«La musica bella non ha tempo» è un luogo comune frusto e poco vero, perché tutte le espressioni artistiche sono del loro tempo, da cui prendono significato; diciamo piuttosto che la musica più bella è quella che continua a parlare del proprio tempo in maniera comprensibile e avvincente anche attraverso gli anni, a volte i secoli.
Nel jazz è sicuramente questo il caso di tanta musica di Duke Ellington. Come pianista, in particolare, si può dire avesse uno stile che attraversava il tempo. Formatosi alla scuola del regtime prima e poi dei pianisti stride di New York, lo si sentì fare della musica con tratti atonali già nel 1947, nelle celebrate intro e outro pianistiche di The Clothed Woman. Nel 1963, nel disco in trio con Mingus e Roach, il maestro appare più spregiudicato dei colleghi di quasi trent’anni più giovani, in particolare nel pezzo che intitola il disco e in una sconcertante, brutale Summertime.
Nel 1972 il Duca registrò un omaggio a Jimmy Blanton, l’inventore del contrabbasso moderno che brillò di viva luce nella sua orchestra per meno di due anni; con Ray Brown rifece con scrupolo di fedeltà quattro dei sei duetti che nel 1939-40 aveva registrato con Blanton. Il risultato è felice, Brown era un grande bassista e sentire Duke al piano è sempre una gioia; ma qui interessa la Fragmented suite for Piano and Bass in quattro movimenti, il pezzo forte del disco e secondo me uno dei risultati maggiori dell’Ellington tardo, in particolare a considerarlo nel contesto di questo disco.
I quattro movimenti vedono piano e basso duettare sulla base, più che di temi o di sequenze armoniche, di sintetici gesti musicali, suggestioni sonore: nel primo movimento, su un vamp variato e mobile del basso, Ellington improvvisa lungo un modo frigio di do, con licenze, con effetto di colore mediorientale, in una sospeso e perentorio.
Il secondo movimento, memore più degli altri dei duetti con Blanton ricreati appena sopra nel disco, sviluppa un «quattro» swingante intorno a una batteria di accordi di settima di seconda specie che ricorrono al mezzo e alla fine. Anche qui Ellington è ora facondo, ora aforistico, ora citazionista, sempre suonando a tutta tastiera in un modo che amplia eccezionalmente l’orizzonte sonoro e dinamico della musica, con senso infallibile della diversa risonanza del pianoforte nelle diverse ottave. Brevi e virtuosistici break del basso servono a conferire ulteriore respiro al pezzo.
Il terzo movimento si avvolge e svolge intorno a una piccola figura cromatica ascendente e discendente dell’armonia, otto battute, sormontate da un temino a riff e corredate da un ponte; il livello espressivo dominante è qui nel «quattro» implacabile di Brown, che chiude con una cadenza virtuosistica.
L’ultimo movimento è astratto, sonicamente spostato verso l’acuto fin dai piccoli cluster di Ellington sulla settima ottava del piano che aprono il pezzo, il quale riprende, con ben maggiore rilievo del basso e con più libertà, l’atmosfera modale del primo movimento. Poco dopo la metà, Ellington ripete una cupa figura ad accordi sulla seconda ottava, contrastata da figure spiraliformi alla mano destra e da figurazioni ora in ostinato, ora libere di Brown. Il pezzo si conclude su un dissonante accordo di do minore con quarta eccedente, ribattuto per cinque volte con definitiva risolutezza.
In retrospettiva, il disco «This One’s for Blanton» è una commemorazione musicale, ed è l’intento dichiarato; è una celebrazione e una riconsiderazione in forma di critica poietica di un momento della storia musicale di Ellington a cui Jimmy Blanton diede un contributo importante; nella sua parte finale, la Fragmented Suite, è una dimostrazione in vivo della perenne attualità di un linguaggio e di una poetica.
Fragmented Suite for Piano and Bass, 1st Movement (Ellington), da «This One’s for Blanton», Pablo. Duke Ellington, piano; Ray Brown, contrabbasso. Registrato nel dicembre 1972.
Fragmented Suite for Piano and Bass, 2nd Movement, id.
Fragmented Suite for Piano and Bass, 3rd Movement, id.
Fragmented Suite for Piano and Bass, 4th Movement, id.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Quanto ho sempre amato questo album (e i duetti con Blanton, va da sé!).
Posta un commento