martedì 5 gennaio 2016

Sid’s Delight – Focus (Tadd Dameron)

 Ecco Tadd Dameron con la sua marca particolare di bebop: non quello sperimentale, spericolato, pericoloso dei piccoli gruppi dell’high bebop (1944-’47); non quello atletico e avveniristico della big band di Dizzy Gillespie, ma un bebop per formazioni di medie dimensioni, tornito, sperimentale in un suo modo quieto (ma non è il cool jazz, neanche quello della «tuba band» di Davis), in cui il nuovo vocabolario armonico è  finalmente lessicalizzato e presentato in forma per così dire discorsiva, senza più bisogno di ostentare la quinta diminuita, il raddoppio del tempo, lo spasmo ritmico; un bebop le cui forme sono estese con intro, tag e outchorus – Horace Silver se ne sarebbe ricordato – e per tutte queste ragioni un bebop diverso anche da quello, di poco più tardo, concepito da John Lewis e Miles Davis che ti ho presentato un paio di mesi fa. Fats Navarro, in front line della prima di queste due formazioni, ne è l’interprete ideale. 

 Sid’s Delight è nota anche come Webb’s Delight.

 Sid’s Delight (Dameron), da «Strictly Bebop», Capitol M-11059. Fats Navarro, tromba;  Kai Winding, trombone;  Sahib Shihab, sax alto; Dexter Gordon, sax tenore; Cecil Payne, sax baritono; Tadd Dameron, piano; Curley Russell, contrabbasso; Kenny Clarke, batteria; Vidal Bolado, conga. Registrato il 18 gennaio 1949.

 Focus (Dameron), ib. Miles Davis, tromba; J.J. Johnson, trombone; Shihab; Benjamin Lundy, sax tenore; Payne; John Collins, chitarra; Dameron; Russell; Clarke. Registrato il 21 aprile 1949.

4 commenti:

sergio pasquandrea ha detto...

nessuno lo dice, ma Tadd Dameron è uno degli anelli di passaggio fra bebop e hardbop

Jazz nel pomeriggio ha detto...

È vero; ma del resto è quel trapasso stesso che è poco chiaro, come non è poi chiarissimo se ci sia mai stato un "bebop puro" originario (io evito il problema chiamandolo "high bebop", grosso modo dal '44 al primo '47). È stato un andare avanti, poi indietro, poi avanti ancora e anche di lato per un bel pezzo, cool e sperimentalismi vari compresi, fin verso al 1952-53. Per qualche anno è parso che i jazzisti non sapessero bene che cosa fare con quella patata bollente.

A esserne capaci, per il decennio 1943-1953 andrebbe scritta una storia in undici corposi capitoli, uno per anno, perché il quel decennio il jazz ha avuto ogni anno dei colori caratteristici. Sarebbe bello poterne parlare qui sopra, con guest post, chi se la sentisse e ne avesse voglia, con proposte di musiche, anche solo con i commenti.

Mi manca, parlare di jazz, discutere di jazz, della musica. Nei siti e blog di jazz (taccio delle riviste) – e non escludo affatto il mio di blog, anzi – ovvietà, rimasticature oppure polemiche in cui la musica viene usata come una mazza da dare in testa, come diceva Rita Pavone, "a chi non mi va"… Speriamo nel 2016.

loopdimare ha detto...

nei blog, nei siti e in Fb ci si accapiglia troppo. quanto a be bop e hard bop io capisco la differenza così: se dopo un po' diventa ripetitivo è hard bop...
si scherza naturalmente...

Jazz nel pomeriggio ha detto...

Eh… delle volte ho l'impressione, a leggerne sull'internet, che la musica non la ascolti veramente quasi nessuno. Io, del resto, ne ascolto pochissima e non sono mica sicuro di capirla.

Quanto alla ripetizione, per molti appassionati di jazz il bello è tutto nella ripetizione del già noto, magari chiamata tradizione, o canone. Quello del riconoscimento è senz'altro un piacere, come c'insegnano anche i bigini della psicoanalisi, ma non vuol dire che sia di per sé una cosa bella. Debussy aborriva il segno di ritornello, e la forma-sonata in generale: «È come dire a chi ascolta: ficcatevelo bene in testa!».