giovedì 29 settembre 2011

Sound 1 (Roscoe Mitchell)

  Da ultimo, o lettore implicito, son poche le soddisfazioni mi dai, come commentatore. Capisco che forse per te, come per me, settobre sia un momento transizionale dolente, perché le statistiche del sito mi dicono che non solo non commenti, ma ascolti anche poco o per niente le mie proposte. Forse sei stufo/a di jazz e ascolti solo Donizetti o Lady Gaga. Ma non importa davvero, perché le musiche resteranno lì dove sono, e altrettanto le mie spieghe, almeno finché Blogspot o DivShare non chiuderanno i battenti o non mi chiederanno dei soldi, che per quanto mi riguarda è la stessa cosa.

  Comunque, non so bene se contando sul tuo risveglio o sulla tua finale e acquiescente apatia, ti ammollo oggi uno dei pezzi più lunghi pubblicati finora su JnP e, direi senza incertezza, il più difficile. Questo disco, e in particolare Sound 1 che (forse) ascolterai, sono stati accostati per importanza storica a «Free Jazz» e ad «Ascension».
  Non siamo a quei livelli, ma ad alti livelli, però, sì: Roscoe Mitchell, musicista di talento e di intelligenza superiore al talento, si esprime qui già tutto intero, esplorando per primo – ma seguendo la generale premonizione del penultimo Coltrane, quello di «Expression» – territori testurali ancora impraticati dal jazz d’avanguardia, e fra questi un uso, che in seguito non ha lui stesso mai più eguagliato, del silenzio e della densità della musica in una cornice formale tenue in apparenza, ma in realtà molto leggibile ed efficace (lo seguì per quella strada, nel 1970, Marion Brown con «Afternoon of a Georgia Faun», che aveva fra gli altri Braxton, Corea, Cyrille ma che, a differenza di questo, è un disco che non ho mai capito. L’ho anche ascoltato poco, trovandolo noiosissimo).

  Storicamente, il disco è importante perché, nel 1966, è la prima pubblica dimostrazione in disco della poetica più avanzata uscita dalle elucubrazioni dell’AACM di Chicago; e perché è una specie di prova generale dell’Art Ensemble of Chicago, con in più il trombonista e violoncellista Lester Lashley, «Kalaparusha» Maurice McIntyre e il batterista Alvin Fielder; manca, alla prima formazione dell’AEOC, solo Joseph Jarman (Don Moye si sarebbe aggregato in seguito, a Parigi). Direi che il sestetto renda meglio che l’AEOC nella maggior parte dei suoi dischi, se posso esprimere la mia opinione di ascoltatore il quale, che Dio lo perdoni, non ha mai amato l’AEOC.

  Sound 1 (Mitchell), da «Sound», Delmark DE-408. Lester Bowie, tromba, flicorno; Lester Lashley, trombone, violoncello; Roscoe Mitchell, clarinetto, sax alto, flauto dolce, percussioni; Malachi Favors, contrabbasso; Alvin Fielder, batteria. Registrato il 10 agosto 1966.



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4 commenti:

mauro ha detto...

caro marco,è per me difficile commentare le tue proposte perchè sono culturalmente impreparato alla bisogna,mi piace ascoltare e ascolto di tutto (tranne lady gaga).sappi che sto imparando,lentissamente,ad apprezzare le sottiglezze delle varie correnti jezzistiche e in futuro(fra circa trentanni)potrò forse commentere con cognizione.
per il momento mi accontento di fruire gioiosamente della tua passione.ciao!

mauro ha detto...

rieccomi!ho resistito fino a 18.15,poi le urla strazianti del sax mi hanno ricordato quando mio nonno ammazzava il maiale e ho desistito. e mi sono chisto:ma il dieci di agosto non potevano andare al mare a fare il bagno e a lumare belle ragazze?

Marco Bertoli ha detto...

il dieci di agosto non potevano andare al mare a fare il bagno e a lumare belle ragazze?

Hai presente Roscoe Mitchell? Te lo immagini in mutande da bagno?

Maurizio Brancaleoni ha detto...

"Lumare" ho dovuto googlarlo, anche se ovviamente il senso si intuiva.