domenica 20 dicembre 2015

On Green Dolphin Street – One Note Samba (Erroll Garner)

 Quando finalmente Erroll Garner attacca On Green Dolphin Street, al minuto 1:30, dopo una intro rapsodica che s’inizia in una tonalità lontana e arriva a contenere perfino una fuggevole parodia di preludio bachiano, uno non sa dire come sia arrivato lì, ma tutto quanto ascoltato fino a quel momento assume senso e forma in un lampo retrospettivo. E tuttavia il bello deve ancora cominciare: nell’ultimo chorus, il pianista improvvisa una linea melodica non accompagnata, spezzandola fra le due mani… a essere capziosi, qui verrebbe in mente la tecnica dell’«hoquetus» propria dell’Ars antiqua.

 One Note Samba, Garner la affronta con la delicatezza ritmica e dinamica dell’energumeno, dimostrando che a lui, anticonformista naturale com’era, il Brasile gli faceva un baffo.

 [Queste esecuzioni vengono, secondo i dati che ho, da un concerto alla Free Trade Hall di Manchester del 1963. Io confesso di averle scaricate tempo fa da qualche parte, ma non ho identificato il disco da cui provengono, ammesso che ce ne sia uno, nemmeno dopo aver consultato un autorevole sito di discografie. L’identità di bassista e batterista è una mia facile congettura].

 On Green Dolphin Street (Kaper-Washington). Erroll Garner, piano; Eddie Calhoun, contrabbasso; Kelly Martin, batteria. Registrato il 19 novembre 1963.

 One Note Samba (Jobim), id.

2 commenti:

sergio pasquandrea ha detto...

beh, a essere ancor più capziosi, l'hoquetus è anche tipico di molta musica africana (vedi i canti pigmei o gli ensemble di balafon della musica bantu...).

anzi c'è anche chi (Piras docet) ha supposto che l'hoquetus sia in realtà una penetrazione popolare, e anche molto arcaica, nelle pratiche colte.

insomma, che in Garner riemergano memorie ataviche?
(scherzo, ma in realtà neanche tanto...)

Jazz nel pomeriggio ha detto...

Sì… a dirti il vero, la prima cosa a cui ho pensato è stata la seconda variazione dell’Andante dalla sonata op. 109 di Beethoven. Ma non l'ho scritto, perché da lì a «Beethoven era africano» e alle scie chimiche non c’è che un passo… :-)