La parte che conosco io della discografia di John Zorn è infinitesimale, se fosse possibile meno ancora. Non me ne rammarico troppo, perché mi sembra di aver capito che l’incontinenza di Zorn nel pubblicare lavori suoi, che supera perfino quella di Braxton, sia un atto voluto di eccesso, un gesto situazionista, che trova senso in sé.
Comunque sia, gente fededegna ed esperta del campo concorda con me nel dire che il secondo volume di Masada sia una meraviglia e una delle cose più belle di Zorn. «Masada Vol. 2» è noto anche con il titolo «Beit», la seconda lettera dell’alfabeto ebraico – il rabbino Isaia Levi, nella grammatichetta Hoepli, me la insegnava come Bet, ma insomma è questa: ב
Con una patina kletzmer che sospetto essere non molto più di un pretesto, Masada, in quel momento aurorale, era un quartetto d’impianto ornettiano, ma con un’energia e una sinergia tutte sue, molto impressionanti. Hadasha vuol dire «nuovo».
Hadasha (Zorn) da «Masada Vol. 2: Beit», DIW 889. Dave Douglas, tromba; John Zorn, sax alto; Greg Cohen, contrabbasso; Joey Baron, batteria. Registrato il 20 febbraio 1994.
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3 commenti:
Mi trovo nella stessa situazione nei confronti della produzione di Zorn, e devo pure dire che concordo su tutta la linea del post!
Ciao Alberto, benvenuto.
Ciao Marco,
grazie. Come ti ho già scritto questo blog è una "miniera".
Alberto
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