martedì 12 aprile 2011

Manteca (Dizzy Gillespie)

  Sempre lungo quella corrente carsica del cibo che percorre il blog, immagino con soddisfazione del colto e dell’inclita (quanto più mangio magro, tanto più grasso voglio il mio jazz), ecco un dei titoli più unti del repertorio, Manteca, nella versione datane dall’autore al festival di Newport del 1957. All’inizio senti l’orchestra salmodiare «I’ll never go back to Georgia» – presa di posizione politica? Vaudeville? Tutti e due? Il solista di sax tenore è Benny Golson.

  Manteca (Gillespie-Chano Pozo), da «Dizzy Gillespie at Newport», Avid Jazz AMSC968. Dizzy Gillespie, Lee Morgan, E. V. Perry, Carl Warwick, Talib Dawd, tromba; Melba Liston, Al Grey, Chuck Connors, trombone; Jimmy Powell, Ernie Henry, sax alto; Billy Mitchell, Benny Golson, sax tenore; Pee Wee Moore, sax baritono; Wynton Kelly, piano; Paul West, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 6 luglio 1957.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Tutti e due, penso. Il bebop stesso per Gillespie è entrambe le cose: rivoluzione e sua messa in scena. Più in generale, mi sembra che in Gillespie (anche a leggere la sua autobiografia)ci siano sempre spinte che vanno in direzioni apparentemente opposte, ad esempio la ricerca della trasgressione ma col bisogno al tempo stesso di essere accettato da parte di un pubblico il più possibile ampio (in un atteggiamento che non è né quello di Armstrong né quello di Davis). La stessa ricerca delle comuni radici africane, nella collaborazione con Chano Pozo e nella definizione di un ritmo che forse impropriamente si dice latino, è un andare indietro per andare avanti.
(Se il discorso ti sembrerà insensato, è perchè ho passato la giornata ad ascoltare innumerevoli versioni di "No Greater Love". L'hanno fatta tutti, ma proprio tutti! Ho trovato deliziosa, giocata con suprema nonchalance, quella dell'"apollineo" Jamal).

Paolo Lancianese ha detto...

Scusa, Marco, l'anonimo sono io. Avevo dimenticato di digitare il mio nome. La vecchiaia che avanza fa di questi brutti scherzi.

Marco Bertoli ha detto...

Osservazioni molto acute su Gillespie, che potrebbero applicarsi intere all’arte afroamericana, per lo meno dei primi tre quarti del Novecento. La versione di Jamal piace molto anche a me, tanto che l’ho pubblicata tempo fa.

PS Hai posta