Dopo quasi undici anni di questo blog, che ha tutto il carattere di un diario e via via anzi sempre di più, non ho tante remore a dichiarare certi miei inappropriati disgusti; i miei ascoltatori, gli stessi di sempre, li conoscono e, o me li hanno perdonati, ovvero, tolleranti, ne sogghignano. Uno, per dire, è che non mi piace troppo Dexter Gordon; un altro, che la musica latin mi annoia, tutta no, ma buonissima parte sì, e pure tanto. Un terzo: mi annoiano anche le chitarre, se non si tratti proprio di Charlie Christian.
Ma proprio a quest’ultimo proposito… C’è un chitarrista che non seguo, che non ascolto, a cui non penso o se ci penso trovo che abbia molto per non piacermi; poi ogni tanto la sua musica mi capita davanti alle orecchie senza che l’abbia cercata e mi piace, e costui è Kurt Rosenwinkel. Non mi sono mai domandato perché mi attraggano e infine mi incantino la sua sonorità effettata, il suo fraseggiare assorto e a tutta prima anodino, doppiato spesso quasi impercettibilmente dalla voce, la palette uniforme dei suoi complessi e dei suoi dischi, almeno i pochi che conosco io. Non me lo domando nemmeno questa volta.
Una cosa posso dirla, ed è che mi piace sempre sentire Mark Turner, e un’altra mi viene in mente mentre scrivo: la sua voce, memore di quella di Warne Marsh, conferisce alla musica e all’eloquio stesso di Kurt Rosenwinkel una luce tristaniana (da Lennie Tristano). In questa luce, appunto, parla chiaro il contrappunto fra i due in Filters. In altri pezzi del disco, p.e. in Use of Light che oggi non ti faccio sentire, l’unisono di chitarra, falsetto di Rosenwinkel e sax tenore nel registro acuto sortisce un effetto decisamente eerie, che conduce il disco verso atmosfere ECM lontane dal mio gusto.
A Shifting Design (Rosenwinkel), da «The Next Step», Verve 549 162-2. Mark Turner, sax tenore; Kurt Rosenwinkel, chitarra; Ben Street, contrabbasso; Jeff Ballard, batteria. Registrato nel maggio 2000.
Filters (Rosenwinkel), id.
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