martedì 7 dicembre 2021

What The World Needs Now Is Love – Alone Together (Stanely Turrentine)

 «Easy Walker» è uno dei miei Blue Note preferiti. Ha molto per stuzzicare il mio interesse, oltre alla qualità musicale intrinseca. Soprattutto quella sua apparenza un po’ dimessa, come non fosse che uno in più fra i tanti set Blue Note di Stanley Turrentine; ma già incuriosisce la presenza di un McCoy Tyner appena liberatosi dall’impegno con Coltrane, che nell’ultima fase sembrava essergli diventato grave, per non dire penoso (il suo sollievo, qui, io lo sento evidente).

  Già al secondo o al terzo pezzo si capisce che non è la solita jam session di pezzi da novanta quella che ci passa sotto le orecchie: Tyner non è né Wynton Kelly né Kenny Drew né Sonny Clark e assoggetta il programma, con discrezione ma inesorabilmente, al proprio linguaggio armonico, riuscendo ad avvincere anche in un pezzo jazzisticamente non idiomatico come What The World Need Now Is Love (Turrentine doveva avere un debole per Bacharach).

  Turrentine è più conciso e raziocinante del solito nel suo procedere; la deliberazione che mette nella scelta delle note, il peso che vi conferisce, la collocazione calibratissima nella battuta e la sonorità brunita richiamano Sonny Rollins.

  Più di tutto impressiona l’integrazione di pianista, saxofonista (sentili nelle esposizioni) e ritmica in un quartetto che come unico precedente, credo, aveva il Blue Note di Turrentine «Rough ’N’ Tumble», registrato proprio una settimana prima. E sono saporiti alcuni tocchi d’arrangiamento, come le quattro battute di tag in cadenza plagale nel chorus di Alone Together, pronunciate con l’enfasi dell’amen di un coro gospel.

  What The World Needs Now Is Love (Bacharach), da «Easy Walker», Blue Note CDP 7243 8 29908 2 6. Stanley Turrentine, sax tenore; McCoy Tyner, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Mickey Roker, batteria. Registrato l’8 luglio 1966.

  Alone Together (Schwartz-Dietz), id.

domenica 5 dicembre 2021

’Round Midnight – Recorda-Me – If you’re Not Part Of The Solution, You’re Part Of The Problem (Joe Henderson)

 Live famoso, uno dei tanti live dal Lighthouse di Los Angeles. Questo complesso di Joe Henderson del 1970 non registrò mai in studio, anzi, il live lo coglie praticamente nel suo formarsi, e durò pochissimo, ma ha lasciato una delle istantanee più vive di quel periodo del jazz in America. 

 D’epoca sono le sonorità alonate e scampananti del Fender e l’antipatico rimbalzo gommoso del contrabbasso, ripreso in direct come fu voga per tutto quel decennio nei dischi di jazz straight ahead; fuori del tempo, per così dire, è l’intensità bruciante di Henderson, che soprattutto in ’Round Midnight asciuga al suo fuoco le polle riverberanti di suono di George Cables. In Recorda-Me e nel funky di If you’re Not…, Woody Shaw («pretty crazy at that time» secondo il produttore del disco Keepnews) dimostra come sia stato il trombettista più personale di quel decennio, il vero erede di Booker Little nel segno di una più grande materialità e crudezza del suono.

 ’Round Midnight (Monk) da «At The Lighthouse», Milestone 00025218471428. Joe Henderson, sax tenore; George Cables, piano elettrico; Ron McClure, contrabbasso; Lenny White, batteria. Registrato nel settembre 1970.

 Recorda-Me (Henderson), ib. più Woody Shaw, tromba; Tony Waters, conga. 

 If you’re Not Part Of The Solution, You’re Part Of The Problem (Henderson), id.

sabato 4 dicembre 2021

Love Song for a Dead Che (Phil Woods) RELOAD

Reload dal 28 maggio 2011

 Stimolato a pubblicare qualcosa di sciocco e disimpegnato, ho trovato questo strano period piece di Phil Woods con orchestra più archi, dove Phil esegue questa canzone mielosa ma non spiacevole (anzi, non spiacevole ma mielosa) il cui titolo è sicuramente abbastanza sciocco, o forse non l’ho capito io.

  Più anni Sessanta di così si muore, e dovresti vedere la copertina.

  Love Song for a Dead Che (Joseph Byrd), da «Round Trip», Verve 559804-2. Phil Woods, sax alto e arrangiamenti, con orchestra comprendente Thad Jones, tromba; Jimmy Cleveland, trombone; Jerry Dodgion e Jerome Richardson, sax e flauto; Herbie Hancock o Sir Roland Hanna, piano; Richard Davis, contrabbasso; Grady Tate, batteria, e archi. Registrato nel 1969.

lunedì 29 novembre 2021

Angel Eyes – Blue for the Orient (Yusef Lateef)

 Yusef Lateef fu fra i pochi jazzisti che riuscirono a suonare il flauto senza parere fauni o eunuchi. In Blues for the Orient, Lateef suona invece lo shehnai, l’oboe indiano. 

 Nota di colore: al principio e alla fine di Blues for the Orient sentiamo la voce di Lateef, che presenta ed elogia – con pieno loro merito – gl’inglesi che lo accompagnarono nell’occasione. La voce di Lateef è sorprendentemente delicata per un uomo della sua corporatura, e per l’ingenua aspettativa che la voce del suonatore debba avere lo stesso peso di quella del suo strumento (mi riferisco al Lateef saxofonista).

 Angel Eyes (Dennis-Brent), da «Yusef Lateef Live at Ronnie Scott’s», Gearbox. Yusef Lateef, flauto; Stan Tracey, piano; Rick Laird, contrabbasso; Bill Heyden, batteria. Registrato il 15 gennaio 1966.

 Blues for the Orient (Lateef), ib. ma Lateef suona lo shehnai.

martedì 16 novembre 2021

Gentle Thoughts – The Zoo (Steve Kuhn & Sheila Jordan)

 Ho messo su un ECM anche oggima di altra annata e di altro suono, protagonisti due americani eccentrici. 

 Con la Sheila Jordan io vado a periodi, c’è il periodo in cui la sua maniera mi piace e quello in cui mi lascia indifferente o mi secca addirittura; questo gradimento a pendola dipende evidentemente da me, non da lei, quindi non è interessante parlarne. Stavolta, ad ogni modo, mi piace di più in The Zoo che nell’altra canzone. 

 Non va così con Steve Kuhn, un grande del pianoforte che invece mi piace sempre fuorché quando, calatosi qualcosa, smarrisce il senso del ridicolo e intona (anche grosso modo) informi querele.

 Gentle Thoughts (Kuhn), da «Playground», ECM 1-1159. Sheila Jordan con Steve Kuhn, piano; Harvie Swartz, contrabbasso; Bob Moses, batteria. Registrato nel luglio 1979.

 The Zoo (Kuhn), id.

lunedì 15 novembre 2021

The News – Go Happy Lucky – With You in Mind (Andrew Cyrille)

 Se il quartetto riunito da Andrew Cyrille non può dirsi una compiuta all stars è perché il pianista cubano David Virelles (n. 1983) non ha il nome degli altri tre, pur essendosi sentito molto negli ultimi anni: qui sopra con Chris Potter, ma poi con Threadgill, Stańko, Cyrille stesso.

 Il disco è organoletticamente un ECM quintessenziale e conoscendomi potrai immaginare che io non l’abbia trovato proprio avvincente; fra l’altro, il fatto che leader ne sia il batterista e il batterista non sia Pinco, ma Andrew Cyrille, no less, non impedisce che poi la batteria sia confinata nel consueto secondo piano delle registrazioni della Casa tedesca. 

 Cyrille è comunque sempre stato un batterista-percussionista più volto al colore che al bite e non aspetta certo di sentirsi dire da me come vuol essere registrato; Bill Frisell in queste acque nuota come un ranocchio e così Virelles, che è un pianista di notevole gusto anche quando adopera il sintetizzatore. Ben Street è uno dei migliori contrabbassisti di oggi, qui come in qualsiasi compagnia.

 «The News» non contiene musica né eccitante né imprevedibile: solo in The News lo specchio dell’acqua s’increspa appena e nel blues Go Happy Lucky c’è quasi quasi l’idea che, proprio a volerlo, forse si potrebbe per un attimo pensare di battere il piede. È, ripeto, un ECM tipico. Gli è che, in questo periodo in cui io per un motivo o un altro ho i nervi a fior di pelle, ho trovato gradevolmente medicinale questo disco creato in epoca pre-pestilenza, e per tale te lo presento. 

 Porta pazienza con Cyrille che, in apertura di With You in Mind, declama qualche suo verso: lo fa con garbo e, a paragone di tanta nociva spoken word a cui ci è toccato fare l’abitudine, per tacere dei componimenti del suo vecchio leader Cecil Taylor, la poesiola non è infine neanche male.

 The News (Cyrille), da «The News», ECM. David Virelles, piano, sintetizzatore; Bill Frisell, chitarra; Ben Street, contrabbasso; Andrew Cyrille, batteria. Registrato nell’agosto 2019.

 Go Happy Lucky (Frisell), id.

 With You in Mind (Cyrille), id.

domenica 14 novembre 2021

Iron Man (Woody Shaw) (Larry Young)

 Woody Shaw, dopo che ieri te l’ho presentato con cautele e caveat, merita oggi risarcimento, almeno ai miei occhi. Qui, pochi mesi prima di quel disco Columbia, «Rosewood», che mi lascia insoddisfatto, è in compagnia diversa, eccezion fatta per Victor Lewis suo devoto, e in diversa temperie stilistica e sonora, che mi sembra più prossima alla sua sensibilità (il suo maggior agio io lo sento bene) e anche alla mia. Registrato nel 1977, «The Iron Men» vide la luce tre anni dopo.

 Segue, già pubblicata qui in anni lontani, la composizione più famosa di Shaw così come la suonò in uno dei più bei Blue Note degli anni Sessanta, «Unity» di Larry Young.

 Iron Man (Dolphy), da  «The Iron Men», Muse MR 5160. Woody Shaw, tromba; Anthony Braxton, sax alto; Muhal Richard Abrams, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Victor Lewis, batteria. Registrato nell’aprile 1977.


 The Moontrane (Shaw), da «Unity», Blue Note 7243 4 97808 2 8. Woody Shaw, tromba; Joe Henderson, sax tenore; Larry Young, organo; Elvin Jones, batteria. Registrato il 10 novembre 1965.

sabato 13 novembre 2021

Rosewood – Rahsaan’s Run (Bobby Hutcherson) (Woody Shaw)

 La nota composizione di Woody Shaw prima in un Blue Note del 1974«Cirrus»a nome di Bobby Hutcherson. Shaw è nella formazione ma qui si limita a guidare i collettivi. Hutcherson suona il vibrafono negli assieme e la marimba in assolo. Segue una versione d’autore, la più nota di questo pezzo, dall’omonimo disco di Shaw del 1977 per la Columbia.

 Dico la verità? La dico: non vado matto per nessuna delle due versioni, né proprio per la composizione di Shaw, che pure, insieme con The Moontrane, è la più famosa delle sue. Woody Shaw lo preferisco con un quintetto, come in Rahsaan’s Run sempre da «Rosewood».

 «Rosewood», disco che ebbe molto successo di pubblico e di critica e che fu il primo di Shaw per una major, a mio parere risente dell’ultima circostanza, risultando alle mie orecchie un po’ leccato e privo in parte di quel senso di rischio che più mi piace nella musica di questo grande trombettista.

 Rosewood (Shaw), da «Bobby Hutcherson - Mosaic Select», Mosaic. Woody Shaw, tromba; Harold Land, sax tenore; Manny Boyd, flauto; Bobby Hutcherson, vibrafono e marimba: Bill Henderson, piano elettrico; Ray Drummond, contrabbasso; Larry Hancock, batteria; Kenneth Nash, percussioni. Registrato nell’aprile 1974.

 Rosewood (Shaw), da «Rosewood», Columbia JC 35309. Woody Shaw, tromba; Janice Robinson, Steve Turre, trombone; Art Webb, Frank Wess, flauto; Jimmy Vass, sax alto; Joe Henderson, sax tenore; Carter Jefferson, Rene McLean, sax tenore; Onaje Allan Gumbs, piano; Clint Houston, contrabbasso; Victor Lewis, batteria; Sammy Figueroa, Armen Halburian, percussioni. Registrato il 15 dicembre 1977.

 Rahsaan’s Run (Shaw), ib. Shaw, Jefferson, Gumbs, Houston, Lewis. Registrato il 19 dicembre 1977.

venerdì 12 novembre 2021

Salute to Charlie Parker (Lucky Thompson & Jimmy Hamilton)

 Il saluto a Charlie Parker composto da Jimmy Hamilton, l’immacolato clarinettista di Duke Ellington, si esaurisce nell’intenzione e nell’omaggio, dal momento che non mi sembra che né il pezzo né gli assoli contengano riferimenti al lessico di Bird. In compenso, a un certo punto (01:50) si ascolta una contromelodia di gusto ellingtoniano.

 Il disco, molto bello, è a nome di Lucky Thompson, che qui lascia per lo più la scena a Hamilton.

Salute to Charlie Parker (Hamilton), da «Accent On Tenor Sax», Fresh Sound FSRCD 355. Ernie Royal, tromba; Jimmy Hamilton, clarinetto; Lucky Thompson, sax tenore; Billy Taylor, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato nel 1954.


giovedì 11 novembre 2021

Nature Boy (Miles Davis)

 Pensavo a Dean Stockwell, attore per lo più caratterista in tantissimi film americani e non solo americani, morto ottantacinquenne un paio di giorni fa. Io lo ricordo in particolare nel film che interpretò a dodici anni per Joseph Losey, Il ragazzo dai capelli verdi («The Boy With Green Hair»). Mi colpì molto e mi commosse quando lo vidi da bambino alla televisione (che i capelli del protagonista fossero verdi lo accettai sulla fiducia). 

 Nature Boy, la strana canzone dell’ancor più strano compositore Eden Ahbez (George Alexander Aberle), resa famosa da Nat «King» Cole, ricorreva in quel film contribuendo alla sua atmosfera sospesa e malinconica. Qui la suona Miles nel disco che fece per l’etichetta di Mingus e di Max Roach, la Debut, poco dopo la sua trionfale esibizione al festival di Newport del 1955. Un ascolto raro, Elvin Jones pre-Coltrane.

 Nature Boy (Ahbez), da «Blue Moods», [Debut] OJCCD-043-2. Miles Davis, tromba; Britt Woodman, trombone; Teddy Charles, vibrafono; Charles Mingus, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 9 luglio 1955.

mercoledì 10 novembre 2021

Spur – Plight – Mother Wit (Charles Tolliver)

 Non trovo oggi molto di originale o solo d’interessante da dire su Charles Tolliver, un musicista che ho sempre avuto caro da quando, io quasi bambino, lo sentii a Milano in qualche cavernoso palasport a cui dovette accompagnarmi il papà (ciao, papà!) perché ero troppo giovane per uscire la sera da solo. 

 Con lui quella volta (1977 o ’78, direi) c’erano Wilbur Little al contrabbasso e Alvin Queen alla batteria. La musica che ascoltai m’impressionò vivamente, complici sicuramente la giovanile suggestionabilità e l’ambiente gelido benché fosse estate, immenso e buio, così come lo ricordo, e ricordo che quella sera riconobbi due dei quattro o cinque temi suonati: It’s Time, perché l’avevo sentito pochi mesi prima suonato dal quartetto di Max Roach al teatro Ciak di Milano, e Round Midnight, che il trio suonò – mi affido a ricordi dubitosi perché leggendari – a 300 di metronomo, con furia astratta.

 Qui Tolliver guida un suo splendido quartetto in tournée europea nel 1969; il disco fu registrato a Londra. Stanley Cowell è il grande, concettoso pianista che sappiamo e si distingue anche il meno noto batterista Jimmy Hopps. La musica è molto di quegli anni senza essere invecchiata di uno iota. Spur è il blues, Plight un pezzo modale in 3, secondo il gusto di Tolliver, Mother Wit una ballad sontuosa.

 Spur (Tolliver), da «The Ringer», Arista AL 1017. Charles Tolliver, tromba; Stanley Cowell, piano; Steve Novosel, contrabbasso; Jimmy Hopps, batteria. Registrato il 2 giugno 1969.

 Plight (Tolliver), id.

 Mother Wit (Tolliver), id.

martedì 9 novembre 2021

Lulu’s Second Theorem – Bent Yellow (Sylvie Courvoisier & Mary Halvorson)

 Pianoforte e chitarra: la mente corre alle collaborazioni di Bill Evans e Jim Hall, e io penso anche a una, di esiti molto diversi, di Kenny Barron e Ted Dunbar.

 Ora ce n’è questa istanza con Sylvie Courvoisier, pianista e compositrice svizzero-americana (n. 1968) che non ti avevo ancora fatto sentire, e Mary Halvorson (1980), che invece qui è ricorsa altre volte e che mi sembra oggi la voce più originale sulla chitarra in un idioma jazzistico, e la più valida. 

 Il duetto è riuscito in primo luogo per le composizioni delle due e poi per come mette a profitto, nella composizione e nelle esecuzioni, il contrasto d’intonazione, o di temperamento, fra i due strumenti.

 Lulu’s Second Theorem (Courvoisier), da «Searching for the Disappeared Hour», Pyroclastic Records. Mary Halvorson, chitarra; Sylvie Courvoisier, piano. Registrato il 2 o il 3 giugno 2021.

 Bent Yellow (Halvorson), id.

lunedì 8 novembre 2021

What Is This Thing Called First Strike Capability? – So Sorry Please (Tom Varner)

 Ma perché? La domanda mi sale spontanea alle labbra ogni volta che sento jazz suonato su uno strumento inappropriato (il fagotto, per esempio, o l’arpa o il corno). Perché tanto ovvio dispendio di lavoro e di talento per dotare dei requisiti minimi di swing, intonazione, articolazione e proiezione del suono uno strumento che per propria natura vi si nega? Sarà il gusto della sfida?


 Mah. Comunque Tom Varner, qui nel 1985, è ormai da anni il più assiduo e il migliore dei praticanti del french horn sulla scena del jazz; messa da parte ogni perplessità ontologica, si tratta un musicista coi fiocchi, come i cornisti di norma sono – Julius Watkins, David Amram, Gunther Schuller – , sia come vigoroso solista sia come compositore. What Is This Thing Called First Strike Capability? (gran titolo programmatico per la track d'apertura di un disco) comincia con il contrabbasso a scandire  l’eterna sequenza di Cole Porter. La front line vi si sovrappone quindi con tre «serie» di sette suoni derivate l’una dall’altra in successione, più o meno aritmiche e solo la prima senza ripetizioni, quindi si lancia in un intricato head boppeggiante con vago riferimento alla prima delle serie: ma sul bridge, quello che si sente somiglia piuttosto al bridge di Undecided di Charlie Shavers.

 L’unisono di corno e sax che in So Sorry Please precede l’esposizione del tema di Bud Powell ricorda, credo senza volere, gli unisoni di Anthony Braxton con George Lewis, la cui sonorità, al trombone, ricordava infatti quella di un corno.

 What Is This Thing Called First Strike Capability? (Varner), da «Jazz French Horn», Soul Note 1211762. Tom Varner, corno; Jim Snidero, sax alto; Kenny Barron, piano; Mike Richmond, contrabbasso; Victor Lewis, batteria. Registrato l’8 o il 9 ottobre 1985.

 So Sorry Please (Powell), id.

domenica 7 novembre 2021

One Hour (If I Could Be With You One Hour Tonight) – Hello Lola (Coleman Hawkins & Red McKenzie)

 Dal 1929, ecco un complesso che sta fra il jazz e quella musica detta novelty che prosperò negli USA grazie alla diffusione capillare del disco: canzonette senza pretesa musicale, spesso d’intento comico, il cui punto d’interesse era qualcosa d’insolito e vagamente circense o da music-hall, di norma nella strumentazione.

 I Mound City Blowers di Red McKenzie, per esempio, furono un trio costituito in origine da pettine con velina (l’esecutore mugolava sommessamente con le labbra a contatto di un foglietto di carta velina che copriva i denti del pettine), kazoo e banjo. In seguito divenne marchio per diverse formazioni di studio, come questa, contenenti jazzisti anche di vaglia. Le canzoni erano sempre distinte dal suono caratteristico, alla fine un po’ molesto, come di canoro zanzarone, del pettine di McKenzie, che qui fraseggia tuttavia con gusto armstronghiano e con un certo swing.

 Il quale McKenzie in questi due pezzi ha con sé nientemeno che Coleman Hawkins venticinquenne, stilisticamente già pienamente formato, i quattro chicagoani Pee Wee Russell, Eddie Condon, Gene Krupa e Glenn Miller e il neorleaniano Pops Foster; manca il pianoforte. Si trattava di un gruppo razzialmente misto: in sede discografica, in quegli anni, questa non fu una rarità.

 One Hour (If I Could Be With You One Hour Tonight) (Creamer-Johnson), da «The Complete Recordings, 1929-1941», Affinity CD AFS 1026-6. Red McKenzie con Glenn Miller, trombone; Pee Wee Russell, clarinetto; Coleman Hawkins, sax tenore; Eddie Condon, banjo; Pops Foster, contrabbasso; Gene Krupa, batteria. Registrato il 14 novembre 1929.

 Hello Lola (McKenzie-Means), id.

sabato 30 ottobre 2021

People, Places & Things – Smokin’ (Fuller)

 Sabato ancora con Curtis Fuller. È un piacevole disco del 1972 con qualche escursione funk. Sono sempre contento quando sento Bill Hardman e Jimmy Heath, ma anche il chitarrista Ted Dunbar, che qui figura sotto il suo primo nome Earl, con il quale non è di norma conosciuto.

 People, Places & Things (Fuller), da «Smokin’» Mainstream 370. Bill Hardman, tromba; Curtis Fuller, trombone; Jimmy Heath, sax tenore; Cedar Walton, piano elettrico; Earl Dunbar, chitarra; Mickey Bass; basso elettrico; Billy Higgins, batteria. Registrato nel 1972.


 Smokin’ (Fuller), id.

giovedì 28 ottobre 2021

A Lovely Way To Spend An Evening (Curtis Fuller)

 Una ballad con il trombone, come migliore non si potrebbe desiderare. Curtis Fuller, quel Bloomsday del 1957,  aveva una sezione ritmica che lévati.

 A Lovely Way To Spend An Evening (McHugh-Adamson), da «The Complete Blue Note/UA Curtis Fuller Sessions», Mosaic. Curtis Fuller, trombone; Bobby Timmons, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Regstrato il 16 giugno 1957.

mercoledì 27 ottobre 2021

Cherokee (Don Byas)

 Don Byas, di cui è trascorso da una settimana l’anniversario di nascita (avrebbe compiuto centonove anni), è uno dei pochissimi nella cui produzione discografica posso pescare a caso, sicuro di non restare deluso. Quando poi pesco fra i suoi dischi americani di metà anni Quaranta, trovo sempre qualcosa che mi fa riflettere.

 Mi piace oggi farti sentire Cherokee, la canzone di Ray Noble che sarebbe diventata in quel decennio un vessillo dei modernisti, suonata da Byas ancora nella fase «alta» del bebop, con una sezione ritmica indistinta e in un contesto che intende presentarsi come bebop ma non riesce a esserlo, a dispetto dell’inserzione nell’arrangiamento di quattro battute di progressione «moderna» (o classicheggiante) fourth up / fifth down (a 1:25 e ancora a 1:37).

Senti come la ritmica, che già arranca al tempo staccato dal saxofonista, arretri stilisticamente di quindici anni, mettendosi addirittura a dividere in due, non appena Byas esce di scena, al minuto 2:08, e lascia solo il pover’uomo del pianista. Don, che un bopper vero e proprio non fu, qui è sicuramente il più moderno dei quattro con il suo fraseggiare scioltissimo.

 Charlie Parker avrebbe registrato la sua versione di Cherokee, Ko-Ko, forse l’assolo più famoso e rivoluzionario di tutto il jazz, sei mesi dopo, il 26 novembre 1945. A me sembra probabile che avesse nelle orecchie questa pionieristica versione di Don Byas.

 Cherokee (Noble), da «Savoy Jam Party», Savoy SJL 2213. Don Byas, sax tenore; Teddy Brannon, piano; Frank Skeete, contrabbasso; Fred Radcliffe, batteria. Registrato il 17 maggio 1945.

martedì 26 ottobre 2021

After Hours (Erskine Hawkins)

 After Hours è uno standard jazz del pianista Avery Parrish, che lo incise nel 1940 in questo disco popolarissimo dell’orchestra di Erskine Hawkins. Horace Silver ha raccontato di aver trascritto e imparato l’assolo di Parrish in quel disco, e David H. Rosenthal (in Hard Bop. Jazz & Black Music, 1992), ha ricordato che «frasi tolte dall’assolo di Parrish e dal repertorio standard di frasette funky (funky licks) del blues e del boogie-woogie emergono in pezzi che pure non sono blues: un elemento dello stile di Silver, questo, che ebbe un impatto incalcolabile su altri pianisti alla fine degli anni Cinquanta. Incorporando materiale delle radici del jazz nella sua musica, [Silver] tramandò molte delle sue frasi preferite, che a tutt’oggi sono parte costitutiva del vocabolario del jazz».

 Di Erskine Hawkins (The Twentieth Century Gabriel) e della sua orchestra ti dirò meglio presto.

 After Hours (Parrish), da «Erskine Hawkins and his Orchestra 1939-1940», Classics 678. Erskine Hawkins, Sammy Lowe, James Harris, Marcellus Green, tromba; Edward Sims, Robert Range, trombone; William Johnson, Jimmy Mitchelle, sax alto; Julian Dash, Paul Bascomb, sax tenore; Haywood Henry, sax baritono; Avery Parrish, piano; William McLemore, chitarra; Leemie Stanfield, contrabbasso; James Morrison, batteria. Registrato il 10 giugno 1940.

lunedì 25 ottobre 2021

Bass Mood – Turmoil (Pete Rugolo & Art Pepper)

 Questa seduta del 1947 mi risulta la prima registrazione di Art Pepper fuori dalla big band di Kenton, nella quale era entrato nemmeno diciottenne nel 1943. 

 Siamo sempre in quell’alveo, perché compongono il settetto tutti musicisti di quell’orchestra; al pianoforte siede Pete Rugolo, il compositore e arrangiatore di molte delle cose migliori di Kenton negli anni Quaranta (fra le altre, Eager Beaver, Concerto to End Alll Concertos, Artistry in Rhythm, Opus in Pastels), che qui mostra l’abilità di far suonare il settetto come una formazione più ampia, con un’insolita profondità di piani sonori. Nei quattro pezzi registrati ha sempre un rilievo particolare il contrabbasso del leader nominale Eddie Safranski.

 Bass Mood, come sentirai subito, è Sophisticated Lady travisata e si svolge sopra una sorta di assolo continuo di Safranski.

 Nell’assolo di Turmoil, composizione in tipica vena rugoliana, Pepper suona come una piacevole convergenza di Benny Carter e Charlie Parker; la somiglianza con Lee Konitz, all’epoca più novizio di Pepper, la direi casuale.

 Bass Mood (Safranski-Rugolo), da «Complete 1947 Small Groups Recordings», Definitive DRCD11217. Ray Wetzel, tromba; Eddie Bert, trombone; Art Pepper, sax alto; Bob Cooper, sax tenore; Pete Rugolo, piano e arrangiamenti; Eddie Safranski, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 20 dicembre 1947.

 Turmoil (Rugolo), id.

sabato 23 ottobre 2021

Body and Soul (Coleman Hawkins)

 E questo, per caso, l’avevi mai sentito?

 Body and Soul (Heyman-Sour), da «The Complete Recordings, 1929-1941», Affinity CD AFS 1026-6. Tommy Lindsay, Joe Guy, tromba; Earl Hardy, trombone; Jackie Fields, Eustis Moore, sax alto; Coleman Hawkins, sax tenore; Gene Rogers, piano; William Oscar Smith, contrabbasso; Arthur Herbert, batteria. Registrato l’11 ottobre 1939.

venerdì 22 ottobre 2021

Wee – In A Sentimental Mood (Charlie Rouse & Stan Tracey)

 Charlie Rouse è stato uno dei solisti più individuali del jazz moderno. Il suo nome è legato inestricabilmente a quello di Monk, del quale è stato sideman e ben più che sideman per moltissimi anni. 

 Non voglio dilungarmi qui perché a Rouse ho dedicato negli anni non pochi post di Jnp. Da uno di questi mi limito a riprendere un semplice compendio di quelli che mi paiono i suoi tratti stilistici principali: «(un) suono asciutto e un po’ abrasivo, (un) fraseggio staccato e asimmetrico, in una cauto e nervoso, che comunica il senso di qualcuno che si muova circospetto, e (…) un’intonazione lievemente crescente». Per saperne di più fa’ clic sul nome di Rouse nella «nuvola» qui a destra e leggerai di come la sua personalità musicale fosse più varia di quanto comunemente si creda. 

 Questo disco lo coglie poco prima della morte insieme con un bellissimo trio ritmico del grande Stan Tracey (per puro caso, a mio giudizio uno dei pianisti più monkiani) e in front line con un formidabile tenorista inglese, Art Themen, che è quando più disforme possa esserci da Rouse, sulla linea dei sax tenori britannici esuberanti alla Tubby Hayes.

 Faccio torto alla finezza del tuo orecchio specificandolo, comunque il primo solista in questi due pezzi è Themen. Stan Tracey quando accompagna è sottile, in assolo è turbolento: in compagnia di questi inglesi, è l’americano ad apparire compassato.

 (Nota di colore: il disco fu inciso a Londra quel 16 ottobre 1987 in cui l’Inghilterra meridionale fu investita dal più spaventoso uragano a memoria d’uomo, raccontato indimenticabilmente da W. G. Sebald nel penultimo capitolo di Gli anelli di Saturno).

 Wee (Dameron), da «Playin’ in the Courtyard. Charlie Rouse with the Stan Tracey Quartet», Steam SJ 116. Charlie Rouse e Art Themen, sax tenore; Stan Tracey, piano; Dave Green, contrabbasso; Clark Tracey, batteria. Registrato il 16 ottobre 1987.

 In A Sentimental Mood (Ellington), id.

giovedì 21 ottobre 2021

I’m Gettin’ Sentimental Over You (Frank Strozier) RELOAD

Reload dal 15 aprile 2011

 

 Ogni volta che lo sento mi persuado meglio che Frank Strozier sia stato (o sia? Chissà se ne risentiremo mai parlare) uno dei maggiori sax contralto del dopoguerra. Eccolo in un disco a nome di Roy Haynes. In Gettin’ Sentimental espone il consunto tema con molto umorismo e il suo assolo è poi di originalità sorprendente: senti le frasi sospese, volutamente inconcluse con cui lo comincia, e la maniera con cui le adagia un po’ in tralice sul tempo (circa da 2:39 a 3:12) e la logica compositiva a cui rispondono, pur nella loro imprevedibilità, con varietà costante di accentuazione e di pattern ritmici e su tutta intera l’estensione dello strumento.

 I’m Gettin’ Sentimental Over You (Washington-Bassman), da «Cymbalism», Prestige/OJCCD-1079-2. Frank Strozier, sax alto; Ronnie Mathews, piano; Larry Ridley, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 10 settembre 1963.

mercoledì 20 ottobre 2021

Lover Come Back To Me – Cheremoya (Conte Candoli & Lou Levy)

 Di tanto in tanto mi piace farti sentire qualche West Coast jazz, da quel periodo del jazz degli anni Cinquanta che una volta, pigliando ciecamente per buona la vulgata storiografica, ignoravo, se non spregiavo addirittura.

 Non che quella sia stata un’età d’oro del jazz, considerando poi quello che era venuto appena prima e che sarebbe venuto subito dopo (e che c’era già simultaneamente, sulla costa Est degli USA): tanti dei tantissimi dischi registrati sotto quell’egida sono d’ indifferente valore. Ma nelle sue buone istanze il «jazz californiano» era swingante e musicalmente rimunerativo, e ad ascoltarlo con le orecchie dei posteri e magari posteri letterariamente inclinati, dietro quella superficie levigata e solatìa era possibile sentire, o immaginare, ben dell’altro.

 Il quintetto schiera alcuni dei migliori della Los Angeles dell’epoca, tutti già sentiti e commentati qui sopra, e il disco tipizza alcuni dei caratteri più apprezzabili del West Coast. Il pianista Lou Levy, in particolare, è un mio pallino.

 Lover Come Back To Me (Hammerstein II-Romberg), da «West Coast Wailers», Collectables [Atlantic] COL-CD-6277. Conte Candoli, tromba; Bill Holman, sax tenore; Lou Levy, piano; Leroy Vinnegar, contrabbasso; Lawrence Marable, batteria. Registrato il 16 agosto 1955.

 Cheremoya (Holman), id.

martedì 19 ottobre 2021

Flim-Flam – Madeline (Rex Stewart)

 Oggi non ho voglia di dire niente, lascio parlare questi quattro.

 Flim-Flam (Stewart), da «Rex Stewart and the Ellingtonians», OJCCD-1710-2 [Riverside]. Rex Stewart, cornetta; Billy Kyle, piano; John Levy, contrabbasso; Cozy Cole, batteria. Registrato nell’autunno del 1946.

 Madeline (Stewart), id.

lunedì 18 ottobre 2021

Bop-Be – Confirmation (Keith Jarrett) (Billy Hart) RELOAD

 Reload dal 20 febbraio 2011. Dove esordisco dicendo «in questo periodo», alludo a quel periodo, dieci anni fa. Il quartetto di Billy Hart si è esibito da poco in alcune città italiane, e in almeno due casi in presenza di lettori di Jnp. 

 

 In questo periodo, come ti sarai accorto, sto riflettendo sulla questione del «repertorio» nel jazz moderno e della reinterpretazione di composizioni jazzistiche del passato.

 Keith Jarrett, che come ogni pianista jazz moderno ha le radici nel bebop (anche se è stato fra quelli che se ne è più cospicuamente allontanato), queste origini ha omaggiato in particolare nell’ultimo suo disco con l’American Quartet, e segnatamente in Bop-Be, un pezzo che a me pare proprio una versione di Confirmation di Parker, con un’alterazione del bridge e con una melodia diversa. Senza rinunciare a nessuna delle sue idiosincrasie e a dispetto di una sezione ritmica in questo senso non idiomatica, la sua è, al cuore, un’esecuzione bebop di classe.

 Quasi trent’anni dopo, Billy Hart con il suo quartetto di giovani cannoni dà di Confirmation una versione, mah, postmoderna?, in cui lo head originale di Parker è mantenuto, anzi, è enunciato con deliberata pedanteria (e per ben tre volte), come Jarrett non faceva, mentre i solisti trattano poi il giro armonico con una molta libertà e discrezione ritmica; Ethan Iverson, che sotto l’assolo di Mark Turner tace, è al suo più astratto e arzigogolato, anche se si concede la civetteria di inserire nel suo assolo una delle citazioni predilette di Parker, la Habanera della Carmen. Se Jarrett dava del bebop una versione elaborata ma di discendenza ancora chiara e non rinnegata, qui la musica di Parker appare definitivamente storicizzata, cioè lontana: tanto che i quattro non hanno sentito, come Jarrett, il bisogno di cambiare titolo.

 Bop-Be, da «Bop-Be», Impulse! IA 9334. Keith Jarrett, piano; Charlie Haden, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nel febbraio 1977.

 Confirmation (Parker), da «Quartet», High Note HCD 7158. Mark Turner, sax tenore; Ethan Iverson, piano; Ben Street, contrabbasso; Billy Hart, batteria. Registrato il 14 ottobre 2005.

domenica 17 ottobre 2021

Outer Surge – Soft Focus (Rick Laird)

 Rick Laird (1941), bassista irlandese, è il solo nome a me noto in questo disco, in cui compare come distinto ospite Joe Henderson (Outer Surge è la sua Inner Urge rititolata).

 Laird è morto tre mesi fa; noto soprattutto come bassista della disamena Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin (1971-73), ha avuto prima e dopo una buona carriera in contesti più mainstream, fra l’altro come house bassist al Ronnie Scott’s di Londra, e in questa seduta a proprio nome del 1976 è veramente bravissimo anche come solista sullo strumento elettrico. Abbandonata la musica attiva nel 1982, Laird si è poi distinto anche come fotografo e come insegnante.

 Il quartetto americano, registrato in Olanda, fa del jazz di eccellente livello, divertente, molto di quegli anni ma che degli anni trascorsi non risente. Mi sembra brillare in particolar modo il pianista Tom Grant.

 Outer Surge (Henderson), da «Soft Focus», Solid CDSOL-6384. Joe Henderson, sax tenore; Tom Grant, piano elettrico; Rick Laird, basso elettrico; Ron Steen, batteria. Registrato nel dicembre 1976.

 Soft Focus (Laird), ib. Senza Henderson; Grant suona il pianoforte.

sabato 16 ottobre 2021

I Got It Bad and That Ain’t Good – Friday the 13th (Thelonious Monk)

 Mi rendo conto che, quando si tratta di jazz, i miei entusiasmi hanno talvolta dell’infantile. Credo lo si debba al fatto che io ho cominciato ad ascoltare il jazz che ero bambino o pochissimo di più, a dodici anni, prima che m’interessassi davvero di qualsiasi altra cosa. È stato il jazz la mia porta sul mondo.

 Per Thelonious Monk ho sempre avuto una passione impetuosa, con qualche picco e nessun avallamento. Un picco alpino lo ebbi in quei tre o quattro mesi del 2011 che mi videro intento alla versione italiana di quella sua portentosa biografia a opera di Robin D.G. Kelley: la mia vita all’epoca solitaria era occupata, quando non dal lavoro, dalla musica di Monk e dal quotidiano esercizio di questo blog.

 Monk è poi stato sempre parte dei miei rari ascolti (io ascolto pochissima musica), ma in questi giorni, in corrispondenza casuale con l’anniversario della sua nascita, sto conoscendo un altro picco, su cui pianto la bandiera del mio entusiasmo incomposto e lietamente bambinesco. Del resto, a me pare che la musica di Monk, che è fra le più razionali, luminose e profonde che io conosca, tenga non poco della gioia e della sorpresa proprie dell’infanzia, e anche dei suoi disperati spaventi.

 Breve: oggi ho voluto offrirti un compendio dell’infinita varietà espressiva della musica di Thelonious Monk e ho scelto prima un’istanza del Monk più sereno e giocoso, poi un’altra, di un Monk più ispido e ossessivo, sensazione corroborata dalla presenza stranissima nel complesso del magnifico Julius Watkins che, con il corno, conferisce all’insieme una qualità sonora otherworldly.

 I Got It Bad and That Ain’t Good (Ellington), da «Thelonious Monk Plays the Music of Duke Ellington», Riverside OJC 24. Thelonious Monk, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Kenny Clarke, batteria. Registrato il 21 luglio 1955.

 Friday the 13th (Monk), da «Thelonious Monk, Sonny Rollins», OJCCD-059-2. Julius Watkins, corno; Sonny Rollins, sax tenore Thelonious Monk, piano; Percy Heath, contrabbasso; Willie Jones, batteria. Registrato il 13 novembre 1953.

venerdì 15 ottobre 2021

Lush Life – Monk’s Mood (Edward Simon)

 Ricompare dopo circa dieci anni su Jnp Edward Simon (1969), pianista e compositore venezuelano che ha svolto in USA una bella carriera, prima come sideman di nomi illustri (ricordo Terence Blanchard e Greg Osby) e poi con complessi suoi, alcuni dei quali vòlti a combinare il jazz con le musiche del Venezuela.

 Tale fusion non è nel programma di questo piano solo recente, che avrebbe ben figurato nella famosa serie pianistica della Maybeck Hall (è anche questa una ripresa dal vivo, a Oakland in California). Simon è un pianista di grande destrezza, classicamente istruito ed esperto nei vari dialetti del mainstream jazzistico e affronta il cimento del piano solo come ci si può aspettare: Lush Life presenta molti appoggi alle tentazioni «concertistiche» che si offrono a un musicista del genere, con la sua melodia continua e ritmicamente fluttuante, in recitativo, che ben si presta a una resa agogica ad libitum, ricca di cadenze e fermate.

 Interessante trovo la versione simoniana di Monk’s Mood, dove interessante va letto come nel famoso malaugurio cinese o preteso tale, «possa tu vivere in tempi interessanti». Mi limiterò a dire – e mi piacerebbe che completassi tu nei commenti, o se no mi contraddicessi – che Edward Simon non è di quei pochi musicisti naturalmente inclinati a interpretare la difficile musica di Thelonious Monk.

 Nel disco, Simon suona anche Monk’s Dream, con esiti di poco migliori.

 Lush Life (Strayhorn), da «Solo Live», Ridgeway Records. Edward Simon, piano. Registrato il 27 luglio 2019.

Monk’s Mood (Monk), id.

giovedì 14 ottobre 2021

Hank’s Prank – My Sin (Hank Mobley)

 Ecco Hank Mobley venticinquenne nel primo disco a suo nome (il live «Newark 1953» ha visto infatti luce postumissima solo qualche anno fa).

 Il lineup è quello degli originali Jazz Messengers, quelli del leggendario live «A Night at Birdland» dell’anno prima, meno Kenny Dorham. Art Blakey risulta più leggero del solito e Horace Silver a me sembra il pianista ideale per stimolare il giovane Mobley, che qui è vivace e spiritoso come rare altre volte sarebbe stato in seguito ma anche già caratterizzato da quella pensosità che a mio giudizio lo apparenta a Wardell Gray, che ti ho fatto sentire due giorni fa.

 Per il mio gusto, e mi piace rimarcarlo ogni volta che te lo presento, pur nell’accidentata sua carriera Mobley è stato il terzo grande del sax tenore negli anni Sessanta, insieme con Shorter, dopo gli ovvî Coltrane e Rollins e prima di Dexter Gordon. 

 Hank’s Prank (Mobley), da «Hank Mobley Quartet», Blue Note. Hank Mobley, sax tenore; Horace Silver, piano; Doug Watkins, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 27 marzo 1955.

 My Sin (Mobley), id.

mercoledì 13 ottobre 2021

A Sense Of Direction (Walt Dickerson)

 Un caro amico mio e di Jazz nel pomeriggio ha subìto la scorsa primavera un brutto colpo alla salute; per fortuna si sta rimettendo bene. Parlo di Paolo il Lancianese, che può ben dirsi una colonna del blog per averlo seguito fin dal primo post (2010), blog a cui ha contribuito spesso con guest post prelibati e commenti eruditissimi.

 Gli offro i miei auguri più affettuosi (ti invito a fare lo stesso nei commenti) e gli dedico questo pezzo di Walt Dickerson, che conoscerà di sicuro perché Paolo è un appassionato del vibrafono.

 (Se, come me, ti fossi fatto qualche domanda sull’oscuro, bravissimo pianista Austin Crowe che si ascolta nei primi dischi di Dickerson, qui potrai leggere un’intervista con Dickerson in cui si parla brevemente anche di lui).

 A Sense Of Direction (Dickerson), da «A Sense Of Direction», New Jazz. Walt Dickerson, vibrafono; Austin Crowe, piano; Eustis Guillemet Jr, contrabbasso; Edgar Bateman, batteria. Registrato il 5 maggio 1961.

martedì 12 ottobre 2021

Taking A Chance On Love – Donna Lee (Wardell Gray)

 Wardell Gray ebbe una vita e una carriera movimentate, la seconda caratterizzata da brevi collaborazioni di alto profilo, sovente interrotte e riprese, e da peregrinazioni da una costa degli USA all’altra, alla fine con una preferenza o forse solo una prevalenza casuale della costa Ovest. 

 Carriera e vita di Gray sembrano quelle di un uomo che si sia abbandonato in balìa del caso. Verrebbe facile e banale parlare di un’occasione sprecata, ma come si fa a dirlo? Ascoltando il suo tenore leggero e concettoso, la declinazione più naturale dello stile di Lester in lingua moderna via Charlie Parker, proprio niente appare di sprecato o poco risolto.

 Qui Gray è ripreso in un ingaggio losangelino del 1952, in compagnia squisitamente californiana. L’atmosfera è senz’altro californiana per il relax che la caratterizza, anche se ha poco, anzi niente, del «jazz californiano» che proprio quell’anno (il primo del quartetto pianoless di Mulligan) cominciava ad affermarsi.

 Taking A Chance On Love (Duke-Latouche), da «Live At The Haig», Fresh Sound FSRCD 157. Wardell Gray, sax tenore, Hampton Hawes, piano, Joe Mondragon, contrabbasso, Shelly Manne, batteria. Registrato il 9 settembre 1952.

 Donna Lee (Davis), id. più Art Farmer, tromba; Howard Roberts, chitarra.

lunedì 11 ottobre 2021

Yellow Violet – Love Nocturne (Andrew Hill)

 Musica suonata esattamente cinquantatré anni fa; musica bella, personalissima, la musica di Andrew Hill nella sua piena fioritura. Di un’espressione così intelligente e pura d’intenti c’è gran bisogno, mi pare.

 Si tratta inoltre, da parte mia, di un omaggio in tralice a Thelonious Monk, che avrebbe finito ieri o l’altrieri centoquattro anni se non fosse morto nel 1982. Andrew Hill è il pianista-compositore che più me lo ricorda, pur non somigliandogli.

 Yellow Violet (Hill), da «Dance With Death», Blue Note. Charles Tolliver, tromba; Joe Farrell, sax soprano; Andrew Hill, piano; Victor Sproles, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato L’11 ottobre 1968.

 Love Nocturne (Hill), id. Ma Farrell suona il sax tenore.

domenica 10 ottobre 2021

Ain’t Misbehavin’ – After You’ve Gone – Imagination (Sonny Stitt) RELOAD

 Reload dall’8 ottobre 2012

    Sarà stato per scrollarsi di dosso il paragone con Charlie Parker se dal 1949 in poi Sonny Stitt si dedicò in prevalenza al sax tenore, strumento sul quale, pur restando entro un'ineludibile orbita espressiva parkeriana, si espresse con personalità ed eloquenza inconfondibili. 

  Stitt si pone senz’altro a fianco di Dexter Gordon come il rappresentante più autorevole dello strumento fra la fine degli anni Quaranta e i primissimi Cinquanta (rappresentante di scuola moderna, s’intende, visto che erano ancora ben attivi Coleman Hawkins, Lester Young e Ben Webster); è chiara, per dire, l’attrazione che dovette esercitare così su Sonny Rollins – con il quale duettò anni dopo nel bellissimo disco a nome di Gillespie «Sonny Side Up» – come su John Coltrane. Il secondo, credo io, dovette prestare attenzione speciale alla velocità d’esecuzione di Stitt sul tenore, che Sonny sapeva controllare con la velocità e a momenti con l’edge lievemente isterica caratteristica del contralto, teste qui l’esecuzione di Ain’t Misbehavin’.

  In After You’ve Gone ti faccio notare la presenza insolita come baritonista di Gene Ammons, un altro sax tenore con il quale Stitt duettò in quel medesimo 1950.

  L’atletica versione di Imagination che chiude la selezione di oggi mostra come il tenorista Stitt non avesse lasciato tuttavia ad arrugginire il contralto.

  (Di Sonny Stitt Jnp ha parlato sovente; un link lo trovi qui sopra alla prima riga, e altrove ho discusso il suo legame musicale con Parker).

  Ain’t Misbehavin’ (Waller-Razaf), da «Prestige First Sessions Vol. 2», Prestige-Fantasy PCD-24115-2. Sonny Stitt, sax tenore; Kenny Drew, piano; Tommy Potter, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 17 febbraio 1950.

  After You’ve Gone (Layton-Creamer), ib. Bill Massey, tromba; Matthew Gee, trombone; Stitt, sax tenore; Gene Ammons, sax baritono; Junior Mance, piano; Gene Wright, contrabbasso; Wes Landers, batteria. Registrato l’8 ottobre 1950.

  Imagination (Burke-Van Heusen), ib. Stitt, sax alto; Junior Mance, piano; Gene Wright, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 15 dicembre 1950.

sabato 9 ottobre 2021

Misterioso – Sixteen (Alexander von Schlippenbach)

 Di queste esecuzioni monkiane di un quartetto di Alexander von Schlippenbach Jnp aveva già parlato giusto un paio d’anni fa.

 Misterioso – Sixteen (Monk), da «Monk’s Casino», Intakt 100. Axel Dörner, tromba; Rudi Mahall, clarinetto basso; Alexander von Schlippenbach, piano; Jan Roder, contrabbasso; Ulli Jennessen, batteria. Registrato nel giugno 2003.

venerdì 8 ottobre 2021

I Can’t Help Lovin’ Dat Man (Ella Fitzgerald)

 I songbook di Ella Fitzgerald (ne dedicò anche a Gershwin, Porter, Rodgers & Hart, Berlin, Ellington) sono indispensabili non solo per la perfezione musicale e la proprietà delle esecuzioni, ma anche perché le canzoni vi sono eseguite in forma completa: comprendono cioè, oltre al chorus, il ritornello sulla cui sequenza armonica i jazzisti sono soliti improvvisare, anche il verse o strofa, o sia quella parte «narrativa» della canzone che colloca la canzone stessa all’interno della situazione drammatica da cui è tolta. Non dimentichiamo che gli standard del jazz vengono per la più gran parte dalle commedie musicali, nelle quali svolgono la funzione dei pezzi chiusi nell’opera sette- e ottocentesca, con il verse come recitativo che introduce l’Aria.

 Ai songbook che Norman Granz produsse per Ella diedero contributi essenziali i direttori musicali, qui Nelson Riddle e altrove Buddy Bregman, con arrangiamenti raffinati che contemperano l’orchestra di fossa di Broadway con la big band jazzistica. 

 I Can’t Help Lovin’ Dat Man (Kern-Hammerstein II), da «Ella Fitzgerald Sings the Jerome Kern Songbook», Verve. Ella Fitzgerald con orchestra arrangiata e diretta da Nelson Riddle. Registrato nel 1963.

giovedì 7 ottobre 2021

Peyote Song No. III (Horace Tapscott)

 Non è che trovi di interesse eccezionale questo pezzo di un’orchestra, anzi Arkestra, di Horace Tapscott, ma non è banale e anzi è abbastanza insolito e serve lo scopo di annunciare con una certa fanfara la riapertura dei lavori, qui a Jazz nel pomeriggio, dopo una pausa di tre mesi, che negli ultimi anni del blog non è nemmeno stata la più lunga.

 Riapro bottega con due obiettivi, opportunistici entrambi: uno, propiziatorio; l’altro, terapeutico, perché l’ultima ventina di mesi sono stati, ovviamente non solo per me, un periodo ispido e ci sono ancora dentro. Possa io e possiamo tutti allontanarcene sul passo, se non altro, ampio e vigoroso di questa composizione in 3, dal drive colossale, di Jesse Sharp.

 Peyote Song No. III (Sharps), da «The Call», Nimbus West Records. Pan Afrikan Peoples Arkestra diretta da Horace Tapscott. Jesse Sharps, Adele Sebastian, Herbert Callies, James Andrews, Kafi Larry Roberts, legni; Archie Johnson, trombone; Red Callender, tuba; Horace Tapscott, piano; Louis Spears, violoncello; Dave Bryant, Kamonta Lawrence Polk, contrabbasso; Everett Brown Jr, William Madison, batteria e percussioni. Registrato l’8 aprile 1978.

domenica 4 luglio 2021

Way ’Cross Town (Carl Perkins)

 Carl Perkins (1928-1958) nell’unico disco a suo nome.   

 Perkins, menomato dalla polio, suonava con l’avambraccio sinistro parallelo alla tastiera, posizione che lo costringeva a un’economia espressiva (contiguità delle due mani) di cui le sue esecuzioni non risentono. Nativo di Indianapolis, Perkins fu attivo a Los Angeles. Qui è con una delle quintessenziali ritmiche californiane dell’epoca.   

 Way ’Cross Town (Perkins), da «Introducing Carl Perkins», Ace CDBOP-008. Carl Perkins, piano; Leroy Vinnegar, contrabbasso; Larance Marable, batteria. Registrato il 4 aprile 1956

Red’s Good Groove – Love Is Here To Stay (Red Garland)

 Un quintetto occasionale del 1962 interrompe la lunga sequenza di dischi in trio di Red Garland per la Prestige. Le qualità di questo pianista a dir poco singolare appaiono in luce radente; la compagnia appare squisitamente hard bop in primo luogo nella front line, ma il repertorio della seduta è poi composto per quattro sesti di standard, come nei dischi in trio, standard che Red affronta alla sua caratteristica maniera preziosa ed esornativa, che addolcisce anche la bruschezza abituale dei due fiati. 

 Sia nel blues che intitola il disco che in Love Is Here To Stay apprezza l’inappariscente sottigliezza armonica di Garland.

 Red’s Good Groove (Garland), da «Red’s Good Groove», Jazzland JLP 87. Blue Mitchell, tromba; Pepper Adams, sax baritono; Red Garland, piano; Sam Jones, contrabbasso; Philly Joe Jones, batteria. Registrato il 22 marzo 1962.

 Love Is Here To Stay (Gershwin), id.

sabato 3 luglio 2021

Black Coffee (Earl Hines)

 Earl Hines più asciutto ma non meno estroso del solito. 

 Black Coffee (Burke-Webster), da «Here Come Earl “Fatha” Hines», Red Baron J2k 57331 (Flying Dutchman). Earl Hines, piano. Registrato il 17 gennaio 1966.

giovedì 1 luglio 2021

What’s New (Walt Dickerson)

 Walt Dickerson qualsiasi cosa suonasse, una delle sue interessanti composizioni o uno standard usurato, la soffondeva in una luce di sorpresa, come di lieta scoperta. Il trio ritmico lo segue e lo completa benissimo; Austin Crowe, già sentito su Jnp con Dickerson, è eccellente ed Edgar Bateman era un grande batterista.

 What’s New (Haggart), da «A Sense of Direction», OJCCD-1794-2. Walt Dickerson, vibrafono; Austin Crowe, piano; Eustis Guillemet Jr. , contrabbasso; Edgar Bateman, batteria. Registrato il 5 maggio 1961.

mercoledì 30 giugno 2021

Composition 37 (Anthony Braxton)

 Torna Jazz nel pomeriggio, consolidato nella sua natura a-periodica e poco fiducioso di trovare qualcuno all’ascolto (chi ci sia vorrà perdonare la riserva). Questo quartetto di sassofoni quasi canonico del 1974 contempera l’avanguardia musicale nera – non so se qui sia il caso di parlare di jazz – di Chicago, New York e Saint Louis.

 


(Composition 37)
(Braxton), da «New York, Fall 1974», Arista. Anthony Braxton, sax sopranino; Julius Hemphill, sax alto; Oliver Lake, sax tenore; Hamiet Bluiett, sax baritono. Registrato il 16 ottobre 1974.

martedì 27 aprile 2021

Water from an Ancient Well (Abdullah Ibrahim)

 A questo disco di Abdullah Ibrahim, del resto uno dei suoi più famosi, Jazz nel pomeriggio è ricorso negli anni diverse volte. È un disco in cui suonano tutti benissimo, e tanto è ovvio vista la caratura dei musicisti; ma, cosa rara, è un disco in suonano tutti con vera ispirazione, e questo è ancora più raro di quanto si crederebbe. 

 Curiosità: per volontà o più probabilmente per caso oltreché per ovvia suggestione armonica, Dick Griffin e Charles Davis nei loro assoli citano fuggevolmente Witchi Tai To di Jim Pepper.

 Water from an Ancient Well (Ibrahim), da «Water from an Ancient Well», ENJA/Tiptoe 888812 2. Dick Griffin, trombone; Carlos Ward, flauto; Ricky Ford, sax tenore; Charles Davis, sax baritono; Abdullah Ibrahim, piano; David Williams, contrabbasso; Ben Riley, batteria. Registrato nell’ottobre 1985.

domenica 18 aprile 2021

Old Gospel (Jackie McLean & Ornette Coleman)

  Old Gospel (Coleman), da «Old and New Gospel», BST 84262. Ornette Coleman, tromba; Jackie McLean, sax alto; Lamont Johnson, piano; Scott Holt, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato nel 1967.

giovedì 15 aprile 2021

Gone With The Wind (Dolo Coker)

  «California Hard» è inteso qui come un ossimoro, perché lo stile hard (bop) è associato di norma alla costa Est e il jazz «californiano» è tutt’altra cosa. Qui di californiani troviamo Pepper, Vinnegar e Butler e se l’atmosfera non è quella un po’ sfibrata di tanto jazz West Coast, è tuttavia abbastanza lontana anche dall’essere hard: del resto, l’unico hard bopper comprovato della brigata è l’ex silveriano Blue Mitchell, un trombettista che sento sempre con piacere, come anche il titolare della seduta Dolo Coker.   

 Gone With the Wind (Magidson-Wrubel), da «California Hard», Xanadu XCD 1229. Blue Mitchell, tromba; Art Pepper, sax alto; Dolo Coker, piano; Leroy Vinnegar, contrabbasso; Frank Butler, batteria. Registrato il 27 dicembre 1976

lunedì 12 aprile 2021

Blues in Thirds (Archie Shepp & Horace Parlan)

 Blues In Thirds, la composizione di Earl Hines nota anche come Caution Blues, qui in un’esecuzione di due insigni modernisti, piena di feeling, di relax e di note calanti (di Shepp, ovviamente).

 Blues In Thirds (Hines), da «Trouble In Mind», SteepleChase SCCD3113. Archie Shepp, sax soprano; Horace Parlan, piano. Registrato il 6 febbraio 1980.

domenica 11 aprile 2021

Dance Arabe (Teddy Charles)

 Teddy Charles in un pezzo diciamo pure un po’ sciocco, ma divertente, in cui la «Danza araba» dello Schiaccianoci si sovrappone a Milestones

 Dance Arabe (Čajkovskij), da «Russia Goes Jazz (Teddy Charles Nonet & Tentet Complete Recordings)», Jazzbeat 533. Jerome Richardson, flauto; Jimmy Giuffre, sax tenore; Tommy Newsome, clarinetto basso; Pepper Adams, sax baritono; Hank Jones, piano; Teddy Charles, vibrafono; Jim Hall chitarra; Teddy Kotick, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato il 6 maggio 1963.

sabato 10 aprile 2021

D.D.T – Lonely Moments (Mary Lou Williams)

 Di Mary Lou Williams qualche cosa su Jazz nel pomeriggio la trovi, frammentaria e laconicamente illustrata; tutte le volte che ne ho scritto ho avuto cura di chiarire che è una colonna del jazz, un’artista importante, e tutte le volte che mi capita di nominarla preciso sempre con aria virtuosa che, fosse soltanto stata un uomo, avrebbe un capitolo a suo nome nelle storie del jazz, come l’hanno Jelly Roll Morton o Duke Ellington.

 Alla fine, tuttavia, non ne dico mai molto, probabilmente perché… non è un uomo, e i capitoli dedicati a lei, che pure cominciano a esserci, non sono andato a cercarli, e insomma condivido tutti i pregiudizi dei più: il fatto che ne sia consapevole non è una scusa e l’ammetterlo è mediocre anche come furbizia (disingenuous, si dice in inglese).

 Breve, eccoti oggi MLW nel primissimo dopoguerra. Il bebop era già nato e precisamente conformato; la parte, indiretta e diretta, che la Williams ebbe nella sua gestazione è stata illuminata in parte e ancora dovrà esserlo, ma nelle musiche che ascoltiamo oggi m’importa osservare come i dispositivi armonici e testurali del bebop appaiano, non dirò «già superati», ma visti come dall’alto, integrati di una visione e di un progetto musicale che s’inizia molto prima – da Kansas City e dalle territory band, dallo stride piano – e che il bebop costeggia come cosa già nota e assorbita, senza bisogno di ostentarne certi caratteri superficialmente oltranzistici come l’ebbrezza della velocità e lo spasmo ritmico. Mary Lou Williams, come il Morton dei Red Hot Peppers vent’anni prima di lei, come l’Ellington di sempre, si muoveva in una linea storica sua propria, orientata a un’avanguardia dell’anima che talora precorre sviluppi che il jazz raggiungerà più avanti e talora li affianca: alcuni pezzi del ’46 e del ’47 contenuti in questo disco prezioso condividono in piccola misura lo straniato colore armonico dei coevi trii di Lennie Tristano; la versione orchestrata della sua nota composizione Lonely Moments (per uno strano organico di big band senza tromboni) comprende addirittura una breve sezione fugata.

 Come nota di cronaca o di costume, le incisioni del 1945 sono di un combo tutto femminile (o quasi tutto: Bea Taylor era in realtà Billy Taylor, contrabbassista già con Ellington, chiamato all’ultimo minuto a sostituire June Rotenberg).

 D.D.T. (Feather), da «The Chronological Mary Lou Williams 1945-1947», Classics 1050. Mary Lou Williams, piano; Mary Osborne, chitarra; Bridget O’Flynn, vibrafono; «Bea Taylor» (Billy Taylor), contrabbasso; Margie Hyams, batteria. Registrato nel 1945.

 Lonely Moments (Williams), ib., Williams, piano. Registrato il 16 febbraio 1946.

 Lonely Moments, ib., Milton Orent - Frank Roth Orchestra diretta da Mary Lou Williams: Irving Kustin, Leon «Red» Schwarz, Edward Sadowski, tromba; Martin Glaser, Al Feldman, sax alto; Musa Kaleem, sax tenore; Maurice Lopez, sax baritono; Frank Roth, piano; Milton Orent, contrabbasso; Jack Parker, batteria. Registrato nel 1947.

lunedì 5 aprile 2021

Stablemates – Indian Summer (Joe Puma)

 Un chitarrista che mi piace ma di cui si parla meno di altri, almeno mi pare, è Joe Puma (1927-2000), che ha avuto una carriera soprattutto come sideman. Questa raccolta è l’unico disco suo che io abbia mai sentito e lo coglie dal 1954 al 1957 in bella compagnia. La nota di copertina assomiglia Puma a Tal Farlow e a Jimmy Raney; è meno appariscente e languoroso del secondo e meno virtuosistico del primo e per questo piace più dell’uno e dell’altro a me, a cui i chitarristi jazz piacciono tanto più quanto meno suonano come chitarristi (scherzo: quanto meno note suonano, ecco). 

 Con Eddie Costa, una figura elusiva di pianista e vibrafonista di cui ti ho parlato una volta, e con Oscar Pettiford, Puma rifà un po’ il trio di Red Norvo in tono più sobrio e anche più moderno

 Stablemates (Golson), da «The Jazz Guitar of Joe Puma», Fresh Sound fsr-CD 435. Joe Puma, chitarra; Eddie Costa, chitarra; Oscar Pettiford, contrabbasso. Registrato nel 1957.

 Indian Summer (Herbert-Dubin), ib. Puma, Bill Evans, piano; Oscar Pettiford, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nel 1957.

domenica 4 aprile 2021

I’m Getting Sentimental Over You (Ethan Iverson e Tom Harrell)

 Getting Sentimental è un altro di quegli standard degli anni Trenta che sono passati di moda, con tutto che era fra i preferiti di Monk. Tom Harrell ed Ethan Iverson lo prendono con le molle, ciascuno alla sua maniera: lirica malgrado tutto quella di Harrell, che risente un po’ gli anni nella sonorità ma non nella logica del fraseggio; spontaneamente cervellotica ma provvista di una sua sconcertante, inconfondibile poesia quella di Iverson, il titolare della seduta, che la canzone aveva già suonato in uno dei suoi primi dischi da leader sempre conferendole un tono spettrale.

 Se t’interessa, qui troverai il .pdf di un’intervista che anni fa feci a Tom Harrell per Musica Jazz.

 Buona Pasqua!

 I’m Getting Sentimental Over You (Washington-Bassman), da «Common Practice», ECM. Tom Harrell, tromba; Ethan Iverson, piano; Ben Street, contrabbasso; Eric McPherson, batteria. Registrato nel gennaio 2017.

sabato 3 aprile 2021

Love Song (Tony Williams)

 Restiamo un momento su Sam Rivers nel ruolo, ricordato anche ieri, di sideman di Tony Williams in due grandi Blue Note degli anni Sessanta (l’altro s’intitola «Life Time»). Ma piuttosto che dirtene io, lascio che a parlarne sia Ethan Iverson, così come lo fece molti anni fa sul suo bellissimo blog.

Love Song è il solo pezzo del disco con una struttura accordale per l’improvvisazione; qui Rivers, Peacock, Williams e Herbie Hancock attentano un 5/4. Credo che sia il primo cinque del jazz che non affermi pedestremente il metro a ogni battuta, come fa Take Five. Incredibilmente, non temono di perdersi e in qualche modo riescono a destreggiarsi agevolmente nel cinque con alcune battute in tre. Non sempre azzeccano la forma, ma proprio qui è la magia di tutta la musica di quest’epoca con Williams e Hancock: se ne infischiano se per un attimo smarriscono la strada. Questo modo di suonare si sentì per pochissimi anni dei Sessanta, prima che il vernacolo straight-ahead lo bandisse.

 Love Song (Williams), da «Spring», Blue Note CDP 7 46135-2. Sam Rivers, sax tenore; Herbie Hancock, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Tony Williams, batteria. Registrato il 12 agosto 1965.