Non so quanti dischi J.J. Johnson abbia registrato in quartetto con la sola ritmica, una situazione comunque rara per un trombonista; forse solo questo del 1957, investigherò. La circostanza lo mette nella luce migliore come solista, anche perché con quei sidemen, come sono solito dire, suonerei bene anch’io; non me la sento tuttavia di convenire con Nat Hentoff nelle note di copertina, giusta le quali la situazione relativamente meno formale (rispetto alle formazioni più ampie e arrangiate a cui JJJ era avvezzo) risulterebbe per lui liberatoria: io lo sento, qui come al solito, improvvisatore pieno di risorse, interessante, ritmicamente vivo ma sempre in qualche maniera un po’ «indietro», un po’ trattenuto, per non dire vagamente represso, come del resto mi pare manifesti subliminarmente la sua sonorità blanda, uguale, velata, quasi fosse costantemente dietro la sordina.
JJJ resta comunque, non serve quasi dirlo, uno dei musicisti più completi e raffinati che il jazz abbia espresso, capace di cavarsi con eleganza perfino dalle more di certe imprese orchestrali third stream così come di non appesantire il suono ben fuso del quintetto di Charlie Parker, con cui nel 1947 registrò alcune matrici per la Dial. Parliamo dopotutto dell’uomo che ha inventato il lessico moderno per il trombone, certo non dal nulla: oltre agli ovvi precedenti, JJJ stesso ha evocato come ispiratore Fred Beckett, solista con Harlan Leonard e con Lionel Hampton, morto nel 1946. In Beckett, Johnson individua il primo solista di trombone con una concezione del fraseggio lineare, ad ampia campata, non frammentaria e inframmezzata da glissati, smears, trilli e quegli altri suoni spurî così legati al trombone premoderno.
Ascoltando i suoi assoli in questo disco, così calibrati, mi è venuto da pensare che un’esperienza formativa essenziale debba essere stata per lui il brevissimo trascorso nella nine piece band di Miles Davis del 1949, quella di Birth Of The Cool. Ne recheranno per sempre traccia i suoi arrangiamenti, il suo riserbo o pudore espressivo e sonoro, non disgiunto da un gusto sensuale per il colore. A un certo punto nell’assolo in It’s Only A Paper Moon, JJJ cita addirittura due battute dell’assolo di Miles in Godchild.
Dal momento che in una situazione di quartetto, con un solo fiato, la coerenza e lo swing del complesso e delle esecuzioni dipendono dall’asse empatico che si stabilisce fra il fiato e la batteria (pensa a Coltrane-Elvin Jones), ti invito a osservare come Johnson e Roach si combinino qui in un matrimonio ideale, i due pensatori musicali affini che erano: metodici, di sicuro istinto architettonico, entrambi marcatamente ritmici.
Commutation è un’improvvisazione atematica sulle armonie parkeriane di Confirmation. S’inizia in medias res con l’assolo di piano e trova culmine in un assolo “melodico” di Max Roach di favolosa disinvoltura tecnica, quindi in una breve sequenza di fours fra Roach e Johnson e in un assolo con l’arco di Chambers, ugualmente breve.
Cry Me A River è un saggio della capacità di JJJ di condurre in porto una ballad anche un po’ sbracata come questa con asciuttezza di segno ma senza aridità, senza cali di tensione ritmica (il passaggio terzinato).
It’s Only A Paper Moon (Arlen-Harburg), da «First Place», (Columbia) Sony SICJ 212. J.J. Johnson, trombone; Tommy Flanagan, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato nell’aprile 1957.
Commutation (Johnson), id.
Cry Me A River (Hamilton), id.
4 commenti:
Non sai quante volte sono passato da queste parti: sempre chiuso! Ormai avevo pero ogni speranza - e infatti non mi sono nemmeno subito accorto della riapertura. In ogni caso io, benché silente, sempre qui sono...
Ciao Paolo!
Miles disse che JJJ faceva assoli "furbi". Frase furba che toglie nel momento in cui dà...
… non che dare nel momento in cui toglie.
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