Dunque, qui siamo con un grande jazzista nato nel 1903 o forse prima (pianista con gli Hot Seven di Armstrong, per dirne una) alle prese con una composizione classica del jazz moderno, Bernie’s Tune, resa famosa dal quartetto pianoless di Gerry Mulligan con Chet Baker. Con lui sono due colossi ritmici del jazz moderno, a un certo momento perfino d’avanguardia, Richard Davis ed Elvin Jones. L’anno è il 1966.
Posto che l’interpretazione di «Fatha» Hines è fresca e vivace, che cosa ce la qualifica come il lavoro di un jazzista nato nel 1903 e cresciuto insieme con il jazz? Senza entrare in dettagli, io direi: l’automatico editing che Hines fa della sua improvvisazione; l‘esecuzione, di poco meno di quattro minuti, è un assolo continuo del pianista con il rispettoso accompagnamento dei due padreterni. A differenza degli assoli di suoi colleghi moderni, anche grandi, non c‘è alcun diffondersi, non viene lasciato spazio a momenti di in cui prendere fiato abbandonandosi momentaneamente a una formula, a una scala, a un ostinato: costante sembra la preoccupazione di dire qualcosa, e di farlo di maniera che ogni frase e ogni episodio consegua con logica discorsiva dal precedente. In definitiva, Earl Hines non suona mai dimenticandosi del pubblico che ha davanti.
Bernie’s Tune (Miller), da «The Mighty Fatha», Flying Dutchman FD-10147. Earl Hines, piano; Richard Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 17 gennaio 1966.
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2 commenti:
C'è qualcosa che non funziona. Il link porta a una pagina bianca. Comunque, il più grande. Forse.(Anni fa proprio qui si sfiorò la questione: e mi pare che si guadagnò lui il primato anche rispetto a Art Tatum...).
Ora dovrebbe funzionare. Eh, con Art Tatum siamo lì…
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