Grandi pianisti e pianoforti scassati, una classica ricorrenza nel jazz. Jimmy Rowles l’abbiamo appena sentito con Richie Kamuca; qui è in una serie di registrazioni private, live, effettuate nel 1968 a Burbank e pubblicate trent’anni dopo. Jimmy vi suona in piena libertà di stile e di repertorio con l’aria di divertirsi un mondo.
E ora un quiz la cui soluzione richiedo a Luca Conti: l’introduzione che Rowles appone qui a Our Delight, la notissima composizione di Tadd Dameron, è una sua invenzione, è un’altra canzone che non riconosco (mi sembra la cosa più probabile) o è forse proprio il «verse» di Our Delight, che io non ho mai sentito (ma non credo proprio)? Altra stranezza: il disco si conclude con una brevissima esecuzione di quella che è presentata nelle note come The Chess Players di Wayne Shorter, ma che palesemente è un’altra cosa, se questa lunga estate calda non mi ha appassito le orecchie.
Our Delight (Dameron), da «Our Delight», V.S.O.P. 99. Jimmy Rowles, piano; Chuck Berghofer, contrabbasso; Larry Bunker, batteria. Registrato nell’aprile 1968.
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America The Beautiful (Bates) - Moon of Manakoora (Ward), id.
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sabato 31 agosto 2013
venerdì 30 agosto 2013
The Shining Sea (David Allyn)
The Shining Sea (Mandel), da «Don’t Look Back», Xanadu 101. David Allyn con Barry Harris, piano. Registrato il 27 o il 28 febbraio 1975.
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giovedì 29 agosto 2013
Sylvia’s Place - A Nightingale Sang In Berkeley Square (Stanley Cowell)
Non ascolto quasi mai la musica quando scrivo e se lo faccio, e la scrittura non ne riporta danni, non è detto che questo deponga bene sulla musica. Come che sia, lavoro da qualche minuto in compagnia di un quartetto di Stanley Cowell con Steve Coleman più mellow del solito. Il minimo che possa dirne è che la scrittura finora non mi pare ne risenta.
Sylvia’s Place (Cowell), da «Back To The Beautiful», Concord CCD-4398. Steve Coleman, sax alto; Stanley Cowell, piano; Santi DeBriano, contrabbasso; Joe Chambers, batteria. Registrato nel luglio 1989.
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A Nightingale Sang In Berkeley Square (Maschwitz-Sherwin), ib. Stanley Cowell, piano.
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Sylvia’s Place (Cowell), da «Back To The Beautiful», Concord CCD-4398. Steve Coleman, sax alto; Stanley Cowell, piano; Santi DeBriano, contrabbasso; Joe Chambers, batteria. Registrato nel luglio 1989.
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A Nightingale Sang In Berkeley Square (Maschwitz-Sherwin), ib. Stanley Cowell, piano.
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mercoledì 28 agosto 2013
Sem Mais Chorar (Dwike Mitchell)
Dwike Mitchell, del duo Mitchell-Ruff, è morto l’aprile scorso a ottantatré anni. Lo ricordo fuori tempo, per i pochi lettori miei di fine estate e per i meno ancora che si ricordano chi sia stato (qui si è sentito un paio di volte).
Era un grande romantico, il vecchio Ivory – suo vero nome – , ed era un pianista molto bravo, una specie di impressionista via Oscar Peterson. Uno dei tanti che ha dato al jazz più di quanto abbia ricevuto, e che ha portato via con sé una qualche cosa, fosse grande o piccola, che non riavremo più: forse solo l’inclinazione e la capacità di suonare senza ironia, senza cinismo, una dolce melodia.
Sem Mais Chorar (Candinho-Lula Freire), da «A viagem», Forma 102VDL. Dwike Mitchell, piano. Registrato nel 1966.
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Era un grande romantico, il vecchio Ivory – suo vero nome – , ed era un pianista molto bravo, una specie di impressionista via Oscar Peterson. Uno dei tanti che ha dato al jazz più di quanto abbia ricevuto, e che ha portato via con sé una qualche cosa, fosse grande o piccola, che non riavremo più: forse solo l’inclinazione e la capacità di suonare senza ironia, senza cinismo, una dolce melodia.
Sem Mais Chorar (Candinho-Lula Freire), da «A viagem», Forma 102VDL. Dwike Mitchell, piano. Registrato nel 1966.
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martedì 27 agosto 2013
Emergency - Via The Spectrum Road (Tony Williams & Lifetime)
Il propriamente detto jazz-rock, che predata la fusion ed è grosso modo contemporaneo al progressive rock, aveva un approccio intellettuale più onesto ai suoi materiali, forse più ingenuo ma anche per questo più fertile, più creativo di tanta musica che è seguita su linee apparentemente simili, e questo è vero tanto del ciclopico trio «Lifetime», nominalmente cooperativo, in realtà di Tony Williams, quanto del primo «Return To Forever» di Chick Corea, che pure ascolteremo insieme fra non molto. Sono dischi in cui i musicisti suonano quello che sanno suonare, cioè il jazz, prendendo dal rock tutto quello che possono. Di fusione e di progresso, direi, se ne infischiano bellamente.
Non voglio attentarmi a sceverare queste esecuzioni nei loro elementi stilistici costitutivi, non ne sarei nemmeno capace. Per me questo è jazz (nonché, in certa misura, rock) originale, creativo e vivissimo, architettato da un grande del jazz (Williams) in associazione con un jazzista di grande talento (Young) e con uno strumentista che, abbandonato a sé, ha sempre prodotto del kitsch aggressivo ma che qui, dimentico di se stesso, contribuisce invece al progetto generale, soprattutto con la sua sonorità caratteristica e, in Via The Spectrum Road, anche con la sua voce cruda e ineducata.
«Emergency!» è famoso per godere della peggiore presa di suono ascoltabile in quegli anni in un disco registrato in studio. Io non so proprio dire.
Emergency (Williams), da «Emergency!», Polydor 849 068-2. John McLaughlin, chitarra; Larry Young, organo; Tony Williams, batteria. Registrato il 26 maggio 1969.
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Via The Spectrum Road (Hall-Williams), id.
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Non voglio attentarmi a sceverare queste esecuzioni nei loro elementi stilistici costitutivi, non ne sarei nemmeno capace. Per me questo è jazz (nonché, in certa misura, rock) originale, creativo e vivissimo, architettato da un grande del jazz (Williams) in associazione con un jazzista di grande talento (Young) e con uno strumentista che, abbandonato a sé, ha sempre prodotto del kitsch aggressivo ma che qui, dimentico di se stesso, contribuisce invece al progetto generale, soprattutto con la sua sonorità caratteristica e, in Via The Spectrum Road, anche con la sua voce cruda e ineducata.
«Emergency!» è famoso per godere della peggiore presa di suono ascoltabile in quegli anni in un disco registrato in studio. Io non so proprio dire.
Emergency (Williams), da «Emergency!», Polydor 849 068-2. John McLaughlin, chitarra; Larry Young, organo; Tony Williams, batteria. Registrato il 26 maggio 1969.
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Via The Spectrum Road (Hall-Williams), id.
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domenica 25 agosto 2013
A Dizzy Atmosphere - Hot House (Richie Kamuca)
Richie Kamuca (1930-1977), quel saxofonista così bravo e appartato, registrò questo disco come omaggio a Charlie Parker nel 1977, l’anno stesso della sua morte. A sottolinearne il carattere di rispettosa offerta, in quest’occasione volle usare il sax alto, non il tenore, che era il suo strumento. Non fece gran differenza: proprio come Parker le poche volte che aveva usato il sax tenore, Kamuca, con il contralto, suonava alla propria identica maniera. Diciamo che risulta piacevolmente inconsueto questo contralto cool, tranquillo, privo dei margini un po’ isterici che quasi sempre nel jazz moderno ne connotano sonorità e fraseggio, soprattutto in una Dizzy Atmosphere presa a tempo più comodo del solito.
Porta tutta l’attenzione che puoi e poi ancora agli accompagnamenti e agli assoli di Jimmy Rowles: di una sicurezza, di una misura del gesto e allo stesso tempo di un’audacia stilizzata e astratta da non potersi meglio definire che come vero e proprio saggio di sprezzatura di un grande musicista di jazz.
A Dizzy Atmosphere (Gillespie), da «Charlie», Concord CJ 96. Blue Mitchell, tromba; Richie Kamuca, sax alto; Jimmy Rowles, piano; Ray Brown, contrabbasso; Donald Bailey, batteria. Registrato nel 1977.
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Hot House (Dameron), id.
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Porta tutta l’attenzione che puoi e poi ancora agli accompagnamenti e agli assoli di Jimmy Rowles: di una sicurezza, di una misura del gesto e allo stesso tempo di un’audacia stilizzata e astratta da non potersi meglio definire che come vero e proprio saggio di sprezzatura di un grande musicista di jazz.
A Dizzy Atmosphere (Gillespie), da «Charlie», Concord CJ 96. Blue Mitchell, tromba; Richie Kamuca, sax alto; Jimmy Rowles, piano; Ray Brown, contrabbasso; Donald Bailey, batteria. Registrato nel 1977.
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Hot House (Dameron), id.
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sabato 24 agosto 2013
[Guest post #39] Paolo il Lancianese & Tom Harrell
Scorcio finale d’estate. Fioriscono i guest post e appare per la prima volta su Jnp, grazie al Lancianese, Tom Harrell come leader.
Sono due i Tom Harrell. Li ho visti io, entrambi, in una notte romana di tre anni fa. Quello con lo sguardo smarrito, immobile sul palcoscenico, che quasi sembra neppure ascoltare cosa suonano i compagni, perso in un suo mondo a tutti gli altri precluso. E quello che all’improvviso imbocca il suo strumento e si trasforma in angelo musicante. Qui tacciono gli altri dell’attuale suo gruppo – Wayne Escoffery, Ugonna Okegwo, Jonathan Blake – e, con il solo accompagnamento del piano, Harrell compone una poesia di straordinaria bellezza.
Roman Nights (Harrell), da «Roman Nights», HighNote HCD 7207. Tom Harrell, flicorno; Danny Grissett, piano. Registrato il 27 novembre 2009.
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venerdì 23 agosto 2013
Funnybird Song (Carla Bley)
Le composizioni di Carla Bley mi piacciono quasi tutte (e infatti te ne faccio sentire abbastanza sovente), quando non è lei a suonarle, però! O per dire meglio: trovo che la Bley sia interprete insoddisfacente delle sue musiche – forse non mi vanno a genio le sue soluzioni di arrangiamento, brillanti ma secondo me un po’ meccaniche, un po’ facili, e questo malgrado l’uso, in un disco come questo, di solisti tutti di alto livello. Altrove, p.e. nel tanto strombazzato «Escalator Over The Hill» o in «A Genuine Tong Funeral», la trovo semplicemente pesante.
Questa Funnybird Song, tuttavia, te la propongo oggi perché è allegra, come tutto questo piacevole disco, che ha anche una foto dove Carla estrae una teglia dal forno. Non ha l’aria di essere una cuoca molto brava.
Funnybird Song (C. Bley), da «Dinner Music», Watt/6. Michael Mantler, tromba; Roswell Rudd, trombone; Bob Stewart, tuba; Carlos Ward, sax alto e tenore; Richard Tee, piano; Carla Bley, organo; Eric Gale, Cornell Dupree, chitarra; Gordon Edwards, basso; Steve Gadd, batteria. Registrato dal luglio al settembre 1976.
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Questa Funnybird Song, tuttavia, te la propongo oggi perché è allegra, come tutto questo piacevole disco, che ha anche una foto dove Carla estrae una teglia dal forno. Non ha l’aria di essere una cuoca molto brava.
Funnybird Song (C. Bley), da «Dinner Music», Watt/6. Michael Mantler, tromba; Roswell Rudd, trombone; Bob Stewart, tuba; Carlos Ward, sax alto e tenore; Richard Tee, piano; Carla Bley, organo; Eric Gale, Cornell Dupree, chitarra; Gordon Edwards, basso; Steve Gadd, batteria. Registrato dal luglio al settembre 1976.
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giovedì 22 agosto 2013
Funky Blues (Benny Carter, Johnny Hodges, Charlie Parker)
Questa formazione radunata nel 1952 da Norman Granz, con il suo gusto per il jazz gladiatorio, da Jazz at the Philarmonic, ci presenta uno via l’altro i tre che, a tutt’oggi, sono i massimi esponenti del sax contralto: Benny Carter, Johnny Hodges e Charlie Parker. Ciascuno dei tre ci dà dentro per non sfigurare (non ti farò l’affronto di indicarti la sequenza degli assoli. E va bene, va’: Hodges, Parker, Carter). Ben Webster, anche lui della bella compagnia, non ha invece nulla da dimostrare: lui si limita a suonare il blues alla sua maniera.
Bene gli altri.
Funky Blues (Hodges), da «Benny Carter - The Music Master», Properbox 68. Charlie Shavers, tromba; Benny Carter, Johnny Hodges, Charlie Parker, sax alto; Flip Phillips, Ben Webster, sax tenore; Barney Kessel, chitarra; Oscar Peterson, piano; Ray Brown, contrabbasso; J. C. Heard, batteria. Registrato nel luglio 1952.
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Bene gli altri.
Funky Blues (Hodges), da «Benny Carter - The Music Master», Properbox 68. Charlie Shavers, tromba; Benny Carter, Johnny Hodges, Charlie Parker, sax alto; Flip Phillips, Ben Webster, sax tenore; Barney Kessel, chitarra; Oscar Peterson, piano; Ray Brown, contrabbasso; J. C. Heard, batteria. Registrato nel luglio 1952.
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mercoledì 21 agosto 2013
Fifth House (John Coltrane)
L’insolito e insistito trascorrere dal modo minore al maggiore ha fatto di What Is This Thing Called Love? di Cole Porter uno degli standard più battuti dai jazzisti. Non solo, è anche fra quelli la cui sequenza armonica, variamente dissimulata, è servita da base a composizioni jazzistiche originali dal bebop in poi e ricordo solo Hot House di Tadd Dameron e Subconscious-Lee di Lee Konitz. La rielaborazione più brillante, però, credo sia questa di John Coltrane del 1959. Nei suoi neanche cinque minuti, Fifth House è un’opera di straordinario impegno linguistico, un compendio denso eppure musicalissimo delle riflessioni che Coltrane era fino a quel punto andato facendo su forma e armonia in rapporto all’improvvisazione.
Coltrane equalizza armonicamente le prime sedici battute (AA) della canzone con un ostinato di piano e basso sopra il quale esegue una melodia speziata di cromatismi e incardinata su intervalli molto ampî (settima maggiore, ottava). Poi, sorprendentemente, nel bridge (B) elude l’ovvia suggestione orientaleggiante dell’originale, dove il basso scendeva percorrendo il «tetracordo frigio» (do-sib-lab-sol), suggestione verso cui sembrava indirizzata la melodia appena ascoltata, e applica invece alla sezione mediana i Coltrane changes, l’innovativa sequenza che Coltrane andava sperimentando da un po’ e su cui si basa il pezzo eponimo di «Giant Steps», registrato sette mesi prima (in assolo, Coltrane improvvisa su questa struttura, mentre Wynton Kelly si attiene ai changes regolari). Succede così che, retrospettivamente, l’ascoltatore si renda conto di come quella particolare sequenza armonica fosse già sottesa, ma lasciata implicita, nella prima sezione su pedale, quella del vamp d’apertura, che ritorna a chiudere l‘esecuzione.
Quanto al titolo, Fifth House viene sì da What Is This Thing…, ma per il tramite di Hot House; si danno poi, in astrologia, delle «case» – dodici – del «tema natale» di una persona. La quinta è associata all’amore e al piacere.
Fifth House (Coltrane), da «Coltrane Jazz», (Atlantic) Not Now NOT5CD913-2. John Coltrane, sax tenore; Wynton Kelly, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato il 2 dicembre 1959.
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Coltrane equalizza armonicamente le prime sedici battute (AA) della canzone con un ostinato di piano e basso sopra il quale esegue una melodia speziata di cromatismi e incardinata su intervalli molto ampî (settima maggiore, ottava). Poi, sorprendentemente, nel bridge (B) elude l’ovvia suggestione orientaleggiante dell’originale, dove il basso scendeva percorrendo il «tetracordo frigio» (do-sib-lab-sol), suggestione verso cui sembrava indirizzata la melodia appena ascoltata, e applica invece alla sezione mediana i Coltrane changes, l’innovativa sequenza che Coltrane andava sperimentando da un po’ e su cui si basa il pezzo eponimo di «Giant Steps», registrato sette mesi prima (in assolo, Coltrane improvvisa su questa struttura, mentre Wynton Kelly si attiene ai changes regolari). Succede così che, retrospettivamente, l’ascoltatore si renda conto di come quella particolare sequenza armonica fosse già sottesa, ma lasciata implicita, nella prima sezione su pedale, quella del vamp d’apertura, che ritorna a chiudere l‘esecuzione.
Quanto al titolo, Fifth House viene sì da What Is This Thing…, ma per il tramite di Hot House; si danno poi, in astrologia, delle «case» – dodici – del «tema natale» di una persona. La quinta è associata all’amore e al piacere.
Fifth House (Coltrane), da «Coltrane Jazz», (Atlantic) Not Now NOT5CD913-2. John Coltrane, sax tenore; Wynton Kelly, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato il 2 dicembre 1959.
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martedì 20 agosto 2013
Inception - Sunset - There Is No Greater Love (McCoy Tyner)
Sono io che mi faccio i film o McCoy Tyner, nelle foto, comincia a sorridere un po’ solo dopo il 1965?
Non dico, non sono così matto, che Tyner fosse scontento di essere pianista del quartetto di Coltrane (dal 1960 al 1965, appunto), ma non c’è dubbio che quella situazione la avvertisse tutt’altro che comoda, per quanto entusiasmante. Dopo il 1964, con l’entrare Coltrane nella sua ultima e tuttora enigmatica fase, dovette addirittura per lui farsi dolorosa. Di «Ascension», l’opera di Coltrane del 1965 cui Tyner fu parte con l’aria di entrarci pochino, si parla spesso come di uno dei lavori «traumatici» del jazz, ma credo che non lo sia stato per nessuno, traumatico, come lo fu per Tyner.
Il quale, come ricorderai benissimo, quando cominciò a suonare con Coltrane a ventidue anni non era un novizio, essendosi già distinto (1959-60) nel Jazztet di Art Farmer e Benny Golson; Coltrane l’aveva conosciuto a Filadelfia nel 1958 e quell’anno ne registrò anche una composizione, The Believer. I dischi che Tyner cominciò a incidere a proprio nome quando ancora era con Coltrane (primo questo «Inception», Impulse!, 1962 e poi una decina di Blue Note lungo quasi tutti gli anni Sessanta) lo mostrano perseguire, quasi riprendendo un filo troncato dalla chiamata di Trane, un hard bop aggiornato e anche concettoso, ma mai spericolato.
Quel che resta certo è che, anche nei dischi suoi e su un terreno più convenzionale, McCoy Tyner era un fantastico pianista di jazz e un compositore ispirato. Sentilo qui proporre There Is No Greater Love in un arrangiamento che potrebbe essere uscito dalla penna di Ahmad Jamal.
Inception (Tyner), da «Inception», Impulse! IMPD-220. McCoy Tyner, piano; Art Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 10 gennaio 1962.
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Sunset (Tyner), ib.
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There Is No Greater Love (Jones-Symes), id. Registrato l’11 gennaio 1962.
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Non dico, non sono così matto, che Tyner fosse scontento di essere pianista del quartetto di Coltrane (dal 1960 al 1965, appunto), ma non c’è dubbio che quella situazione la avvertisse tutt’altro che comoda, per quanto entusiasmante. Dopo il 1964, con l’entrare Coltrane nella sua ultima e tuttora enigmatica fase, dovette addirittura per lui farsi dolorosa. Di «Ascension», l’opera di Coltrane del 1965 cui Tyner fu parte con l’aria di entrarci pochino, si parla spesso come di uno dei lavori «traumatici» del jazz, ma credo che non lo sia stato per nessuno, traumatico, come lo fu per Tyner.
Il quale, come ricorderai benissimo, quando cominciò a suonare con Coltrane a ventidue anni non era un novizio, essendosi già distinto (1959-60) nel Jazztet di Art Farmer e Benny Golson; Coltrane l’aveva conosciuto a Filadelfia nel 1958 e quell’anno ne registrò anche una composizione, The Believer. I dischi che Tyner cominciò a incidere a proprio nome quando ancora era con Coltrane (primo questo «Inception», Impulse!, 1962 e poi una decina di Blue Note lungo quasi tutti gli anni Sessanta) lo mostrano perseguire, quasi riprendendo un filo troncato dalla chiamata di Trane, un hard bop aggiornato e anche concettoso, ma mai spericolato.
Quel che resta certo è che, anche nei dischi suoi e su un terreno più convenzionale, McCoy Tyner era un fantastico pianista di jazz e un compositore ispirato. Sentilo qui proporre There Is No Greater Love in un arrangiamento che potrebbe essere uscito dalla penna di Ahmad Jamal.
Inception (Tyner), da «Inception», Impulse! IMPD-220. McCoy Tyner, piano; Art Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 10 gennaio 1962.
Sunset (Tyner), ib.
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There Is No Greater Love (Jones-Symes), id. Registrato l’11 gennaio 1962.
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lunedì 19 agosto 2013
[Guest Post #38] Sergio Pasquandrea e Francesco Bearzatti
Sergio Pasquandrea mi risparmia la fatica di riaprire il blog dopo quindici giorni di vacanza, facendolo lui per me. Quanto al caveat che apre il suo come sempre gradito intervento, non tema. Se è vero che non sono proprio stato capace di apprezzare il disco in oggetto (ma è piaciuto a Pasquandrea, dunque probababilmente avrò sbagliato io), è anche vero che ho già raggiunto e superato la mia quota mensile di persone a cui ho tolto il saluto, o meglio, che me l’hanno tolto: quota che non è bassa. Non ne vado orgoglioso.
Stavolta Marco mi toglie il saluto. O forse no, chissà.
Comunque. Io ho un'ammirazione sconfinata per Francesco Bearzatti: e non solo come strumentista. Nel senso che ogni suo disco non è mai un assemblaggio casuale di brani, ma bensì un discorso coerente, dotato di senso compiuto. Poi, sul senso si può essere d'accordo o no, ça va sans dire.
Il senso di «Monk’n’Roll» sta già tutto nel titolo. Monk è svestito da panni paludati, che poco gli si addicono, e trattato secondo quella forma di rispetto più profondo, che è il divertimento.
(Giusto per chiarire: nel disco non ci sono chitarristi. Fa tutto Bearzatti).
Straight No Chaser (Monk), da «Monk’n’Roll», Cam Jazz CAMJ 7859-2. Francesco Bearzatti, sax, elettronica; Giovanni Falzone, tromba; Danilo Gallo, basso elettrico; Zeno de Rossi, batteria. Registrato nel gennaio 2012.
I Mean You (Monk), ib.
sabato 3 agosto 2013
Sophisticated Lady (Duke Ellington)
Caro lettore, nel corso della loro storia anche grandi istituzioni come il festival di Bayreuth, la Chiesa cattolica, l’Internazionale Socialista, il Grande Oriente di rito scozzese e il Club di Topolino hanno conosciuto momenti di difficoltà, di torpore o di vera oscurità. Non deve allora farti meraviglia che così sia stato di recente anche per il Jazz nel pomeriggio.
Questo per dire che io sparirò di circolazione per qualche giorno ma, a differenza delle scorse tre estati, la pubblicazione delle musiche non continuerà ininterrotta. Niente di cui preoccuparsi, ma se vuoi preoccupati pure – il qui presente tenutario è in un momento di generica svoglia.
Ti lascio comunque in buonissima compagnia con una lunga esecuzione di Sophisticated Lady data dal suo Autore sul finire del 1950. L’introduzione pianistica è di Duke Ellington; l’assolo che comincia verso il quinto minuto è invece di Billy Strayhorn.
Sophisticated Lady (Ellington-Parish-Mills), da «Masterpieces By Ellington», Columbia/Legacy 512918 2. Cat Anderson, Harold «Shorty» Baker, Nelson Williams, Andres Merenghito (Fats Ford), Ray Nance, tromba; Lawrence Brown, Quentin Jackson, Tyree Glenn, trombone; Mercer Ellington, corno; Jimmy Hamilton, clarinetto; Russell Procope, Johnny Hodges, sax alto; Paul Gonsalves, sax tenore; Harry Carney, sax baritono e clarinetto basso; Duke Ellington, Billy Strayhorn, piano; Wendell Marshall, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Canta Yvonne Lanauze. Registrato il 19 dicembre 1950.
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Questo per dire che io sparirò di circolazione per qualche giorno ma, a differenza delle scorse tre estati, la pubblicazione delle musiche non continuerà ininterrotta. Niente di cui preoccuparsi, ma se vuoi preoccupati pure – il qui presente tenutario è in un momento di generica svoglia.
Ti lascio comunque in buonissima compagnia con una lunga esecuzione di Sophisticated Lady data dal suo Autore sul finire del 1950. L’introduzione pianistica è di Duke Ellington; l’assolo che comincia verso il quinto minuto è invece di Billy Strayhorn.
Sophisticated Lady (Ellington-Parish-Mills), da «Masterpieces By Ellington», Columbia/Legacy 512918 2. Cat Anderson, Harold «Shorty» Baker, Nelson Williams, Andres Merenghito (Fats Ford), Ray Nance, tromba; Lawrence Brown, Quentin Jackson, Tyree Glenn, trombone; Mercer Ellington, corno; Jimmy Hamilton, clarinetto; Russell Procope, Johnny Hodges, sax alto; Paul Gonsalves, sax tenore; Harry Carney, sax baritono e clarinetto basso; Duke Ellington, Billy Strayhorn, piano; Wendell Marshall, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Canta Yvonne Lanauze. Registrato il 19 dicembre 1950.
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venerdì 2 agosto 2013
Ictus (Paul Bley)
Ictus (Carla Bley), da «Turns», Savoy Jazz CDOR 9011. John Gilmore, sax tenore; Paul Bley, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato il 9 marzo 1964.
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giovedì 1 agosto 2013
Flushlush - The Fog (Giancarlo Tossani)
Ho ricevuto a suo tempo – 2006 – questo disco dal suo cortese e distinto produttore e dopo averlo sentito una sola volta ho smesso di farvi caso e l’ho lasciato a pigliar polvere. E ho sbagliato, come sovente mi accade anche per pregiudizio, perché il disco è interessante, o dico meglio: è davvero bello, sia per le composizioni del leader, il pianista/tastierista Giancarlo Tossani, sia per la resa dei suoi collaboratori, tutti ben noti. Oh bé, non ti ho mai raccontato che questo blog segua l’attualità.
A me il meno noto (lo ripeto, per mia colpa) dei quattro musicisti che qui si ascoltano risulta proprio Giancarlo Tossani, del quale so appena che vive a Cremona e che, dalle foto, non sembra giovanissimo, ma nemmeno vecchio. Sospetto che la sua musica abbia anche ispirazioni libresche, dacché il disco ha un doppio exergo di Maurice Merleau-Ponty e di Ezra Pound, richiamato questo anche dal titolo di una composizione. Sebbene la musica di Tossani non possa dirsi particolarmente sollecita di piacevolezza, è però orecchiabile in un suo modo scostante e invitante allo stesso tempo, grazie soprattutto alla cura riservata all’aspetto ritmico. Il quartetto, che ha nome Synapser, sviluppa una identità sonora molto definita, anche per l’uso dell’elettronica. In tutte le nove esecuzioni, qualcuna anche abbastanza lunga, l’impressione corroborante è che non venga mai sprecata una nota.
The Fog, composizione del regista John Carpenter, viene dal suo film omonimo ed è un duetto di Succi e Tossani.
Flushlush (Tossani), da «Coherent Deformation», Auand AU9012. Achille Succi, clarinetto; Giancarlo Tossani, tastiere ed elettronica; Tito Mangialajo Rantzer, contrabbasso; Cristiano Calcagnile, batteria. Registrato nel maggio-giugno 2006.
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The Fog (Carpenter), ib. Succi, clarinetto; Tossani, piano.
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A me il meno noto (lo ripeto, per mia colpa) dei quattro musicisti che qui si ascoltano risulta proprio Giancarlo Tossani, del quale so appena che vive a Cremona e che, dalle foto, non sembra giovanissimo, ma nemmeno vecchio. Sospetto che la sua musica abbia anche ispirazioni libresche, dacché il disco ha un doppio exergo di Maurice Merleau-Ponty e di Ezra Pound, richiamato questo anche dal titolo di una composizione. Sebbene la musica di Tossani non possa dirsi particolarmente sollecita di piacevolezza, è però orecchiabile in un suo modo scostante e invitante allo stesso tempo, grazie soprattutto alla cura riservata all’aspetto ritmico. Il quartetto, che ha nome Synapser, sviluppa una identità sonora molto definita, anche per l’uso dell’elettronica. In tutte le nove esecuzioni, qualcuna anche abbastanza lunga, l’impressione corroborante è che non venga mai sprecata una nota.
The Fog, composizione del regista John Carpenter, viene dal suo film omonimo ed è un duetto di Succi e Tossani.
Flushlush (Tossani), da «Coherent Deformation», Auand AU9012. Achille Succi, clarinetto; Giancarlo Tossani, tastiere ed elettronica; Tito Mangialajo Rantzer, contrabbasso; Cristiano Calcagnile, batteria. Registrato nel maggio-giugno 2006.
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The Fog (Carpenter), ib. Succi, clarinetto; Tossani, piano.
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