sabato 31 maggio 2014

Brilliant Corners – Consecutive Seconds (Thelonious Monk)

 È più curiosa che altro questa produzione hollywoodiana (nel vero senso: registrata a Hollywood) della Columbia che mette insieme per obiettivi commerciali piuttosto sconsigliati due musicisti con davvero poco da dirsi come Monk e Oliver Nelson.

 Nelson scrive bene e ci mancherebbe altro, parliamo pur sempre del compositore di un capolavoro come «The Blues and the Abstract Truth», ma equalizza e normalizza senza pietà la musica di Monk in Brilliant Corners, semplificando la melodia e aggiungendo una battuta al bridge, originariamente di sette; e allestisce intorno al pianista un asettico ambiente orchestrale nell’anodina, anzi stupida canzone Consecutive Seconds, incredibilmente composta da Teo Macero, produttore della seduta.

 Monk – privato anche del suo batterista Ben Riley, che non sapeva leggere le parti di batteria scritte da Nelson dalla prima all’ultima nota – si trova ridotto a featured soloist ma ce la mette comunque tutta, suonando benissimo e riuscendo così a conferire un qualche senso al disco.

 Brilliant Corners (Monk) da «Monk’s Blues», Columbia/Legacy CK 53581. Thelonious Monk, piano, con orchestra arrangiata e diretta da Oliver Nelson: Bobby Bryant, Conte Candoli, Freddie Hill, tromba; Lou Blackburn, Bob Bralinger, Billy Byers, Mike Wimberley, trombone; Ernie Small, sax baritono;  Gene Cipriano, Buddy Collette, Tom Scott, ance; Howard Roberts, chitarra; Larry Gales, contrabbasso; John Guerin, batteria. Registrato il 20 novembre 1968.



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 Consecutive Seconds (Macero), id.



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venerdì 30 maggio 2014

Chick’s Tune (Blue Mitchell & Chick Corea)

 Nell’estate del 1964 Chick Corea, ventitreenne da poco, registrò per la prima volta (di tre o quattro) per la Blue Note con il complesso di Blue Mitchell, il delizioso trombettista distintosi soprattutto con Horace Silver, di cui fu il trombettista quintessenziale.

 Corea era già stato in sala d’incisione parecchie volte, a cominciare da due anni prima; questa seduta ne dà un ritratto attendibile a quel punto aurorale della carriera, intento a quello che sapeva fare meglio, cioè un jazz latin inflected che già aveva sperimentato, anche su disco, con Mongo Santamaria, Montego Joe e Dave Pike; e insieme un jazz aggiornato, che gli consente di far valere la sua  ascendenza tyneriana, ancora forte ma già personale nel tocco asciutto, nella varietà ritmica e nella sagacia degli accompagnamenti. Non è tutto, perché in questo pezzo, che chiude il disco, Mitchell gli permette anche di dare conto dell’altro suo grande talento, la composizione. Aloysius Foster è non altri che Al Foster e al sax tenore c’è l’altro insigne silveriano Junior Cook.

 Chick’s Tune (Corea), da «The Thing to Do», Blue Note CDP 7 84178 2. Blue Mitchell, tromba; Junior Cook, sax tenore; Chick Corea, piano; Gene Taylor, contrabbasso; Aloysius (Al) Foster, batteria. Registrato il 30 luglio 1964.



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giovedì 29 maggio 2014

My Romance – Prelude to a Kiss (Brad Mehldau)

 Brad Mehldau è un pianista che mi dice poco, pur essendo bravissimo; del resto, non ho mai pubblicato un pezzo suo e credo che su Jazz nel pomeriggio lo si sia sentito solo in un’occasione, come sideman di Kurt Rosenwinkel.

 Tuttavia l’amica Luciana Coniglio mi ha chiesto che lo facessi sentire e non potrei, dicendole no, continuare a stimarmi una persona educata. Ho selezionato non da certe sue recenti o semirecenti imprese ambiziose e strane, ma dal suo disco d’esordio in trio, ormai di quasi vent’anni fa.

 A Mehldau danno grandissimo fastidio i paragoni, che sempre si sono fatti, del suo stile con quello di Bill Evans. Da una parte un’influsso c'è, e il programma di questo disco ha una canzone che a Evans è associata indissolubilmente, My Romance; ma proprio sentendolo nella canzone di Rodgers & Hart, di cui Mehldau, a differenza di Evans, esegue anche il verse, bisogna dire che le somiglianze sono molto più circoscritte e meno significative di quanto si è voluto vedere: ritmicamente, Mehldau è infinitamente più semplice e meno interessante di Evans; armonicamente e timbricamente, i suoi voicing sono assai più stretti e le parti d’armonia normalmente non suddivise fra le due mani. Il tocco, semplicemente, è meno raffinato di quello di Evans, e parecchio. Ma il fatto è che il confronto con Evans temo proprio sia stato suggerito da una volgare analogia extramusicale, che tuttavia, per fortuna, credo non trovi più da tempo ragione.

 Segue un capolavoro ellingtoniano. Mehldau enuncia l’una e l’altra canzone con caratteristica asciuttezza, delineando i temi in modo semplice e sgranato, volutamente quasi inespressivo, concludendo Prelude con una coda contrappuntistica ingegnosa ma di piuttosto futile e incongrua. Come sempre con questo pianista, io ne ricevo l’impressione che si stia facendo i fatti suoi al pianoforte, senza molto interesse a comunicare con chi lo ascolta.

 Nota di costume: con questo disco s’iniziò una breve voga di mettere in copertina dei dischi di un pianista il titolare – più raramente il complesso intero – seduto a un diner, davanti alla vetrina, con una tazza di caffé innanzi o in mano e lo sguardo assorto nel vuoto.

 My Romance (Rodgers-Hart), da «Introducing Brad Mehldau», Warner Bros. 9362-45997-2. Brad Mehldau, piano; Larry Granadier, contrabbasso; Jorge Rossy, batteria. Registrato il 13 marzo 1995.

 Prelude to a Kiss (Ellington), ib. ma Brian Blade, batteria, al posto di Rossy. Registrato il 3 aprile 1995.


mercoledì 28 maggio 2014

Trouble in the East (Ornette Coleman)

 I flauti sono astrattamente esotici nell’Oriente di Ornette, ma senza sospetto di orientalismo. «Crisis», una registrazione dal vivo del 1969, è uno dei suoi dischi più belli.

 Trouble in the East (Coleman), da «Crisis», Impulse! A9187. Ornette Coleman, violino; Don Cherry, cornetta, flauto indiano; Dewey Redman, sax tenore, clarinetto; Charlie Haden, contrabbasso; Denardo Coleman, batteria. Registrato il 22 marzo 1969.



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martedì 27 maggio 2014

[Guest Post #46] Sergio Pasquandrea & Steve Lacy

 Sergio Pasquandrea è al lavoro su Steve Lacy, come ci spiega; nell’attesa di apprezzare il risultato della sua fatica possiamo goderci, insieme con queste sue osservazioni a latere, due pezzi magnifici del grande sopranista (quanto a Errol Garner, incassiamo la critica e promettiamo di riparare presto).

 Il nostro beneamato blogger è reduce da quella che lui stesso definisce «un’abbuffata di Bill Evans». Per quanto io ami Evans, capisco che l'esperienza non dev’essere stata facile. 
Per prestargli una mano amica, avevo intenzione di proporre qualcosa di un musicista che, ad ogni ascolto, ha sempre l'effetto di instillarmi allegria: Erroll Garner. Nome, fra l'altro, singolarmente latitante da questo blog. E non è detto che, prima o poi, non lo faccia.

 Però, c’è anche il fatto che io stesso, per motivi – credo – analoghi a quelli di Marco, sono reduce da una simile ubriacatura. Negli ultimi tempi, ho ascoltato intensivamente Steve Lacy. Non tutto, perché la sua produzione è notoriamente sterminata (credo che i soli titoli a suo nome ammontino ad almeno centocinquanta, e la stima è senz'altro per difetto), ma diciamo che mi sono ripercorso molte delle sue cose più importanti. Ho anche letto parecchie sue interviste, e intervistato io stesso musicisti che con lui hanno avuto rapporti lavorativi e umani.

 Risultato: Lacy mi rimane tuttora impenetrabile. È uno dei musicisti più personali della storia del jazz, riconoscibile dopo due o tre note: però la sua musica mi appare come un prisma dalle infinite facce, del quale vedo con assoluta chiarezza la superficie, ma non riesco (ancora?) a intuire l'interno.

 Vi propongo due brani che provengono dalle estremità opposte della sua discografia e che lo vedono entrambi in compagnia di uno dei suoi sodali di più lungo corso: Mal Waldron. Combinazione già incontrata più volte qui su JnP, e che è sempre una sicurezza e un bel sentire.
Four In One è tratto dal secondo titolo a suo nome, di cui Marco fece già sentire un brano in tempi non recentissimi. Da notare la scioltezza con cui Lacy (ventiquattrenne, già padrone di un sound del tutto definito) affronta una delle più intricate composizioni del corpus monkiano. Waldron, da parte sua, confeziona un assolo insolitamente facondo.

 Smooch proviene da uno dei primissimi dischi di Lacy che io abbia mai ascoltato, edito dalla più che benemerita Soul Note.

 Four In One (Monk), da «Steve Lacy Plays Thelonious Monk. Reflections», Prestige/New Jazz OJCCD-063-2 (NJ-8206). Steve Lacy, sax soprano; Mal Waldron, piano; Buell Neidlinger, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 17 ottobre 1958.



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 Smooch (Mingus-Davis), da «Communiqué», Soul Note 121298-2. Steve Lacy, sax soprano; Mal Waldron, pianoforte. Registrato l’8 o il 9 marzo 1994.



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lunedì 26 maggio 2014

Rosetta – S ’bout Time (Don Patterson & Booker Ervin)

 Affiancato all’organo Hammond, strumento prepotente, dal suono battente e duro come una testa di martello, Booker Ervin ha una ragione di più per sfoderare la sua maniera gladiatoria, tutta forte e sgranata, priva di grazia e del riserbo che parrebbe doveroso per chi è ospite in casa altrui: la seduta, infatti, è una delle molte pubblicate per la Prestige dall’organista Don Patterson (1936-1988), che, pur roccioso ed elettrificato (ed è il massimo che se ne possa dire), per poco non viene travolto da quel vero sicario del sax tenore.

 Rosetta è proprio la famosa composizione di Earl Hines, qui aggiornata all’anno 1964 e a questa tipica formazione di cui  in quegli anni ce n’era a dozzine, nei bar dei ghetti neri della grandi città del Nord degli USA.

 Rosetta (Hines), da «Hip Cake Walk», [Prestige] Groove Hut Records GH 66708. Booker Ervin, sax tenore; Don Patterson, organo; Billy James, batteria. Registrato il 12 maggio 1964.



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 S ’bout Time (Patterson), id.



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domenica 25 maggio 2014

Pool: Ashes – Tchorb (Rake)

 «Più free jazz canadese! PIÙ FREE JAZZ CANADESE!!!» è l’esortazione che mi arriva da ogni parte. E va bene, ecco il free jazz del trio Rake (Ottawa), roba di quasi vent’anni fa, secondo me ancora abbastanza interessante, così abbandonata com’è alla suggestione del suono. Il saxofonista David Broscoe produce suoni spropositati, ma non è l’energumeno che ci si potrebbe aspettare, non è un Brötzmann; il suo spettro di suoni spaventosi e spurii va da una specie di ripieno organistico (Pool: Ashes) al quasi estroverso (Tchorb).

 PS Quando infilo questo CD nel Mac, iTunes lo identifica di genere «Dance & House». Se ci ballerai sopra, ti prego di filmarti e di postare su Youtube. Grazie.

 Pool: Ashes (Broscoe-Gullikson-Magill), da «Rake», Spool SPL108. Rake: David Broscoe, fagotto, sax tenore; Rory Magill, contrabbasso, percussioni; Jamie Gullikson, batteria e percussioni. Registrato l’8 novembre 1997.



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 Tchorb (Broscoe-Gullikson-Magill), id.



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sabato 24 maggio 2014

I’ve Got My Love To Keep Me Warm – Passport (Peter Beets)

 Non ha niente di innovativo e di nemmeno remotamente avventuroso il jazz dell’olandese Peter Beets (1971) – figurarsi, è un devoto di Oscar Peterson – , ma con una ritmica neroamericana ferratissima swinga veramente forte e bene su una canzone di Irving Berlin e su uno dei più noti «rhythm changes» di Charlie Parker, a sua volta contraffatto con gusto.

 I’ve Got My Love To Keep Me Warm (Berlin), da «New York Trio Page 3», Criss Cross 1264 CD. Peter Beets, piano; Reginald Veal, contrabbasso; Herlin Riley, batteria. Registrato il 12 ottobre 2004.



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 Passport (Parker), id.



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venerdì 23 maggio 2014

Looking Ahead – Matilde (Booker Little)

 Non ho davvero tutte le parole che servirebbero per dire che cosa mi suscita l’ascolto della musica di Booker Little, ma del resto non c’è bisogno che ne dica niente.

 Come tutti i più grandi artisti, per esempio il suo amico e collaboratore Eric Dolphy, Little disse una parola che era solo sua e che non era mai stata detta prima da nessuno, nel jazz. Né sono certo che quella parola sia mai stata raccolta da altri (anche se ho pensato a Booker di recente riascoltando lo stupefacente «Castles of Ghana» di John Carter: ne riparleremo), come del resto quella di Dolphy.

 Di questo disco non meno che emozionante per invenzione, esecuzione e intensa umanità, voglio notare che lo produsse Teddy Charles, che di Little era stato leader e che anche in questa veste si conferma come un’eminenza grigia del jazz moderno, un musicista intelligentissimo. Fu registrato nel settembre del 1961, con Booker nella fase terminale e dolorosa della sua malattia. Sarebbe morto il 5 ottobre successivo, a ventitre anni.

 Looking Ahead (Little), da «Victory And Sorrow», Betlehem BCP-6034. Booker Little, tromba; Julian Priester, trombone; George Coleman, sax tenore; Don Friedman, piano; Reggie Workman, contrabbasso; Pete LaRoca, batteria. Registrato nell’agosto o settembre 1961.



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 Matilde (Little), id.



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giovedì 22 maggio 2014

Stylin’ (Bobby Hutcherson & Harold Land)

 Oggi si compie il quarto anno di pubblicazione di Jazz nel pomeriggio e io, poco inventivo come sempre, celebro con un pezzo dell’artista che inaugurò il blog il 22 maggio del 2010 e che vi manca da un bel po’, Bobby Hutcherson. Questo bellissimo disco, per la verità, è a nome di Harold Land; ne ho scelto un blues convenientemente festoso.

 Molto graditi gli auguri nei commenti!

 Stylin’ (Land), da «The Peace-Maker», Cadet LPS 813. Harold Land, flauto; Bobby Hutcherson, vibrafono; Joe Sample, piano; Buster Williams, contrabbasso; Donald Bailey, batteria, armonica. Registrato l’11 dicembre 1967 o il 26 febbraio 1968.



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mercoledì 21 maggio 2014

My Romance – Have You Met Miss Jones? – Give It Back To the Indians (Ella Fitzgerald)

 C’è, nel repertorio della canzone americana, un book complessivamente più splendido e vario di quello di Richard Rodgers e Lawrence Hart? Non lo so, ma inclino a dubitarne, e mi piacciono molto le parole di Oscar Hammerstein II che leggo nelle note di questo disco: «Che belle canzoni. Non sono solo gli autori che ne possono andare orgogliosi. Tutti noi possiamo essere orgogliosi che siano state scritte nel nostro Paese e nei nostri anni».

 E dell’American songbook, nel suo complesso, c’è interprete più completa e idiomatica di Ella Fitzgerald? Io penso di no.

 Oggi sentirai due canzoni famosissime di Rodgers & Hart e una molto meno famosa, divertente. Con Ella, che esegue anche i verse (le strofe) delle canzoni, di solito omessi nelle esecuzioni jazzistiche, siamo sempre ai piani alti dell’interpretazione vocale del Novecento; le orchestrazioni di Buddy Bregman non sono jazzistiche ma in stile Broadway, e naturalmente è giusto così.

 My Romance (Rodgers-Hart), da «The Rodgers and Hart Song Book», Verve 825 024-2. Ella Fitzgerald con orchestra arrangiata e diretta da Buddy Bregman. Registrato nell’agosto 1956.



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 Have You Met Miss Jones? (Rodgers-Hart), id.



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 Give It Back To the Indians (Rodgers-Hart), id.



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martedì 20 maggio 2014

Klactoveedsedsteene (Charlie Parker)

 Un grande classico ogni tanto non può far male; a parte che ci sarà sempre quello che non l’ha mai sentito.

 Klactoveedsedsteene (Parker), da «Charlie Parker – A Studio Chronicle», 1940-1948, JSP915A-D. Miles Davis, tromba; Charlie Parker, sax alto; Duke Jordan, piano; Tommy Potter, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 4 novembre 1947.



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lunedì 19 maggio 2014

Straight Up and Down (Eric Dolphy)

 In una conversazione internet, molto recentemente, è venuto fuori che qualcuno (più di uno) considera «Out to Lunch» di Eric Dolphy disco inascoltabile, insopportabile, addirittura degno di un’immaginaria raccolta differenziata delle immondezze discografiche insieme a Queen, Guccini, Sex Pistols, altri così.

 Io invece considero «Out to Lunch» il disco di jazz più bello e più importante degli ultimi cinquant’anni, fatta eccezione per due o tre cose di Duke Ellington, e sono persuaso che chi non lo apprezza è perché non gli ha mai voluto dedicare l’attenzione che esso reclama. Eric Dolphy, a chi non stia meglio che attento, non regala niente.

 Straight Up and Down (Dolphy), da «Out to Lunch», Blue Note CDP 7 46524 2. Freddie Hubbard, tromba; Eric Dolphy, sax alto; Bobby Hutcherson, vibrafono; Richard Davis, contrabbasso; Tony Williams, batteria. Registrato il 25 febbraio 1964.



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domenica 18 maggio 2014

Santa Claus Is Coming to Town (Bill Evans)

 OK, finisce con un lazzo la Bill Evans binge di queste ultime settimane, che, dico il vero, ha minacciato la saldezza già di norma non granitica del mio buonumore. Non ne dò ovviamente la colpa a Bill Evans, ma ora avrò bisogno di seguire un percorso di riabilitazione a base di Hampton Hawes e di Wynton Kelly.

 Santa Claus Is Coming to Town (Coots-Haven Gillespie), da «The Complete Bill Evans On Verve», Verve Records 314 527 953-2. Bill Evans, piano; sconosciuto, chitarra; Chuck Israels, contrabbasso. Registrato il 23 agosto 1964.



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sabato 17 maggio 2014

Drought – Effi (Charles Tolliver)

 Stanley Cowell compose il valzer Effi quando suonava con Max Roach; il pezzo sarebbe rimasto nel repertorio del batterista, così come in quello di Charles Tolliver, altro ex-roachiano, è restata sempre ’Round Midnight a supervelocità: io ricordo di avergliela vista suonare così in trio nel… tanti anni fa, con Wilbur Little e Alvin Queen, e ancora pochi anni or sono con la sua bella big band.

 Questo quartetto, come tutti i complessi di Tolliver di quegli anni, suona con grandissima energia e pulizia, e Stanley Cowell è sempre una gioia da sentire. Al contrabbasso il formidabile Clint Houston, già sentito qui sopra con Joanne Brackeen e Carter Jefferson.

 Effi (Cowell), da «Live in Tokyo», Strata-East SES 19745. Charles Tolliver, tromba; Stanley Cowell, piano; Clint Houston, contrabbasso; Clifford Barbaro, batteria. Registrato il 7 dicembre 1973.



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 ’Round Midnight (Monk-Williams-Hanighen), id.



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venerdì 16 maggio 2014

Tribal Dance – Sunday Morning – Here There and Everywhere (Charles Lloyd)

 A me Charles Lloyd non piace; mi sembra uno che dice, con molta ruffianeria, cose che tutto sommato non valgono la pena d’esser dette. Una rilevanza storica ce l’ha forse nell’essere stato il primo banalizzatore dello stile di Coltrane.

 Ogni tanto mi viene il dubbio di essermi sbagliato su di lui; riascolto qualcosa e decido che no, non mi sono sbagliato. Eccotelo qui con il suo storico quartetto (non si può dire che non sapesse scegliersi i sidemen). Tribal Dance è tipico Lloyd; Sunday Morning è un precoce esempio di Jarrett compositore con un orecchio per il gospel; Here There and Everywhere è una ruffianata in piena regola.

 E con questo, a Charles Lloyd, almeno su Jazz nel pomeriggio, non ci pensiamo più.

 Tribal Dance (Lloyd), da «Love-In», Collectables COL-CD-6362. Charles Lloyd, sax tenore; Keith Jarrett, piano; Ron McClure, contrabbasso; Jack DeJohnette, batteria. Registrato nel gennaio 1967.



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 Sunday Morning (Jarrett), id.



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 Here There and Everywhere (Lennon-McCartney), ib. ma Lloyd suona il flauto.



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giovedì 15 maggio 2014

Speaking of Sounds (Count Basie)

 Qualcuno, ma forse solo una delle voci nella testa, mi ha detto che non faccio mai sentire Count Basie. Mai è un’iperbole e a ridimensionarla basta guardare nella «nuvola» qui a destra, però poco sì, anche se non tanto tempo fa Basie l’hai sentito da giovane come pianista di Bennie Moten. Non c’è sicuramente malanimo dalla mia parte: il Conte mi è caro come dovrebbe essere a chiunque; ne ho perfino tradotto l’autobiografia.

 In breve, eccolo qui nel suo caratteristico formato dei tardi anni Cinquanta, che era in una potente e raffinato, a volte vicino al lezioso. Non tanto in questa bellissima partitura di Thad Jones, che impiega insolitamente una sezione di legni (tre clarinetti e un flauto) al posto dei sax (sì, lo so che anche il sax è un legno), lasciando un sax in mano soltanto a Billy Mitchell, autore peraltro di un assolo. Nota anche come Freddie Green, l’elemento costante di tutte le sezioni ritmiche basiane, qui abbia lasciato la chitarra per le maracas.

 Speaking of Sounds (Jones), da «The Complete Roulette Studio Recordings of Count basie and His Orchestra», Mosaic MD10-149. Thad Jones, Snooky Young, Wendell Cully, Joe Newman, tromba; Henry Coker, Al Grey, trombone; Benny Powell, trombone basso; Marshall Royal, Frank Foster, clarinetto; Charles Fowlkes, clarinetto basso; Billy Mitchell, sax tenore; Count Basie, piano; Eddie Jones, contrabbasso; Sonny Payne, batteria; Freddie Green, maracas. Registrato il 10 dicembre 1958.



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mercoledì 14 maggio 2014

But Not For Me – Satin Doll (Bill Coleman)

 Bill Coleman (1904-1981) lavorò intensamente con varie band di nome (Luis Russell, Benny Carter, Lucky Millinder) fino al 1935, quando si trasferì a Parigi, da lì spingendosi fino al Cairo e addirittura in India. Tornato negli USA nel 1940, lavorò e registrò sempre in buona compagnia fino al ’48, quando traslocò definitivamente in Francia, dove sarebbe diventato molto popolare, finendo per meritarsi o la Legion d’Onore o consimile patacca.

 Era un musicista elegante nel suono e nel fraseggio, e moderno per la sua generazione. Qui in particolare, ripreso nel 1967 a Londra con quattro anonimi inglesi, Coleman mi ricorda non tanto vagamente Clark Terry (in Satin Doll canta anche: i trombettisti di una volta, per l’esempio di Armstrong, raramente vi rinunciavano).

 But Not For Me (Gershwin), da «Swingin’ in London!», Black Lion BL-128. Bill Coleman, tromba; Fred Hunt, piano; Jim Douglas, chitarra: Ron Rae, contrabbasso; Lennie Hastings, batteria. Registrato il 27 aprile 1967.



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 Satin Doll (Elington-Strayhorn-Mercer), id.



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martedì 13 maggio 2014

Lady Gail – Street of Dreams (Lucky Thompson)

 Quando uno invecchia, le idee, come i capelli, si fanno più rade ma, a differenza di quelli, anche più tenaci. Soprattutto alcune si fanno ricorrenti, e siccome anche Jazz nel pomeriggio, come chiunque non si estingua, invecchia, ecco che torna a proporti quello che sta diventando una sua idea fissa (Bill Evans ricorre più che altro per una ragione contingente), cioè Lucky Thompson.

 So che questo grande ti è molto gradito quindi non ti farò perdere altro tempo nell’introdurre i due pezzi dove Lucky suona luminosamente il sax soprano, di cui fu uno dei pochissimi praticanti moderni prima di John Coltrane. René Thomas (Street of Dreams), belga, compare per la prima volta su Jnp. È considerato da molti il miglior chitarrista di jazz europeo.

 Lady Gail (Thompson), da «A Lucky Songbook in Europe», MPS 15 231. Lucky Thompson, sax soprano; Ingfried Hofmann, organo; Sadi, vibrafono; Eberhard Weber, contrabbasso; Stu Martin, batteria. Registrato il 13 marzo 1969.



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 Street of Dreams (Thompson), ib. ma senza Sadi e con René Thomas, chitarra.



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lunedì 12 maggio 2014

Some Other Time – Vindarna Sucka (Bill Evans & Monica Zetterlund)

 Bill Evans era un accompagnatore ideale di cantanti, veste nella quale tuttavia si è sentito poco. In molti conoscono la sua collaborazione con Tony Bennett, degli anni Settanta, ma del decennio precedente è un’altra molto interessante e riuscita con la svedese Monica Zetterlund.

 La Zetterlund (1937-2005) aveva una voce piccola, screziata di microinflessioni, che già dal registro medio-alto si faceva lievemente, gradevolmente ingolata. Qui canta Some Other Time, la struggente canzone di Leonard Bernstein e Betty Comden-Adolph Green, dal musical «On the Town», ch’è una delle canzoni più belle mai scritte, anche con riguardo alle parole. Evans ne fu un grande interprete, la canzone anzi sembrava scritta perché la suonasse lui, e infatti la incise almeno altre tre volte: in «Everybody Digs Bill Evans», il secondo disco a suo nome, nel live del Village Vanguard con LaFaro e, appunto, con Tony Bennett. Bill vi usava sempre come introduzione le battute iniziali della sua Peace Piece, che sono poi le medesime di Flamingo Sketches («Kind of Blue»).

 La versione di Monica Zetterlund è antitetica a quella che di Some Other Time darà con Evans Tony Bennett: questi è intenso, melodrammatico, a momenti stentoreo, e quando ripete «we’ll catch up some other time» ne appare davvero persuaso. La Zetterlund è malinconicamente svagata (nota i suoi «oh well…» quasi parlati) e il suo «some other time» significa, è impossibile dubitarne, «never ever».

 Com’è naturale, l’arte della Zetterlund risplende ancora meglio applicata alla sua lingua materna. Vindarna Sucka («i venti sospirano») è un canto popolare svedese che l’arrangiamento suppongo di Evans, nella scura tonalità di si bemolle minore, riveste della chiusa tristezza scandinava di un Lied di Grieg.

 Some Other Time (Bernstein-Comden-Green), da «The Complete Bill Evans On Verve», Verve Records 314 527 953-2. Monica Zetterlund con Bill Evans, piano; Chuck Israels, contrabbasso; Larry Bunker, batteria. Registrato il 23 agosto 1964.



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 Vindarna Sucka (Trad.), id.



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domenica 11 maggio 2014

Freely – Grinding to the Miller Men (Django Bates)

 Capriccio domenicale, whimsical nella composizione e nelle sonorità, di un giovane Django Bates. Bates compositore ha la dote, che qualche giorno fa osservavo in Red Allen improvvisatore, di far apparire immediate e spontanee invenzioni complesse e a volte lunatiche. Lui e Steve Argüelles nel secondo pezzo sono raggiunti da Dudu Pukwana, che fu brevemente caporchestra di Bates.

 Freely (Bates), da «Human Chain», AH-UM 002. Django Bates, sintetizzatore, piano; Steve Argüelles, batteria, percussioni. Registrato nella primavera del 1986.



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 Grinding to the Miller Men (Emmett), ib. Bates, piano, tromba e flicorno tenore; Dudu Pukwana, sax alto; Argüelles.



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sabato 10 maggio 2014

After Tonight (James P. Johnson)

 Un James P. Johnson abbastanza tardo ma ancora piuttosto in gamba, in compagnia illustre.

 After Tonight (Johnson), da «Swing Street. Original 1931-39 Recordings», TAX S-9-2. Red Allen, tromba; J. C. Higginbotham, trombone; Buster Bailey, clarinetto; Gene Sedric, sax tenore; James P. Johnson, piano; Al Casey, chitarra; Johnny Williams, contrabbasso; Sidney Catlett, batteria. Registrato il 9 marzo 1939.



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venerdì 9 maggio 2014

Potpourri (Teddy Charles)

 Un’azzeccata seduta occasionale accreditata collettivamente, ben riuscita perché a congegnarla c’era quel bel testone di Teddy Charles, di cui qui qualcosa si è già sentito, anche se non abbastanza. «Olio», titolo del disco, e «pot-pourri» sono sinonimi.

 Potpourri (Waldron), da «Olio», [Prestige] OJCCD-1004-2. Thad Jones, tromba; Frank Wess, flauto; Teddy Charles, vibrafono; Mal Waldron, piano; Doug Watkins, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 16 febbraio 1957.



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giovedì 8 maggio 2014

Spring Is Here (Bill Evans)

 Dal famoso disco del concerto alla Town Hall del febbraio 1966, l’arrangiamento-ricomposizione che Bill Evans ha fatto di Spring Is Here ne rimane una delle opere più rappresentative. Arnold Wise, un inglese, passò brevemente nel trio di Evans prima di Larry Bunker.

 Spring Is Here (Cahn-Stordahl-Weston), da «Bill Evans at Town Hall Volume One», Verve 831 271-2. Bill Evans, piano; Chuck Israels, contrabbasso; Arnold Wise, batteria. Registrato il 21 febbraio 1966.



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mercoledì 7 maggio 2014

Cliff Island (Thomas Chapin)

Di Thomas Chapin ho già detto qui quanto è indispensabile sapere e che quanto a dati biografici è sventuratamente poco.

 Chapin era un musicista, senza ripeterne i tratti stilistici, affine a Rahsaan Roland Kirk,  citato da lui come ispiratore, per estroversione e amore per i colori musicali forti e svarianti e per l’inclinazione naturale, conseguente, direi, al polistrumentismo. Come Rahsaan, i suoi interessi e le sue capacità coprivano quasi intero lo spettro storico e stilistico del jazz.

 In Pavone e Sarin, compagni fedelissimi, aveva trovato i sodali ideali.

 Cliff Island (Chapin), da «Night Bird Song», Knitting Factory Records KFR-240. Thomas Chapin, sax sopranino; Mario Pavone, contrabbasso, Michael Sarin, batteria. Registrato il 28 o il 29 agosto 1992.



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martedì 6 maggio 2014

Carespin’ With Mamie (Arthur Blythe)

 Carespin’ With Mamie (Blythe), da «Illusions», [Columbia] Koch Jazz 7869. Arthur Blythe, sax alto; James «Blood» Ulmer, chitarra; Abdul Wadud, violoncello; Bob Stewart, tuba; Bobby Battle, batteria. Registrato nel marzo o aprile 1980.



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lunedì 5 maggio 2014

Bra Joe From Kilimanjaro (Abdullah Ibrahim)

 In realtà nel 1969 Abdullah Ibrahim si chiamava ancora Dollar Brand.

 La JAPO era una sotto-etichetta della ECM, e a volerle considerare una cosa sola (tant’è che è la ECM ad avere appena ripubblicato il CD), questo disco di Ibrahim-Brand sarebbe il primo di piano solo della ECM, precedente cioè le «Piano Improvisations» di Chick Corea (1971) e «Facing You» di Keith Jarrett (1972), dischi entrambi rappresentati su Jazz nel pomeriggio.

 Insolitamente per la ECM o quel che fosse – e a meno che non si parli di Jarrett – , questo è un set dal vivo, ripreso al Jazzhus di Copenaghen. Il pianista attaccò i pezzi l’uno all’altro, ed è per questo che il presente Bra Joe risulta così spiacevolmente troncato, dopo undici minuti di un 5/4 senza mai un calo di tensione.

 Bra Joe From Kilimanjaro (Dollar Brand), da «African Piano», JAPO 60002 ST. Abdullah Ibrahim (Dollar Brand), piano. Registrato il 22 ottobre 1969.



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domenica 4 maggio 2014

Wow (Lennie Tristano)

 Eh, wow sì, quando senti il bridge in armonia dei due saxofonisti (0:21-0:31 e naturalmente ancora alla fine).

 Dopo Jelly Roll Morton sentito ieri, Tristano è un altro dei grandi «strani» del jazz, e intendo con ciò musicisti effettivamente fuori dalla catena storica del prima e del dopo della musica, che procedono secondo una timeline privata, che è tutta loro e che a noi è dato, al massimo, di intuire oscuramente e solo a tratti.

 Wow (Tristano), da «Intuition», Properbox 64. Lee Konitz, sax alto; Warne Marsh, sax tenore; Lennie Tristano, piano; Billy Bauer, chitarra; Arnold Fishkin, contrabbasso, Harold Granowsky, batteria. Registrato il 4 marzo 1949.



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venerdì 2 maggio 2014

Dancing in the Dark (Bill Evans)

 Da qui a un paio di settimane spero non ti dispiacerà ascoltare un (bel) po’ di Bill Evans.

 Gli è che devo ripassarlo per un certo lavoro che sto facendo, e allora condivido. Ma se ti invece ti dovesse dispiacere, rivolgiti con serenità a un altro qualsiasi dei tanti blog che, in lingua italiana, pubblicano ogni giorno un pezzo di jazz di alta qualità e di scelta non banale, commentato con discreta competenza storica e musicale in una prosa che, anche nel peggiore dei casi, è corretta e decorosa.Va’, va’ pure. Poi magari fammi sapere com’è andata, eh.

 Qui Bill ripensa, ri-arrangia e poi, effettivamente, non suona Dancing in the Dark, suona qualcos’altro, con delle armonie più malmostose e voicing intimidatorî. Già dalla intro del resto si capiva che era di un umore fantastico quel giorno; e dall’insolita, per lui, volata fra tema e primo chorus improvvisato (1:00-1:03), si capisce anche che fosse piuttosto impaziente con il materiale, o forse con qualcuno presente nello studio: al posto di un ceffone, dalla mano destra gli sono sfuggite due battute di sedicesimi rotondi e sodi come pallini di schioppo. Credo che non gli succedesse da anni, eccezion fatta per il «mostruoso» disco in sovraincisione di quello stesso 1963, uno dei dischi di jazz con più note che io ricordi.

 Alla batteria, come due anni prima, c’è Motian; Peacock lafareggia come meglio può.

 Dancing in the Dark (Schwartz-Dietz), da «Trio ’64», Verve 815 057-2. Bill Evans, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato il 18 dicembre 1963.



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giovedì 1 maggio 2014

Peaches Are Better Down the Road (Grassella Oliphant)

 Lieta festa del Lavoro e dei Lavoratori.

 «Quello in fondo alla strada ha le pesche più buone» sembra il titolo di un blues che avrebbe potuto cantare mia nonna. Soul jazz del pregiato filone agroalimentare.

 Peaches Are Better Down the Road (Terry), da «The Grass Is Greener», Atlantic SD-1494. Clark Terry, tromba; Harold Ousley, sax tenore; Big John Patton, organo; Grant Green, chitarra; Major Holley, contrabbasso; Grassella Oliphant, batteria. Registrato nel 1967.



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