venerdì 20 maggio 2011

What A Little Moonlight Can Do (Billie Holiday)

  Billie Holiday ventenne nel suo primo successo da juke box, nel 1935. In una compagnia eccelsa, il chorus cantato da Billie è un vero assolo; già si sente esattamente a fuoco la sua particolare maniera di stare «indietro» sul tempo.

  What A Little Moonlight Can Do (Woods), da «The Complete Billie Holiday on Columbia (1933-1944)», Columbia/Sony 88697538062/01. Billie Holiday with Teddy Wilson and His Orchestra: Roy Eldridge, tromba; Benny Goodman, clarinetto; Ben Webster, sax tenore; Teddy Wilson, piano; John Trueheart, chitarra; John Kirby, contrabbasso; Cozy Cole, batteria. Registrato il 2 luglio 1935.



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5 commenti:

sergio pasquandrea ha detto...

posso dire un'eresia?
con tutto il rispetto per "strange fruit", "lady in satin" eccetera, questa è la billie che preferisco: giovane, fresca, persino brillante, insomma ancora piena di vita.

Marco Bertoli ha detto...

«Lady in Satin» e altre cose del periodo mi sembrano reperti perfino macabri. Soprattutto quando si tratta di cantanti, niente batte la giovinezza e la salute, temo proprio.

Paolo Lancianese ha detto...

Sì, ma "Strange Fruit" è solo di quattro anni dopo (lei ventiquattrenne) ed è una di quelle canzoni che nessun altro potrà mai cantare come la cantava lei. Il fatto è che per Billie Holiday vale quello che qualcuno ha detto di Dante: che se anche non avesse scritto la Commedia sarebbe ugualmente il più grande poeta italiano. E allora qualsiasi cosa va bene lo stesso, ma "Strange Fruit" appartiene a un'altra categoria.

Marco Bertoli ha detto...

Ciao Paolo, come va? (hai posta).

Su Billie sono d'accordo, su Dante non so…

sergio pasquandrea ha detto...

io comunque non ne facevo tanto un fatto d'età, ma mi riferivo alla billie "drammatica", "romantica", "maudit" o come la si vuol chiamare. onestamente, la preferisco in un contesto come questo.

(poi, che "strange fruit" sia un capolavoro che travalica i generi, gli stili e i tempi, non ci piove.)