimo che sapevo. Apprendo da JazzWax, cioè da Marc Myers, che di questo affascinante pianista è da poco emerso qualcos’altro.

 Ripubblico l’ormai annichilato pezzo pubblicato nel 2010, ne aggiungo uno nuovo e faccio il nodo al fazzoletto per riparlare anche di lui. Con l’occasione, dopo Au Privave di due giorni fa, ascoltiamo un altro dei bellissimi blues bebop di Charlie Parker.

 Leggi intanto nel pezzo di Myers tutto quanto c’è da saperne. Io confermo e riporto l’impressione di sette anni fa: «un entusiasmante incrocio fra Errol Garner e il primo Cecil Taylor».

 Stella By Starlight (Young-Washington), da «The Legendary Oscar Dennard», Somethin’else CJ32-5506. Idrees Sulieman, tromba; Oscar Dennard, piano; Jamil Nasser, contrabbasso; Buster Smith, batteria. Registrato a Radio Tangier International, luglio 1957.

 Visa (Parker), id.

giovedì 23 marzo 2017

Milo’s Other Samba (Gary McFarland)

 È senz’altro un limite dei miei ascolti, ma non conosco altri assoli di ottavino nel jazz. Qui ce n’è uno di Jerome Richardson in una composizione-arrangiamento di Gary McFarland che comincia da bossa jazzata come in quegli anni se ne saranno fatte mille ma poi, come in certi pezzi sudamericani di Kenton, si sbilancia, si sfrangia e si spappola in un delirio coloristico di percussioni, impasti e timbri improbabili (l’oboe*, l’ottavino appuno), modulazioni strane, frasi metricamente dislocate e soprattutto frequenze acute, acutissime.

 McFarland era un originale che non si dava pensiero di esserlo, e ne riparleremo. Meglio ancora, lo risentiremo.

* Suonato da Richie Kamuca!

 Milo’s Other Samba (McFarland), da «Profiles», Impulse! A-9112. Bernie Glow, Clark Terry, Joe Newman, Bill Berry, John Frosk, tromba; Bob Brookmeyer, Jimmy Cleveland, trombone; Bob Northern, corno; Jay McAllister, tuba: Phil Woods, Jerry Dodgion, sax alto, flauto; Zoot Sims, sax tenore; Richie Kamuca, sax tenore, oboe; Jerome Richardson, ottavino; Gabor Szabo, Sam Brown, chitarra; Richard Davis, contrabbasso; Joe Cocuzzo, batteria; Tommy Lopez, percussioni; Gary McFarland, vibrafono, direzione. Registrato il 6 febbraio 1966.

mercoledì 22 marzo 2017

Au Privave (Jimmy Smith)

 Gli organisti sono comparsi spesso su Jnp; direi che i principali praticanti dello strumento vi siano passati tutti, certi più di una volta e più di due, e anche qualche minore. E allora è un po’ strano che il più famoso e per comune consenso il più bravo si sia sentito una volta sola, molti anni fa e in un disco neanche tanto significativo, il suo primo.

 La spiegazione è questa: a mio gusto non è Jimmy Smith il migliore degli organisti jazz, anche se può dirsene il più rappresentativo ed è sicuramente un solista di vaglia e storicamente importante; io gli preferisco altri, come Larry Young, Shirley Scott, Trudy Pitts o, per restare in ambito stilistico più affine a quello di Smith, Charles Earland, per dire. Ad ogni modo eccolo qui, Jimmy Smith, in uno dei suoi Blue Note più famosi e migliori, del 1957, in una jam su un blues parkeriano che a me piace molto per il modo particolare, sghembo, in cui la melodia del tema posa sul metro di base.

 Nel blues Smith faceva sempre un figurone, devo dire, anche grazie al basso molto efficace della sua mano sinistra (e dirò anche che la compagnia aiuta, anche se Lou Donaldson ci sta un po’ come il classico vaso di coccio); non così, sempre secondo me, nel resto del repertorio e soprattutto nei tempi medi e lenti, dove tendeva spesso a gremire gli assoli di note con il risultato che, per il noto clic dell’attacco della nota nell’Hammond, strumento il cui suono è già piuttosto materiale, gli assoli risultavano alla fine rumorosi e confusi.

 Au Privave (Parker), da «House Party», Blue Note. Lee Morgan, tromba; Lou Donaldson, sax alto; Tina Brooks, sax tenore; Jimmy Smith, organo; Kenny Burrell, chitarra; Art Blakey, batteria. Registrato il 25 agosto 1957.

martedì 21 marzo 2017

Livery Stable Blues (Original Dixieland Jass Band)

 Manco giusto di un mese il centenario esatto: il 25 febbraio del 1917 usciva uno shellac, un 78 giri, che su un lato aveva Livery Stable Blues e sull’altro Dixieland Jass Band One Step. Passa per essere il primo disco di jazz e credo sia vero; non discuto sul suo valore o su altre questioni pure importanti. Resta il fatto che questo fu il primo disco, in qualunque genere, a vendere un milione di copie e fu il disco che rese noto al mondo questo monosillabo, jazz, che come poche altre cose ha cambiato il mondo.

 A me Livery Stable Blues della Original Dixieland Jass Band piace un casino, mi è sempre piaciuto; non è bello? E chi se ne frega: fra fischi e raschi escono ancora tutti interi lo shock e l’eccitazione che dovette provocare questa musica antigraziosa (altro che il rock) in quell’anno: l’anno, lo ricordo, che vedeva culminare il primo massacro su scala mondiale operato con mezzi industriali e aprirsi così una strada senza ritorno.

  Viva viva l’ODJB e quel cialtrone di Nick La Rocca!

 Livery Stable Blues (Lopez-Nunes), da «Original Dixieland Jazz Band – Tiger Rag», Retrospective. Original Dixieland Jass Band: Nick La Rocca, cornetta: Eddie Edwards, trombone; Larry Shields, clarinetto; Henry Ragas, piano; Tony Spargo, batteria. Registrato il 25 febbraio 1917.

lunedì 20 marzo 2017

Greasy Kid Stuff (Harold Mabern) RELOADED

   Reload dal 2011 

 Harold Mabern è un altro formatosi alla scuola di Memphis, la stessa dalla quale sono usciti, fra molti, Booker Little e Frank Strozier, due comparsi di recente su questi schermi. In questo disco del 1970 apprezzerai lo stile bluesy di Mabern, le sue orecchiabilissime e ingegnose composizioni, Lee Morgan, naturalmente, e Hubert Laws, che si sente di norma suonare il flauto come un fauno e che qui suona un sax tenore sorprendentemente, e molto piacevolmente, gutsy

 Greasy Kid Stuff (Mabern), da «Greasy Kid Stuff!», Prestige PR 7764. Lee Morgan, tromba; Hubert Laws, sax tenore; Harold Mabern, piano; Buster Williams, basso elettrico; Idris Muhammad, batteria. Registrato il 26 gennaio 1970.

domenica 19 marzo 2017

Can’t We Be Friends? – Thou Swell (Buck Clayton)

 Jazz a merenda, un’offerta pomeridiana domenicale di Jnp. Post-promemoria per ricordare a me stesso di parlare una volta o l’altra di Buck Clayton.

 (Bello e inaspettato, dal minuto 03:00 di Thou Swell, il mezzo chorus d’improvvisazione simultanea di tromba, sax e piano).

 Can’t We Be Friends? (James-Swift), da «Buck & Buddy», [Prestige] OJCCD 757-2. Buck Clayton, tromba; Buddy Tate, sax tenore; Sir Charles Thompson, piano; Gene Ramey, contrabbasso; Mousey Alexander, bateria. Registrato il 20 dicembre 1960.

 Thou Swell (Rodgers-Hart), id.

sabato 18 marzo 2017

Tough Touff – Soulsville (Cy Touff)

 Nel jazz come in altri generi e anche in altre arti che non siano la musica, io ho il gusto vagamente pedante, vagamente gramo per lavori di pura scuola, quelli così esattamente e senza residui conformi alle più schematiche definizioni da manuale di uno stile da sembrare quasi composte ex post, sulla base di quel ricettario. Trovarne di così puri in questo senso non è neanche tanto facile ma forse lo è più che altrove nel genere West Coast.

 Direi che Cy Touff, il solista di tromba bassa già visto da queste parti, soddisfi il requisito.

 Ma, ma… Capita che Touff non fosse californiano per niente, ma di Chicago, né lo fosse alcun altro membro del quintetto presente, originari tutti di Massachusetts e Illinois; e che a Chicago il disco sia stato registrato. Questa musica sarà meno «californiana» per questo?

 Dubbi, dubbi…

 Tough Touff (Wilkins), da «Touff Assignment», Argo LP 641. Cy Touff, tromba bassa; Sandy Mosse, sax tenore; Ed Higgins, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Marty Clausen, batteria. Registrato nell’agosto 1958.

 Soulsville (Cohn), id.

venerdì 17 marzo 2017

What Do You Do After You Ruin Your Life – Your Molecular Structure (Mose Allison)

 Mose Allison, a me molto caro come pianista, cantante, compositore e lyricist, ambiti tutti che frequentò con uguale talento e suonava bene anche la tromba, ci ha lasciati giusto quattro mesi fa, poco men che novantenne.

 Chi sa perché, parlando dei grandi cantatutori, singer-songwriter, americani si fanno sempre i soliti tre o quattro nomi, raramente il suo o quello di Dave Frishberg. Boh. Se fossi un rompiballe complottista sospetterei un pregiudizio avverso al jazz o forse all’umorismo (a proposito, does humor belong in jazz?).

 Qui, nel 1976, Mose era con accompagnatori e ospiti di prima classe.

 What Do You Do After You Ruin Your Life (Allison), da «Your Mind Is On Vacation», Atlantic 8122765972. Mose Allison; Jake Hannah, contrabbasso; Jerry Granelli, batteria. Registrato nel 1976.

 Your Molecular Structure (Allison), id. più Al Porcino, tromba; David Sanborn, sax alto; Joe Farrell, sax tenore.

giovedì 16 marzo 2017

Fat’s Flats – Nostalgia (Sam Noto)

 Sam Noto, trombettista nato nel 1930, presentato qui in un anno già lontano.

 In questo disco, contemporaneo a quello proposto allora, ancora per la Xanadu e sempre con Barry Harris, Noto omaggia Fats Navarro non solo con il suo stile sulla tromba ma con due scelte di repertorio, variazioni navarrine rispettivamente su What Is This Thing… e su Out Of Nowhere (la prima è conosciuta anche come Barry’s Bop).

 La sensazione è di ascoltare un disco di «high bebop», bebop puro, anche se fuori tempo: sono bebop, oltre che il fraseggio, l’eccitazione per la velocità e il gusto per la sorpresa, per l’esorbitante, con i quali Noto addirittura trascina un altro bebopper indomito come Harris, uno che certo non aveva bisogno di essere trascinato.

 Bassi colossali di Leroy «the Walk» Vinnegar.

 Fat’s Flats (Navarro), da «Entrance!», Xanadu 103. Sam Noto, tromba; Barry Harris, piano; Leroy Vinnegar, contrabbasso; Lenny McBrowne, batteria. Registrato il 2 marzo 1975.

 Nostalgia (Navarro), ib.

martedì 14 marzo 2017

Monk Suite – House Party Starting (Duo PasCal)

 Senza ritmica né front line ma con il vibrafono, il lezioso e il camerismo finto-MJQ sono in agguato. Il duo PasCal non ci casca. House Party Starting di Herbie Nichols – bellissima scelta – riceve un trattamento simile a quello che alle composizioni di Nichols ha dato Dave Douglas. Nella Monk Suite, tre composizioni sono fatte combaciare armonicamente sulla base di un’unica, elastica pulsazione.

 Monk Suite: Crepuscule With Nellie, Four In One, Think Of One (Monk), da «Tutto Normale», Palomar 24. Duo PasCal: Pasquale Mirra, vibrafono; Domenico Caliri, chitarra. Registrato nel maggio 2009.

 House Party Starting (Nichols), ib.

lunedì 13 marzo 2017

[Guest post #68] Isa Mei & John Carter

 Era da mesi, forse da un anno, che avevo l’intenzione di proporti uno o due pezzi di questo disco di John Carter; e rimandavo.

 Mi toglie dalle more la
Isa Mei (esordiente nel guest post ma scrittrice di jazz navigata) con questa ricognizione del disco intero, scritta con la vivacità di dettaglio che ritrovo nelle sue bellissime incisioni.


«Non sono mai stato in Africa. Amerei andarci per qualche settimana, unirmi ai musicisti locali, forse registrare un disco e fare concerti con loro. È qualcosa che dovrei fare presto».

                                                         (John Carter in un’intervista a Norman Weinstein, 1989)

 Il disco che ti propongo di John Carter (1929-1991), clarinettista, saxofonista, flautista e compositore americano, appartiene alla produzione tra gli anni ’82-’89, un ciclo di cinque dischi in cui Carter sintetizza la storia della musica afroamericana con elementi storici e antropologici di grande impegno e bellezza e a cui ha dato titolo complessivo Roots and Folklore: Episodes in the Development of American Folk Music. I dischi sono  «Dauwhe» (1982), «Castles of Ghana» (1986), «Dance of the Love Ghosts» (1987), «Fields» (1988), «Shadows on a Wall» (1989). La musica è  una miscellanea  tra blues, swing, avanguardia, minimalismo e marce dixie  che convivono intessendosi l’uno nell’altro sapientemente.

 
Il titolo di quest’album, «Castles of Ghana», richiama  le celle, prive di luce e aria, nelle quali gli schiavi venivano ammassati prima di venire deportati. Sofferenza e morte sono interpretati con una tale forza musicale dove i potenti fiati (e sono molti) pare che urlino, insieme alle linee struggenti del violino (Terri Jenoure), al walking e all’improvvisazione del contrabbasso (Richard Davis),  alle percussioni incessanti di Cyrille e alle voci di tutti. Ma suonano anche la dignità e l’orgoglio di una popolazione distrutta dalla barbarie degli uomini bianchi. «Ci sono proiezioni in musica di quelle forti emozioni che devono aver attanagliato tutti coloro che furono coinvolti in questo dramma» (Carter, dalle note di copertina).

 Riporto alcune righe da Jazz e Africa di Luigi Onori: «John Coltrane e John Carter non sono mai stati in Africa: la terra madre della loro gente non li vide sbarcare in nessuno dei suoi luoghi, suonare per nessuno dei suoi popoli. Destino beffardo, venato di crudeltà, perché il sassofonista e il clarinettista americani seppero cantare  l’Africa in modo alto, a tratti sublime: (…) [Carter] ritessendo in pannelli multicolori i fili di una storia rimossa, dalla dea africana della felicità Dauwhe sino allo spappolamento sociale nei ghetti urbani, in piena epoca reaganiana». Ci viene in mente il premiato Moonlight, film di  Barry Jenkins, che tratta quest’ultimo argomento con sapientissimo piglio cinematografico: generazioni nere ridotte allo sfascio, al degrado assoluto.

 Cresciuto in Texas a Fort Worth (la stessa città di Ornette Coleman, Dewey Redman, Charles Moffett, Bobby Bradford, questi presente nel disco), esponente dell’avanguardia jazz e cultore della musica contemporanea, Carter ci fa vivere la disperazione di quegli uomini privati della libertà e schiacciati nella dignità. Trombe e timpani all’unisono dischiudono il brano in Castles of Ghana, in un tema lunghissimo su cui si innestano assoli, motivi jungle, in un crescendo continuo, in un collettivo che suona sempre più violentemente, tumultuosamente fino alla rottura, alla frammentazione dei motivi. Il silenzio, metafora della rassegnazione, della preghiera e del futuro incerto,  contrassegna il secondo brano, Evening Prayer, con frasi melodiche dilatate, voci lontane, balbettii: «ha la fissità di alcuni pezzi di Roscoe Mitchell e la verve paesaggistica del miglior Ellington» ( Luigi Onori).

 Capture evoca Threadgill, la concezione dell’ensemble creata dall’interazione  dei fiati nel sostrato armonico, il cui principio si trova nella voce corale d’insieme. In Threadgill emerge l’aspetto intellettuale, mentre nell’ottetto di Carter percepiamo pathos e motivi disordinati legati alle improvvisazioni del free jazz . Il fraseggio lungo braxtoniano e astratto del clarinetto caratterizza la parte centrale, mentre l’ultima è segnata dalla velocità delle note: le percussioni del virtuoso Cyrille, del contrabbassista Richard Davis che da prova di un senso acuto della pulsazione, della tromba che si intreccia vertiginosamente al clarinetto in una fuga forsennata, metafora della fuga dello schiavo e del gong che ne segna drammaticamente la cattura.

 Castles of Ghana (Carter), da «Castles of Ghana», Gramavision 18 8603-2. Bobby Bradford, cornetta; Baikida Carroll, tromba; Benny Powell, trombone; John Carter, clarinetto; Terry Jenoure, violino; Richard Davis, contrabbasso; Andrew Cyrille, batteria, percussioni. Registrato nel 1985.

 Capture (Carter), ib.

domenica 12 marzo 2017

Where Or When (Lucky Thompson)

 Where Or When (Rodgers-Hart), da «Accent On Tenor Sax», Fresh Sound FSRCD 355. Ernie Royal, tromba; Jimmy Hamilton, clarinetto; Lucky Thompson, sax tenore; Billy Taylor, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato nel 1954.

sabato 11 marzo 2017

Crazy Over J-Z (Lester Young)

 Crazy Over J-Z (Young), da «Pres. The Complete Savoy Recordings», Savoy. Jesse Drakes, tromba; Jerry Eliot, trombone; Lester Young, sax tenore; Junior Mance, piano; Leroy Jackson, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 28 giugno 1949.

venerdì 10 marzo 2017

Miss Ann (Eric Dolphy)

 Quando c’è Eric Dolphy è sempre almeno interessante. Nel 1962 il nostro era at the top of his game (e a meno di due anni dalla morte) e in una formazione molto particolare al Gaslight di NY, locale noto fra l’altro per un famoso live di Bob Dylan di quello stesso anno: Richard Davis, suo collaboratore abituale, presente fra l’altro nei live del Five Spot dell’anno prima; Edgar Bateman, batterista sommo e innovativo, poco noto ai pubblico ma che i devoti di Jnp forse ricordano; e al pianoforte Herbie Hancock ventunenne, appena rivelatosi al mondo.

 Del trombettista Ed Armour so solo dirti che era stata la prima scelta di Dolphy per la front line di «Out To Lunch» ma che di punto in bianco, durante una prova a casa di Dolphy – il racconto è di Bobby Hutcherson –  aveva rimesso la tromba nella custodia ed era uscito fumando dalle orecchie, dopo aver detto all’esterrefatto padrone di casa: «Non mi piaci tu, non mi piace la tua musica e io questo disco non lo faccio». Dolphy fu ridotto a prendere Freddie Hubbard.

 Miss Ann (Dolphy), da «Gaslight 1962», Get Back GET2027. Eddie Armour, tromba: Eric Dolphy, sax alto; Herbie Hancock, piano; Richard Davis, contrabbasso; Edgar Bateman, batteria. Registrato nel luglio o nell’ottobre 1962.

giovedì 9 marzo 2017

Portsmouth Figurations (Gary Burton)

 Anch’io sono al mondo per servire (voi, nella specie) e per nient’altro.

 Portsmouth Figurations (Swallow), da «Duster», RCA 7421 25730 2. Gary Burton, vibrafono; Larry Coryell, chitarra: Steve Swallow, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato nell’aprile 1967.