Quando la mia coscienza rimostra e punge perché renda noto quanto poco io veramente capisca di jazz malgrado i fumi che diffondo sull’internet e altrove, allora io spiego che, a me, Dexter Gordon mi annoia.
Ora, o che ogni gusto e disgusto poggi in buona sostanza sul nulla, o che i gusti, come i disgusti, si trasformino col tempo, io qualche disco di Gordon che mi piaccia alla fine l’ho trovato. Questo è del 1972 e mi piace molto, per come vi suona lui – più conciso, meno tardigrado, meno indulgente alle citazioni – ma soprattutto per la sezione ritmica di grande qualità, nella quale mi dispiace solo il suono stupido, gommoso, che nella registrazione ha assunto il contrabbasso di Buster Williams e che del resto è tipico di tanti dischi incisi in quegli anni in America.
Cedar Walton è stato un grande pianista che fino a oggi Jazz nel pomeriggio ha considerato poco, anzi quasi per nulla, e uno dei pianisti accompagnatori più invadenti, pardon: interattivi che mai si siano sentiti. Qualcuno non gradirà, ma è quello che ci voleva, a me pare, perché long tall Dexter, quel lungagnone di Dexter, incalzato, restasse vigile.
Milestones (Davis), da «Generation», [Prestige] OJCCD 836-2. Freddie Hubbard, flicorno; Dexter Gordon, sax tenore; Cedar Walton, piano; Buster Williams, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 22 luglio 1972.
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We See (Monk), id.
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domenica 30 novembre 2014
sabato 29 novembre 2014
Happenings – The Omen (Bobby Hutcherson)
Per tutta la durata del suo prolificissimo rapporto con la Blue Note, etichetta che nel 1966 stava imboccando il viale del tramonto, Bobby Hutcherson rappresentò un’anima «sperimentale» dell’hard bop e di certo la più riflessiva.
Il senso di quiete sospesa e d’introspezione, caratteristico di molta musica di Hutcherson, qui lo trovi accentuato dall’assenza di fiati nella front line. Omen è un’istanza di jazz libero che già si è lasciato alle spalle le intemperanze sonore della stagione subito precedente, di cui Hutcherson stesso era stato fra i protagonisti con Archie Shepp.
Come sempre quando c’imbattiamo in lui, mi piace invitarti a notare il contributo di Joe Chambers.
Happenings (Hutcherson), da «Happenings», Blue Note BST 84231. Bobby Hutcherson, vibrafono; Herbie Hancock, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Joe Chambers, batteria. Registrato il 6 febbraio 1966.
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The Omen (Hutcherson), id.
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Il senso di quiete sospesa e d’introspezione, caratteristico di molta musica di Hutcherson, qui lo trovi accentuato dall’assenza di fiati nella front line. Omen è un’istanza di jazz libero che già si è lasciato alle spalle le intemperanze sonore della stagione subito precedente, di cui Hutcherson stesso era stato fra i protagonisti con Archie Shepp.
Come sempre quando c’imbattiamo in lui, mi piace invitarti a notare il contributo di Joe Chambers.
Happenings (Hutcherson), da «Happenings», Blue Note BST 84231. Bobby Hutcherson, vibrafono; Herbie Hancock, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Joe Chambers, batteria. Registrato il 6 febbraio 1966.
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The Omen (Hutcherson), id.
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venerdì 28 novembre 2014
Tuesday Wonderland (E.S.T.)
Ieri riflettevo accidiosamente: che cos’è che non mi verrebbe proprio mai in mente di pubblicare sul Jazz nel pomeriggio, o semplicemente di riascoltare per conto mio?
Ecco la risposta, o una delle tante possibili.
(Eh sì, dopo quasi cinque anni ormai siamo alla programmazione «concettuale» [scherzo]).
Tuesday Wonderland (Svensson), da «Tuesday Wonderland», ACT 9016-2. E.S.T.: Esbjörn Svensson, piano; Dan Berglund, contrabbasso; Magnus Öström, batteria. Registrato nel marzo 2006.
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Ecco la risposta, o una delle tante possibili.
(Eh sì, dopo quasi cinque anni ormai siamo alla programmazione «concettuale» [scherzo]).
Tuesday Wonderland (Svensson), da «Tuesday Wonderland», ACT 9016-2. E.S.T.: Esbjörn Svensson, piano; Dan Berglund, contrabbasso; Magnus Öström, batteria. Registrato nel marzo 2006.
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giovedì 27 novembre 2014
[comunicazione di servizio] Biografia di Charlie Parker
Ha cominciato in questi giorni a popolare le librerie d’Italia la versione italiana di Kansas City Lightning: The Rise And Times Of Charlie Parker, primo volume dell’impegnativa biografia critica di Bird, opera del famoso (famigerato, presso alcuni) Stanley Crouch.
In italiano s’intitola Fulmini a Kansas City e l’ha pubblicato la minimum fax. Io l’ho tradotto e, come sempre faccio, qui te lo segnalo. Ma te lo segnalerei anche se l’avesse tradotto un altro, perché è un libro bello e avvincente, di quelli che noi impallinati del jazz vorremmo leggere più spesso.
In italiano s’intitola Fulmini a Kansas City e l’ha pubblicato la minimum fax. Io l’ho tradotto e, come sempre faccio, qui te lo segnalo. Ma te lo segnalerei anche se l’avesse tradotto un altro, perché è un libro bello e avvincente, di quelli che noi impallinati del jazz vorremmo leggere più spesso.
Just Friends – Out Of Nowhere (Joe Pass)
In questo disco in assolo dedicato a Charlie Parker, Joe Pass non suona nemmeno una delle molto popolari composizioni di Bird, ma solo standard, tutti molto noti, di cui Bird ha dato versioni celeberrime e in alcuni casi, e questi sono due, definitive.
Joe Pass ha adoperato qui una chitarra acustica.
Just Friends (Lewis-Klenner), da «I Remember Charlie Parker», OJCCD 602-2. Joe Pass, chitarra. Registrato il 17 febbraio 1979.
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Out Of Nowhere (Heyman-Green), id.
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Joe Pass ha adoperato qui una chitarra acustica.
Just Friends (Lewis-Klenner), da «I Remember Charlie Parker», OJCCD 602-2. Joe Pass, chitarra. Registrato il 17 febbraio 1979.
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Out Of Nowhere (Heyman-Green), id.
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mercoledì 26 novembre 2014
Om Mani Padme Hum – Bohemia After Dark (Sahib Shihab)
Sahib Shihab l’abbiamo incontrato qui recentissimamente e anche qualche anno fa, nella quale occasione te ne ho parlato un po’ di più. Stavolta Shihab, solista estroso e sorprendente anche al flauto, è in compagnia di alcuni membri della magnifica Clarke-Boland Big Band (CBBB), come lui americani espatriati, nonché di Francy Boland stesso, che oltre che compositore e arrangiatore di grande classe era un pianista notevole.
Om Mani Padme Hum (Boland), da «And All Those Cats», Rearward RW102. Sahib Shihab, flauto; Francy Boland, piano; Jimmy Woode, contrabbasso; Joe Harris, Fats Sadi, percussioni; Kenny Clarke, batteria. Registrato nel 1965.
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Bohemia After Dark (Pettiford), id. ma Shihab suona il sax baritono e Sadi il vibrafono.
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Om Mani Padme Hum (Boland), da «And All Those Cats», Rearward RW102. Sahib Shihab, flauto; Francy Boland, piano; Jimmy Woode, contrabbasso; Joe Harris, Fats Sadi, percussioni; Kenny Clarke, batteria. Registrato nel 1965.
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Bohemia After Dark (Pettiford), id. ma Shihab suona il sax baritono e Sadi il vibrafono.
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lunedì 24 novembre 2014
Brandenburg Gate – Calcutta Blues (Dave Brubeck)
Da uno dei volumi di jazz impression del quartetto di Dave Brubeck, 1958. Le cose più interessanti vengono da Paul Desmond e da Joe Morello, ma anche le composizioni di Brubeck sono ispirate, senza eccesso di «colore locale».
Brandenburg Gate (Brubeck), da «Jazz Impressions Of Eurasia», Columbia CL 1251. Paul Desmond, sax alto; Dave Brubeck, piano; Gene Wright, contrabbasso; Joe Morello, batteria e percussioni. Registrato il 23 agosto 1958.
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Calcutta Blues (Brubeck), id.
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Brandenburg Gate (Brubeck), da «Jazz Impressions Of Eurasia», Columbia CL 1251. Paul Desmond, sax alto; Dave Brubeck, piano; Gene Wright, contrabbasso; Joe Morello, batteria e percussioni. Registrato il 23 agosto 1958.
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Calcutta Blues (Brubeck), id.
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domenica 23 novembre 2014
In A Sentimental Mood – Do Nothing Till You Hear From Me/Take The “A” Train (Hod O’Brien)
La forza dello swing di Hod O’Brien (1936) in queste esecuzioni è nel suo riserbo, in un procedere quasi a redini tirate. Questo si può fare quando si è più che bravi e quando si ha una sezione ritmica così esperta.
Ray Drummond è fra i non molti che riesca a portare sul contrabbasso il lead di In A Sentimental Mood con la stessa continuità ed espressione di un saxofonista.
In A Sentimental Mood (Ellington-Mills), da «Blues Alley - Second Set», Reservoir RSRCD 180. Hod O’Brien, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Kenny Washington, batteria. Registrato il 7 luglio 2004.
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Do Nothing Till You hear From Me/Take The “A” Train (Ellington-Russell), id.
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Ray Drummond è fra i non molti che riesca a portare sul contrabbasso il lead di In A Sentimental Mood con la stessa continuità ed espressione di un saxofonista.
In A Sentimental Mood (Ellington-Mills), da «Blues Alley - Second Set», Reservoir RSRCD 180. Hod O’Brien, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Kenny Washington, batteria. Registrato il 7 luglio 2004.
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Do Nothing Till You hear From Me/Take The “A” Train (Ellington-Russell), id.
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venerdì 21 novembre 2014
Stealin’ Apples (Glenn Miller)
Mi pare interessante mettere a confronto Stealin’ Apples sentito ieri dall’orchestra di Fletcher Henderson nel 1936 e Stealin’ Apples suonato nel 1944 dall’orchestra dell’aeronautica militare degli Stati Uniti diretta da Glenn Miller. L’ho trovata in un disco antologico del pianista Mel Powell.
Stealin’ Apples (Razaf-Waller), da «Piano prodigy», Ocium Records. Glenn Miller AAF Orchestra comprendente Bernie Privin, tromba; Jimmy Pridy, trombone; Peanuts Hucko, clarinetto; Mel Powell, piano; Trigger Alpert, contrabbasso; Ray McKinley, batteria. Registrazione effettuata a Londra prob. nel 1944.
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Stealin’ Apples (Razaf-Waller), da «Piano prodigy», Ocium Records. Glenn Miller AAF Orchestra comprendente Bernie Privin, tromba; Jimmy Pridy, trombone; Peanuts Hucko, clarinetto; Mel Powell, piano; Trigger Alpert, contrabbasso; Ray McKinley, batteria. Registrazione effettuata a Londra prob. nel 1944.
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giovedì 20 novembre 2014
Stealin’ Apples – Blue Lou (Roy Eldridge & Fletcher Henderson)
Nel 1936 Roy Eldridge transitò brevemente nell’orchestra di Fletcher Henderson, dove fra l’altro ritrovò Chu Berry, suo compagno musicalmente ideale. Questi due pezzi, entrambi composizioni notissime, vengono dalla prima di cinque sedute di registrazione; l’assolo di Roy in Blue Lou, rischiosamente sbilanciato verso i sovracuti, dovette certo colpire l’immaginazione, fra gli altri, di Dizzy Gillespie.
Stealin’ Apples (Razaf-Waller), da «Little Jazz Trumpet Giant», Properbox 69. Roy Eldridge con l’orchestra di Fletcher Henderson: Dick Vance, Joe Thomas, tromba; Fernando Arbello, Ed Cuffee, trombone; Buster Bailey, clarinetto; Scoops Carey, sax alto; Elmer Williams, Chu Berry, sax tenore; Fletcher Henderson o Horace Henderson, piano; Bob Lessey, chitarra; John Kirby, contrabbasso; Sidney Catlett, batteria. Registrato il 27 marzo 1936.
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Blue Lou (Sampson-Mills), id.
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Stealin’ Apples (Razaf-Waller), da «Little Jazz Trumpet Giant», Properbox 69. Roy Eldridge con l’orchestra di Fletcher Henderson: Dick Vance, Joe Thomas, tromba; Fernando Arbello, Ed Cuffee, trombone; Buster Bailey, clarinetto; Scoops Carey, sax alto; Elmer Williams, Chu Berry, sax tenore; Fletcher Henderson o Horace Henderson, piano; Bob Lessey, chitarra; John Kirby, contrabbasso; Sidney Catlett, batteria. Registrato il 27 marzo 1936.
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Blue Lou (Sampson-Mills), id.
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mercoledì 19 novembre 2014
There Is The Bomb (Julian Argüelles, Ronan Guilfoyle, Jim Black)
Un inglese, un irlandese e un americano entrano in un locale di Dublino e «diluiscono», in maniera intelligente e suggestiva, una composizione molto ornettiana di Don Cherry, che puoi sentire qui nella versione originale del 1966.
There Is The Bomb (Cherry) da «Live in Dublin», Auand AU9009. Julian Argüelles, sax tenore; Ronan Guilfoyle, chitarra basso acustica; Jim Black, batteria. Registrato il 26 ottobre 2002.
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There Is The Bomb (Cherry) da «Live in Dublin», Auand AU9009. Julian Argüelles, sax tenore; Ronan Guilfoyle, chitarra basso acustica; Jim Black, batteria. Registrato il 26 ottobre 2002.
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martedì 18 novembre 2014
September Song – Deep Purple (Art Tatum)
September Song (Anderson-Weill), da «The Art Tatum Group Masterpieces», Pablo 0600753312032. Harry Edison, tromba; Lionel Hampton, vibrafono; Art Tatum, piano; Barney Kessel, chitarra; Red Callender, contrabbasso; Buddy Rich, batteria.. Registrato il 7 settembre 1955.
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Deep Purple (Parish-DeRose), id.
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Deep Purple (Parish-DeRose), id.
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lunedì 17 novembre 2014
Patrice (Pepper Adams)
Questo è un post di sostituzione: da stamattina presto fino a pochi minuti fa ce n’era un altro, ma la casa discografica del disco italiano di cui riproducevo tre pezzi mi ha ingiunto di toglierli, come immagino sia nel suo pieno diritto fare.
Al suo posto, per non lasciare un vuoto inestetico, metto un bel Pepper Adams così siamo sicuri che non ci abbia a rimettere nessuno. Mi scuso con i lettori che avessero apprezzato il post originale e la musica lì presentata.
Patrice (Adams), da «Ephemera», Spotlite PA6. Pepper Adams, sax baritono; Roland Hanna, piano; George Mraz, contrabbasso; Mel Lewis, batteria. Registrato il 10 settembre 1973.
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Al suo posto, per non lasciare un vuoto inestetico, metto un bel Pepper Adams così siamo sicuri che non ci abbia a rimettere nessuno. Mi scuso con i lettori che avessero apprezzato il post originale e la musica lì presentata.
Patrice (Adams), da «Ephemera», Spotlite PA6. Pepper Adams, sax baritono; Roland Hanna, piano; George Mraz, contrabbasso; Mel Lewis, batteria. Registrato il 10 settembre 1973.
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domenica 16 novembre 2014
Ten Lessons With Timothy (Dizzy Gillespie)
1944-45: finiva la guerra e si era appena concluso, l’11 novembre ’44, il recording ban che aveva fermato per due anni l’industria discografica, dando il colpo di grazia alle big band e dunque alla Swing Era. New York era musicalmente in fermento, con il bebop già ben definito in tutti i suoi caratteri ma non ancora estricato dal jazz per piccoli gruppi degli anni immediatamente precedenti.
In questa zona liminare, Dizzy Gillespie partecipa a una seduta a nome di Tony Scott in compagnia di Ben Webster, qui nel suo personaggio di «duro», e altri illustri del periodo intermedio. Ten Lessons With Timothy, attribuito qui a Freddie Simon, un saxofonista attivo con Louis Jordan e nell’ambito del rhythm’n’blues, a me pare Woody’n’ You appena travisato. Osserva come il pezzo pare voglia proclamare ad altissima voce: BEBOP! fin dalle prime due note, che definiscono una flatted fifth discendente (quinta diminuita, l’intervallo-simbolo del bebop) .
Ignoro tutto di «Timothy» e di che lezioni impartisse, e perché dieci.
Ten Lessons With Timothy (Simon), da «The Dizzy Gillespie Story 1939-1950», Properbox 30. Dizzy Gillespie, tromba; Trummy Young, trombone; Tony Scott, clarinetto; Ben Webster, sax tenore; Jimmy Jones, piano; Gene Ramey, contrabbasso; Eddie Nicholson, batteria. Registrato nel 1945.
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In questa zona liminare, Dizzy Gillespie partecipa a una seduta a nome di Tony Scott in compagnia di Ben Webster, qui nel suo personaggio di «duro», e altri illustri del periodo intermedio. Ten Lessons With Timothy, attribuito qui a Freddie Simon, un saxofonista attivo con Louis Jordan e nell’ambito del rhythm’n’blues, a me pare Woody’n’ You appena travisato. Osserva come il pezzo pare voglia proclamare ad altissima voce: BEBOP! fin dalle prime due note, che definiscono una flatted fifth discendente (quinta diminuita, l’intervallo-simbolo del bebop) .
Ignoro tutto di «Timothy» e di che lezioni impartisse, e perché dieci.
Ten Lessons With Timothy (Simon), da «The Dizzy Gillespie Story 1939-1950», Properbox 30. Dizzy Gillespie, tromba; Trummy Young, trombone; Tony Scott, clarinetto; Ben Webster, sax tenore; Jimmy Jones, piano; Gene Ramey, contrabbasso; Eddie Nicholson, batteria. Registrato nel 1945.
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sabato 15 novembre 2014
Open Season – Elegy (For Lester Bowie) – The Meaning Of The Blues (Paul Smoker)
Senza commento, «e per pigrizia e per esperimento», tre pezzi dal vivo del versicolore avanguardista americano Paul Smoker (1941) con il suo trio.
Spero sollecitino la tua curiosità e mettano salutarmente alla prova la tua attenzione. Smoker è uno dei maggiori trombettisti del jazz di oggi, anche se difficilmente lo si sente suonare Jordu o Night In Tunisia.
Open Season (Smoker), da «Mirabile Dictu», CIMP 233. Paul Smoker, tromba; Steve Salerno, chitarra; Ken Filiano, contrabbasso. Registrato nel settembre 2000.
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Elegy (for Lester Bowie) (Smoker), id.
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The Meaning of the Blues (Troup-Worth), id.
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Spero sollecitino la tua curiosità e mettano salutarmente alla prova la tua attenzione. Smoker è uno dei maggiori trombettisti del jazz di oggi, anche se difficilmente lo si sente suonare Jordu o Night In Tunisia.
Open Season (Smoker), da «Mirabile Dictu», CIMP 233. Paul Smoker, tromba; Steve Salerno, chitarra; Ken Filiano, contrabbasso. Registrato nel settembre 2000.
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Elegy (for Lester Bowie) (Smoker), id.
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The Meaning of the Blues (Troup-Worth), id.
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venerdì 14 novembre 2014
Matrix – Soliloquy – My San Francisco (Mike Longo)
Mike Longo (1939) è un pianista e compositore originario dell’Ohio, pupillo di Oscar Peterson, che ha trascorso anni come sideman di Dizzy Gillespie, poi come leader di piccoli combo e di big band e come insegnante.
Questo bel disco del 1971 è per sonorità e ritmi calato nel suo tempo, in particolare in quella caratteristica estroversione proto-fusion congeniale all’etichetta Mainstream di Bob Shad, e allo stesso tempo lascia venire alla luce la personale vena meditativa, concettosa di questo pianista, non solo, ovviamente, in Soliloquy, ma anche inaspettatamente in My San Francisco, pezzo in 6/4 memore di All Blues. Matrix non è l’omonima composizione di Chick Corea.
Compagnia di lusso con la propulsione sempre funky di Mickey Roker, un altro gillespiano e con il notevole Al Gafa in front line.
Matrix (Longo), da «Matrix», Mainstream MRL 334. Al Gafa, chitarra; Mike Longo, piano; Ron Carter, basso elettrico; Mickey Roker, batteria; Patato Valdes, conga. Registrato nel 1971.
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Soliloquy (Longo), ib. Longo; Roker; Sam Jones, contrabbasso.
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My San Francisco (Longo), id.; Ron Carter al posto di Jones.
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Questo bel disco del 1971 è per sonorità e ritmi calato nel suo tempo, in particolare in quella caratteristica estroversione proto-fusion congeniale all’etichetta Mainstream di Bob Shad, e allo stesso tempo lascia venire alla luce la personale vena meditativa, concettosa di questo pianista, non solo, ovviamente, in Soliloquy, ma anche inaspettatamente in My San Francisco, pezzo in 6/4 memore di All Blues. Matrix non è l’omonima composizione di Chick Corea.
Compagnia di lusso con la propulsione sempre funky di Mickey Roker, un altro gillespiano e con il notevole Al Gafa in front line.
Matrix (Longo), da «Matrix», Mainstream MRL 334. Al Gafa, chitarra; Mike Longo, piano; Ron Carter, basso elettrico; Mickey Roker, batteria; Patato Valdes, conga. Registrato nel 1971.
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Soliloquy (Longo), ib. Longo; Roker; Sam Jones, contrabbasso.
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My San Francisco (Longo), id.; Ron Carter al posto di Jones.
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giovedì 13 novembre 2014
Can’t Help Lovin’ That Man (Ella Fitzgerald)
Oggi, caso non frequentissimo, c’è la voce, quindi non serva che vi aggiunga anche la mia, soprattutto perché la voce è quella di Ella Fitzgerald e la canzone, completa del verse, della strofa, è di Jerome Kern, in un’orchestrazione bellissima di Nelson Riddle.
Can’t Help Lovin’ That Man (Kern-Hammerstein II), da «Ella Fitzgerald Sings The Jerome Kern Songbook», Verve V-4060. Ella Fitzgerald con orchestra arrangiata e diretta da Nelson Riddle. Registrato nel 1963.
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Can’t Help Lovin’ That Man (Kern-Hammerstein II), da «Ella Fitzgerald Sings The Jerome Kern Songbook», Verve V-4060. Ella Fitzgerald con orchestra arrangiata e diretta da Nelson Riddle. Registrato nel 1963.
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mercoledì 12 novembre 2014
Undecided – Nice Work If You Can get It (Stuff Smith)
Per contare i violinisti apparsi su «Jazz nel pomeriggio» basterebbe la mano di un vecchio operaio del tornio. Conosco poco la tradizione jazzistica dello strumento e il mio preferito, in questa penuria, è un polacco, Zbigniew Seifert, morto purtroppo da decenni.
Stuff Smith (Hezekiah Leroy Gordon Smith, 1909-1967) resta forse il violinista più famoso dopo i pionieri Joe Venuti ed Eddie South e prima dei freemen come Leroy Jenkins; era anche un apprezzato cantante di tipo «novelty». Sul violino era un solista agile, a suo agio con la sintassi moderna pur appartenendo a un’altra generazione, con una sonorità potente e un’arcata pesante.
In queste due sedute del 1959 trovi Paul Smith al piano, un ammiratore di Oscar Peterson che fu accompagnatore di Ella Fitzgerald, e nientemeno che Red Mitchell; nell’altra, al piano siede Shirley Horn, che si sarebbe in seguito illustrata come cantante. Qui, di Nice Work è data una lettura curiosamente, forse sardonicamente languorosa.
Undecided (Shavers-Robin), da «Cat On A Hot Fiddle», Verve MG VS 6097. Stuff Smith, violino; Paul Smith, piano; Red Mitchell, contrabbasso; Sid Bulkin, batteria. Registrato il 22 ottobre 1959.
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Nice Work If You Can get It (Gershwin-Gershwin), ib. Smith; Shirley Horn, piano; Lewis Powers, contrabbasso; Harry Saunders, batteria. Registrato il 7 agosto 1959.
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Stuff Smith (Hezekiah Leroy Gordon Smith, 1909-1967) resta forse il violinista più famoso dopo i pionieri Joe Venuti ed Eddie South e prima dei freemen come Leroy Jenkins; era anche un apprezzato cantante di tipo «novelty». Sul violino era un solista agile, a suo agio con la sintassi moderna pur appartenendo a un’altra generazione, con una sonorità potente e un’arcata pesante.
In queste due sedute del 1959 trovi Paul Smith al piano, un ammiratore di Oscar Peterson che fu accompagnatore di Ella Fitzgerald, e nientemeno che Red Mitchell; nell’altra, al piano siede Shirley Horn, che si sarebbe in seguito illustrata come cantante. Qui, di Nice Work è data una lettura curiosamente, forse sardonicamente languorosa.
Undecided (Shavers-Robin), da «Cat On A Hot Fiddle», Verve MG VS 6097. Stuff Smith, violino; Paul Smith, piano; Red Mitchell, contrabbasso; Sid Bulkin, batteria. Registrato il 22 ottobre 1959.
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Nice Work If You Can get It (Gershwin-Gershwin), ib. Smith; Shirley Horn, piano; Lewis Powers, contrabbasso; Harry Saunders, batteria. Registrato il 7 agosto 1959.
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martedì 11 novembre 2014
Autumn Song – Spires – Groovin’ High (Mose Allison)
Oggi, nel primo terzo di una settimana compiutamente autunnale, ricorro all’impressionismo asciutto, bluesy e bop, sottilmente southern di Mose Allison, che mi comunica sempre una calma arcadica.
Arcadia del Mississippi, s’intende. Mi sa che il cool, concetto e parola la cui definizione continua a restare sfuggente anche dopo che Ted Gioia vi ha dedicato un libro intero, blandamente interessante, sia una specie di Arcadia interiore tutta americana. Mose Allison la possiede in sommo grado.
Da ultimo, un classico del bop, raro da sentirsi in versione pianistica.
Autumn Song (Allison), da «Autumn Song», [Prestige] OJCCD 894-2. Mose Allison, piano; Addison Farmer, contrabbasso; Ronnie Free, batteria. Registrato il 13 febbraio 1959
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Spires (Allison), id.
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Groovin’ High (Gillespie), id.
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Arcadia del Mississippi, s’intende. Mi sa che il cool, concetto e parola la cui definizione continua a restare sfuggente anche dopo che Ted Gioia vi ha dedicato un libro intero, blandamente interessante, sia una specie di Arcadia interiore tutta americana. Mose Allison la possiede in sommo grado.
Da ultimo, un classico del bop, raro da sentirsi in versione pianistica.
Autumn Song (Allison), da «Autumn Song», [Prestige] OJCCD 894-2. Mose Allison, piano; Addison Farmer, contrabbasso; Ronnie Free, batteria. Registrato il 13 febbraio 1959
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Spires (Allison), id.
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Groovin’ High (Gillespie), id.
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lunedì 10 novembre 2014
Moonglow – Mary’s Waltz – Lullaby Of the Leaves (Mary Lou Williams & Don Byas)
Don Byas e Mary Lou Williams americans in Paris nel 1954.
Alla ricchezza lussureggiante, quasi oscena della sonorità e del fraseggio di Byas, qui al suo apogeo, fa contrappeso il pianismo astringente di Mary Lou Williams, il cui stile, esemplato negli anni Venti su quello di Earl Hines, era arrivato per una via tutta sua, costeggiando appena il bebop, a un rigore concettualmente affine a quello di Lennie Tristano.
Moonglow (Hudson-Mills-DeLange), da «The Mary Lou Williams Quartet Featuring Don Byas», GNP Crescendo GNP 9030. Don Byas, sax tenore; Mary Lou Williams, piano; Alvin Banks, contrabbasso; Gerard «Dave»Pochonnet, batteria. Registrato il primo gennaio 1954.
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Mary’s Waltz (Mary Lou Williams), id.
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Lullaby Of the Leaves (Petkere-Young), id.
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Alla ricchezza lussureggiante, quasi oscena della sonorità e del fraseggio di Byas, qui al suo apogeo, fa contrappeso il pianismo astringente di Mary Lou Williams, il cui stile, esemplato negli anni Venti su quello di Earl Hines, era arrivato per una via tutta sua, costeggiando appena il bebop, a un rigore concettualmente affine a quello di Lennie Tristano.
Moonglow (Hudson-Mills-DeLange), da «The Mary Lou Williams Quartet Featuring Don Byas», GNP Crescendo GNP 9030. Don Byas, sax tenore; Mary Lou Williams, piano; Alvin Banks, contrabbasso; Gerard «Dave»Pochonnet, batteria. Registrato il primo gennaio 1954.
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Mary’s Waltz (Mary Lou Williams), id.
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Lullaby Of the Leaves (Petkere-Young), id.
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domenica 9 novembre 2014
Boléro (Charlie Haden & Christian Escoudé)
Con questo pezzo, oggi, voglio raggiungere un milione di contatti. E di domenica!
Boléro (Django Reinhardt), da «Gitane», Dreyfus FDM 36505-2. Christian Escoudé, chitarra; Charlie Haden, contrabbasso. Registrato il 22 settembre 1978.
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Boléro (Django Reinhardt), da «Gitane», Dreyfus FDM 36505-2. Christian Escoudé, chitarra; Charlie Haden, contrabbasso. Registrato il 22 settembre 1978.
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sabato 8 novembre 2014
The Roses Of Picardy – It’s A Long Way To Tipperary – Keep The Home Fires Burning (Bill Carrothers)
Questo doppio CD del 2003 è fino a oggi il lavoro più ambizioso di Bill Carrothers, l’originale pianista già ascoltato su «Jazz nel pomeriggio». Non trovo di meglio da dirne che quanto ne scrissi all’epoca su «Musica Jazz».
Ignoro se questa edizione si trovi ancora in giro, ma vale la pena cercarla: oltre che per la musica, che è bella e perfino commovente, per il libretto, che reca poesie dei «poeti di guerra» inglesi Wilfred Owen, Siegfried Sassoon e «Philip Johnstone» (John Purvis), e tutti i testi delle canzoni d’epoca.
Un lavoro di Bill Carrothers, jazzman di talento insolito e d’insolita propensione storico-letteraria, sulla guerra del 1914-18 vista come inizio autentico del XX secolo e di un diverso rapporto degli USA con l’Europa e con se stessi. Per materiali usa canzoni d’epoca – alcune affidate alla voce gradevole e ineducata della moglie o a un coro argutamente approssimativo – e composizioni originali, col fantasma ricorrente di Till We Meet Again.
La Grande Guerra, colta nella nostalgia degli affetti lontani o nella disperazione delle trincee, illustrate nel libretto sia dai versi di Wilfred Owen sia da quelli delle canzonette, è per Carrothers luogo mentale visitato con l’intensità dell’ossessione e anche rito di passaggio di un’America innocente e rurale, che partecipò alla guerra con quasi due milioni di soldati, idea cara a questo americano orgogliosamente provinciale, che ha ripudiato New York e quindi il cursus jazzistico convenzionale.
La naïveté o il kitsch patriottico delle canzoni sono redenti da un’accento sincero e pietoso, e gli originali, tutti «a programma», non escludono tocchi umoristici. La musica risente la libertà di chi, oggi raro, non avverte l’angoscia dell’influenza né l’obbligo dell’attualità. Il pianismo mercuriale, armonicamente inquieto di Carrothers si giova qui come altre volte dell’energia esorbitante di Bill Stewart e del contrasto con la campitura cupa dei due archi e i rumorismi elettronici.
The Roses Of Picardy (Weatherley-Wood), da «Armistice 1918», SKETCH 333043 44. Bill Carrothers, piano. Registrato nel giugno 2003.
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It’a A Long Way To Tipperary (Judge-Williams), ib. Carrothers; Drew Gress, contrabbasso; Bill Stewart, batteria.
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Keep The Home Fires Burning (Ford-Novello), c.s. più Peg Carrothers; Matt Turner, violoncello.
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venerdì 7 novembre 2014
Don’t Blame Me – Sugar (Coleman Hawkins)
Coleman Hawkins alla sua ultima seduta di registrazione. Era il 1966. Sarebbe morto tre anni dopo, a un’età che neanche allora si sarebbe detta venerabile, ma già qui Hawk aveva dato quasi tutto quello che poteva dare alla vita e al jazz, in cui non si era risparmiato, e non godeva più né di buona salute né di buon umore (ma proprio un allegrone non doveva mai essere stato).
Tuttavia, contrariamente a quanto potrai leggere qui e là a proposito di questo disco, pur con indizi chiari di fatica, con alcune note sfiatate, con qualche frase scorciata non per invenzione ma per affanno, l’«inventore del saxofono» era ancora sostanzialmente l’artista maestoso che era stato dal 1922 in poi, capace di conferire una risonanza espressiva profonda anche a una vecchia canzoncina allegrotta come Sugar. Lo accompagna il suo quartetto regolare dell’epoca.
Don’t Blame Me (McHugh-Fields), da «Sirius», Pablo 00025218686129. Coleman Hawkins, sax tenore; Barry Harris, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Eddie Locke, batteria. Registrato il 20 dicembre 1966.
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Sugar (That Sugar Baby O’ Mine) (Pinkard-Mitchell-Alexander), id.
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Tuttavia, contrariamente a quanto potrai leggere qui e là a proposito di questo disco, pur con indizi chiari di fatica, con alcune note sfiatate, con qualche frase scorciata non per invenzione ma per affanno, l’«inventore del saxofono» era ancora sostanzialmente l’artista maestoso che era stato dal 1922 in poi, capace di conferire una risonanza espressiva profonda anche a una vecchia canzoncina allegrotta come Sugar. Lo accompagna il suo quartetto regolare dell’epoca.
Don’t Blame Me (McHugh-Fields), da «Sirius», Pablo 00025218686129. Coleman Hawkins, sax tenore; Barry Harris, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Eddie Locke, batteria. Registrato il 20 dicembre 1966.
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Sugar (That Sugar Baby O’ Mine) (Pinkard-Mitchell-Alexander), id.
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giovedì 6 novembre 2014
Baby Breeze – This Is The Thing – One With One (Chet Baker)
Un po’ di Chet Baker in un momento di cinquant’anni fa che lo trovò in buonissima forma hard bop.
Con lui c’è il grande, e da noi molto apprezzato, Frank Strozier, c’è Phil Urso, costante collaboratore di Baker fin dal decennio prima, e al pianoforte c’è Hal Galper, sentito qualche mese fa con Sam Rivers, il quale provvede anche un paio di dinamici temi (This Is The Thing è What Is This Thing Called Love travisata). In questo disco Chet suona molto fluidamente il flicorno, perché la tromba gliel’avevano fregata, o l’aveva venduta o chissà.
Baby Breeze (R. Carpenter), da «Baby Breeze», Verve. Chet Baker, flicorno; Frank Strozier, sax alto; Phil Urso, sax tenore; Hal Galper, piano; Michael Fleming, contrabbasso; Charlie Rice, batteria. Registrato il 14 gennaio 1965.
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This Is The Thing (Galper), id.
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One With One (Galper), id. Strozier suona il flauto.
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Con lui c’è il grande, e da noi molto apprezzato, Frank Strozier, c’è Phil Urso, costante collaboratore di Baker fin dal decennio prima, e al pianoforte c’è Hal Galper, sentito qualche mese fa con Sam Rivers, il quale provvede anche un paio di dinamici temi (This Is The Thing è What Is This Thing Called Love travisata). In questo disco Chet suona molto fluidamente il flicorno, perché la tromba gliel’avevano fregata, o l’aveva venduta o chissà.
Baby Breeze (R. Carpenter), da «Baby Breeze», Verve. Chet Baker, flicorno; Frank Strozier, sax alto; Phil Urso, sax tenore; Hal Galper, piano; Michael Fleming, contrabbasso; Charlie Rice, batteria. Registrato il 14 gennaio 1965.
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This Is The Thing (Galper), id.
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One With One (Galper), id. Strozier suona il flauto.
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mercoledì 5 novembre 2014
The Call – Afternoon In Paris – It Never Entered My Mind (Frank Kimbrough)
Ancora pianisti, allora, perché c’è poco da fare: quale che sia il genere, è questo lo strumento che suscita le passioni più forti. Frank Kimbrough, poco meno che sessantenne così come i suoi compagni di quartetto (bassista e saxofonista gli sono colleghi anche nell’orchestra di Maria Schneider), è un pianista il cui stile, per alcuni versi, si può assimilare a quello di Bill Carrothers: armonicamente disinvolto, ma formalmente nei confini di un mainstream avanzato, confini entro i quali sa far succedere spesso cose interessanti, anche se mai illuminate da lampi di genio o almeno di sorpresa autentica, come può succedere, e succede sovente, a Carrothers.
Afternoon In Paris, per esempio, nel suo determinato esperimento di decostruzione, offusca un po’ la bella linea di John Lewis per via di un interplay e di uno «swing implicito» più laboriosi che rimunerativi all’ascolto. Meglio lo standard di Rodgers & Hart o il concettoso, lontanamente jarrettiano The Call, posto ad apertura di disco, quasi un invito all’ascoltatore ad aprire le orecchie.
The Call (Kimbrough), da «Quartet», Palmetto Records PM 2173. Steve Wilson, sax alto; Frank Kimbrough, piano; Jay Anderson, contrabbasso; Lewis Nash, batteria. Registrato il 27 maggio 2014.
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Afternoon In Paris (John Lewis), id.
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It Never Entered My Mind (Rodgers-Hart), id. Wilson suona il sax soprano.
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Afternoon In Paris, per esempio, nel suo determinato esperimento di decostruzione, offusca un po’ la bella linea di John Lewis per via di un interplay e di uno «swing implicito» più laboriosi che rimunerativi all’ascolto. Meglio lo standard di Rodgers & Hart o il concettoso, lontanamente jarrettiano The Call, posto ad apertura di disco, quasi un invito all’ascoltatore ad aprire le orecchie.
The Call (Kimbrough), da «Quartet», Palmetto Records PM 2173. Steve Wilson, sax alto; Frank Kimbrough, piano; Jay Anderson, contrabbasso; Lewis Nash, batteria. Registrato il 27 maggio 2014.
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Afternoon In Paris (John Lewis), id.
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It Never Entered My Mind (Rodgers-Hart), id. Wilson suona il sax soprano.
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martedì 4 novembre 2014
Little Children, Don’t Go Near That House - Blue Phoenix – ’Round Midnight (Denny Zeitlin)
Si chiacchierava di pianisti sul Facebook con alcuni amici del jazz (c’era l’Arienti Orsenigo, c’era il Facchi, c’era il Pasquandrea, per non citare che quelli noti a «Jazz nel pomeriggio»). Come uno faceva un nome, ne venivano fuori altri cinque di pianisti oscuri o sottovalutati. Ciascuno portava i suoi e il bello è che si constatava come ognuno dei nomi proposti, in un’enciclopedia dei pianisti jazz, sarebbe stato meritevole, se non di un capitolo, almeno di un esteso paragrafo. È così, il jazz: dal tronco della tradizione ai rametti minimi, mostra qualcosa sempre di diverso.
Comunque, gli intervenuti hanno generosamente riconosciuto che «Jazz nel pomeriggio» abbia un buon orecchio per i pianisti, anche quello mal noti. Tuttavia tanti ce n’è ancora che meritano e non si sono visti. Uno dei nomi usciti ieri con più evidenza è quello di Denny Zeitlin, chicagoano del 1938, che si affermò molto giovane sulla scena locale con i pezzi grossi del posto e poi subito come leader per la Columbia. Bill Evans, che lo influenzò molto, fu anche suo mentore e registrò più di una volta una bellissima composizione di Zeitlin, «Quiet Now».
Zeitlin, che ha anche studiato con George Russell, ha avuto una carriera variata, sempre sotto il favorevole occhio di critica e colleghi, che l’ha avvicinato alla musica elettronica e alla composizione per cinema e televisione. Psichiatra clinico e professore della materia all’UCLA a San Francisco, Zeitlin ha sempre tenuto a dire che le due discipline, per lui, sono una sola, ed ha scritto e tenuto lezioni e conferenze sulla psicologia dell’improvvisazione.
Qui lo sentiamo nel suo disco d’esordio in trio nel 1964 (lo avevamo già ascoltato come sideman di Jeremy Steig), esordio di pianista fra i più brillanti che il jazz moderno ricordi. Zeitlin è un pianista tecnicamente rifinito, «a due mani», in possesso di un ampio vocabolario musicale, capace, in assolo, di prodursi in un walking bass tristaniano (l’inizio di Blue Phoenix) e di destreggiarsi nel mainstream avanzato come nei linguaggi più aperti, che tuttavia ha sempre frequentato con parsimonia. Un musicista dall’evidente inclinazione meditativa, intellettuale, ma sempre swingante.
Sentiamo prima due pezzi suoi, che danno un’idea del suo senso della forma e della progressione, complesso ma saldo, e poi una sorprendente, molto rielaborata interpetazione di ’Round Midnight, quel caso raro in cui, poiché il pianista ha cambiato alcuni accordi di Monk, a te non viene da dire: «ma che cosa diavolo gli è saltato in mente?»
Little Children, Don’t Go Near That House (Zeitlin), da «Cathexis», Columbia COL 4677092. Denny Zeitlin, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Freddie Waits, batteria. Registrato nel 1964.
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Blue Phoenix (Zeitlin), id.
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’Round Midnight (Monk), id.
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Comunque, gli intervenuti hanno generosamente riconosciuto che «Jazz nel pomeriggio» abbia un buon orecchio per i pianisti, anche quello mal noti. Tuttavia tanti ce n’è ancora che meritano e non si sono visti. Uno dei nomi usciti ieri con più evidenza è quello di Denny Zeitlin, chicagoano del 1938, che si affermò molto giovane sulla scena locale con i pezzi grossi del posto e poi subito come leader per la Columbia. Bill Evans, che lo influenzò molto, fu anche suo mentore e registrò più di una volta una bellissima composizione di Zeitlin, «Quiet Now».
Zeitlin, che ha anche studiato con George Russell, ha avuto una carriera variata, sempre sotto il favorevole occhio di critica e colleghi, che l’ha avvicinato alla musica elettronica e alla composizione per cinema e televisione. Psichiatra clinico e professore della materia all’UCLA a San Francisco, Zeitlin ha sempre tenuto a dire che le due discipline, per lui, sono una sola, ed ha scritto e tenuto lezioni e conferenze sulla psicologia dell’improvvisazione.
Qui lo sentiamo nel suo disco d’esordio in trio nel 1964 (lo avevamo già ascoltato come sideman di Jeremy Steig), esordio di pianista fra i più brillanti che il jazz moderno ricordi. Zeitlin è un pianista tecnicamente rifinito, «a due mani», in possesso di un ampio vocabolario musicale, capace, in assolo, di prodursi in un walking bass tristaniano (l’inizio di Blue Phoenix) e di destreggiarsi nel mainstream avanzato come nei linguaggi più aperti, che tuttavia ha sempre frequentato con parsimonia. Un musicista dall’evidente inclinazione meditativa, intellettuale, ma sempre swingante.
Sentiamo prima due pezzi suoi, che danno un’idea del suo senso della forma e della progressione, complesso ma saldo, e poi una sorprendente, molto rielaborata interpetazione di ’Round Midnight, quel caso raro in cui, poiché il pianista ha cambiato alcuni accordi di Monk, a te non viene da dire: «ma che cosa diavolo gli è saltato in mente?»
Little Children, Don’t Go Near That House (Zeitlin), da «Cathexis», Columbia COL 4677092. Denny Zeitlin, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Freddie Waits, batteria. Registrato nel 1964.
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Blue Phoenix (Zeitlin), id.
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’Round Midnight (Monk), id.
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lunedì 3 novembre 2014
Backlash – Echoes Of Blues (Freddie Hubbard)
Freddie Hubbard, oltre a essere stato un trombettista supremo e un grande musicista, fu un uomo di singolare sincerità e candore nel parlare della sua musica e delle sue aspirazioni. Quando, dal finire degli anni Sessanta, si diede al funk e poi a una musica via via sempre più facile, non nascose mai di farlo perché desiderava raggiungere quel successo di pubblico, quindi economico, che l’aver preso parte ai più grandi dischi del jazz moderno («Out To Lunch», «Free Jazz», «Ascension», «Blues And The Abstract Truth», mi fermo qui) non gli aveva assicurato.
Con tutto ciò, i suoi dischi crossover sono di norma assai più belli di quelli di suoi colleghi che, pur motivati non diversamente, nelle loro dichiarazioni accampavano sempre nebulose motivazioni artistiche. «Red Clay», 1970, è un capolavoro del jazz di quegli anni, ma già questo «Backlash» del 1967 è roba di alto livello: funky jazz di classe nel pezzo del titolo e, nel blues Echoes Of Blues, cui l’insistenza sulle quinte diminuite conferisce una dimensione bitonale, l’esperienza di Hubbard sui confini più avanzati del jazz degli anni Sessanta.
È preziosa l’occasione di ascoltare James Spaulding al sax e al flauto e soprattutto il grande pianista Albert Dailey.
Backlash (Don Pickett), da «Backlash», Atlantic Masters 81227 3613-2. Freddie Hubbard, tromba; James Spaulding, sax alto; Albert Dailey, piano; Bob Cunningham, contrabbasso; Otis Ray Appleton, batteria; Ray Barretto, percussioni. Registrato nell’ottobre 1966.
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Echoes Of Blues (Cunningham), id. Spaulding suona il flauto.
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Con tutto ciò, i suoi dischi crossover sono di norma assai più belli di quelli di suoi colleghi che, pur motivati non diversamente, nelle loro dichiarazioni accampavano sempre nebulose motivazioni artistiche. «Red Clay», 1970, è un capolavoro del jazz di quegli anni, ma già questo «Backlash» del 1967 è roba di alto livello: funky jazz di classe nel pezzo del titolo e, nel blues Echoes Of Blues, cui l’insistenza sulle quinte diminuite conferisce una dimensione bitonale, l’esperienza di Hubbard sui confini più avanzati del jazz degli anni Sessanta.
È preziosa l’occasione di ascoltare James Spaulding al sax e al flauto e soprattutto il grande pianista Albert Dailey.
Backlash (Don Pickett), da «Backlash», Atlantic Masters 81227 3613-2. Freddie Hubbard, tromba; James Spaulding, sax alto; Albert Dailey, piano; Bob Cunningham, contrabbasso; Otis Ray Appleton, batteria; Ray Barretto, percussioni. Registrato nell’ottobre 1966.
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Echoes Of Blues (Cunningham), id. Spaulding suona il flauto.
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domenica 2 novembre 2014
Stella By Starlight (Dizzy Reece)
Ecco uno standard che hanno suonato tutti nell’interpretazione di un vero originale del jazz moderno, Dizzy Reece, che mi piace considerare uno dei patroni di questo blog. La sua sonorità è particolare e sulle prime, in Stella, può suonare strana, smaccata, un po’ fuori luogo: ma tutto si sistema «sull’asse sintagmatico», con il fraseggio deliziosamente individuale di Dizzy, che sembra incapace di eseguire un solo luogo comune.
Di questo disco del 1978, Dizzy Reece condivide la leadership con un altro grande individualista, Ted Curson. La ritmica è insigne e comprende Claude Williamson, un bel pianista della West Coast di cui prima o poi ti parlerò.
Stella By Starlight (Victor Young), da «Blowin’ Away», Interplay IP-7716. Dizzy Reece, tromba; Claude Williamson, piano; Sam Jones, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 9 giugno 1978.
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Di questo disco del 1978, Dizzy Reece condivide la leadership con un altro grande individualista, Ted Curson. La ritmica è insigne e comprende Claude Williamson, un bel pianista della West Coast di cui prima o poi ti parlerò.
Stella By Starlight (Victor Young), da «Blowin’ Away», Interplay IP-7716. Dizzy Reece, tromba; Claude Williamson, piano; Sam Jones, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 9 giugno 1978.
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sabato 1 novembre 2014
Waltz For Debby – Autumn In New York (Ahmad Jamal)
Waltz For Debby è per tanti la quintessenza distillata della musica di Bill Evans, nella quale c’era in verità anche dell’altro; è comunque difficile immaginare questo pezzo famosissimo suonato in modo sostanzialmente diverso da come faceva il compositore.
Qui senti come nel 1980 lo interpretava Ahmad Jamal e come l’avrebbe suonato anche in seguito, per quanto non molto spesso. Il confronto con una qualunque delle versioni d’autore non sarà tanto un confronto fra maniere pianistiche o fra stili e nemmeno fra concezione «bianca» e «nera» del jazz, ma piuttosto fra due visioni della vita e dunque dell’arte.
Autumn In New York è presentato in una delle consuete decostruzioni di Jamal, stavolta particolarmente radicale e vigorosa, direi anzi aggressiva.
Waltz For Debby (Evans), da «At Bubba’s», Kingdom Jazz GATE 7002. Ahmad Jamal, piano; Sabu Adeyola, contrabbasso; Payton Crossley, batteria. Registrato nel marzo 1980.
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Autumn In New York (Duke), id.
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Qui senti come nel 1980 lo interpretava Ahmad Jamal e come l’avrebbe suonato anche in seguito, per quanto non molto spesso. Il confronto con una qualunque delle versioni d’autore non sarà tanto un confronto fra maniere pianistiche o fra stili e nemmeno fra concezione «bianca» e «nera» del jazz, ma piuttosto fra due visioni della vita e dunque dell’arte.
Autumn In New York è presentato in una delle consuete decostruzioni di Jamal, stavolta particolarmente radicale e vigorosa, direi anzi aggressiva.
Waltz For Debby (Evans), da «At Bubba’s», Kingdom Jazz GATE 7002. Ahmad Jamal, piano; Sabu Adeyola, contrabbasso; Payton Crossley, batteria. Registrato nel marzo 1980.
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Autumn In New York (Duke), id.
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