Coleman Hawkins non amava il blues, lo suonava con riluttanza. Non è che la sua fosse una stranezza o un pallino esclusivo: era un sintomo psicologico e culturale interessante, che Hawkins non era il solo a manifestare.
Al di là del mito del jazzista musicista spontaneo e sottoproletario, caro alla storiografia jazzistica delle origini e tramandatosi fino a oggi tramite la catena dei luoghi comuni, i primi grandi musicisti del jazz provenivano, con poche eccezioni, da famiglie della borghesia nera ed erano musicalmente assai letterati, com’era di sicuro il caso di Hawkins: per lui come per loro il blues era musica da niggers, al di sotto delle loro capacità e della loro classe sociale.
Sarà dunque forse per il fenomeno che in psicoanalisi si chiama abreazione, e che il critico letterario Francesco Orlando ha definito «ritorno del rimosso», che Hawkins, quando si accinge al blues, soprattutto nella tarda fase della sua carriera, lo fa con un abbandono feroce
Groovin’ (Burrell), da «Soul», Prestige 00025218609623. Coleman Hawkins, sax tenore; Ray Bryant, piano; Kenny Burrell, chitarra; Wendell Marshall, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato il 7 novembre 1958.
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