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mercoledì 13 ottobre 2021

A Sense Of Direction (Walt Dickerson)

 Un caro amico mio e di Jazz nel pomeriggio ha subìto la scorsa primavera un brutto colpo alla salute; per fortuna si sta rimettendo bene. Parlo di Paolo il Lancianese, che può ben dirsi una colonna del blog per averlo seguito fin dal primo post (2010), blog a cui ha contribuito spesso con guest post prelibati e commenti eruditissimi.

 Gli offro i miei auguri più affettuosi (ti invito a fare lo stesso nei commenti) e gli dedico questo pezzo di Walt Dickerson, che conoscerà di sicuro perché Paolo è un appassionato del vibrafono.

 (Se, come me, ti fossi fatto qualche domanda sull’oscuro, bravissimo pianista Austin Crowe che si ascolta nei primi dischi di Dickerson, qui potrai leggere un’intervista con Dickerson in cui si parla brevemente anche di lui).

 A Sense Of Direction (Dickerson), da «A Sense Of Direction», New Jazz. Walt Dickerson, vibrafono; Austin Crowe, piano; Eustis Guillemet Jr, contrabbasso; Edgar Bateman, batteria. Registrato il 5 maggio 1961.

mercoledì 10 ottobre 2018

[Guest post #70] Paolo il Lancianese e Count Basie.


 Ho trascurato a lungo Jazz nel pomeriggio; me ne sono sentito un po’ in colpa verso chi la mattina passava comunque di qui a vedere se ci fosse della musica nuova.  Paolo il Lancianese, l’ascoltatore e collaboratore di più vecchia data di Jnp, amico mio, poeta, pur in un momento per lui difficile ha addirittura trovato la voglia e il tempo di concepire per me e per tutti un guest post e di corredarlo di una poesia di Vittorio Sereni, bellissima da sé, che assume un colore particolare nell’accostamento con la musica che i versi suggeriscono.

Nel mutismo domestico nella quiete
pensandosi inascoltata e sola
ridà fiato a quei redivivi.
Lungo una striscia di polvere lasciando
dietro sé schegge di suono
tra pareti stupefatte se ne vanno
in uno sfrigolìo
i beneamati Scarafaggi.

Passato col loro il suo momento già?

Più volte agli incroci agli scambi della vita
risalito dal niente sotto specie di musica
a sorpresa rispunta un diavolo sottile
un infiltrato portatore di brividi
– e riavvampa di verde una collina
si movimenta un mare –
seduttore immancabile sin quando
non lo sopraffanno e noi con lui altre musiche.

Vittorio Sereni, «Giovanna e i Beatles», da Stella variabile, Garzanti 1981.


 I Wanna Be Your Man (Lennon-McCartney), da «Basie's Beatle Bag», Verve V6-8659. Orchestra di Count BasieAl Aarons, Sonny Cohn, Wallace Davenport, Phil Guilbeau,tromba; Henderson Chambers, Al Grey, Grover Mitchell, trombone; Bill Hughes, trombone basso; Marshal Royal, clarinetto, sax alto; Bobby Plater, flauto, sax alto; Eric Dixon, flauto, sax tenore; Eddie "Lockjaw" Davis, sax tenore; Charlie Fowlkes, flauto, sax baritono; Count Basie, piano; Freddie Green, chitarra; Norman Keenan, contrabbasso; Sonny Payne, batteria; Chico O'Farrill, arrangiamento. Registrato il 3-5 maggio 1966.

 Do You Want To Know A Secret? (Lennon-McCartney), id., ma Count Basie, organo.

sabato 8 aprile 2017

Ev’ry Time We Say Goodbye – No Moon At All (Milt Jackson)

 È l’8 di aprile e come tutti gli anni festeggiamo col vibrafono il compleanno di Paolo il Lancianese, che proprio ieri ha regalato a Jazz nel pomeriggio e a tutti noi un bellissimo commento su Thelonious Monk.

 Paolo non è solo un mio, un nostro amico, ma è anche uno degli ascoltatori e commentatori di questo blog di più vecchia data e di più sperimentata fedeltà, nonché frequente e apprezzato contributore del guest post, in questa veste da ultimo un po’ latitante. Tanti auguri!

PS Milt Jackson con McCoy Tyner?! Sì, Milt Jackson con McCoy Tyner.

 Ev’ry Time We Say Goodbye (Porter), da «In A New Setting», Limelight LM 82006. Milt Jackson, vibrafono; McCoy Tyner, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato il 28 dicembre 1964.

 No Moon At All (Mann-Evans), id. più Jimmy Heath, sax tenore.

venerdì 30 ottobre 2015

[Guest Post #57] Paolo il Lancianese & Serge Chaloff

Oh, bene. La linea d’acqua di questo barcone si abbassa sempre, per maggiore levità del carico, quando il comando ne passa a Paolo il lancianese, che sceglie il jazz e scrive da poeta qual è. Non ci voleva di meno per commentare quest’esecuzione di Serge Chaloff, di intensità emotiva bruciante.

 Qual è lo standard più standard di tutti? Se hai detto Body and Soul hai detto bene. Non è necessario andare sul sito JazzStandards.com per averne la conferma. Di per sé, non sarebbe forse neppure una grandissima canzone, ma dal 1930 ad oggi l’hanno eseguita in mille e più di mille musicisti (da Louis Armstrong e Paul Whiteman, i primi) e in mille e più di mille cantanti (dalla suprema Billie Holiday alla più scalcinata vocalist), anche se per tutti la versione più memorabile, leggendaria addirittura, è quella di Coleman Hawkins del ’39.

 Qui, in JnP, l’hai ascoltata addirittura due volte dal sax tenore di Chu Berry (con Roy Eldridge) e una volta dal sassofono alto di Lee Konitz. Se volessi riascoltarli ancora, non potresti: dormono, dormono sulla collina, sepolti nel cimitero di DivShare. Puoi invece oggi, se ti va, ascoltare il sax baritono di Serge Chaloff che di Body and Soul offre l’interpretazione più struggente che io conosca, di un lirismo alto e doloroso. Chaloff morì giovanissimo: ma di lui non si può dire che, se fosse vissuto più a lungo, sarebbe potuto diventare il più grande baritonista del jazz. Lo era già, a trentaquattro anni. Lo è ancora.

 P.S. Una succinta scheda su Body and Soul puoi trovarla nel libro di Ted Gioia Gli standard del jazz, da poco tradotto in italiano da Francesco Martinelli e pubblicato dalla EDT. Un libro che ha certamente molti motivi di interesse, ma sa essere anche irritante – l’autore essendo uno che ama molto parlare di sé anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Inutile dire che Serge Chaloff non vi è nemmeno nominato.

 Body and Soul (Heyman-Green-Eyton-Sour), da «Boston Blow-Up!», Capitol T 6510. Serge Chaloff, sax baritono; Boots Mussulli, sax alto; Herb Pomeroy, tromba; Ray Santisi, piano; Everett Evans, contrabbasso; Jimmy Zitano, batteria. Registrato a New York il 4 aprile 1955.

martedì 8 aprile 2014

Rodney’s Dream of Fantasy and Self-Fulfillment – Sunset Glow (Double Image)

 Oggi compie gli anni un affezionato e prezioso amico di Jazz nel pomeriggio, Paolo il Lancianese, autore negli anni di diversi poetici guest post e vincitore regolare, finché è durato, del Quiz di Jnp. Auguri, Paolo!

 Il Lancianese ha una passione per il vibrafono e per la sua festa ne propongo a lui e a te un bagno, un’orgia addirittura, con due pezzi di questo quartetto dei tardi anni Settanta, Double Image.

 La double image è quella costituita da David Friedman e David Samuels, già simili nel nome, che suonano entrambi lo scampanante idiofono, alternandolo con l’altro, affine per tecnica e struttura ma assai diverso per suono, la marimba, fra i suoni più autenticamente africani della musica (normalmente, quando uno suona il vibrafono, l’altro suona la marimba).

 Non c’era tuttavia molto di africano nella musica di Double Image, che nel breve spazio della sua attività ottenne un eccezionale riscontro critico. Si capisce perché: in un’epoca di jazz rock abbastanza frastornante, e in uscita dal free storico, la gentilezza sonora, il gioco in chiaroscuro, tutto riflessi acquorei e tavolozze alla Klee o alla Dufy, azzurri e verdi desaturati, dovette giungere di sollievo a molte orecchie. Sorta di corrispettivo sonoro di un acquario ben scenografato e illuminato, ascoltata a tanti anni di distanza quella di Double Image resta una musica elegante ed eseguita benissimo, non molto diversa nelle premesse dalla fusion proposta poco prima da Chick Corea, anche se Aerobats presenta un insolito e promettente spazio di semiastrazione. Negli anni successivi, con ottimo successo, Dave Samuels avrebbe fatto parte degli Spyro Gyra, proponenti una fusion pop piacevole e disimpegnata (e meno interessante).

 Sunset Glow proviene dal secondo album dei Double Image, inciso per la ECM. Con la poetica di quella casa discografica, di cui qui abbiamo discusso anche troppo, la musica di Friedman, Samuels & C. consuona spontaneamente (nel disco, tuttavia, a differenza che nel precedente, non si specifica chi dei due frontmen suoni che cosa).

 Di Samuels, che negli anni Settanta fu anche con Mulligan, s’è detto; Friedman, dopo aver suonato perfino in un disco di Horace Silver, si è dedicato soprattutto all’insegnamento; Harvie Swartz, il contrabbassista, si è accorciato il nome in Harvie S. e ha lavorato molto con Sheila Jordan. Dopo i primi anni Ottanta, quando suonò con Jan Garbarek e altri della ECM, non ho invece trovato più traccia di Michael DiPasqua, batterista e percussionista di grande musicalità.

 Notevole il titolo del primo pezzo.

 Rodney’s Dream of Fantasy and Self-Fulfillment (Friedman), da «Double Image», Inner City 3013. Dave Friedman, vibrafono; Dave Samuels, marimba; Harvie Swartz, contrabbasso; Mike DiPasqua, batteria e percussioni. Registrato il 9 giugno 1977.



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Aerobats (Friedman), id.

 

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Sunset Glow (Samuels), da «Dawn», ECM-1-1146. Formazione come sopra.



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giovedì 20 febbraio 2014

[Guest Post #43] Paolo il Lancianese & Abbey Lincoln

Con il ritorno di un classico e caro ospite di «Jazz nel pomeriggio», sento di poter dire che la programmazione è tornata regolare. Se non succede niente…

 Come conciliare l’amore per il jazz con quello per la grande canzone francese che mi accompagna da quando ero ragazzino? C’è Nina Simone ­­- ma di lei s’è già detto, qui, più di una volta, a proposito della stupefacente versione di Ne me quitte pas, il capolavoro di Brel.
 Ci sarebbe poi Dee Dee Bridgewater (penso in particolare al disco del 2005 «J’ai deux amours») che però è sempre pericolosamente in bilico sulla linea che separa la bravura, quando è eccessiva, dal cattivo gusto.

 Ci saranno poi anche altre voci, chissà quante! Ma in questo momento me ne viene in mente una sola: quella di Abbey Lincoln che canta Avec le temps di Léo Ferré. Una voce che potrà pure sembrarti non ineccepibile (si può dire lo stesso della Simone, del resto, o della suprema Billie Holiday) ma capace di comunicarti sempre un’emozione profonda, di farti partecipe della sua passione (delle sue passioni).

 Avec le temps (Ferré) da «A Turtle’s Dream», Verve 527382-2. Abbey Lincoln con Pat Metheny, chitarra; Rodney Kendrick, piano; Charlie Haden, contrabbasso; Victor Lewis, batteria. Registrato a New York City nel 1994.



sabato 24 agosto 2013

[Guest post #39] Paolo il Lancianese & Tom Harrell

Scorcio finale d’estate. Fioriscono i guest post e appare per la prima volta su Jnp, grazie al Lancianese, Tom Harrell come leader.

 Sono due i Tom Harrell. Li ho visti io, entrambi, in una notte romana di tre anni fa. Quello con lo sguardo smarrito, immobile sul palcoscenico, che quasi sembra neppure ascoltare cosa suonano i compagni, perso in un suo mondo a tutti gli altri precluso. E quello che all’improvviso imbocca il suo strumento e si trasforma in angelo musicante. Qui tacciono gli altri dell’attuale suo gruppo – Wayne Escoffery, Ugonna Okegwo, Jonathan Blake – e, con il solo accompagnamento del piano, Harrell compone una poesia di straordinaria bellezza.

 Roman Nights (Harrell), da «Roman Nights», HighNote HCD 7207. Tom Harrell, flicorno; Danny Grissett, piano. Registrato il 27 novembre 2009.



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lunedì 22 aprile 2013

[Guest post #32] Paolo il Lancianese & Nina Simone

 Il Lancianese ritorna, salvando fra l’altro un lunedì di mia scarsa ispirazione.

 So che qui non si fanno commemorazioni. Ma si può fare, credo, un’eccezione per Nina Simone nel decimo anniversario della morte. Mi piace ricordarla con questa tarda versione di Ne me quitte pas, eseguita durante un concerto tenuto a San Paolo del Brasile il 13 aprile 2000.

 Non è mai stata incisa su disco, per quel che mi risulta, e non conosco i nomi dei musicisti che l’accompagnano. Ma non ha importanza. Meno che mai ha importanza qualsiasi commento che io possa farne. Nina Simone pretende solo di essere ascoltata. Sempre. Anche quando nella sua voce si avverte tutta la fatica di una vita che è diventata via via sempre più insopportabile.

 Ne me quitte pas (Jacques Brel). Nina Simone con acc. sconosciuti. Registrato il 13 aprile 2000.



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sabato 22 dicembre 2012

[Guest Post #28] Paolo il Lancianese & Steve Lacy

La poesia in prosa di Paolo il Lancianese, a lungo assente da questa tribuna, è così bella e musicale che non la voglio appesantire con un commento. Invito solo il colto e l’inclita a cogliere l’endecasillabo sdrucciolo a maiore che vi si cela.

 Lacci? In fondo è proprio questo il jazz, a ben guardare e sentire: una questione di lacci. Che si mescolano, si confondono, si aggrovigliano e quindi vanno lentamente, pazientemente allentati e dipanati e sciolti. Succede con le scarpe (slacciarsele – a dispetto di ogni apparenza – è sempre assai più arduo che allacciarsele). Succede con i fili elettrici di questo maledetto computer che all’improvviso ritrovi pericolosamente attorcigliati. Chi li abbia ingarbugliati non si sa (ma chi vuoi che sia stato?). Non si sa come e perché. Non si sa neppure a chi spetti mettere ordine (non a te, non necessariamente a te). E però sei tu che te ne devi comunque incaricare. È tuo compito l’esplorazione del caos.

 Questo Monk lo sapeva. L’altro giorno ne abbiamo avuto un ulteriore esempio. Evidente. E se si tratta di Monk, è anche sempre una questione di Lacy.

 Evidence (Monk), da «Only Monk», Soul Note Records SN 1160. Steve Lacy, sax soprano. Registrato a Milano il 29-31 luglio 1985.



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martedì 12 giugno 2012

[Guest post #18] Paolo il Lancianese & Kid Ory

 Oh, meno male che qualcuno si ricorda di quell’istituzione di Jazz nel pomeriggio che si chiama il Guest Post. Si tratta di Paolo il Lancianese, da tutti noi apprezzato per i precedenti guesting e per i commenti sempre informativi e pertinenti, e avversato per la sua implacabilità nel risolvere il quiz, istituto, viceversa, perento.

 La scelta di questo pezzo di Kid Ory, un vero e proprio ragtime, non è banale e ancor meno lo è lo svolgimento del post.

 Ah, le Hawaii..., si diceva qualche giorno fa. Per me le Hawaii sono il luogo in cui morì Kid Ory, il cui volto ho incontrato in un documentario che mi è capitato di vedere all’inizio della mia passione per il jazz. Aveva lo stesso sguardo, lo stesso sorriso triste che aveva mio padre, che mio padre avrebbe avuto a sessant’anni, se fosse campato tutti quegli anni e non soltanto la metà. Gli stessi capelli impomatati. Portava in giro per Parigi il suo strumento, si fermava davanti a un locale nella cui insegna lampeggiava la scritta «Storyville», chiudeva un attimo gli occhi e sognava New Orleans, King Oliver, il giovane Louis, Sidney Bechet, quello sbruffone di Jelly Roll Morton…

 Ripensava anche a Orson Welles, senza il quale forse non avrebbe ripreso a suonare, e avrebbe invece continuato ad allevare polli o, peggio, a occuparsi di treni e ferrovie.
 Non è stato il più grande trombonista della storia, lo so. Ma tra i padri fondatori c’è anche lui. E da oggi in poi nella Spoon River che qui a destra si dispiega potrà leggersi anche il suo nome.

 Ory’s Creole Trombone (Ory), da «Kid Ory & His Creole Jazz Band (1922-1947)», Document Records DOCD-1002. Ory’s Sunshine Orchestra: Papa Mutt Carey, cornetta; Kid Ory, trombone; Dink Johnson, clarinetto; Fred Washington, piano; Ed Garland; contrabbasso; Ben Borders, batteria. Registrato a Los Angeles nel 1921.

  

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domenica 25 dicembre 2011

Guest Post #10: Paolo il Lancianese & Umberto Cesàri

  So this is Xmas, and what have you done? Io vi auguro buon Natale, ma appoggiandomi a Paolo il Lancianese che ha fatto per voi una scelta delle sue, completamente abruzzese. Buone feste, cari amici!

  Se, per augurare BUON NATALE a te e a tutti i frequentatori di JnP, ti (vi) propongo di ascoltare Tu scendi dalle stelle: tu che fai, mi prendi per pazzo? La trovi un’idea banale? Kitsch? Anche se a suonare è Umberto Cesàri?

  E chi è Umberto Cesàri?

Non tu mi farai tu questa domanda, che di Cesàri hai qui parlato. Ma sarebbe bello che tanti altri se lo chiedessero, e andassero a trovare qualcosa di lui, e su di lui. Era, detto in due parole, un grande pianista e un personaggio straordinario. Dopo aver guidato aerei e automobili, decise di non uscire più di casa: per guardare il mondo (e per capirlo) basta e avanza la finestra della propria stanza - e un pianoforte. Era abruzzese, e qualcosa vorrà pur dire (ne testimonio io, che son Lancianese). Amava sopra tutti Art Tatum, ma apparteneva alla razza del Monaco.

  BUON NATALE.

  Tu scendi dalle stelle (Alfonso Maria de’ Liguori), da «Il pianista invisibile». Umberto Cesàri, piano. Registrato in casa propria, a Roma, nel 1986 circa.



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mercoledì 29 giugno 2011

[Guest Post #2] Paolo il Lancianese & Mingus

  Bene bene: l’esordio di Valentina vi sta incoraggiando, come speravo. 403 ha promesso addirittura due interventi e ci sarà da divertirsi; e Paolo il Lancianese, il monopolista del quiz, ha mandato addirittura questo suo prezioso lacerto su una scelta preziosissima.

  Mi compiaccio veramente del mio blog: questi primi due guest post quanto di meglio non potessi desiderare. Va detto che, a titolo diverso, sia Valentina sia Paolo (sia 403) sono tutti professionisti della scrittura, e si vede.


  C’è Mingus. C’è Kirk. C’è Mingus che non suona il contrabbasso ma il piano. E che canta (e come canta!). C’è Kirk che suona il manzello. C’è il blues. C’è il passato e il futuro del jazz. C’è la storia. C’è tutto. Come ogni volta che c’è Mingus. E che c’è Kirk. Con loro, e con gente come loro, avviene sempre il miracolo: se ne esce convinti che vincerà la vita, nonostante tutto. Poi magari non sarà così, e anche le balene si spiaggeranno, ma sarà valsa comunque la pena di lottare. «Mingus, Mingus, Mingus: non un nome ma un verbo, il pensiero che diventa azione, spinta interiore» (Geoff Dyer).

  Oh Lord Don’t Let Them Drop that Atomic Bomb On Me (Mingus), da «Oh Yeah», (Atlantic) Rhino 8122737482. Jimmy Knepper, trombone; Booker Ervin, sax tenore; Roland Kirk, manzello; Charles Mingus, piano, canto; Doug Watkins, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria. Registrato il 6 novembre 1961.



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