Reload dal marzo 2017
È cosa risaputa: Barry Harris considera tutto quello che è avvenuto nel jazz dalla metà degli anni Cinquanta in poi “sbagliato”: non dico neanche il free jazz, ma sbagliato il cool, sbagliato il soul jazz, sbagliati Coltrane, Rollins, il jazz europeo, sbagliato tutto quello che non è il bebop rigoroso che lui pratica e insegna in giro per il mondo. O forse insegnava, ne ha compiuti 87 tre mesi fa.
Non è questo di cui m’interessa parlare, anche se questo fa del vecchio Barry un tipo pittoresco e caratteristico di curmudgeon (ne ha anche l’aspetto). In questo disco stupendo del 1975 senti come effettivamente Harris non abbia bisogno d’altro che del lessico bebop, che quando suona lui è vivo e attuale, per esprimersi in modo personale e incredibilmente espressivo e variegato; sotto le sue dita, quegli elementi che in tanti altri, anche suoi coetanei, suonano scuola, metodo e formula, sono un’autentica, articolata visione del mondo. Quale materiale migliore su cui esercitarla se non le composizioni di Tadd Dameron, un altro che del bebop aveva fatto la sua vita, in modo personalissimo?
Hot House (Dameron), da «Plays Tadd Dameron», Xanadu 113. Barry Harris, piano; Gene Taylor, contrabbasso; Leroy Williams, batteria. Registrato il 4 giugno 1975.
Soultrane (Dameron), id.
Casbah (Dameron), id.
3 commenti:
Disco bellissimo, hai ragione!
impeccabile lezione di stile.
Disco davvero meraviglioso, e davvero Harris è l'interprete ideale di Tadd Dameron!
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