domenica 7 agosto 2011

[Extracurricolare] Il jazz oggi

  Leggo ora ora questo messaggio (in risposta a un altro in cui si parla del violinista Nigel Kennedy) postato sul newsgroup it.arti.musica.classica. Il messaggio è a firma di Shapiro Used Clothes, che non conosco ma che si capisce fare il libraio, ed è cosa che potrei aver scritto io, se avessi il dono di un’argomentazione tanto precisa.

  Vi si tratta della posizione di midcult assunta dal jazz in Europa e in particolare in Italia in anni recenti:

  Quanto al jazz, è antipatico dirlo, ma è di moda. O lo è stato fino a ieri. Non è una moda generalizzata, ma è molto sentita dalle classi mediamente colte. Ne consegue che tutto quello che è classificabile, a maglie larghe, come jazz (sarebbe curioso confrontare cosa corrisponde alla stessa etichetta, per dire, negli Usa, che nella storia del jazz contano qualcosa) è visto con simpatia. Essere in grado di valutare la sostanza, come sapevano fare una volta gli appassionati seri, è altra cosa. È triste vedere qualcosa di nobile e serio (che lo può essere, che lo stato spesso) degradato a icona socioculturale, a spilletta da esibire, ma succede ai migliori.

  Va da sé che esiste jazz mediocre, poco creativo. Anche se sembra di no, a sentire certi discorsi. Che poi a farli sono gli stessi (ho tanti clienti così) che adorano leggere, ma guai a proporgli qualcosa di serio, voglio di dire di poco più impegnativo di Carofiglio e Camilleri; al massimo Simenon. Che la televisione l’hanno regalata dieci anni fa, poi misteriosamente sanno tutto dei programmi di Santoro e della Dandini.


  Gradisco i vostri pareri.

3 commenti:

milo temesvar ha detto...

Non credo che il termine "moda" sia il più calzante, ma c'è molto di vero.
Il jazz per molto tempo è stato un formaggio dal gusto un po' particolare, apprezzato da pochi appassionati, e osteggiato da molti. Lo si trovava in certi negozietti ben forniti ma fuori dai giri delle comuni massaie che facevano la spesa. Poi è stato globalizzato, lo si è messo negli
scaffali dei supermercati, fra lo stracchino e il philadelphia, ed alla fine la gente ha cominciato a comprarlo. Anche perchè, per un fenomeno di osmosi, quel gusto così particolare del jazz ha cominciato ad assomigliare a quello dello stracchino.
Non tutto il jazz, ovviamente; perchè coloro "in grado di valutare la sostanza" ci sono, ma erano pochi prima e sono pochi adesso. Il cambiamento più evidente, secondo me, non è avvenuto nel pubblico degli appassionati; è avvenuto negli "altri"; l'appiattimento della capacità critica che, a forza di spingere, si è imposto un po' dovunque, ha fatto in modo che molti, che una volta avrebbero rifiutato il prodotto (in quanto "palloso" o "troppo difficile per me") preferendo qualcosa di ben diverso, adesso trangugiano anche il jazz, specialmente se servito in un contesto trendy. Preferire qualcosa, perchè?
Scusa se mi sono dilungato, ma se uno deve extracurricolare...

Paolo Lancianese ha detto...

Posso concordare su tutto ma, per favore, giù le mani da Simenon! Quell'"al massimo" grida vendetta.

negrodeath ha detto...

Sono d'accordo in linea generale. Il jazz serve a molti per vantarsi, per discutere con gli amici (tutti quanti ignoranti di jazz) che si è visto tal concerto giezz (di solito, degustazione di vini con gruppo che suona robina esangue), che ewwywa Rava e Fresu, che ben si accompagnano a Serena Dandini, Walter Weltrony e Camilleri (io preferisco Lady Gaga a Rava, Fresu, Bollani etc). E' roba entrata nel giro della cultura modajola e superficiale, a fianco della pizzica e della riscoperta delle tradizioni pppopoplari.

Concordo con Paolo Lancianese su quel "al massimo" che grida vendetta. Non perché io sia un grande estimatore di Simenon, scrittore che conosco per niente; ma per prenderlo ad esempio di scrittore bravo bravissimo che non fa parte di ambienti sufficientemente culturalizzati ufficialmente.