Qui senti la creatività più pura e vorrei dire sfrenata a partire dalla forma la più tradizionale, la famosissima, suonatissima canzone di Duke Ellington. Fantasia, libertà, interplay autentico e non meccanico, impulso ritmico (swing) che non viene meno per un momento entro la più grande fluidità agogica: siamo in tutti i sensi ai piani alti del jazz e della musica improvvisata.
Solitude (Duke Ellington), da «Sonny Rollins Quartet With Don Cherry. Complete Live At The Village Gate 1962», Solar Records. Don Cherry, cornetta; Sonny Rollins, sax tenore; Bob Cranshaw, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato nel luglio 1962.
2 commenti:
acuta suddivisione dei ruoli con Rollins che divaga liberissimo e Cherry che fa il suggeritore, ricordandogli ogni tanto cosa stanno suonando. la cosa più curiosa è il mood creato che, pur esendo lontano dallo spirito della canzone, e pur avendo qua e là dei contributi aciduli di Sonny, è comunque omogeneo e abbastanza coerente col tema originale.
Hanno tutti l'aria di divertirsi un mondo e di crederci. Un grande momento di jazz
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