Non ricordo se ti ho già inflitto la mia opinione, antipatriottica e reazionaria, che il jazz italiano – non in generale, ma nei suoi esponenti più in vista – negli ultimi trent’anni non abbia fatto che scendere di livello. Sostanzio l’affermazione, non facendoti sentire uno dei tre o quattro grandi e ubiqui gezzisti italiani di oggi, ma questo disco del 1977 del trio di Claudio Fasoli con Franco D’Andrea guest (più Biriaco alla batteria, si tratta di tre quarti del Perigeo).
Poi dimmi tu.
Days Off (Fasoli), da «Eskimo Fakiro», Carosello CLE 21036. Claudio Fasoli, sax soprano; Franco D’Andrea, piano; Giorgio Azzolini, contrabbasso; Bruno Biriaco, batteria. Registrato il 9 o 10 giugno 1977.
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Pseudonimo (Fasoli), c.s. ma Fasoli suona il sax tenore, e senza D’Andrea.
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12 commenti:
è un po' quel che sostiene claudio sessa ne "le età del jazz. i contemporanei".
diciamo che forse il jazz italiano si è un po' seduto sui propri allori.
e inoltre si è diviso tra poche grandi "star" (detto con il massimo rispetto: penso che la colpa non sia dei vari rava, fresu e bollani, ma di altri) e tanti, anche bravissimi, persino "sperimentali", che tirano a campare come possono. (spesso mi arrivano da recensire cd di gente bravissima, ma che magari non è conosciuta al di fuori dell'ambito regionale, se va bene, provinciale, se va male).
poi, forse c'entra anche una certa ECM-izzazione, ma qui si aprirebbe un fronte di discussione troppo ampio.
il problema è anche che moltissimo jazz italiano degli anni '70-primi anni '80 è fuori catalogo, o reperibile solo da appassionati collezionisti (vedi il bel lavoro che fa jazzfromitaly). sarebbe o no ora che tutta quella bella roba cominciasse ad essere ristampata?
Devo sempre "rattellare" con te riguardo a Davis... Nel frattempo mi piacerebbe che tu allargassi il campo sul tema dell'abbassamento del livello italiano...
Io trovo che molto di quello che viene prodotto in Italia da un pò di anni a questa parte sia privo di vita, accademico, attorcigliato su se stesso, senza sbocchi ed impulsi. Tutti questi ragazzi che vanno ai seminari, ai corsi, di qua, di là, tecnicamente ineccepibili ma al servizio di una musica anodina.
Hai citato il Perigeo; io penso anche ai lavori di Rava per Ecm dello stesso periodo o ai dischi di Napoli Centrale: l'urgenza espressiva era diversa...
M.G.
Sergio: sì; io ho forse meno rispetto di te per Rava e Fresu, che considero rispettivamente un musicista neppure mediocre, la cui carriera e reputazione internazionale mi lascia infatti ammutolito e del tutto a corto di spiegazioni; e un musicista così-così che fa musica che a me non interessa. Diverso è il caso di Bollani, che dei tre è con ogni evidenza e di grandissima pezza il musicista migliore ma per il quale il jazz non è il primo interesse e forse nemmeno il secondo. Non glielo rimprovero.
Sul fuori catalogo, hai ragione.
M.G.: siamo d'accordo.
Sull'ultimo Rava, forse ti potrei anche dar ragione (credo che ci sia ormai su di lui un forte "effetto-aura", per così dire), ma in passato ha fatto anche cose belle. Certo, non è mai stato un fulmine di guerra sul suo strumento, e il paragone con Davis lo evito per amor di patria.
Ci sarebbe anche da fare un discorso sui festival, sul fatto che la mega-kermesse ospitata nella città in cui abito (e che, come ormai da vari anni, non seguirò) quest'anno dedichi le prime serate del suo palco più prestigioso a Caro Emerald, Dee Alexander, Santana, Liza Minnelli, Prince, B. B. King; poi un po' di Brasile (Gilberto Gil e Sergio Mendes, quest'ultimo ormai spremuto da decenni) e un po' di Cuba (Michel Camilo e Chucho Valdes) e, come contentino, un paio di serate jazz: una a me sconosciuta Chihiro Yamanaka che apre per Hancock e Shorter che tributano Davis (oddio, basta con i tributi...), un accoppiamento Hiromi-Ahmad Jamal e uno Branford Marsalis-European Jazz Ensemble.
Se dovessi trarre da qui un ritratto del jazz oggi, direi che si tratta di un cocktail di pop e di easy listening, con qualche eco di Latino-America e un plotone di vecchietti non-italiani, anche arzilli, in molti casi, ma che fanno la musica di 50 anni fa.
Resto del programma: il grande Renato Sellani relegato nei ristoranti, qualche nuovo-solito nome italiano (Petrella, Guidi: bravi, ma esistono sono solo loro?), Anat Cohen che fa cose abbastanza interessanti, il Malcolm X di Bearzatti (vivaddio), e altri nomi qua e là, anche di buona qualità (Di Battista, Ionata, Mirabassi, Mingo, Tamburini, Ciammarughi, Gatto, Zeppetella, Bosso, Cafiso, Salis-Angeli-Murgia), ma tutti più o meno sentiti e risentiti su quei palchi, e nessuno tale da gridare al miracolo.
Davvero c'è solo questo?
Bollani (di cui conosco la sorella, en passant per fare il bullo del vicoletto del paesello, btw) secondo me vuole tradurre "in italiano" la cosiddetta "americana", e il jazz diventa solo un ingrediente della sua proposta. Anche perché altrimenti il suo destino era quello del sonorizzatore di aperitivi e serate di degustazione. Di gente italiana brava ce n'è, penso a Petrella, Ottolini (per me il meglio che abbiamo), Falzone, la Palazzi, il solito D'Andrea. Ma a pescare nella ricca tavola americana si trova al 99% di meglio, di più interessante e di più gradevole. Il trombettista di Atlanta Melvin Jones ha appena esordito con un disco che molti liquiderebbero come "mainstream" e tanti saluti... beh, peccato che spazzi il culo a mille accademici eufonici progetti.
Sentite voialtri: siccome il blog ha superato l'anno e rischia di patire l'usura o almeno la troppa abitudine (per me ma anche per voi) o la ristrettezza del mio gusto, sto pensando che mi piacerebbe introdurre a cadenza regolare o anche irregolare il post ospite, in cui qualcuno di voi fornisce e commenta un pezzo di musica. V'interesserebbe? È un'idea semplicemente pigra?
Pigro o non pigro che sia, a me il 'post ospite' piace!
Valentina
Allora vuoi cominciare tu? (Per la logistica, ci mettiamo d'accordo per email)
per me va bene: però dopo l'estate. fino a metà luglio sono oberato di lavoro e poi mi servirà qualche settimana per riprendermi. diciamo che da fine agosto in poi sarò operativo.
Va bene, allora comincio io.
Valentina
per sergej
Abiti a Perugia e non vai a Umbria Jazz? Sono d'accordo sul fatto che a UJ ci sia anche tanto easy listening, pop e quant'altro, ma è l’unico festival italiano che si può permettere Hancock, Shorter ecc. (oltre che la durata, i prezzi bassi).
Poi se sei un poco razzista e consideri Michel Camilo soltanto Cuba (a parte che è di Portorico, ma non cambia), peccato che sia uno dei più grandi jazzisti del mondo,
Personalmente seguo anche la musica brasiliana e forse verrò a Perugia dalla Lombardia solo per Gilberto Gil (che ho già visto quest’inverno e altre volte). Un amico brasiliano mi ha chiesto perché Gilberto Gil è inserito nei festival jazz (non solo Perugia ma anche altri). Non essendo un esperto non ho saputo rispondergli, ma personalmente sono solo alla ricerca di buona musica. Ne ho sempre trovata nel nome del jazz, che forse oggi è meno definibile rispetto al passato. Grazie a questo sito che mi fa conoscere tanti brani e autori fantastici.
A rpeto
Rob
@Rob
A parte il fatto che quest'anno, comunque, non sarò a PG in quel periodo, per motivi di lavoro, ho seguito Umbria Jazz per più di 20 anni, ma poi mi sono un tantinello scocciato di risentire ogni anno gli stessi identici nomi; e a prezzi tutt'altro che bassi, aggiungo.
Il jazz è molto ma molto più vario rispetto a quel che si sente a UJ, che ormai invita non in base al valore dell'artista, ma in base a due fattori: appeal economico e logiche clientelari. Una politica un tantinello discutibile, da parte di quello che vorrebbe essere il più grande festival italiano, e che ormai ha sacrificato la qualità dell'offerta alla necessità di fare cassa.
E lo dico avendo frequentato, sia da spettatore sia da giornalista, i backstage e i retroscena del festival, e conoscendo di persona la gente, non sempre esattamente "simpatica", che lo organizza.
Nel merito del programma di quest'anno.
Hancock e Shorter li avrò sentiti almeno una decina di volte ciascuno, e questo progetto, devo dire, è fra i meno interessanti.
Quanto a Michel Camilo: a parte il "razzismo" sul quale preferisco non commentare (dico solo che, anche se usata in maniera metaforica, è una parola che preferirei non vedere associata al mio nome, neanche per scherzo), il mio era un discorso di tipo diverso, che non si riferiva al pianista in sé (che è molto bravo anche come jazzista, ma che non è, neanche alla lontana, "uno dei più grandi jazzisti del mondo"), ma al modo in cui la musica latinoamericana, cubana o portoricana che sia, viene usata e presentata in UJ.
Idem per i brasiliani: io adoro la musica brasiliana e trovo che Gil ci stia benissimo in un festival jazz, solo che Gil l'ho già sentito (e anche Veloso, Marisa Monte, Maria Bethania, Djavan, e Carlinhos Brown, Sergio Mendes, Vinicius Cantuaria, e tanti altri) parecchie altre volte.
Differenziare un po' l'offerta, no? Puntare sul jazz, visto che si tratta di un festival che ha "jazz" nel nome, no?
Possibile che il jazz sia solo una parte minoritaria dell'offerta, per di più relegato sui palcoscenici più piccoli e negli orari più scomodi (mattina, pomeriggio, notte fonda)?
Prova a guardare i programmi di UJ degli ultimi 10 anni, dimmi se non ti sembrano uno la fotocopia degli altri, e poi ne riparliamo.
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