Dal disco d’esordio di Lee Morgan, nel 1956 diciottenne ma già una specie di veterano (e un altro dei miei preferiti che fino a oggi ho incomprensibilmente trascurato). Bravi tutti, un prodigio Morgan, ma t’invito a uno sforzo d’astrazione per concentrarti sulla linea di basso di Wilbur Ware. Qui come altrove nel disco (dal quale ho scelto Roccus e The Lady più o meno a caso), Ware racconta una storia musicalmente compiuta in sé.
Roccus (Silver), da «Lee Morgan Indeed!», Blue Note 0946 3 92781 2 1. Lee Morgan, tromba; Clarence Penn, sax alto; Horace Silver, piano; Wilbur Ware, contrabbasso; Philly Joe Jones, batteria. Registrato il 4 novembre 1956.
The Lady (O. E. Marshall), ib.
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3 commenti:
Io sono un grandissimo estimatore di Lee Morgan, che senza esitazione definisco il mio trombettardo preferito. L'hai letto il libro di Tom Perchard su di lui? Mi ha lasciato abbastanza... così. Da un lato è interessantissimo per lo spaccato di vita, dall'altro è profondamente irritante: voglio dire, che fai fare un libro su un musicista per poi rimarcare, ogni tre per due, quanto sia inadeguato, immaturo, non ancora pronto, limitato? Stando a Perchard, Morgan aveva sì una tecnica prodigiosa ma poi o faceva brodaglie di virtuosismi inutili e intercambiabili da disco in disco e canzone in canzone (inclusi quelli sull'ottimo Indeed!), oppure era uno che faceva meglio a starsene nel jazz da juke box tipo Sidewinder che tanto se provava a fare altro faceva cagare. Bah...
Mi fa piacere che su Morgan siamo d'accordo, e anche sul libro di Perchard, che comunque ho apprezzato perché, come dici anche tu, è un bel libro, scritto bene e avvincente. Comunque, pur senza concordare nei toni e nei giudizi con Perchard, mi sembra innegabile che Morgan non abbia tratto tutto il partito possibile dal suo talento immenso. Ma il talento, mi dirai tu, è fatto proprio per essere sprecato…
Morgan è il mio trombettista preferito. Fraseggi fluidi, furore sui tempi veloci ma lirismo nelle ballad, capacità nel definire un mondo alla sola esposizione del tema, dischi in odore di avanguardia moderata e pezzi un pò ruffiani, buttati lì per ghermire un'altra volta la chimera di "Sidewinder"... Ma a me piace anche e proprio per questo, per
convissuto con temi, registri espressivi, ambizioni e propositi così diversi. Anche per aver talvolta sprecato o impiegato con pigrizia quel talento formidabile. Non aveva la testa e la capcità progettuale di Miles, non aveva la cultura degli Evans, non era visionario come Coltrane, ma in ogni suo disco Blue Note c'è comunque un pezzo o un passaggio che valgono l'ascolto e l'acquisto. Io credo che abbia espresso il meglio negli album più arditi, più coraggiosi e personali ("Search for the new land", "The sixth sense"...), ma pure gli altri, insomma, meglio averceli. Per non dire delle collaborazioni, con Mobley o con l'immenso Tina Brooks, che hai giustamente ricordato. E poi ci sarebbe da scrivere sulle sue ultime incisioni, quelle un pò confusamente influenzate dal Davis fluido ed inquieto della fine sessanta: stava venendo fuori un suono aperto ed intrigante, da mettere a fuoco, ma vivo e dagli sviluppi imprevedibili. Ma la fidanzata gli sparò, ahinoi...
M.G.
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