giovedì 31 dicembre 2015

Thieves’ Carnival – Travelog (Clarence Shaw)

 Questo post improptu è una sorpresina riservata a chi, non si sa mai, si trovi collegato a Jazz nel pomeriggio proprio in questo momento psicologicamente entre le chien et le loup, quando non si sa bene se siamo ancora quelli del 2015 o se siamo già quelli del 2016 – in realtà, per quanto intuisco io del tempo, e Philip K. Dick sarebbe d’accordo e forse anche quell’antipatico Sant’Agostino (però insomma, non so bene), potremmo essere nel secondo secolo d.C. o chissà quando nel futuro e in realtà siamo dappertutto sempre, come in quel famoso fumetto di Richard McGuire. Divago.

 Insomma, eccoti due pezzi di un musicista che mi piace molto, Clarence Shaw,  che ha fatto poco, perché la vita del jazz, o forse la vita, era troppo dura per lui, ma noi gli vogliamo bene perché era un poeta e poeti sono alcuni lettori abituali di Jazz nel pomeriggio. Sono belle anche le composizioni dovute a due dei suoi oscuri sidemen: Travelog è una ballad malinconica ma provvista di nerbo, con un bellissimo titolo, e Thieves’ Carnival ha da parte sua un titolo molto letterario, di una commedia di Jean Anouilh, e un hook straordinariamente orecchiabile, nonché un’incalzante progressione armonica.

 Per gli auguri urbi et orbi, domani mattina primo gennaio 2016 di sicuro, con Dicky Wells. Adesso, entre le chien etc., un abbraccio affettuoso e due canzoni.

 Thieves’ Carnival (Taylor), da «Debut In Blues», Argo LPS-726. Clarence Shaw, tromba; Herb Wise, trombone; Jay Peters, sax tenore; James Taylor, piano; Sidney Robinson, contrabbasso; Gerald Donovan, batteria. Registrato l’8 luglio 1963.

 Travelog (Robinson), id.

Sweat – People Make The World Go ’Round (Ramon Morris)

 «Niente di cui scrivere a casa» ma dell’onesto, vivace jazz funk con l’anno di concezione, il 1973, stampato su ogni nota, suonato da un complesso con dentro alcuni nomi davvero belli. Il poco noto leader Ramon Morris vi appare saxofonista capace. Se questa sera festeggi l’arrivo dell’anno nuovo andando a ballare, ricordati, mentre il giro frontale inferiore ti viene triturato dalla house music, che questa mattina su Jnp hai sentito come si ballava nel 1973 (non come ballavo io, s’intende: nel 1973 avevo nove anni), e poi fa’ un brindisi e un ballo alla mia salute se ti va.

 Presento questa musica soprattutto perché oggi ripensavo al romanzo di Michael Chabon «Telegraph Avenue», che con musica come questa c’entra molto, c’entra eccome, ma non ti dirò perché. Ecco, diciamo che avevo semplicemente voglia di nominare questo libro: «Telegraph Avenue» di Michael Chabon. C’è anche in italiano, credo proprio.

 Sweat (Bass), da «Sweet Sister Funk», Groove Merchant GM 516. Cecil Bridgewater, tromba; Ramon Morris, sax tenore; Albert Dailey, piano elettrico; Lloyd Davis, chitarra; Mickey Bass, basso elettrico; Mickey Roker, batteria; Tony Warren, conga. Registrato nel 1973.

 People Make The World Go ’Round (Bell-Creed), id.

mercoledì 30 dicembre 2015

Status Seeking – Warm Canto (Mal Waldron)

 Status Seeking è una composizione di Mal Waldron che ha trovato l’esecuzione più famosa in un live di Eric Dolphy, con Waldron stesso e Booker Little, al Five Spot di NY del 16 luglio 1961, tre settimane dalla registrazione di questa editio princeps. Durante quella scrittura al Five Spot Dolphy suonò anche Fire Waltz, altra composizione di Waldron che pure è presente in questo disco a nome del pianista, uno dei primi che Jazz nel pomeriggio presentò, ormai qualche anno fa.

 Rispetto alla più nota versione dolphyana, che ha un’intensità scabra e quasi violenta ed è più veloce, questa d’autore, in cui suona ancora Dolphy, è più testurale e modulata nelle dinamiche, conforme ai colori autunnali di questo disco bellissimo, uno dei più belli di quegli anni. Il violoncello pizzicato di Ron Carter non manca mai di lasciarmi perplesso, e io non manco mai di fartelo sapere.

 (Colgo l’occasione, visto che la musica pubblicata anni fa qui sopra non c’è più, per riproporre di seguito Warm Canto, composizione di soave tristezza in cui – rarità – Dolphy suona il clarinetto in Si bemolle).

 Status Seeking (Waldron), da «The Quest» [Prestige] OJCCD-082-2. Eric Dolphy, sax alto; Booker Ervin, sax tenore; Mal Waldron, piano; Ron Carter, violoncello; Joe Benjamin, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 27 giugno 1961.

 Warm Canto (Waldron), ib. ma senza Ervin; Dolphy suona il clarinetto.

martedì 29 dicembre 2015

Evidence – Ask Me Now – My One And Only Love – Some Might Think We’re Dancing (Bennie Wallace)

 Di Bennie Wallace (Tennessee, 1946) ricordo che si parlava e si scriveva con interesse a tratti prossimo all’entusiasmo fra anni Settanta e Ottanta: un mainstreamer nel repertorio e nelle compagnie ma con l’aria di aver tenuto il passo di altre cose a lui coeve, lì nella New York inquieta e inquietante di quegli anni. Poi, o Wallace è un po’ uscito di scena oppure, cosa più probabile, l’ho semplicemente perso di vista io in uno dei miei congedi dal mondo intorno, e non l’ho più riacchiappato.

 Il disco del 1981 presenta un repertorio monkiano, nella cui orbita poetica Wallace mi sembra entrare con spontaneità, e Jimmie Knepper, che è sempre un piacere sentire e che è un altro che consuona naturalmente con la musica di Monk.

 Nel duetto con Chick Corea del 1982 il saxofonista dimostra agio e disinvoltura nell’interpretare uno standard non dei meno triti con libertà e, in una, con fedeltà all’evidente archetipo hawkinsiano.

 Nel disco del 1984 Wallace si accompagna a un altro trombonista, Ray Anderson; questa sua composizione esprime di nuovo, in una felice ispirazione eterofonica, degli umori monkiani e, in una sezione a contrasto che arriva inavvertita, anche un ricordo del calypso rollinsiano.

 Evidence (Monk), da «Bennie Wallace Plays Monk», Enja. Jimmie Knepper, trombone; Bennie Wallace, sax tenore; Eddie Gomez, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria.  Registrato nel marzo 1981.

 Ask Me Now (Monk), id.

 My One And Only Love (Mellin-Wood), da «Mystic Bridge», Enja. Wallace; Chick Corea, piano. Registrato nel maggio 1982.

 Some Might Think We’re Dancing (Wallace), da «Sweeping Through The City», Enja. Ray Anderson, trombone; Wallace; John Scofield, chitarra; Mike Richmond, contrabbasso; Tom Whaley, batteria. Registrato nel marzo o aprile 1984.

lunedì 28 dicembre 2015

I Talk To The Trees – Strange Music (Coleman Hawkins)

 Coleman Hawkins nel 1962. Disse di lui Roy Eldridge in quel periodo: «Lo senti una sera e ti pare che non abbia mai suonato così bene. Torni a sentirlo la sera dopo, e lui suona ancora meglio».

 Non conosco altre versioni di I Talk To The Trees (dal musical «Paint Your Wagon») ma è il tipo di show tune che sarebbe piaciuto a Rollins: e Hawkins, qui, a me ricorda proprio Rollins (or the other way around).

 Strange Music, dal musical «Song Of Norway» di Wright-Forrest del 1944, riprende, ma molto alla lontana, il famoso pezzo lirico di Grieg «Giorno di nozze a Troldhaugen». Almeno, così pare a me.

 I Talk To The Trees (Lerner-Loewe), da «Good Old Broadway», JVC JVCXR-0035-2. Coleman Hawkins, sax tenore; Tommy Flanagan, piano; Major Holley, contrabbasso; Eddie Locke, batteria. Registrato il 2 gennaio 1962.

 Strange Music (Wright-Forrest-Grieg), id.

domenica 27 dicembre 2015

This Is For Bennie (Sonny Criss)

 Sonny Criss (Memphis, 1927-1977)  è stato un altosaxofonista attivo soprattutto a Los Angeles, ovviamente parkeriano data la sua generazione, dalla sonorità scura e robusta, molto personale, dal fraseggio filante ma non «slick».

 Pare che una volta Ornette Coleman l’abbia chiamato «il saxofonista più veloce del mondo» o qualcosa del genere. Criss ebbe ben poca fortuna nella vita; qui, due anni prima di morire, era se non altro nella compagnia eccellente dello squisito Dolo Coker, un pianista californiano che ti ho già presentato, e del grande chitarrista Ray Crawford, pure già visto da queste parti, già componente del primo trio di Ahmad Jamal.

 Nemmeno nuovo a Jazz nel pomeriggio è il compositore di questo spiritato 6/8, Horace Tapscott.

 This Is For Bennie (Tapscott), da «Crisscraft», 32 Jazz 32049. Sonny Criss, sax alto; Ray Crawford, chitarra; Dolo Coker, piano; Larry Gales, contrabbasso; Jimmie Smith, batteria. Registrato il 24 febbraio 1975.

sabato 26 dicembre 2015

Stardust – Deep River (Arnett Cobb)

 L’offerta musicale di oggi è adeguata a quella che, per volgare convenzione, si ritiene debba essere la dieta delle feste: lipidica. C’è il sax tenore di Arnett Cobb, che tramite la sua sintassi semplice e, a quel punto, affaticata, dà forma a una sostanza musicale crassa e unta di blues.

 Ma le metafore musicali non rendono giustizia alla musica, se non forse quella, molto a proposito, che assimili il particolare lirismo di questa escuzione al soul food: cibo a un tempo di nutrimento per il corpo e di conforto per l’anima. Augh!

 Questa Stardust è posseduta a identico titolo di Cobb da Junior Mance, anche lui un grande suonatore di blues. Vi fa seguito il duetto di Cobb con George Duvivier, bravo come al solito ma sovra-amplificato, che avevo già pubblicato alcuni anni fa.

 Stardust (Carmichael-Parish) da «Keep On Pushin’», BeeHive BH 7017. Arnett Cobb, sax tenore; Junior Mance, piano; George Duvivier, contrabbasso; Panama Francis, batteria. Registrato il 27 giugno 1984.

 Deep River (trad.), ib. Cobb e Duvivier.

venerdì 25 dicembre 2015

Futile Frustration (Count Basie)

 E così, questo è il sesto Natale che trascorriamo insieme ascoltando il jazz; tanti auguri!

 Questo pezzo di Count Basie del 1947, scritto e arrangiato da Jimmy Mundy, mi incuriosisce perché alle mie orecchie suona come una specie di parodia dello Stan Kenton di quegli anni o di qualche anno prima.

 Futile Frustration (Mundy), da «RCA Years In Complete», RCA SVCJ-8601-03. Ed Lewis, Emmett Berry, Snooky Young, Harry Edison, tromba; Ted Donnelly, George Matthews, Eli Robinson, Bill Johnson, trombone; Preston Love, Rudy Rutherford, sax alto; Buddy Tate, Paul Gonsalves, sax tenore; Jack Washington, sax baritono; Count Basie, piano; Freddie Green, chitarra; Walter Page, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 13 marzo 1947.

giovedì 24 dicembre 2015

Going Up (Duke Ellington & Johnny Hodges)

 Uno dei miei dischi preferiti! L’assolo di Duke Ellington mi fa uscire gli occhi dalle orbite, e anche il modo in cui Jo Jones gli sta dietro.

 Going Up (Ellington), da «Side By Side», Verve 521 405-2. Harry «Sweets» Edison, tromba; Johnny Hodges, sax alto; Les Spann, flauto; Duke Ellington, piano; Al Hall, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 20 febbraio 1959.

mercoledì 23 dicembre 2015

Valerie – My Dog Friday (Joe Newman & Frank Wess)

 Le note di copertina di questo allegro disco, fra l’altro costellate di un numero  di refusi favoloso, la mettono giù molto dura sul presunto primato del disco nel presentare il flauto, qui suonato dal grande Frank Wess, in front line di un piccolo gruppo.

 Questo genere di precedenze è sempre difficile da acclarare e non mi ci metto nemmeno; sono semplicemente contento di proporti, insieme con Wess, Joe Newman, trombettista basiano a me caro e già sentito da queste parti, sempre con Wess ma in veste di saxofonista. Il repertorio del disco è composto quasi per intero da Ernie Wilkins, un altro basiano come del resto Freddie Green ed Eddie Jones e forse anche Osie Johnson, ma di lui non sono sicuro e non ho voglia di controllare.

 Valerie (Wilkins), da «The Midgets», RCA. Joe Newman, tromba; Frank Wess, flauto; Hank Jones, piano; Barry Galbraith, Freddie Green, chitarra; Eddie Jones, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato l’8 luglio 1956.

 My Dog Friday (Wilkins), id.

martedì 22 dicembre 2015

Dearly Beloved (John Coltrane)

 Il grande quartetto di John Coltrane un attimo prima della fine. Era la tarda estate del 1965, Tyner e Jones se ne sarebbero andati nel gennaio successivo. Ma la pagina, a questo punto, era già stata voltata.

 Questo disco uscì solo nel 1971.

 Dearly Beloved (Coltrane), da «Sun Ship», Impulse! John Coltrane, sax tenore; McCoy Tyner, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 26 agosto 1965.

lunedì 21 dicembre 2015

Games (Dorothy Ashby)

 Ma sì, va’. È lunedì dopo tutto, il primo giorno dell’inverno, e fra quattro giorni sarà Natale: se non ascolti l’arpa adesso, quando? E poi questa è Dorothy Ashby, perbacco.

 Games (Ashby), da «Afro-Harping», Cadet LPS-809. Dorothy Ashby, arpa, con orchestra arrangiata e diretta da Richard Evans. Registrato nel febbraio 1968.

domenica 20 dicembre 2015

On Green Dolphin Street – One Note Samba (Erroll Garner)

 Quando finalmente Erroll Garner attacca On Green Dolphin Street, al minuto 1:30, dopo una intro rapsodica che s’inizia in una tonalità lontana e arriva a contenere perfino una fuggevole parodia di preludio bachiano, uno non sa dire come sia arrivato lì, ma tutto quanto ascoltato fino a quel momento assume senso e forma in un lampo retrospettivo. E tuttavia il bello deve ancora cominciare: nell’ultimo chorus, il pianista improvvisa una linea melodica non accompagnata, spezzandola fra le due mani… a essere capziosi, qui verrebbe in mente la tecnica dell’«hoquetus» propria dell’Ars antiqua.

 One Note Samba, Garner la affronta con la delicatezza ritmica e dinamica dell’energumeno, dimostrando che a lui, anticonformista naturale com’era, il Brasile gli faceva un baffo.

 [Queste esecuzioni vengono, secondo i dati che ho, da un concerto alla Free Trade Hall di Manchester del 1963. Io confesso di averle scaricate tempo fa da qualche parte, ma non ho identificato il disco da cui provengono, ammesso che ce ne sia uno, nemmeno dopo aver consultato un autorevole sito di discografie. L’identità di bassista e batterista è una mia facile congettura].

 On Green Dolphin Street (Kaper-Washington). Erroll Garner, piano; Eddie Calhoun, contrabbasso; Kelly Martin, batteria. Registrato il 19 novembre 1963.

 One Note Samba (Jobim), id.

sabato 19 dicembre 2015

Suspended View – Visions Of Gaudí (Tom Harrell)

 Due belle composizioni di Tom Harrell, colorite e impressioniste nel senso che ho cercato di definire qualche settimana fa.  

 Visions Of Gaudí è abbastanza bella da farmi passare sopra all’atroce, atroce, stupido rumore generato dal «guitar synthesizer» nelle mani di John Abercrombie: un ordigno che nemmeno so precisamente che cosa sia ma, se così stanno le cose, è meglio che non sappia.

 Suspended View (Harrell), da «Visions», Contemporary CCD-14063-2. Tom Harrell, tromba; Bob Berg, sax soprano; Niels Lan Doky, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Billy Hart, batteria. Registrato il 27 gennaio 1988.

 Visions Of Gaudí (Harrell), ib. Harrell, flicorno; David Liebman, sax soprano; John Abercrombie, «guitar synthesizer»; James Williams, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Adam Nussbaum, batteria. Registrato il 23 marzo 1989.

venerdì 18 dicembre 2015

Evans City (Mostly Other People Do The Killing)

 Questi quattro newyorkesi del Mostly Other People Do The Killing, anche loro quasi giovani (di giovani veri non se ne trova più in giro…) di sicuro hanno il talento di imporsi all’attenzione e di farsi ascoltare, e non solo per qualche gimmick concettuale o per il vezzo di rifare le copertine di dischi famosi

 Evans City (Elliott), da «The Coimbra Concert», Clean Feed CF214CD. Mostly Other People Do The Killing: Peter Evans, tromba; Jon Irabagon, sax tenore; Moppa Elliott, contrabbasso; Kevin Shea, batteria. Registrato nel maggio 2010.

giovedì 17 dicembre 2015

River Run – The Lake Isle Of Innisfree (Stefano Battaglia)

 Altri due pezzi di Alec Wilder da questo disco di Stefano Battaglia che ti ho presentato solo poche settimane fa e che mi è piaciuto molto. Soprattutto mi piacciono le canzoni di Alec Wilder, che qui trovano delle versioni originali e appropriate, più di altre «jazzistiche».

 River Run non ha relazione con «Finnegans Wake», ma The Lake Isle Of Innisfree mette in musica proprio la famosa poesia di WB Yeats, ricreata in scorcio da Wilder e resa dal trio di Battaglia in modalità estatica, priva di impulso in avanti, praticamente ferma, che si ricongiunge così, con gesto poetico, alla visione a un tempo fuggitiva e archetipica dei versi di Yeats.

 Curiosità: questo è il post numero 2000 (duemila) di Jazz nel pomeriggio.

 River Run (Wilder), da «In the Morning. Music Of Alec Wilder», Ecm 2429 473 8673. Stefano Battaglia, piano; Salvatore Maiore, contrabbasso; Roberto Dani, batteria. Registrato il 28 aprile 2014.

 The Lake Isle Of Innisfree (Wilder), id.

mercoledì 16 dicembre 2015

Native Land (Curtis Amy)

 Senti qui: di Curtis Amy ti ho parlato anni fa, puoi cercare qui a destra, tanto la musica è scomparsa e ne dicevo comunque poco o niente.

 Da poco ho approfondito questo saxofonista e, meglio tardi che mai, mi pare che da dire ce ne fosse di più. In attesa che trovi la voglia di farlo (e se tardassi, ti prego, ricordamelo tu), ascoltati questo, dove ci sono anche Dupree Bolton e Jack Wilson, entrambi pure incontrati qui sopra e tristemente svaniti con il disastro del server del marzo scorso.

Ah – buon compleanno di Beethoven.

 Native Land (Amy), da «Mosaic Select: Curtis Amy», MS-007 72453 93419 2 7. Dupree Bolton, tromba; Curtis Amy, sax soprano; Ray Crawford, chitarra; Jack Wilson, piano; Victor Gaskin, contrabbasso; Doug Sides, batteria. Registrato il 3 febbraio 1963.

martedì 15 dicembre 2015

St. Thomas – The Prophet Speaks – Stolen Moments (Milt Jackson)

 Jazz nel pomeriggio, constato con molto piacere, non solo mantiene più o meno tutti gli ascoltatori che in qualche anno ha radunato, ma, piano piano, se ne conquista anche di nuovi.

 Due recentissimi, per esempio, visiteranno il Giappone la primavera ventura, quando vi saranno in fiore i ciliegi. Si tratta di due persone che viaggiano con gli occhi bene aperti e con aperte anche le orecchie, soprattutto per il jazz, che in Giappone è molto presente e amatissimo. A Tokyo non potranno andare alla Kosei Nenkin, famosa sala da concerto che ha chiuso i battenti qualche anno fa; per loro oggi scelgo da questo disco di Milt Jackson, registrato proprio là nel 1976: saranno quarant’anni proprio quando i nostri amici vi saranno.

 Disco piacevolissimo, completamente dominato da Jackson in umore ebullient e bluesy più che mai, e da Cedar Walton, anche al piano elettrico.

 St. Thomas (Rollins), da «At The Kosei Nenkin», Pablo. Teddy Edwards, sax tenore; Milt Jackson, vibrafono; Cedar Walton, piano elettrico; Ray Brown, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 22 marzo 1976.

 The Prophet Speaks (Jackson), id.

 Stolen Moments (Nelson), id. ma Walton suona il pianoforte.

lunedì 14 dicembre 2015

West End Blues (King Oliver)

 West End Blues, nella versione degli Hot Five di Louis Armstrong del 28 giugno 1928, è forse l’esecuzione jazz più famosa di tutti i tempi. Joe «King» Oliver aveva tuttavia già registrato almeno due versioni di questa sua composizione (la prima a metterla su disco fu Ethel Waters).

 Questa versione cantata con testo di Clarence Williams segue quella di Armstrong di due mesi. La cantante è nefanda e dico poco, ma tu cerca per quanto puoi di isolare la cornetta di Oliver, che era ovviamente cosciente della versione del suo ex sideman ma esprime una commozione particolare, sobria e a modo suo quasi solenne.

 West End Blues (Oliver-Williams), da «Working Man Blues», MJCD 1131. Hazel Smith con Joe «King» Oliver, cornetta; Clarence Williams, piano. Registrato il 29 agosto 1928.

domenica 13 dicembre 2015

What’s New – Sound-Koller (Jutta Hipp)

 Di Jutta Hipp ti ho già detto i punti salienti del poco che c’è da sapere. Qui la pianista tedesca è colta prima che emigrasse negli USA, dai quali non sarebbe più tornata, in compagnia di connazionali che avrebbero fatto parlare di sé.

 Questi due pezzi hanno un nettissimo, direi smaccato cachet tristaniano. In quel linguaggio non facile e all’epoca ancora relativamente nuovo in Europa, la Hipp si esprime con bella disinvoltura, così come Koller – che rifà Warne Marsh con germanico scrupolo – e Mangelsdorff. Erroll’s Bounce, che oggi non ti faccio sentire, la sente invece percorrere con ben minore convinzione il paesaggio pianistico di Erroll Garner.

 What’s New (Haggart), da «Lost Tapes: The German Recordings 1952-1955», Jazz Haus 101723. Albert Mangelsdorff, trombone; Hank Koller, sax tenore; Jutta Hipp, piano; Franz «Shorty» Roeder, contrabbasso; Karl Sanner, batteria. Registrato nel giugno 1953.

 Sound-Koller (Mangelsdorff), id.

sabato 12 dicembre 2015

Dark Times – Not While I’m Around (Sean Jones)

 Sean Jones, nato nell’Ohio nel 1978, è uno di parecchi trombettisti neri americani, giovani o quasi, di bel talento nell’ambito di un jazz moderno ben temperato.

 Jones, che è stato sideman fra altri di Nancy Wilson, Joe Lovano e Frank Foster e anche prima tromba nell’orchestra del Lincoln Center, tiene cattedra alla Duquesne University di Pittsburgh, dove risiede.

 La sua tromba, che com’era da aspettarsi è tecnicamente ineccepibile, mostra una sonorità delicata e versicolore che ricorda Thad Jones, e un apprezzabile pudore espressivo, di cui non scapita l’intensità. Con la canzone di Stephen Sondheim, da «Sweeney Todd», Jones fa anche una scelta di repertorio non banale.

 Dark Times (Jones), da «Im.pro.vise: Never Before Seen», Mack Avenue MAC 1080. Sean Jones, tromba; Orrin Evans, piano; Luques Curtis, contrabbasso; Obed Calvaire, batteria. Registrato nel 2014.

 Not While I’m Around (Sondheim), ib. senza Curtis e Calvaire.

venerdì 11 dicembre 2015

Light Blue – Nutty (Thelonious Monk)

 Monk nel 1969 a Parigi con Rouse e il quartetto arronzato con due sconosciuti. Ma per due pezzi, Monk chiamò su Philly Joe Jones, che era fra il pubblico.

 Secondo Robin D. G. Kelley, autore di una ponderosa biografia di Monk, in quell’occasione «Jones aveva un aspetto terribile: macilento, privo degli incisivi, fragile». Fragile non si sarebbe proprio detto, a sentirlo in Nutty.

 Light Blue (Monk), da «Paris 1969», Blue Note 0602537460502. Charlie Rouse, sax tenore; Thelonious Monk, piano; Nate Hygelund, contrabbasso; Paris Wright, batteria. Registrato il 15 dicembre 1969.

 Nutty (Monk), id. ma Philly Joe Jones al posto di Wright.

mercoledì 9 dicembre 2015

A Swing For Joey (David Allyn)

 Ogni tanto compare qui sopra David Allyn, un cantante un po’ misterioso. Anche questa canzone, di cui Allyn ha scritto la musica e che esegue nuda e cruda nelle sue 32 battute e basta, viene dall’unico disco suo che io conosca, in duo con Barry Harris – accompagnatore con il quale canterei bene anch’io (ma io, in realtà, canto piuttosto bene).

 Una nostra amica sostiene che David Allyn abbia voce cipollosa, ma a me piace.

 A Swing For Joey (Allyn-Webb), da «Don't Look Back», Xanadu 101. David Allyn con Barry Harris, piano. Registrato nel febbraio 1975.

martedì 8 dicembre 2015

Etcetera – Indian Song (Wayne Shorter)

 Wayne Shorter registrò nel 1965 questo disco che la Blue Note non pubblicò; sarebbe uscito solo nel 1980.

 Altre volte sono rimasto perplesso, come tutti, per questa strana politica che la Blue Note usò per esempio con Tina Brooks (sempre) e poi alcune volte con Bobby Hutcherson, Andrew Hill e altri: faceva registrare i musicisti, li pagava – e la Blue Note pagava loro anche il tempo delle prove – , poi chiudeva i nastri nell’armadio anche quando conservavano musica ottima o addirittura eccelsa.

 Stavolta non mi scandalizzo: direi che la pur degna musica contenuta in «Etcetera» non tenga tutto sommato il passo con i capolavori che Shorter e Hancock andavano registrando e pubblicando in quel torno di tempo a nome proprio, a nome l’uno dell’altro, e a nome di Miles Davis. Il disco è un po’ diffuso, che è il contrario di concentrato; c’è forse un pezzo di troppo, Penelope, ballad che somiglia ad altre più riuscite di Shorter, e manca un fuoco espressivo che renda il tutto distinto e memorabile. E mentre le composizioni sono piuttosto interessanti, non ce n’è una indimenticabile, anche se colpisce il 10/4 di Indian Song.

 Sono ottimi però l’esecuzione generale e gli assoli, in particolare quelli di Hancock che è spiritato e si carica il disco sulle spalle, e poi io resto sempre ammirato quando ascolto Joe Chambers. In Etcetera, che ha il profilo del blues senza averne le armonie né lo spirito (ma ha un bell’head polifonico), egli «batte» un backbeat feroce ma leggero senza quasi farsene accorgere.

 «Bene gli altri», benissimo, anzi: è Cecil McBee!

 Etcetera (Shorter), da «Etcetera», Blue Note CDP 533581. Wayne Shorter, sax tenore; Herbie Hancock, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Joe Chambers, batteria. Registrato il 14 giugno 1965.

 Indian Song (Shorter), id.

lunedì 7 dicembre 2015

I Remember You (Jim Hall)

 Non si passano senza scotto le negligenze, e per buona sorte: a questo, anche, servono gli amici. Paolo il Lancianese non mi ha fatto passare liscia, nella mia trascuranza dei chitarristi, quella davvero poco perdonabile di Jim Hall. Hall è qui in un trio californiano dal nome, molto tongue in cheek, di «Modest Jazz Trio» con la particolarità di avere uno dei massimi contrabbassisti del jazz, Red Mitchell, in veste di pianista.

 Il titolo di questo disco è in elegante contrattempo con l’imminente periodo festivo.

 I Remember You (Mercer-Schertzinger), da «Good Friday Blues», Pacific Jazz Records PJ-10. Jim Hall, chitarra; Red Mitchell, piano; Red Kelly, contrabbasso. Registrato il 2 aprile 1960.

domenica 6 dicembre 2015

So Do It! – Sandu – I Don’t Stand A Ghost Of A Chance With You (Wes Montgomery)

 Wes Montgomery rappresenta uno dei vuoti più cospicui e tutto sommato meno giustificabili in Jazz nel pomeriggio, che pure non si è mai prefisso nessuna agenda; blame it on my youth, no, scherzo, da’ pure la colpa al mio non grande amore per la chitarra, non davvero a una mia ostilità per questo chitarrista.

 Le tre esecuzioni, in cui Wes è accompagnato da un quartetto fortissimo che include l’inglese Victor Feldman e quel James Clay non nuovo a questi lidi, ne illustrano bene le qualità: un suono vibrante e gutsy, non troppo elettrico, un fraseggio swingante e intriso di blues su tutti i registri dello strumento con preferenza per quello medio basso (in Sandu Montgomery tocca e ritocca note non udite sovente sulla chitarra) e poi quelle potenti, caratteristiche frasi in ottava.

 So Do It! (Montgomery), da «Movin’ Along», [Riverside] OJC 00025218608923. James Clay, sax tenore; Wes Montgomery, chitarra; Victor Feldman, piano; Sam Jones, contrabbasso; Louis Hayes, batteria. Registrato il 12 ottobre 1960.

 Sandu (Clifford Brown) id. ma  Clay suona il flauto.

 I Don’t Stand A Ghost Of A Chance With You (Crosby-Washington-Young), id.  ma senza Clay.

sabato 5 dicembre 2015

Nature Boy (Miles Davis)

 Il disco che Miles Davis fece per l’etichetta di Mingus (e di Max Roach), la Debut, poco dopo la sua trionfale esibizione al festival di Newport di quell’anno.

 Nature Boy (Eden Ahbez), da «Blue Moods», [Debut] OJC 0025218604321. Miles Davis, tromba; Britt Woodman, trombone; Teddy Charles, vibrafono; Charles Mingus, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 9 luglio 1955.

venerdì 4 dicembre 2015

Death Letter Blues (Jimmy Yancey)

 Jimmy Yancey, secondo me il più grande dei pianisti boogie e uno dei più grandi bluesman sul pianoforte, qui canta anche, e conclude come sempre con il suo incongruo tag in mi bemolle (il pezzo, calante nel riversamento, è in do).

 Death Letter Blues (Yancey), da «Barrelhouse Boogie», Bluebird 8334-2-RB. Jimmy Yancey, piano. Registrato il 6 settembre 1940.

giovedì 3 dicembre 2015

[Guest Post #59] Alberto Arienti Orsenigo e Friedrich Gulda

  Il guest post del ben noto Alberto Arienti Orsenigo oggi è di un impegno particolare, anche tecnico per l’A.O., che si è dovuto cimentare in un editing audio. Approviamo la scelta: benché Gulda sia molto apprezzato qui a Jnp soprattutto come interprete beethoveniano e bachiano, vi è comparso già come jazzista di distinzione.


 Un monumento del pianismo classico del secolo scorso alle prese col jazz. A differenza di altri esponenti della musica colta che hanno visitato il jazz sporadicamente con curiosità e disinvolta superiorità, Friedrich Gulda l’ha affrontato per anni con grande passione ed impeto, buttandosi anche in rischiose imprese con tastiere tecnologicamente improbabili. La sua eccellenza tecnica associata ad una non comune conoscenza del jazz (per un artista della sua estrazione) gli ha consentito di produrre della buona musica, spesso anche ottima, che però non ha mai convinto del tutto gli appassionati che lo vedevano più come un curioso diversivo che come uno di famiglia.


 Questo disco doppio è forse l’unico veramente riuscito, certamente è il più originale e quello che mostra con più chiarezza la profonda conoscenza e il suo amore per il jazz. Il lungo viaggio che ci propone è quello, autobiografico, intrapreso da un musicista europeo di educazione classica, nel mondo del jazz. La grande intuizione è quella di analizzare il jazz nelle sue strutture, secondo lo schema eurocentrico, producendo degli esercizi propedeutici che evidenziano le caratteristiche ritmico-armoniche di questa musica. Un libro di studi che passo dopo passo integrano i vari aspetti del jazz e che porteranno all'esecuzione finale (molto libera) in duo con una batteria: l’acquisizione della libertà musicale conquistata lentamente, razionalmente, sistematicamente.


 I due dischi sarebbero da ascoltare in sequenza per gustare «levoluzione del viaggio», io ho dovuto fare delle scelte e tagliare moltissimo i pezzi scelti: Play Piano Play (Zehn Übungsstücke Für Klavier), come dice il sottotitolo è costituito da dieci esercizi per piano e dura quasi mezz’ora. Il mio breve estratto evidenzia un pianista a metà strada tra Hines e Waller ma dall’educazione elegantemente viennese (nell’opera intera i richiami pianistici son ben più ampli).


 Variationen Über «Light My Fire» dura poco meno di un quarto d’ora e mette in evidenza una piccola ossessione di Gulda, affascinato dalla canzone dei Doors che ha spesso suonato in trio nei concerti ed incisa su disco. Il momento selezionato è la riflessiva parte centrale e l’inizio nel finale in crescendo in cui il musicista si tuffa con un coraggioso «spirito rock».



 Play Piano Play (Zehn Übungsstücke Für Klavier) (Gulda) [estratto], da «The Long Road To Freedom», MPS. Friedrich Gulda, piano. Registrato nel 1971.


 Variationen Über «Light My Fire» (Gulda) [estratto], id.

mercoledì 2 dicembre 2015

Buried Somewhere – Change Of Heart (Martin Speake)

 Non sono ben riuscito a trovare capo e coda nella musica di questo disco; in qualche modo tuttavia, anche se parlarne a mia volta non so, dev’essere riuscita a parlarmi lo stesso, visto che mi è piaciuta.

 Londinese, nato nel 1958, Martin Speake è uno di quei jazzisti che, come Danny Zeitlin, Eddie Henderson, Art Themen e qualche altro, affianca alla pratica musicale quella medica (nutrizionista). Sul sax alto ha una voce personale pur con un‘eco molto distinta di Lee Konitz, e guida questo quartetto in esecuzioni diffuse ma non lasche, non convenzionalmente «atmosferiche», anche perché la sezione ritmica e in particolare la batteria vi trovano una presenza insolitamente corposa per una produzione ECM. Spazio amplissimo ha Bobo Stenson.

 Buried Somewhere (Speake), da «Change Of Heart», ECM 1831. Martin Speake, sax alto; Bobo Stenson, piano; Mick Hutton, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato nell’aprile 2002.

 Change Of Heart (Speake), id.

martedì 1 dicembre 2015

Let Me Look Down Your Throat or Say Ah (Henry Threadgill)

 Il titolo di questo disco del 1987 descrive bene l’impressione che mi fa la musica di Henry Threadgill quando la giudichi ben riuscita: di scivolare inavvertitamente in un mondo diverso.

 Del disco, che è tutto molto bello e d’ispirazione versicolore, come sempre in Threadgill quando è in forma, ho scelto questo pezzo dal titolo otorinolaringoiatrico in omaggio alla stagione.

 Let Me Look Down Your Throat or Say Ah (Threadgill), da «Easily Slip Into Another World», RCA/Novus 3025-2-N11. Rasul Siddick, tromba; Frank Lacy, trombone; Henry Threadgill, sax alto e clarinetto; Diedre Murray, violoncello; Fred Hopkins, contrabbasso; Pheeroan akLaff, Reggie Nicholson, batteria. Registrato il 20 settembre 1987.

lunedì 30 novembre 2015

Conversations (Chico Freeman)

 Chico Freeman, nell’head di questa che mi sembra proprio una contraffazione di Hot House, si è ricordato dei quartetti di Anthony Braxton di quegli anni (1976). Del resto, dell’eteroclita formazione sono parte alcuni personaggi illustri dell’AACM di Chicago.

 Questo fu l’esordio a proprio nome di Freeman e apparve in origine per un’etichetta giapponese.

 Conversations (Freeman), da «Morning Prayer», [Whynot] India Navigation IN-1063. Chico Freeman, sax tenore; Henry Threadgill, sax baritono; Muhal Richard Abrams, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Steve McCall, batteria. Registrato nel 1976.

domenica 29 novembre 2015

Prelude To A Kiss (Mickey Tucker)

 Di tanti che parlano o scrivono di jazz, in ispecie sull’internet, mi incuriosisce l’uso ampio dell’aggettivo «sottovalutato» anche quando si tratti di musicisti ben noti; il più delle volte sembra un espediente un po’ corrivo per lasciar intendere un proprio gusto, proprie conoscenze superiori a quelle di οἱ πολλοί.

 Per Mickey Tucker (1941), però,  corro volentieri il rischio di rendermi curioso a mia volta, perché mi pare un pianista di belle capacità e bellissima musicalità, teste anche quanto di lui già abbiamo sentito a suo tempo su Jazz nel pomeriggio, e che se non sbaglio non gode, tutto sommato, della notorietà che merita. L’episodio stride di questa Prelude To A Kiss, inserito fra una intro e una coda rapsodiche, tatumiane, è volutamente caricaturale.

 Prelude To A Kiss (Ellington), da «The Piano Players», Xanadu 171. Mickey Tucker, piano. Registrato il 22 dicembre 1975.

sabato 28 novembre 2015

[Guest Post #58] Guido Calza & Honi Gordon

Chissà le volte che ti sei domandato: quanti saranno i traduttori di mestiere che siano anche appassionati di jazz? Ecco, che io sappia almeno due: oltre a me, sempre a Milano c’è l’eccellente Guido Calza, che poche sere fa è andato a sentire Bob Dylan e dopo ha pensato a noi. La sua scelta, raffinata come il commento che l’accompagna, ci offre anche un grande assolo di Jaki Byard e, ascolto raro, Ken McIntyre.

 Vorrei proporre un guest post a seguito del concerto di Bob Dylan. Un omaggio.

 Com’è noto Dylan si è avvicinato al repertorio degli standard con esiti quanto meno interessanti. A Milano ha eseguito un pezzo ricordato, oltre che per le due versioni di Sinatra, per quella di una giovanissima Honi Gordon (che collaborò con Mingus, nientemeno): Why Try To Change Me Now, di McCarthy e Cy Coleman (la classe non è acqua).

 La voce della Gordon, di chiara ispirazione «vaughaniana», ha un bel timbro caldo e nei gravi, che contrasta con gli acuti chiari e quasi «da bianca». Il pezzo, registrato per il suo unico album (Prestige) nel 1962, è movimentato da un assolo blueseggiante di Jaki Byard, che raddoppia il tempo e anticipa le virtuose variazioni del finale.

 Why Try to Change Me Now (Coleman-McCarthy), da «Honi Gordon Sings», Prestige 7230. Honi Gordon, voce; Jaki Byard, piano; Wally Richardson, chitarra; Ken McIntyre, flauto, sax alto; George Duvivier, contrabbasso; Eddie Shaughnessy, batteria. Registrato il 23 marzo 1962.

giovedì 26 novembre 2015

Blue Bells (Stan Getz & Tony Fruscella)

 Questa seduta ha un certo whiff californiano nel tema disossato e negli accenni di contrappunto, benché abbia avuto luogo a New York. Il pianista John Williams è colui che anni dopo si sarebbe illustrato componendo clamorose fanfare di ottoni per molti blockbuster di Hollywood.

 Blue Bells (Sunkel), da «The 1954 Unissued Atlantic Sessions», Fresh Sound FSR-CD 660. Tony Fruscella, tromba; Stan Getz, sax tenore; John Williams, piano; Bill Anthony, contrabbasso; Frank Isola, batteria. Registrato il 31 gennaio 1955.

martedì 24 novembre 2015

Blues Without Woe (Teddy Charles)

 Redattore incimurrito, «Pomeriggio» striminzito: solo musica e quasi niente parole. Non ne scapiterà nessuno.

 Blues Without Woe  (Teddy Charles), da «Olio», [Prestige] OJCCD-1004-2. Thad Jones, tromba; Frank Wess, sax tenore; Teddy Charles, vibrafono; Mal Waldron, piano; Doug Watkins, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 16 febbraio 1957.

lunedì 23 novembre 2015

Lula (Benny Carter)

 Lula (Carter), da «BBB & Co.», [Prestige] OJCCD-758-2. Shorty Sherock, tromba; Barney Bigard, clarinetto; Benny Carter, sax alto; Ben Webster, sax tenore; Jimmy Rowles, piano; Dave Barbour, chitarra; Leroy Vinnegar, contrabbasso; Mel Lewis, batteria. Registrato il 10 aprile 1962.

domenica 22 novembre 2015

Lonely Woman – Oyster Perpetual (Hugh Hopper)

 Ascolta dapprima un’interpretazione suggestiva della forse più nota composizione di Ornette Coleman da parte di alcuni heavies del prog e del jazz inglese degli anni Settanta. La melodia è eseguita in unisono dai fiati con scrupolo quasi pedante e adoperata come «cantus firmus», al tenore, per i misteriosi movimenti che avvengono nelle frequenze basse.

 Segue una composizione del leader Hugh Hopper.

 Lonely Woman (Coleman), da «Hopper Tunity Box», Culture Press 3012842. Marc Charig, corno tenore; Elton Dean, saxello; Gary Windo, clarinetto basso; Richard Brunton, chitarra; Hugh Hopper, basso elettrico, percussioni. Registrato nel 1976.

 Oyster Perpetual (Hopper), ib. C.s. ma senza Brunton e Windo; Frank Roberts, piano elettrico; Mike Travis, batteria.

sabato 21 novembre 2015

Ain’t Misbehavin’ – Yesterdays – Chopin Prelude (Enrique Villegas)

 L’argentino Enrique «Mono» Villegas (1913-1986) qui è ripreso nel 1956 negli Stati Uniti, in fast company.

 Secondo il poco che di Villegas ho trovato sull’internet, l’argentino fece una buona impressione nel suo breve soggiorno nord-americano, quando fu sotto contratto con la Columbia per due dischi.

 Io ho trovato questo «Introducing» piacevole, ma non fino alla fine. Diciamo che il suo timing poco idiomatico, o che almeno non è quello che intendo io per swing in simile repertorio e formazione, non è (per me) specialmente interessante, né lo sono le sue improvvisazioni episodiche e capziose. Chopin Prelude è un pastiche un po’ insulso che combina le battute introduttive della Ballata in sol minore con il Preludio in La maggiore. Se non altro Villegas ci ha risparmiato il Preludio in Mi minore, malmenato sovente dai jazzisti.
 Per ragioni che non so, questi tre file non si eseguono online. Puoi tuttavia scaricarli e ascoltarli con qualche programma dedicato.
 Ain’t Misbehavin’ (Razaf-Waller-Brooks), da «Introducing Villegas», Columbia CL 787. Enrique Villegas, piano; Milt Hinton, contrabbasso; Cozy Cole, batteria. Registrato nel 1956.

 Yesterdays (Kern-Harbach), id.

 Chopin Prelude, id.

venerdì 20 novembre 2015

Contra Basse (Anthony Braxton)

 Una sveglia inquietante, oggi, con il sax contrabbasso di Anthony Braxton da questo bizzarramente titolato disco del 1971, lo stesso che contiene un surreale quintetto di bassi tuba.

 Contra Basse (Braxton), da «The Complete Braxton», Freedom 32JDF-185. Anthony Braxton, sax contrabbasso. Registrato nel febbraio 1971.

giovedì 19 novembre 2015

Bag’s Groove (Jay & Kai)

 Ho un debole notorio per il trombone choir ma mi accontento anche di due soli tromboni, specie di questi due. Il primo solista è J.J. Johnson, il secondo Kai Winding.

 (Il trombone e meglio ancora due tromboni dilatano il suono e lo spazio in cui il suono si spande e la musica si sviluppa; dilatano anche il tempo, per la loro meccanica particolare che induce gli esecutori, per quanto virtuosi, a scegliere valori di nota lunghi; dilatano perfino il tempo storico all’indietro: inevitabilmente, un pezzo di jazz con il trombone – e meglio ancora etc – guarda indietro, rimanda a epoche passate, perfino remote. In questo classico bebop blues, la ritmica finisce per prendere un passo marcatamente Swing).

 Bag’s Groove (Jackson), da «Early Bones», Prestige P-24067. J. J. Johnson, Kai Winding, trombone; Dick Katz, piano; Peck Morrison, contrabbasso; Al Harewood, batteria. Registrato il 3 dicembre 1954.

martedì 17 novembre 2015

One White Whale (Fred Kaz)

 Di Fred Kaz, pianista di jazz solo occasionale ma sugoso, ti ho già detto tempo fa. Lì ti rimando.

 One White Whale (Kaz), da «Eastern Exposure», Atlantic SD-1335. Fred Kaz, piano; Victor Sproles, contrabbasso; Roger Wandersheid, batteria. Registrato il 25 marzo 1960.

lunedì 16 novembre 2015

Something About Believing (Duke Ellington)

 Come tutte le professioni di fede genuine, quella di Duke Ellington è semplice, serena, lampante, irresistibile; e si può anche cantare.

 Something About Believing (Ellington), da «Second Sacred Concert», Prestige 0002521854428. Duke Ellington Orchestra: Cat Anderson, Cootie Williams, Mercer Ellington, Herbie Jones, Money Johnson, tromba; Lawrence Brown, Buster Cooper, Benny Green, trombone; Chuck Connors, trombone basso; Johnny Hodges, Russell Procope, sax alto; Paul Gonsalves, Jimmy Hamilton, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano elettrico; Jeff Castleman contrabbasso; Sam Woodyard, Steve Little, batteria. A.M.E. Mother Zion Church Choir; Choirs of St. Hilda and St. Hugh’ School; Central Connecticut State College Singers; The Frank Parker Singers. Registrato nel 1968.

domenica 15 novembre 2015

[Guest Post #58] Paolo il Lancianese e la Francia

  Echoes Of France (La Marseillaise) (Rouget de l’Isle), da «The Complete Django Reinhardt and Quintet of the Hot Club of France Swing / HMV Sessions 1936-1948», Mosaic Records MD6-190. Stéphane Grappelli, violino; Django Reinhardt, Jack Llewelyn, Allan Hodgkiss, chitarra; Coleridge Goode, contrabbasso. Registrato a Londra il 31 gennaio 1946.

Long Island Sound (Stan Getz)

 Si tratta della versione getziana di Zing! Went The String Of My Heart, eseguita alla Carnegie Hall durante le festività natalizie del 1949 in un concerto organizzato da Leonard Feather, «Stars Of Modern Jazz».

 Long Island Sound (Getz), da «Stars Of Modern Jazz Concert At Carnegie Hall, Christmas, 1949», IAIRC 20. Stan Getz, sax tenore; Kai Winding, trombone;  Al Haig, piano; Tommy Potter, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato nel dicembre 1949.

sabato 14 novembre 2015

Crepuscular Air – Lost Mind (Mose Allison)

  Crepuscular Air (Allison), da «Local Color», Prestige/OJC 00025218645720. Mose Allison, piano; Addison Farmer, contrabbasso; Nick Stabulas, batteria. Registrato l’8 novembre 1957.

 Lost Mind (Allison), id.

venerdì 13 novembre 2015

Rose Room (Barney Bigard & Sidney Catlett)

 Barney Bigard, che con il suo stile mellifluo fu una delle più caratteristiche voci di clarinetto del jazz,  aveva spesso suonato Rose Room nella contraffazione ellingtoniana nota come In A Mellotone. Il pezzo si risolve presto in un duetto clarinetto-batteria, con Big Sid Catlett.

 Ah, buon venerdì 13.

 Rose Room (Hickman-Williams), da «The First Esquire Concert, 1944 - Vol. 2», JUCD 2017. Barney Bigard, clarinetto; Art Tatum, piano; Al Casey, chitarra; Oscar Pettiford, contrabbasso; Sidney Catlett, batteria. Registrato il 18 gennaio 1944.

giovedì 12 novembre 2015

Limelight – What Is There To Say? (Gerry Mulligan)

 Ear candies: il classico quartetto pianoless di Mulligan del 1952 e una  sua incarnazione successiva intenta alla canzone di Vernon Duke che è una di quelle del mio cuor. La canzone è prefata da una meravigliosa intro eterofonica, una composizione in sé, in imitazione non rigorosa; Art Farmer vi suona ispirato, e le contromelodie di Mulligan sotto il suo assolo – dove la sezione ritmica passa dal tempo tagliato al 4/4 – sono la perfezione.

 Limelight (Mulligan), da «Limelight», Drive 607. Chet Baker, tromba; Gerry Mulligan, sax baritono; Carson Smith, contrabbasso; Chico Hamilton, batteria. Registrato nel 1952.

 What Is There To Say? (Harburg-Duke), ib. Art Farmer, tromba; Mulligan; Bill Crow, contrabbasso; Dave Bailey, batteria. Registrato nel 1959.

mercoledì 11 novembre 2015

Nightingale (Barry Harris)

 Nightingale (Cugat-Rosner-Wise), da «Newer Than New», Riverside/OJCCD-1062-2. Lonnie Hillyer, tromba; Charles McPherson, sax alto; Barry Harris, piano; Ernie Farrow, contrabbasso; Clifford Jarvis, batteria. Registrato il 28 settembre 1961.

martedì 10 novembre 2015

[Comunicazione di servizio] Un nuovo libro su Robert Wyatt

 Robert Wyatt non è un jazzista, ma è ed è sempre stato un grande appassionato del jazz, vi si è avvicinato quando suonava nei Soft Machine e questa sua passione si avverte anche nel suo lavoro di songwriter.

 Per questo non giudico fuori luogo segnalare qui l’uscita di una nuova biografia critica del musicista inglese,  Different Every Time: la biografia autorizzata di Robert Wyatt di Marcus O’Dair. La pubblica la Giunti nella collana Bizarre, c’è la prefazione di Jonathan Coe e la traduzione (traduzione d’eccellenza, e non lo dico perché l’autore è mio amico) di Alessandro Achilli, il ben noto scrittore di musica e anche di jazz, redattore fino a pochissimo tempo fa della rivista «Musica Jazz» nonché reticente contributore di Jazz nel pomeriggio.

Monique (Paul Bley)

 Dapprima sembra che Paul Bley si sia messo semplicemente in ascolto della musica, in attesa di qualcosa che prima o poi deve succedere, mentre lascia andare le dita come in un esercizio un po’ sonnambolico. E di cose, infatti, ne succedono, non appena passato il primo minuto, a cominciare dalla più inattesa delle citazioni, per quanto obliqua e decostruita: Up, Up And Away, la canzone di Jimmy Webb che fu un successo nel 1967 cantata dai Fifth Dimension.

 Monique (Bley), da «The Life of a Trio: Sunday», Owl 014 735 2. Paul Bley, piano. Registrato il 17 dicembre 1989.

lunedì 9 novembre 2015

England’s Carol – Variations On A Christmas Theme (Modern Jazz Quartet)

 Quest’anno anticipo perfino i negozianti di Milano con le decorazioni natalizie alla mia vetrina, per il solito austera. La «English carol» è, naturalmente, God Rest Ye, Merry Gentlemen.

 England’s Carol (trad.), da «Plastic Dreams», Atlantic Masters 8122747022. The Modern Jazz Quartet: Milt Jackson, vibrafono; John Lewis, clavicembalo; Percy Heath, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato nel 1971.

 Variations On A Christmas Theme (Lewis), c.s. più Snookie Young e Joe Newman, tromba; Garnett Brown, trombone; Jim Buffington, corno; Don Butterfield, tuba.

domenica 8 novembre 2015

Left Alone – Exits (Eric Watson)

 Eric Watson, pianista americano che una volta si è definito «a recovering classical pianist», abita a Parigi da così tanto tempo da essersi meritato un qualche nastrino dei loro, non so più se Chevalier des Arts et des Lettres o che cosa. A dispetto di ciò è un valido musicista anche se, ti dicevo presentando anni fa questo stesso disco, è un gusto acquisito, per «la sua preferenza esclusiva per tempi lentissimi, immobili quasi, per le zone basse della tastiera e dunque per una musica densa, dai colori e dagli umori cupi e ruminativi».

 Caratteristiche che non disdicono affatto a Left Alone, la composizione di Mal Waldron, pianista per il quale sono certo che Watson abbia una preferenza, come probabilmente anche per Paul Bley e Ran Blake.

 Left Alone (Waldron), da «Sketches of Solitude», Night Bird Music 1005. Eric Watson, piano. Registrato il 16 agosto 2001.

 Exits (Watson), id.

sabato 7 novembre 2015

Morpheus (John Lewis & Miles Davis)

 Esauritosi l’empito dello high bebop e la fase laterale, in fondo strana, del cool e poco prima della ventata chiarificatrice dello hard bop, insomma fra tardi anni Quaranta e i primissimi Cinquanta, il jazz conobbe una non breve fase sospesa in cui la prassi armonica bebop e un gusto melodico involuto,  fussy, che veniva dall’esperienza cool, si unirono a uno smalto sonoro nuovo, più scabro rispetto al cool, e a un’espressione nervosa, come presciente di quanto stava per arrivare.

 Con John Lewis di mezzo, poi, che in quegli anni pareva essere dappertutto, la porta era aperta anche a sperimentazioni sulle forme. Sorprende tuttora all’ascolto questa Morpheus, da un disco uscito a nome di Miles Davis nel 1956 ma registrato qualche anno prima. Ha una intro estesa (dall’inizio a 0:40), in forte sospetto di bitonalità, nella quale si sovrappongono due ritmi e tre tempi diversi. Quando poi il tema entra, al minuto 00:40, lo sentiamo basato sui cosiddetti «Bird changes» o «Bird blues», cioè quella variazione del blues in dodici battute arricchita dalla progressione di passaggio II-V e la cui istanza più nota è Confirmation di Charlie Parker. Dopo gli assoli di tromba, sax tenore e piano, al minuto 01:40, la situazione riprende a decostruirsi in un’atmosfera allarmata e abbacinante, accentuata dal suono acuto della batteria di Roy Haynes, la quale domina intera l’esecuzione.

 Morpheus (Lewis), da «Miles Davis And Horns», Prestige PRLP 7025. Miles Davis, tromba; Bennie Green, trombone; Sonny Rollins, sax tenore; John Lewis, piano; Percy Heath, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 17 gennaio 1951.

venerdì 6 novembre 2015

My Feelings Are Hurt – I Ain’t Got Nobody (Fats Waller)

 My Feelings Are Hurt è una canzone in forma AABA (con intro-verse) in cui Fats Waller non esprime nessuna melodia memorabile ma una quantità di soluzioni tecnico-espressive, pianistiche, percorse da una sottile vitalità ritmica.

 I Ain’t Got Nobody, che era il numero più famoso di Bert Williams, te l’ho già fatto sentire da Fats anni fa; ora è scomparso dal server e te lo ripresento, ma riprendo ciò che ne dicevo allora:

(…) si conclude (parlo proprio delle ultimissime battute) con un esempio di tempo rubato fra i più belli che abbia mai sentito, in cui la melodia, grazie allo sfasamento fra le mani, sembra davvero staccarsi da terra.

 My Feelings Are Hurt (Waller), da «Fats Waller. Complete Victor Piano Solos», Definitive Records DCD11297. Fats Waller, piano. Registrato l’11 settembre 1929.

 I Ain’t Got Nobody (Williams-Graham), id. Registrato l’11 giugno 1937.

giovedì 5 novembre 2015

Petite Belle (Art Farmer)

 Petite Belle (trad.; arr. Swallow), da «Sing Me Softly of the Blues», Atlantic 7567-80773-2. Art Farmer, flicorno; Steve Kuhn, piano; Steve Swallow, contrabbasso; Pete La Roca, batteria. Registrato il 30 marzo 1965.

mercoledì 4 novembre 2015

Infant Eyes – Rectilinear (George Coleman & Richie Beirach)

 Richie Beirach e George Coleman può sembrare un accoppiamento poco giudizioso: un pianista, nel senso più vero, classicheggiante, e un hard bopper fegatoso, gladiatorio addirittura. Funziona bene, invece, soprattutto sul middle ground della bellissima composizione di Wayne Shorter, a parte che Beirach, quando vuole, suona con un notevole drive. A me piace anche il blues puntinista Rectilinear.

 Infant Eyes (Shorter), da «Convergence», Triloka. George Coleman, sax soprano; Richie Beirach, piano. Registrato nel novembre 1990.

 Rectilinear (Beirach), id.

martedì 3 novembre 2015

Strength and Sanity – A New Day (Booker Little)

 Alla fine, il carattere essenziale degli ultimi due dischi di Booker Little, «Out Front» e «Victory And Sorrow»di cui spesso ho cercato di dirti, ma se ci sono parole all’altezza di questa musica non sono io a possederle – sarà lo stoicismo, se non qualcosa di meglio. Quando Booker titolò il primo di questi due pezzi Strength And Sanity, sapeva di avere poco da vivere.  Era aprile, sarebbe morto in ottobre, a 23 anni.

 Ma in Strength and Sanity, come e anche di più in A New Day, io non avverto tristezza, certamente non disperazione e nemmeno rassegnazione: piuttosto una malinconia serena, come di chi non si senta già più di questo mondo.

 Strength and Sanity (Little), da «Out Front», Candid CJM 8027. Booker Little, tromba; Eric Dolphy, sax alto; Julian Priester, trombone; Don Friedman, piano; Ron Carter, contrabbasso; Max Roach, batteria, timpani. Registrato il 4 aprile 1961.

 A New Day (Little), c.s. ma Dolphy suona il flauto.

lunedì 2 novembre 2015

The Song Is You (Bobby Hackett)

 «Oggi ricorrono i morti. Speriamo che vinca il nonno».

 Espletato anche per il 2015, come tutti gli anni, questo protocollo (per la soddisfazione soprattutto del sodale delle medie qui situato), posso dirti che oggi, nel presentarti The Song Is You, non ho ragione migliore del fatto che è la mia canzone preferita di Jerome Kern, che a sua volta è forse il mio compositore preferito dell’American songbook, e che qui a suonarla c’è Bobby Hackett: basta la sonorità della sua cornetta per mettermi di buonumore e allo stesso commuovermi.

 Inoltre, Hackett appartiene all’ultima generazione di jazzisti  per i quali gli showtunes di Broadway fossero lingua madre (The Song Is You è del 1932). La sua pronuncia della melodia, qui, è impeccabile. Certo, il contorno è piuttosto nondescript, buttato lì, e tutto risulta alla fine in quella che una volta si chiamava «musica per ascensori», con quegli archi mosci e bavosetti e quella sezione ritmica senza babbo né mamma, incerta fra la pendola e la polka.

 Ma con quello che paghi qui, ti ci voglio vedere, a lamentarti.

 The Song Is You (Kern-Hammerstein II), da «The Chronological Classics 1948-1954», Classics. Bobby Hackett, cornetta; Charlie Queener, piano; Danny Perri, chitarra; Bob Casey, contrabbasso; Cliff Leeman, batteria; archi. Registrato il 15 settembre 1958.

sabato 31 ottobre 2015

The Opener – Iffie (Ulrich Gumpert)

 Il quartetto del tedesco Ulrich Gumpert (1945) esprime un suono asciutto e caldo che mi piace molto, propulso ora da un drive intenso eppure rilassato, come in The Opener, ora da un movimento più rimuginativo, come in Iffie, che riprende una musica di scena scritta anni fa da Gumpert per una Iphigenie del drammaturgo Jochen Berg.

 Gumpert suona con la disinvoltura di chi ha esplorato le regioni estreme dell’improvvisazione – con Steve Lacy, fra l’altro – prima di decidere di tornare alle strutture; in assolo e in accompagnamento  mi ha fatto venire in mente Misha Mengelberg. Notevole, direi, il saxofonista Wickihalder, svizzero.

 The Opener (Gumpert), da «A New One», Intakt CD 257/2015. Jürg Wickihalder, sax tenore; Ulrich Gumpert, piano; Jan Roder, contrabbasso; Michael Griener, batteria. Registrato il 27 settembre 2014. 

 Iffie (Gumpert), id.

venerdì 30 ottobre 2015

[Guest Post #57] Paolo il Lancianese & Serge Chaloff

Oh, bene. La linea d’acqua di questo barcone si abbassa sempre, per maggiore levità del carico, quando il comando ne passa a Paolo il lancianese, che sceglie il jazz e scrive da poeta qual è. Non ci voleva di meno per commentare quest’esecuzione di Serge Chaloff, di intensità emotiva bruciante.

 Qual è lo standard più standard di tutti? Se hai detto Body and Soul hai detto bene. Non è necessario andare sul sito JazzStandards.com per averne la conferma. Di per sé, non sarebbe forse neppure una grandissima canzone, ma dal 1930 ad oggi l’hanno eseguita in mille e più di mille musicisti (da Louis Armstrong e Paul Whiteman, i primi) e in mille e più di mille cantanti (dalla suprema Billie Holiday alla più scalcinata vocalist), anche se per tutti la versione più memorabile, leggendaria addirittura, è quella di Coleman Hawkins del ’39.

 Qui, in JnP, l’hai ascoltata addirittura due volte dal sax tenore di Chu Berry (con Roy Eldridge) e una volta dal sassofono alto di Lee Konitz. Se volessi riascoltarli ancora, non potresti: dormono, dormono sulla collina, sepolti nel cimitero di DivShare. Puoi invece oggi, se ti va, ascoltare il sax baritono di Serge Chaloff che di Body and Soul offre l’interpretazione più struggente che io conosca, di un lirismo alto e doloroso. Chaloff morì giovanissimo: ma di lui non si può dire che, se fosse vissuto più a lungo, sarebbe potuto diventare il più grande baritonista del jazz. Lo era già, a trentaquattro anni. Lo è ancora.

 P.S. Una succinta scheda su Body and Soul puoi trovarla nel libro di Ted Gioia Gli standard del jazz, da poco tradotto in italiano da Francesco Martinelli e pubblicato dalla EDT. Un libro che ha certamente molti motivi di interesse, ma sa essere anche irritante – l’autore essendo uno che ama molto parlare di sé anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Inutile dire che Serge Chaloff non vi è nemmeno nominato.

 Body and Soul (Heyman-Green-Eyton-Sour), da «Boston Blow-Up!», Capitol T 6510. Serge Chaloff, sax baritono; Boots Mussulli, sax alto; Herb Pomeroy, tromba; Ray Santisi, piano; Everett Evans, contrabbasso; Jimmy Zitano, batteria. Registrato a New York il 4 aprile 1955.

giovedì 29 ottobre 2015

Azure – A Flower Is A Lovesome Thing (Steve Lacy & Mal Waldron)

 Due squisite interpretazioni di classici ellingtoniani, il secondo in verità scritto per l’orchestra del Duca da Billy Strayhorn.

 Dalle armonie avanzate (per l’epoca: 1937) di Azure, Lacy e Waldron, che sembravano nati per suonare insieme, traggono il massimo profitto; e senti i due enunciare la melodia di A Flower Is A Lovesome Thing come se l’accarezzassero, senza quasi improvvisarvi sopra.

 Azure (Ellington-Mills), da «Sempre Amore», Soul Note SN 1170. Steve Lacy, sax soprano; Mal Waldron, piano. Registrato il 17 febbraio 1986.

 A Flower Is A Lovesome Thing (Strayhorn), id.

mercoledì 28 ottobre 2015

Monicas vals – Lucky To Be Me (Bill Evans & Monica Zetterlund)

 Nel corso della settimana che ho passato lontano da Jazz nel pomeriggio mi è successo anche di ascoltare i suoni dolcemente angolosi della lingua svedese (ma ero solo in Svizzera).

 Ecco allora, da un disco di cui ti ho già parlato l’anno scorso, la svedese Monica Zetterlund che aggiunge il suo strumento non propriamente dolce, ma soave e musicale, al trio di Bill Evans. Monicas vals è naturalmente Waltz For Debbie, a cui la Zetterlund ha aggiunto versi suoi.

 Monicas vals [Waltz For Debbie] (Evans-Zetterlund), da «The Complete Bill Evans On Verve», Verve Records 314 527 953-2. Monica Zetterlund con Bill Evans, piano; Chuck Israels, contrabbasso; Larry Bunker, batteria. Registrato il 23 agosto 1964.

 Lucky To Be Me (Bernstein-Comden-Green), id.

martedì 27 ottobre 2015

Night In Tunisia (Hampton Hawes)

 Night In Tunisia (Gillespie-Paparelli), da «Everybody Likes Hampton Hawes», [Contemporary] OJCCD-421-2. Hampton Hawes, piano; Red Mitchell, contrabbasso; Chuck Thompson, batteria. Registrato il 25 gennaio 1956.

lunedì 26 ottobre 2015

Some Other Blues (David Kikoski)

 David Kikoski (1961), pianista bravo, è stato sideman di tanti musicisti importanti e di Roy Haynes per un sacco d’anni. Leon Parker è un gran batterista con un kit ai minimi termini.

 Some Other Blues (Coltrane), da «Inner Trust», Criss Cross Jazz 1148. David Kikoski, piano; Ed Howard, contrabbasso; Leon Parker, batteria. registrato nel dicembre 1997.

domenica 25 ottobre 2015

Angolian Cry (Johnny Dyani)

 Quartetto multinazionale: Harry Beckett, suddito di Sua Maestà Elisabetta II, era nato nelle isole Barbados; John Tchicai era danese, di padre congolese; Johnny Dyani, titolare del disco, era sudafricano e Billy Hart è statunitense, e infatti divide e scandisce il tempo in modo assai diverso da come avrebbero fatto, per dire, batteristi africani come Louis Moholo o Makaya Ntshoko.

 Faccio un’osservazione: considera il titolo di questa composizione e la composizione stessa. Fosse l’autore stato un jazzman americano, o anche europeo, c’era da aspettarsi una musica aggressiva, vociferante o almeno cupa e triste (nel 1985 l’Angola era nel pieno della guerra civile). Invece il sudafricano Dyani risolve tutto in canto.

 (Poi magari la composizione era lì da un pezzo e le si è dato un bel titolo d’effetto per il disco. Anzi, scommetterei che è andata così).

 Angolian Cry (Dyani), da «Angolian Cry», SteepleChase SCCD-31209. Harry Beckett, tromba; John Tchicai, sax tenore; Johnny Dyani, contrabbasso; Billy Hart, batteria. Registrato il 23 luglio 1985.

sabato 24 ottobre 2015

The Shadow Of Khan – Yamask (Dizzy Reece)

 Non trovo parole per dire quanto mi piaccia questo disco, anzi, quanto mi piaccia Dizzy Reece; in passato le ho trovate, puoi cercare «Dizzy Reece» nella nuvola qui a destra se mai t’interessasse leggerle (e che meraviglia di batterista Charli Persip, e di saxofonisti Cecil Payne e Joe Farrell, e, e…).

 The Shadow Of Khan (Reece), da «Asia Minor», Prestige/OJCCD-1806-2. Dizzy Reece, tromba; Joe Farrell, sax tenore; Cecil Payne, sax baritono; Hank Jones, piano; Ron Carter, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 13 marzo 1962.

 Yamask (Reece), id.

venerdì 23 ottobre 2015

In The Morning – Moon And Sand (Stefano Battaglia)

 Stefano Battaglia e trio suonano sette canzoni di Alec Wilder (1907-1980), compositore statunitense appartato e complesso e dai molti e sottili rapporti con il jazz, del quale non ti dico perché me ne manca la competenza, ma che t’invito ad approfondire come meglio tu possa.

 L’interpretazione dei tre è rispettosa delle bellissime melodie, cui la consueta confezione Ecm, di cui tante volte abbiamo detto, nell’occasione non disdice, anche se questa scelta interpretativa sommessa e lievemente ossessiva non è davvero la sola che queste musiche possono elicitare. Lodi vanno comunque a Battaglia e all’Ecm per aver deciso di presentarle. Il disco riproduce parte di un concerto tenuto al teatro Vittoria di Torino e, se non si fosse capito, a me è piaciuto molto.

 Intanto, di In The Morning senti qui il Lied originale, interpretato da Valerie Errante, e di Moon And Sand una versione di Chet Baker con Frank Strazzeri al piano.

 In The Morning (Wilder), da «In the Morning. Music Of Alec Wilder», Ecm 2429 473 8673. Stefano Battaglia, piano; Salvatore Maiore, contrabbasso; Roberto Dani, batteria. Registrato il 28 aprile 2014.

 Moon And Sand (Wilder), id.

giovedì 22 ottobre 2015

Blues In The Night (Bud Shank)

 California, here I come. Una volta non sopportavo il jazz West Coast; ce n’è molto di futile, che al passare degli anni, come per un’esposizione eccessiva al sole crudo della San Fernando Valley, si è calcinato e poi dissolto in polvere. Non, tuttavia, quello contenuto in questo disco, in cui fra l’altro ho il piacere di presentarti per la seconda volta in pochi giorni il pianista Russ Freeman, uno che riusciva a dire sempre una parola personale.

 Blues In The Night (Arlen-Mercer), da «Bud Shank And Bill Perkins», Pacific Jazz CDP 7243 4 93159 2 1. Bud Shank, sax alto; Russ Freeman, piano; Carson Smith, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 19 febbraio 1956.

mercoledì 21 ottobre 2015

It Had To Be You – Riverboat Shuffle (Adrian Rollini)

 Adrian Rollini è trascorso direi inosservato su Jazz nel pomeriggio, quattro anni fa. Le musiche pubblicate allora non si possono più sentire, ma si possono ancora leggere le succinte informazioni che ne davo.

 In It Had To Be You sentiamo Benny Goodman e Ella Logan, una brava cantante e attrice scozzese che godette di buona fama in quegli anni; Rollini, nei suoi brevi interventi, e soprattutto nelle quattro battute introduttive, fa suonare il sax basso come un baritono particolarmente morbido; sembra di sentire Gerry Mulligan.

 In Riverboat Shuffle è splendido Jack Teagarden.

 It Had To Be You (Jones-Kahn), da, da «Adrian Rollini 1934-1938», Retrieval RTR 79042. Adrian Rollini And His Orchestra: Manny Klein, Dave Klein, tromba; Jack Teagarden, trombone; Benny Goodman, clarinetto; Arthur Rollini, sax tenore; Adrian Rollini, sax basso; George van Eps, chitarra; Artie Bernstein, contrabbasso; Stan King, batteria; canta Ella Logan. Registrato il 23 ottobre 1934.

 Riverboat Shuffle (Woynow-Carmichael-Mills), id., senza Logan.

martedì 20 ottobre 2015

Cry Of Hunger! (Billy Harper)

Da oggi fino a martedì venturo, 27 ottobre, mancherò per forza dalla redazione di Jnp, ma, come già altre volte, la pubblicazione delle musiche continuerà quotidiana in automatico. Non potrò replicare a eventuali commenti, ma lo farò di sicuro al mio ritorno. Ciao. 
C’è così tanto degli anni Settanta, di quel jazz e di tutto il contesto, in questo esordio da leader di Billy Harper, da sfiorare la caricatura: in realtà è un musica di un’intensità magica, oggi irripetibile, anzi, a malapena pensabile.

 Cry Of Hunger! (Billy Harper), da «Capra Black», [Strata-East] Bellaphon 660.51.022. Jimmy Owens, tromba; Billy Harper, sax tenore; Julian Priester, Dick Griffin, trombone; George Cables, piano; Reggie Workman, contrabbasso; Billy Cobham, Warren Smith, Elvin Jones, batteria; voci di Barbara Grant, Laveda Johnson, Gene McDaniels, Pat Robinson, Billy Harper. Registrato nel 1973.

lunedì 19 ottobre 2015

All Across The City (Bill Evans & Jim Hall)

 La malinconia assorta di questo duetto di Bill Evans e Jim Hall si dovrà, oltre che all’indole introvertita dei due e in particolare di Evans, per il quale non riesco a non pensare che certe situazioni musicali risultassero psicologicamente regressive, alla bella composizione di Hall, che si direbbe prendere la movenza iniziale dal secondo tema dell’Allegro del Concerto in fa per pianoforte di George Gershwin.

 Anche il titolo del pezzo è suggestivo di tristezza e solitudine urbana.

 All Across The City (Hall), da «Intermodulation», Verve 833 771-2. Bill Evans, piano; Jim Hall, chitarra. Registrato il 7 aprile 1966.

domenica 18 ottobre 2015

As The Tale Begins – A Tale Of Monk: Ask Me Now (Barry Altschul)

 Barry Altschul (New York, 1943) è stato uno dei batteristi jazz più in vista degli anni Settanta grazie a collaborazioni prestigiose, anche su disco: Paul Bley, Sam Rivers, soprattutto, per me, Anthony Braxton, e anche Braxton e Rivers insieme, nel disco di Dave Holland «Conference Of The Birds», un classico di quel decennio, alla cui particolare atmosfera sonora il suo drumming sparuto e incisivo diede un contributo importante.

 Poi io l’ho perso di vista; leggo qui che si trasferì in Europa, insegnò e che da qualche anno è tornato a vivere e a lavorare negli USA. In questo suo trio, 3Dom Factor, che opera dal 2012, a un altro veterano della scena del post-free, il bassista Joe Fonda, Altschul ha associato il più giovane Jon Irabagon, saxofonista del quartetto Mostly Other People Do The Killing.

 Qui li senti in un pezzo lungo, tutto improvvisato, e poi nella composizione di Monk, il cui titolo qui ha una breve prefazione («A Tale Of Monk»), quasi a mettere le mani avanti, benché si tratti di un’esecuzione rispettosa. «Racconti dell’imprevisto», dice il titolo di questo disco; di veramente imprevisto io non ho sentito molto, nemmeno nell’improvvisazione non preordinata, ma è musica che ho ascoltato con interesse e anche con piacere, e con piacere ho constatato che Altschul, passati i settanta, è in buonissima forma.

 As The Tale Begins (Altschul-Fonda-Irabagon), da «Tales Of The Unforeseen», TUM CD 044. Jon Irabagon, sax tenore e sopranino; Joe Fonda, contrabbasso; Barry Altschul, batteria. Registrato nel 2015.

 A Tale Of Monk: Ask Me Now (Monk), id.

sabato 17 ottobre 2015

It’s All Right With Me – I’Ve Got You Under My Skin – Easy To Love (Teddy Wilson)

 Teddy Wilson a Londra nel 1977, sessantacinquenne e in grandissimo spolvero.

 A voler cercare qualche «lezione» in queste esecuzioni non si faticherà a trovarne; io t’invito a prestare attenzione particolare al modo in cui Wilson,  praticando il tempo rubato, p.e. nell’esposizione di Easy To Love, non trasgredisca mai al tactus, cioè al proporzionato impulso ritmico orizzontale della melodia. Insomma, il pianista si prende delle libertà con il tempo, ma senza mai correre o trascinare: immagina un «elastico» musicale, che si ora si tende, ora si rilascia e così si allarga e si assottiglia senza alterare le sue proporzioni.

 It’s All Right With Me (Porter), da «Plays Cole Porter», Black Lion. Teddy Wilson, piano. Registrato nel novembre 1977.

 I’Ve Got You Under My Skin (Porter), id.

 Easy To Love (Porter), id.

giovedì 15 ottobre 2015

Muscle Shoals Blues – Birmingham Blues (Fats Waller)

 Era il 1922 e Fats Waller aveva diciotto anni. Grazie agli uffici di Clarence Williams, Fats esordiva su disco OKeh suonando Muscle Shoals Blues, il cui spartito aveva visto per la prima volta quel giorno stesso, e una sua composizione sulla faccia B, in realtà una composizione estemporanea registrata per insistenza dell’entusiasta produttore della seduta Ralph Peer.

 Fats adolescente aveva già bene nelle dita e negli avambracci la meccanica dello stride piano, appresa osservando il player piano a casa dell’amico Wilson Brooks e perfezionata poi con James Price Johnson, il maggior esponente di quello stile. Il tempo è ancora un po’ rigido, ma già caratteristica è la delicatezza del tocco e degli abbellimenti alla mano destra.


 Muscle Shoals Blues (Handy), da «The Complete Recorded Works Vol. 1» JPS Records JSP927. Fats Waller, piano. Registrato il 21 ottobre 1922.

 Birmingham Blues (Waller), id.

mercoledì 14 ottobre 2015

Ooo, Those Blues – Misty Night (King Fleming)

 You’ve been an important teacher for many musicians. Who were your mentors?
 Two of my main mentors were the pianist and bandleader King Fleming,  who is still performing (…).
(Lei è stato un insegnante importante per molti musicisti. Chi sono stati i suoi, di mentori?
 Due dei principali sono stati il pianista e caporchestra King Fleming, che sta ancora lavorando (…).
Muhal Richard Abrams intervistato da Larry Applebaum nel 1996).

 Walter «King» Fleming, che era nato a Chicago nel 1922, è morto l’anno scorso. Il suo rapporto con «Muhal» Abrams, uno dei fondatori e dei personaggi più rappresentativi dell’AACM, esemplifica bene la continuità della tradizione musicale nella città dalle spalle robuste (Carl Sandburg), culla del jazz.

 Ooo, Those Blues (Fleming), da «Misty Night», Argo LP 4004. King Fleming, piano; Rail Wilson, contrabbasso; Royce Rowan, batteria. Registrato nell’autunno del 1960.

 Misty Night (Fleming), id.

martedì 13 ottobre 2015

The Pipes Of Medb – Medb’s Blues (Terry Riley & Rova Saxophone Quartet)

 Terry Riley ha composto nel 1987 questa suite ispirato da un ciclo epico irlandese dell’VIII secolo, Taín Bó Cuailnge; in alcuni dei movimenti ha voluto che i dedicatari, cioè i quattro virtuosi del Rova Saxophone Quartet, impiegassero quella che Riley chiama nelle note «resonant intonation», ossia gli intervalli naturali della scala pitagorica, ricavati dalla successione delle quinte ascendenti senza temperamento (con il risultato, alle nostre orecchie irredimibilmente temperate, di terze e seste un po’ off).

 Per rispettare questo dettato del compositore, i quattro devono essersi sottoposti a veri cimenti di diteggiatura e imboccatura. La seconda parte della composizione, in cui i Rova improvvisano a turni sul cantus firmus provvisto da tre saxofoni, è effettivamente un blues.

 The Pipes Of Medb – Medb’s Blues (Riley), da «Chanting the Light Of Foresight», New Albion NA064CD. Rova Saxophone Quartet: Jon Raskin, Larry Ochs, Steve Adams, Bruce Ackley. Registrato nel luglio 1993.

lunedì 12 ottobre 2015

Search For The New Land (Lee Morgan)

 Lee Morgan registrò questo disco nel febbraio del 1964, due mesi dopo «The Sidewinder», quello spartiacque della sua carriera che lo riportò in auge dopo due anni difficili in cui era praticamente scomparso dalla scena.

 Morgan avrebbe passato buona parte degli otto anni che gli restavano a, essenzialmente, cercare di rifare la title track di quel disco, che ebbe un eccezionale (per un disco jazz) successo commerciale e, come la Settimana Enigmistica, «ben 205 tentativi d’imitazione». La Blue Note si affrettò appunto a fargli mettere in cantiere un’impresa, nelle speranze, simile, «The Rumproller», che uscì nel 1965 senza ripetere il successo di «The Sidewinder». «Search For The New Land» avrebbe visto la luce solo nel 1966, e le andò ancora bene rispetto a un’altra seduta in sestetto, incisa nell’agosto del 1964 e pubblicata addirittura nel 1979 («Tom Cat»).

 Se «The Sidewinder» non fosse stato lo hit impreveduto che fu, Morgan avrebbe probabilmente proseguito sulla strada molto personale e per alcuni aspetti innovativa che «Search For The New Land» indicava e che invece imboccò solo a tratti. La sua carriera sarebbe allora stata diversa e, se non diverso, più ricco il panorama del jazz fra anni Sessanta e Settanta.

 Search For The New Land (Morgan), da «Search For The New Land», Blue Note 7243 5 89102 1. Lee Morgan, tromba; Wayne Shorter, sax tenore; Grant Green, chitarra; Herbie Hancock, piano; Reggie Workman, contrababsso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 15 febbraio 1964.

domenica 11 ottobre 2015

The Goat And The Archer (Woody Shaw)

 Questo post prende l’abbrivo da quello di due giorni fa.

 «Song Of Songs», 1972, è il secondo disco a nome di Woody Shaw. Segue di due anni «Blackstone Legacy» e secondo me è più interessante per concetto e per esecuzione. Nel blues alterato The Goat And The Archer, titolo che si riferisce al Capricorno, la costellazione di nascita di Shaw, la front line schiera due sax tenori: di Emanuel Boyd non so niente, come del resto del bassista e del batterista di questa seduta; Bennie Maupin in quegli anni era un sideman frequente e molto valoroso di musicisti importanti.

 Leggi che cosa scrive Woody Shaw nelle note di copertina:

(…) mi stufo dopo due chorus di suonare la stessa sequenza armonica; la differenza tra la musica di oggi e quella, per dire, di dieci anni fa o poco prima sta proprio qui. Mi piacciono le sovrapposizioni armoniche, suonare volutamente in una tonalità estranea per poi risolvere [in quella d’impianto]”.

 Come nel complesso di Henderson e Shaw sentito due giorni fa, il pianista è George Cables. Ho trovato il suo assolo, in questo contesto, sorprendente.

 The Goat And The Archer (Shaw), da «Song Of Songs», [Contemporary] OJCCD-1893-2. Woody Shaw, tromba; Bennie Maupin, Emanuel Boyd, sax tenore; George Cables, piano; Henry Franklin, contrabbasso; Woodrow Theus II, batteria. Registrato nel settembre 1972.