I dischi with strings sono un argomento su cui i jazzomani non si sono ancora stancati di litigare. C’è chi reclama per questo sottogenere il quarto di nobiltà dell’averlo praticato di buona voglia Charlie Parker, che in quella cornice lasciò alcuni dei suoi assoli più belli (Just Friends); chi ricorda invece esiti meno qualificati, prossimi a quella che una volta si chiamava la musica «ritmo-sinfonica» o da ascensori, e poi chi, emunctae naris, fiuta dietro l’angolo la third stream.
Boh. Verrebbe spontaneo l’impraticabile suggerimento di giudicare caso per caso. Il caso in esame è quello di Stan Getz con archi arrangiati da Eddie Sauter. L’impresa, del 1961, si distingue da tutte le altre perché Getz vi si trovò a improvvisare su sette composizioni di Sauter scritte sì con l’idea di Getz solista, ma complete in sé, eseguibili autonomamente; le partiture, cioè, non prevedono «slot» per il solista, com’è la prassi in questi casi. Getz improvvisa – e lo fa con fantasia e genio: rare volte su disco ha suonato meglio – sopra le composizioni di Sauter, scritte, ha dichiarato il compositore, «come per un quartetto d’archi, con spazio per potersi muovere».
L’esperimento va senz’altro noverato fra i migliori risultati with strings e a me piace, anche se non mi pare sinceramente che le composizioni di Sauter, ben funzionali all’assunto, siano eccelse, espresse come sono in una scrittura molto vicina alla coeva musica per il cinema e prive di grandi idee tematiche o formali. Forniscono tuttavia spunto e ambiente adeguato agli assoli di Getz, davvero sontuosi.
Her è esemplato piuttosto esplicitamente sul primo movimento del Concerto in Fa di Gershwin.
Her (Sauter), da «Focus», Verve 821 982-2. Stan Getz, sax tenore; John Neves, contrabbasso; Roy Haynes, batteria; orchestra d’archi diretta da Hershy Kay. Registrato nel 1961.
Night Rider (Sauter), id.
A Summer Afternoon (Sauter), id.
2 commenti:
credevo non si fosse aperta la finestra, am lentamente ho scoperto che ha fatto il suo dovere. approfitto del tema per parlare di un disco che mi era stato regalato quando ero ancora ragazzo, perchè giudicato "leggero". Era "ina a romanic mood", oevvero Oscar Peterson con archi di Russell Garcia. Ora, me l'hanno regalato perchè a me piaceva Peterson e mi si era rotto il suo Chattanooga Choochoo, ma pensare che mi potesse piacere quel disco...
Se c'è una cosa bella di Peterson è la sua grande resa sullo swing, temi medi e veloci sono il suo pane. Sui tempi lenti arranca un po' e tende ad abbelire troppo (come Garner, Tatum ecc) per cui il disco è noioso e che una Laura lunghissima e quasi concertistica che fa male.
Per cui ben vanga Focus che è un disco che ha dimostrato di durare nel tempo. L'operazione fatta dall'arrangiatore, di non lasciare veri spazi solistici, prelude a quella di Gunther Schuler per Ornette Coleman in Abstraction.
ben vanga, mi piace...
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