Baritone once more. Leo Parker (1925-1962). Una volta, a Porta Portese, trovai ma non comperai un vecchio LP americano nelle cui note Leo Parker era presentato con tutta sicurezza come Bird’s younger brother. Non esisteva parentela alcuna. Parker, che era nato a Washington, in gioventù aveva suonato in una delle prime formazioni discografiche bop oriented di Coleman Hawkins, quando quel grande aveva voluto, fra i primi, mostrarsi al passo coi tempi, e poi nell’orchestra di Billy Eckstine, leggendaria incubatrice del bop.
Nella 52° strada suonò un po’ con tutti, soprattutto Dizzy e Illinois Jacquet, che senz’altro lo influenzò, e registrò fra gli altri con Fats Navarro. La faccio breve: si drogò, sparì quasi dalla circolazione; al principio degli anni Sessanta parve fosse lì lì per tornare alla grande con due dischi incisi per la Blue Note invece niente, morì di eroina nel 1962.
Un bebopper con l’inclinazione bluesy di un tenorista r’n’b (l’influsso di Jacquet di cui dicevo), Leo Parker, al quale spetta il primato di pioniere baritonista del jazz moderno insieme con Cecil Payne ascoltato ieri, non temeva d’indulgere al côté rumoroso proprio di tutti gli strumenti a frequenze basse ma particolarmente dei saxofoni. Credo di rendergli giustizia presentandotelo in due blues.
Questo disco, il secondo dei suoi Blue Note, vide la luce solo nel 1980.
Talkin’ the Blues (Parker), da «Rollin’ With Leo», Blue Note BST 84095. Dave Burns, tromba; Bill Swindell, sax tenore; Leo Parker, sax baritono; Johnny Acea, piano; Al Lucas, contrabbasso; Wilbert Hogan, batteria. Registrato il 20 ottobre 1961.
The Lion’s Roar (Parker), id.
3 commenti:
lo spirito r’n’b rimane, ma sembra ormai un po' fuori posto in quegli anni. e il blues è un rifugio sicuro ma anche po' scontato.
Ho capito che ti sei offeso perché non ho messo su James Carter, ma non prendertela con Leo Parker.
Non me la sono presa. Solo che certi blues sono onesti ma mi sembrano sembre l'ultima scialuppa a disposizione.
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