martedì 3 febbraio 2015

Pay It No Mind (Arnett Cobb)

 Arnett Cobb, come devo averti già detto, è uno dei miei sax tenori preferiti e credo che dovrebbe esserlo anche dei tuoi: un texano ben rappresentativo di quella scuola tenoristica ma con una musicalità infallibile che gli altri non hanno avuto.

 Pay It No Mind (Cobb), da «Arnett Cobb And His Orchestra, 1946-1947», Chronological Classics 1071. David Page, tromba; Al King, trombone; Arnett Cobb, sax tenore; George Rhodes, piano; Walter Buchanan, contrabbasso; George Jones, batteria. Registrato nell’agosto 1947.



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7 commenti:

Marco Coppola ha detto...

Uno splendido modo per riprendere le pubblicazioni! Aveva l'adrenalina nel sangue. Scelta infallibile!

Marco Bertoli ha detto...

Uno dei tanti musicisti che ha dato al jazz molto più di quanto non ne abbia ricevuto.

Marco Coppola ha detto...

È stato sempre visto dai puristi ed ortodossi de jazz con distacco e con occhio troppo critico ,forse per via della sua formazione rhythm and blues. Da riscoprire e rivalutare

Riccardo Facchi ha detto...

se i puristi escludono tutti i musicisti, specie sassofonisti, di formazione R&B allora devono scartarne parecchi di jazzisti, magari pure John Coltrane...

Marco Coppola ha detto...

John coltrane, al pari di molti altri sassofonisti coevi di estrazione r&b, ha poi sviluppato una sua propria ed originalissima sonorità, apprezzatissima dal pubblico ortodosso. Cobb, così come Big Jay McNeely, tanto per citarne uno, è rimasto un pò più legato alle sue origini blues, e questo a discapito di un oggettiva valutazione e di un limpido apprezzamento. Non concordi? credo che almeno da un punto di vista storico le cose siano andate così.

riccardo facchi ha detto...

non discuto il percorso artistico di Coltrane. Ho solo osservato che spesso si cita la formazione R&B considerandola implicitamente come un minus valore per i jazzisti, in particolare i sassofonisti e ciò fa parte di un atteggiamento para ideologico profondamente sbagliato (dei puristi citati, non tuo), oltre che storicamente e musicalmente fondamentalmente errato.
Pressoché qualsiasi sassofonista afroamericano non poteva e non può fare a meno di riferirsi nella sua formazione e nel suo linguaggio strumentale all'esperienza R&B, che ha contribuito ad estendere, tra l'altro, la timbrica e la tecnica sassofonistica anche ben oltre ciò che ha fatto ad esempio il free e comunque esso fa parte integrante della loro cultura musicale. Anzi direi che molti esponenti del free e delle avanguardie anni '60 e '70 (basti pensare ad Archie Shepp oltre allo stesso Coltrane), sassofonisti e non solo, hanno utilizzato le tecniche sviluppate dai sassofonisti R&B per sviluppare la propria espressività (oltre allo spiccatissimo senso del blues,dovuto alla frequentazione continua di tale genere di materiale) e quindi devono a tale area musicale più di quanto non si pensi normalmente. Riuscite ad immaginare un Archie Shepp che suona in modo supremo "Damn If I Know (The Stroller)" senza avere nel suo bagaglio culturale e musicale l'esperienza R&B? Io no.
Quando si smetterà dalle nostre parti di pensare al Jazz come ad un qualcosa di separato dalla restante parte della Black Music sarà sempre troppo tardi, puristi o non puristi (de che poi?)

Marco Coppola ha detto...

Ci troviamo esattamente sulla stessa lunghezza d'onda :-D Con il mio commento volevo esprimere lo stesso pensiero che hai esposto nell'ultimo periodo del tuo ultimo intervento. Il jazz, il r&b, il soul ed il funky fanno parte dello stesso genere musicale fondato sul blues, denominato appunto black music. Sono fortemente contrario alle categorizzazioni, soprattutto musicali. Volevo solo sottolineare (ma è un'annotazione più che lapalissiana) che, storicamente, artisti del calibro di Arnett Cobb, Big Jay McNeely, Eddie Vinson, Illinois Jacquet, Louis Jordan (tutti sassofonisti!!!) e per certi aspetti anche Lionel Hampton (ma la lista è lunghissima) sono stati sempre sottovalutati dalla critica jazzistica maggioritaria e questo non ha permesso una valutazione oggettiva delle loro immense carriere. E ciò mi rattristisce, anche perché erano artisti talentuosi ed innovativi che purtroppo, come ha detto Marco, hanno ricevuto dal jazz meno di quanto abbiano dato.