sabato 30 giugno 2012

Goin’ Home (Yusef Lateef)

 Suonando Goin’ Home, canzone ricalcata sul primo tema del secondo movimento della IX Sinfonia di Dvorák, Yusef Lateef resiste saviamente alla tentazione di riprodurre la famosissima melodia, destinata da Dvorák al corno inglese, sull’affine oboe, che pure era parte del suo strumentario per questa seduta.

 Imbraccia invece con il vigore e la sonorità robusta a lui consueti il sax tenore, cambia la tonalità (da re bemolle a fa), aumenta il tempo da largo ad andantino e non è parco di blue note: qui, la settima minore dà alla melodia un colore misolidio.
 Intro e outro, con le note tenute degli archi, conferiscono al tutto un tono misterioso, quasi mistico.

 Goin’ Home (Fisher-Dvorák), da «The Three Faces of Yusef Lateef», Riverside/OJC 00025218675925. Yusef Lateef, sax tenore; Ron Carter, violoncello; Hugh Lawson, piano; Herman Wright, contrabbasso; Lex Humphries, batteria. Registrato il 9 maggio 1960.



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venerdì 29 giugno 2012

A Time for Love (Michel Grailler & Alain Jean-Marie)

 Di questo disco che mi è capitato oggi  fra le mani per sbaglio (ne cercavo uno di Jimmie Lunceford) non ti so dire niente: solo che sono due pianisti francesi, di uno dei quali, Michel Graillier, ricordo molto vagamente il nome da vecchie recensioni, mentre di Alain Jean-Marie neanche quello.

 Non volano faville, ma nemmeno si sente baccano, casino e una profusione enorme di note inutili com’è quasi sempre il caso nello sfortunata combinazione del piano duo. Si tratta anzi di un disco molto musicale e piacevole. Purtroppo la mia ignoranza specifica non mi permette di dire quale dei due venga fuori da destra e quale da sinistra, so però – lo precisano le note di copertina – che Jean-Marie suona uno Steinway e Graillier un Kawai.

 A Time for Love (Mandel), da «Portrait in Black and White», Universal Music France 0602498328736. Michel Graillier, Alain Jean-Marie, piano. Registrato nel giugno 1991.



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giovedì 28 giugno 2012

Pee Wee’s Blues - I Got the World on a String (Pee Wee Russell)

 Torna dopo quasi esattamente un anno Pee Wee Russell, e in un pezzo in cui l’abbiamo già sentito con diversa formazione. Si tratta della sua composizione più nota, Pee Wee’s Blues, che Russell interpreta al centro di una dream band riunita sotto suo nome nel 1959. Nella front line trovi Vic Dickenson, trombonista che gli è quanto mai congeniale, Buck Clayton e l’antico sodale Bud Freeman, uno degli autentici Chicagoans, come l’ineffabile Eddie Condon.
 Non meno dream (anzi!, visto che c’è l’a me dilettissimo Ruby Braff) è il settetto che esegue I Got the World On A String, esattamente un anno prima.

 Va bé, stamattina non trovo molto altro da dire. I pezzi, comunque, sono bellissimi.

 Pee Wee’s Blues (Russell), da «Pee Wee Russell Plays with Buck Clayton, Vic Dickenson and Bud Freeman», Lone Hill Jazz LHJ10347. Buck Clayton, tromba: Vic Dickenson, trombone; Pee Wee Russell, clarinetto; Bud Freeman, sax tenore; Dick Cary, piano; Eddie Condon, chitarra; Bill Takas, contrabbasso; George Wettling, batteria. Registrato nel febbraio 1959.



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 I Got the World On A String (Arlen-Koehler), ib. Russell, Freeman, Dickenson più Ruby Braff, cornetta; Nat Pierce, piano; Charles Potter, contrabbasso; Karl Kiffe, batteria. Registrato nel febbraio 1958.



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mercoledì 27 giugno 2012

Spiritus Parkus (Dizzy Reece)

 Esotismo molto tongue-in cheek da questo sestetto di cannoni del caro Dizzy Reece, presenza non frequente ma costante su Jnp.

 Dizzy, che come ho già notato è un compositore molto abile e sovente ispirato, contraffà qui il blues in minore con qualche alterazione armonica e con una veste timbrica lussurreggiante, grazie al baritono profondo e morbido del grande Cecil Payne. Joe Farrell introduce un elemento di attualità – attualità del 1962, intendo –  con qualche timido coltranismo (ancora della prima maniera di Coltrane).

 Spiritus Parkus (Parker's Spirit), da «Asia Minor», Prestige/OJCCD-1806-2. Dizzy Reece, tromba; Joe Farrell, sax tenore; Cecil Payne, sax baritono; Hank Jones, piano; Ron Carter, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato il 13 marzo 1962.



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martedì 26 giugno 2012

Pepper Returns (Art Pepper)

 Si tratta in realtà di Lover, Come Back to Me di Romberg & Hammerstein II in una versione acefala e a tempo sostenuto. La ritmica è una delle più prestigiose della Los Angeles d’allora (1957) e anche Jack Sheldon, oggi dimenticato, si distingue valorosamente accanto ad Art Pepper. 

 Pepper Returns (Pepper), da «The Return of Art Pepper», Blue Note CDP 7 468632. Art Pepper, sax alto; Jack Sheldon, tromba; Russ Freeman, piano; Leroy Vinegar, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 3 gennaio 1957.



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lunedì 25 giugno 2012

Virgin Jungle (Steve Lacy)

 Oh bella. Non meraviglia in nessun modo trovare Steve Lacy impegnato in una composizione di Billy Strayhorn: il suo amore per quel repertorio e il suo valore in esso sono noti e molte volte dimostrati. Sorprende, piuttosto, trovare con lui alla batteria (accanto a Oliver Johnson) Sam Woodyard, il veterano batterista per più di dieci anni con Duke Ellington, che giustamente lo stimava molto.

 Woodyard fu acchiappato da Lacy per il rotto della cuffia: sarebbe morto il settembre successivo a questa seduta.

 Virgin Jungle (Strayhorn), da «The Door», Novus PD80349. Steve Lacy, sax soprano, Irene Aebi, violino; Bobby Few, piano; Jean-Jacques Avenel, contrabbasso; Oliver Johnson, Sam Woodyard, batteria. Registrato nel luglio 1988.



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domenica 24 giugno 2012

Tanto Canto - Chuva (Mitchell & Ruff)

 Questo è un disco di musica brasiliana registrato con musicisti brasiliani, in Brasile, da Dwike Mitchell e Willie Ruff, il singolare duo di pianoforte e contrabbasso/corno di cui ti parlerei più a lungo, se solo ne sapessi abbastanza.

 Il disco non è un disco di jazz, ma di musiche brasiliane eseguite da una formazione che ospita due jazzisti. Ricorda per certi versi «Bossa Nova Bacchanal» di Charlie Rouse, con forse una maggiore  autenticità; di certo è un disco piacevolissimo, molto estivo (di un’estate del 1966).

 Tanto Canto (Saluté to Mitchell/Ruff) (Candinho-Sergio-Lula Freire), da «A Viagem», Forma 102VDL. Willie Ruff, corno e contrabbasso; Dwike Mitchell, piano; Sergio Augusto, chitarra; Chico Batera, batteria. Registrato nel 1966.



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Chuva (Durval Ferreira-Pedro Camargo), c.s. ma Durval Ferreira, chitarra, al posto di Sergio Augusto.



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sabato 23 giugno 2012

All the Things You Are (Ben Webster) (Booker Ervin)

 Quanto diverse possono essere due interpretazioni del medesimo, consunto standard, entrambe al sax tenore, condotte a pochi anni l’una dall’altra? Quanto la notte dal giorno, direi.  
 Ben Webster, Booker Ervin.

 All The Things You Are (Hammerstein II-Kern), da «The Art Tatum Group Masterpieces», Pablo 0600753312032. Ben Webster, sax tenore; Art Tatum, piano; Red Callender, contrabbasso; Bill Douglass, batteria. Registrato l’11 settembre 1956.



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 All The Things You Are, da «The Complete Songbook Sessions», Jazz Lips JL711. Booker Ervin, sax tenore; Tommy Flanagan, piano; Richard Davis, contrabbasso; Alan Dawson, batteria. Registrato il 2 ottobre 1964.



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venerdì 22 giugno 2012

[Comunicazione di servizio] 1000° with Duke & Trane

 Da pochissimo ho voluto celebrare i due anni di questo blog; ora sfido il ridicolo (nella specie di un’indulgenza all’autocelebrazione per futili motivi) e festeggio un altro traguardo di Jazz nel pomeriggio: i 1000 (mille) post, di cui il presente è il millesimo, appunto. Togliamo pure quelli intitolati [comunicazioni di servizio] e qualche altro, resta un bel malloppetto di post per poco più di due anni di programmazione, a testimonianza della costanza del mio amore per il jazz e anche della costanza di quelli fra i lettori – non pochi, fra i pochi – che mi seguono da principio.

 Più che del numero dei post, però, io mi compiaccio di quello dei pezzi di musica pubblicati: più di milletrecento e tutti bellissimi, belli o almeno interessanti per un verso o per un altro. Molti, spero la maggior parte, non sono ascolti ovvii, ivi compresi quelli scelti direttamente dai lettori, o nei guest post o suggeriti in un commento.

 Per festeggiare, John Coltrane esegue My Favorite Things dal vivo al festival di  Newport del 1963. Quell’estate Roy Haynes sostituì Elvin Jones; l’esecuzione è breve, rispetto ad altre di questo cavallo di battaglia coltraniano, ma è sicuramente delle più belle. Segue l’orchestra di Duke Ellington che, nella sua formazione più classica, suona la sua sigla.

 C’è una ragione personale per queste scelte in questa occasione: il disco che contiene My Favorite Things, «Selflessness», è il primo disco di jazz che io abbia comprato in vita mia, naturalmente in forma di micosolco di vinile del costo di 5.500 lire. E Take the «A» Train è un pezzo del mio musicista più amato che mi dà sempre gioia.

 Adesso, per un po’ con le commemorazioni dovremmo stare a posto. Altre ne arriveranno, perché non prevedo che Jazz nel pomeriggio chiuderà i battenti molto presto. Promessa? Minaccia?

 My Favorite Things (Rodgers-Hammerstein III), da «Selflessness», Impulse! B00J5830-02. John Coltrane, sax soprano; McCoy Tyner, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 7 luglio 1963.



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Take the «A» Train (Strayhorn), da «Never No Lament: The Blanton-Webster Band», Bluebird 82876 50857 2. Wallace Jones, Cootie Williams, tromba; Rex Stewart, cornetta; Joe Nanton, Lawrence Brown, trombone; Juan Tizol, trombone a pistoni; Barney Bigard, sax tenore, clarinetto; Johnny Hodges, Otto Hardwick, sax alto; Ben Webster, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano; Fred Guy, chitarra; Jimmy Blanton, contrabbasso; Sonny Greer, batteria. Registrato il 15 febbraio 1941.



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giovedì 21 giugno 2012

[Guest post #19] Gennaro Fucile & Michael Nyman (+ Brötzmann, Parker)

 Meno male che ho degli amici/lettori che si preoccupano di pararmi il sedere quando faccio qualche sparata fuori bersaglio. 
 Fuori bersaglio secondo loro… Gennaro, che spezza regolarmente il pane con me, sa, o dovrebbe sapere, che Jnp – sotto la specie di salottino «a modo» – è proprio un salon réactionnaire, vandeano quasi, senza che questo ne pregiudichi il tratto affabile o l’afflato pedagogico: alla prima occasione, offrirò a GF un «crash course» in jazz.

 Annunciata/minacciata, l’intera settimana dedicata a Evan Parker e Peter Brötzmann è parsa subito uno scherzo e d’altronde sarebbe stato un eccesso insostenibile per un salotto a modo come Jnp. I due sono davvero dei brutti ceffi e quando decidono di cannoneggiare non stanno a fare distinguo tra orecchie avvezze a certi sconquassi sonori e timpani innocenti. Loro che da giovani erano un’ira di dio fanno fuoco senza fare complimenti. Nel 1968 Brötzmann titolò un suo primo lavoro «Machine Gun», Parker era della partita e ciò basti.

 Molti anni dopo i due si ritrovarono in qualità di ospiti in un altro salottino educato, allestito da Michael Nyman, persona perbene, di buone maniere (come il Bertoli non solo al pomeriggio). All’epoca Nyman non era ancora un pezzo da novanta delle colonne sonore, aveva appena avviato la sua collaborazione con Peter Greenaway e conclusa la sua carriera di musicologo riassunta dal libro La musica sperimentale (Shake Edizioni, 2011) e per coerenza concettuale s’imbarcò nel progetto Obscure ideato da Brian Eno. Una delle dieci uscite della collana fu il suo album «Decay Music». Preso coraggio, allestì nel 1982 un disco con le prime musiche scritte per Greenaway, l’ellepì banalmente intitolato «Michael Nyman».

 Qui come d’incanto al minimalismo della prima ora si affiancano musiche d’altri tempi, ci si gingilla con il Don Giovanni, si fanno prove di barocco e ci si concede un Waltz candido sulla carta se non fosse che il compito è affidato, non solo alla Michael Nyman Band, ma anche ai succitati terroristi sonici, che iniziano a soffiare come due mantici extra size. Non sembrerà vero, ma ne viene fuori una delizia.

 Waltz (Nyman) da «Michael Nyman», MN Records, MNRCD123. Peter Brötzmann, clarinetto basso e sax tenore; Evan Parker, sax soprano. Michael Nyman Band: Rory Allam, clarinetto e clarinetto basso; Alexander Balanescu, violino; Anne Barnard, corno francese; Ben Grove, chitarra e basso; John Harle, sax soprano;  Nick Hayley, ribeca e violino; Ian Mitchell, clarinetto e clarinetto basso; Michael Nyman, tastiere; Elisabeth Perry, violino e viola; Steve Saunders, trombone, tuba ed euphonium; Roderick Skeaping, ribeca e violino; Keith Thompson, flauti e saxofoni; Doug Wootton, banjo e basso. Data di registrazione non indicata ma 1982.



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mercoledì 20 giugno 2012

Parchman Farm (Mose Allison)

 Mose Allison di mezzo pomeriggio è meglio di una tazza di tè. Dio benedica Mose Allison, che inspiegabilmente non pubblico su Jnp da quasi due anni.

 Mose è un musicista serissimo che increspa di umorismo vero (non di ironia) perfino i temi funesti del work song carcerario. Qui, il forzato a vita di un penitenziario del Mississippi si lamenta del grave castigo, espiato nei campi di cotone con un fucile nella schiena: eppure lui non ha fatto niente di così brutto, «ho solo sparato a mia moglie».

 Attenzione, oltre che al canto, al piano  di Mose, saporito e astringente. Il bassista Addison Farmer, un sideman abituale di Allison, era il gemello di Art, morto molto giovane.

 Parchman Farm (Allison), da «Local Color», Prestige/OJC 00025218645720. Mose Allison, piano e canto; Addison Farmer, contrabbasso; Nick Stabulas, batteria. Registrato l’8 novembre 1957.



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La Mer (Coleman Hawkins)

 Kitsch! Kitsch! Kitsch! La voce maestosa di Coleman Hawkins sorvola La Mer di Charles Trenet in un arrangiamento «marino» di Manny Albam che evoca il mare (il Mare del Nord, apparentemente) con tremolo di violini, arpeggi d’arpa, corni in lontananza e scale a toni interi.

 (L’assolo di Hawk riesce a essere una specie di meraviglia anche in questi marosi, tuttavia).

 La Mer [Beyond the Sea] (Trenet), da «The Hawk in Paris», RCA Victor 74321851522. Coleman Hawkins con orchestra diretta da Manny Albam. Formazione complessiva: Nick Travis, tromba; Urbie Green, Chauncey Welsh, trombone; Romeo Penque, Ray Beckenstein, Al Epstein, sax e flauto; Tosha Samaroff, Max Cahn, Alvin Rudnitsky, Paul Gershman, Leo Kruczek, Sy Miroff, Jack Sayde, violino; Lucien Schmit, George Ricci, Pete Makis, violoncello; Janet Putnam, arpa; Marty Wilson, vibrafono; Hank Jones, piano; Barry Galbraith, chitarra; Arnold Fishkin, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato nel luglio 1956.



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martedì 19 giugno 2012

Fugue on Bop Themes (Dave Brubeck)

 Due giorni fa hai sentito Bill Evans cimentarsi in un pastiche contrappuntistico poco riuscito, per il quale Enrico Pieranunzi ha richiamato qualche lavoro di Dave Brubeck.

 La prima cosa che viene alla mente è questa Fugue on Bop Themes, in realtà composizione e arrangiamento del saxofonista Dave Van Kriedt (1922-1994), come Brubeck uno studente di Darius Milhaud al Mills College di Oakland, California del Nord. L’incisione è del 1950, ma la musica registrata è quella che l’ottetto di Brubeck aveva suonato dal 1946 al ’49. Il complesso, che nel 1950 era già sciolto, agiva a San Francisco, costituendosi dunque il primo precedente di un tratto caratteristico dello stile West Coast, il contrappunto.

 Il paragone fra Fudgesicle e questa Fugue è comunque approssimativo, perché Fudgesicle si limita a enunciare il tema in imitazione a scopo, diciamo, di colore, mentre quella di Van Kriedt-Brubeck è una fuga a tre voci completa in ogni parte: soggetto e controsoggetto con risposte reali, divertimenti, stretto e coda. Nel complesso, curiosamente, la Fugue suona più libera e innovativa della composizione di Bill Evans, e la sua polifonia rigorosa, abbinata ai timbri e alla ritmica swingante, arriva a ricordare da vicino l’eterofonia delle orchestre New Orleans.

 Fugue on Bop Themes (Van Kriedt), da «Dave Brubeck Octet», OJCCD-101-2. Dick Collins, tromba; Bill Smith, clarinetto; Paul Desmond, sax alto; Dave Van Kriedt, sax tenore; Bob Collins, sax baritono; Dave Brubeck, piano; Jack Weeks, contrabbasso; Cal Tjader, batteria. Registrato nel luglio 1950.



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lunedì 18 giugno 2012

[comunicazione di servizio] Funzione di ricerca

 Qua a destra, appena sotto il mio nome e avatar, compare da oggi una funzione di ricerca, suggeritami laconicamente da un lettore, che ringrazio.

 Con queste nuova funzione potrai ricercare le musiche pubblicate non solo secondo il nome del leader e  il decennio di registrazione, ma anche secondo qualunque altro nome o termine: sidemen, strumento, titolo, compositore, etichetta, singolo anno, etc.

Fascinatin’ Rhythm (Stan Getz)

 Inciso a Los Angeles nel 1953, questo disco di Stan Getz potrebbe a buon titolo ascriversi alla breve e a suo modo fervida stagione del West Coast jazz. Tuttavia lo stile di Getz ha una edge, uno spirito asciutto che californiano e losangelino non è, e lo stesso direi di Bob Brookmeyer.

 Il pianista è proprio quel John Williams illustratosi in seguito con le colonne sonore per il cinema, in particolare di molti film di Steven Spielberg (musiche che io trovo piuttosto bolse, per inciso) e che da giovane ebbe qualche anno di attività jazzistica intensa e qualificata. Qui Williams mostra di aver ascoltato attentamente quanto un paio d’anni prima con Getz aveva fatto Horace Silver, soprattutto nel fitto accompagnamento.

 Fascinatin’ Rhythm (Gershwin), da «Interpretations by the Stan Getz Quintet #1», [Norgran] Poll Winners PWR 27280. Bob Brookmeyer, trombone a pistoni; Stan Getz, sax tenore; John Williams, piano; Teddy Kotick, contrabbasso; Frank Isola, batteria. Registrato il 27 luglio 1953.



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domenica 17 giugno 2012

A Fudgesicle Built for Four (Bill Evans)

  Ti ho già presentato questo disco di Bill Evans del 1962, che mi piace perché vede il pianista simultaneamente in due situazioni che secondo me lo mettevano nella luce migliore e che tuttavia frequentò poco: con una front line e con Philly Joe Jones alla batteria. 

 Fudgesicle Built for Four è il pezzo meno riuscito del disco, ma è interessante. Il titolo è caratteristico di Evans, un gioco di parole sul vecchio numero da music-hall Bicycle Built for Two; il tema è esposto con un fugato in cui le quattro voci entrano una dopo l’altra in stile imitativo (non escludo che fudgesicle – qui bizzarramente scritto «fudgesickle»  – sia stato scelto per suggestione fonetica di fugue).

 Ha osservato Enrico Pieranunzi nel suo bel libro su Evans (Ritratto d’artista con pianoforte, Stampa Alternativa 2001):  «Quello che ne viene fuori è un jazz molto “alla Dave Brubeck” o anche un po’ “Modern Jazz Quartet”, alquanto serioso e quasi in frac, in cui anche la struttura armonica predisposta da Evans per l’improvvisazione risulta artificiosa e un po’ gratuita al punto da non consentire ai solisti di muoversi con agi. (pagg. 83-84)

 A Fudgesicle Built for Four (Evans), da «Loose Blues», Riverside/Milestone 0025218920025. Zoot Sims, sax tenore; Jim Hall, chitarra; Bill Evans, piano; Ron Carter, contrabbasso; Philly Joe Jones, batteria. Registrato il 22 agosto 1962.



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sabato 16 giugno 2012

In Your Own Sweet Way (Nick Brignola)

 Oggi è il Bloomsday. Ovunque il popolo festeggia con un pranzo in famiglia o con una gita fuori porta, al mare, magari. Io, con un post che ripara a una mia disattenzione.

 Tempo fa banfavo (dial. mil.) di aver coperto, in Jazz nel pomeriggio, i principali saxofonisti baritoni del jazz. Invece ne avrò dimenticati diversi; di sicuro e poco perdonabilmente avevo dimenticato Nick Brignola (1936-2002), un musicista bravissimo.

Brignola suonava tutti i saxofoni, nonché il clarinetto e il flauto. La sua agilità sul baritono, suo strumento principale, non veniva mai a scapito di un suono che, ora aspro ora rotondo, era ampio e possente in tutta l’estensione, in lui molto sviluppata.

 Qui allo Sweet Basil di New York nel 1992 Nick è con il batterista Dick Berk, suo antico sodale,  e con altri due musicisti poco noti ma eccellenti (il pianista Holober è rinomato come insegnante e compositore). Nota la breve, inaspettata  «oasi» informale che, poco dopo il minuto 08:00, introduce il breve duetto di Brignola e pianista, quindi si ripresenta a 09:22 per preparare la riesposizione, con il ritorno di basso e batteria, e infine a 10:40, per concludere il pezzo in modo sospeso e impressionistico.

 In Your Own Sweet Way (Brubeck), da «Things Ain’t What They Used to Be - Last Set at Sweet Basil», Reservoir RSR CD 174. Nick Brignola, sax baritono; Mike Holober, piano; Rich Syracuse, contrabbasso; Dick Berk, batteria. Registrato il 28 agosto 1992.



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venerdì 15 giugno 2012

I Thought About You (Joe Pass & Red Mitchell)

 Così. Questo è un vero bonbon sonoro, un pezzo di musica di piacevolezza assoluta, in cui il pensiero musicale, che pure c’è, è dissimulato e stemperato in una soluzione di suoni e dinamiche che non lascia emergere alcuna punta di acido o di amaro, che non rimanda ad altro se non alla sua stessa dolcezza acustica, alla sua docilità tattile.

 Su una musica di questo genere è facile addormentarsi (sto facendo un complimento ai due eccelsi musicisti in questione, anche se non sembra) senza nemmeno rendersene conto: Gebrauchmusik, «musica d’uso» nel senso nobile del termine.

 Regalino per la fine settimana. La settimana ventura, a cominciare da domenica 17, sarà dedicata per intero a Peter Brötzmann e a Evan Parker.

 I Thought About You (Van Heusen-Mercer), da «Finally Live in Stockholm», Polygram/Verve. Joe Pass, chitarra; Red Mitchell, contrabbasso. Registrato il 15 febbraio 1992.



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giovedì 14 giugno 2012

Moon Maiden (Duke Ellington)

 Un paio d’anni fa notavo come Duke Ellington, solo che lo volesse, fosse in grado di suonare a mean rock ’n’ roll. Qui, nel 1969, Ellington precorre a suo modo il rap.

 Il 20 luglio 1969 l’orchestra del Duca eseguì sulla rete ABC, che ne era committente, una composizione estesa intitolata Moon Maiden. Quel giorno l’equipaggio dell’Apollo 11 metteva piede sulla luna. Pochi giorni prima, quasi per scherzo, Duke aveva registrato Moon Maiden al termine di una seduta d’incisione, «dicendo» dei piccoli versi argutamente allitteranti nel mentre si accompagnava con la celesta trovata nello studio (ma a un certo punto si sente uno schioccare di dita; se fossero quelle del Duca, vorrebbe dire che la recitazione è stata sovrapposta).

 Questa piccola meraviglia, insieme ad altre, ha visto postuma la luce in un disco del 1977.

 Moon Maiden (Ellington), da «The Intimate Ellington», Pablo/OJC 00025218673020. Duke Ellington, voce e celesta. Registrato il 14 luglio 1969.



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mercoledì 13 giugno 2012

Swing to Bop (Charlie Christian)

 Il titolo, postumo, dice tutto. Questa improvvisazione sugli accordi di Topsy coglie Charlie Christian dal vivo alle famose session del Minton’s, brodo di coltura del bebop. L’improvvisazione, che comincia in assolvenza e finisce in dissolvenza, è tutta tesa sull’arco Christian-Clarke (gli altri si sentono anche male); Kenny Clarke già fa sentire le sue famose «bombe» in contrattempo.

 I due assoli di Christian non sono molto lunghi, ma si ha l’impressione che possano andare avanti per sempre.

 Swing to Bop [Topsy] (Durham-Battle), da «Swing to Bop», Dreyfus FDM 36715-2. Joe Guy, tromba; Charlie Christian, chitarra; Kenny Kersey, piano; Nick Fenton, contrabbasso; Kenny Clarke, batteria. Registrato il 12 maggio 1941.



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martedì 12 giugno 2012

[Guest post #18] Paolo il Lancianese & Kid Ory

 Oh, meno male che qualcuno si ricorda di quell’istituzione di Jazz nel pomeriggio che si chiama il Guest Post. Si tratta di Paolo il Lancianese, da tutti noi apprezzato per i precedenti guesting e per i commenti sempre informativi e pertinenti, e avversato per la sua implacabilità nel risolvere il quiz, istituto, viceversa, perento.

 La scelta di questo pezzo di Kid Ory, un vero e proprio ragtime, non è banale e ancor meno lo è lo svolgimento del post.

 Ah, le Hawaii..., si diceva qualche giorno fa. Per me le Hawaii sono il luogo in cui morì Kid Ory, il cui volto ho incontrato in un documentario che mi è capitato di vedere all’inizio della mia passione per il jazz. Aveva lo stesso sguardo, lo stesso sorriso triste che aveva mio padre, che mio padre avrebbe avuto a sessant’anni, se fosse campato tutti quegli anni e non soltanto la metà. Gli stessi capelli impomatati. Portava in giro per Parigi il suo strumento, si fermava davanti a un locale nella cui insegna lampeggiava la scritta «Storyville», chiudeva un attimo gli occhi e sognava New Orleans, King Oliver, il giovane Louis, Sidney Bechet, quello sbruffone di Jelly Roll Morton…

 Ripensava anche a Orson Welles, senza il quale forse non avrebbe ripreso a suonare, e avrebbe invece continuato ad allevare polli o, peggio, a occuparsi di treni e ferrovie.
 Non è stato il più grande trombonista della storia, lo so. Ma tra i padri fondatori c’è anche lui. E da oggi in poi nella Spoon River che qui a destra si dispiega potrà leggersi anche il suo nome.

 Ory’s Creole Trombone (Ory), da «Kid Ory & His Creole Jazz Band (1922-1947)», Document Records DOCD-1002. Ory’s Sunshine Orchestra: Papa Mutt Carey, cornetta; Kid Ory, trombone; Dink Johnson, clarinetto; Fred Washington, piano; Ed Garland; contrabbasso; Ben Borders, batteria. Registrato a Los Angeles nel 1921.

  

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lunedì 11 giugno 2012

Hot Mallets (Dizzy Gillespie & Lionel Hampton)

 Esordi o quasi di Dizzy Gillespie. Nel 1939, fresco reduce dall’orchestra di Teddy Hill e appena entrato in quella di Cab Calloway, da cui sarebbe stato licenziato per aver pugnalato il leader, Dizzy venne convocato da Lionel Hampton per una seduta a cui la dizione di all stars appare a malapena adeguata.

 Ventiduenne e ancora in parte sotto l’influsso di Roy Eldridge, Dizzy mostra comunque di avere già tutte le sue cosine a posto. Il sax tenore che segue Benny Carter è, credo proprio, Chu Berry.

 Hot Mallets (Hampton), da «The Dizzy Gillespie Story, 1939-1950», Properbox 30. Dizzy Gillespie, tromba: Benny Carter, sax alto; Coleman Hawkins, Ben Webster, Chu Berry, sax tenore; Clyde Hart, piano; Charlie Christian, chitarra; Milt Hinton, contrabbasso; Cozy Cole, batteria. Registrato l’11 settembre 1939.



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domenica 10 giugno 2012

Things Ain’t What They Used to Be (Duke Ellington)

 Johnny Hodges aveva lasciato il Duca per qualche anno, al principio dei Cinquanta, ma qui, nel 1959, lo troviamo di nuovo in seno alla sua alma mater. L’orchestra ducale fece e registrò cose egregie anche nei pochi anni in cui «Rabbit» non vi suonò, ma la sua voce fa davvero una bella differenza, soprattutto nel blues. 

 Things Ain’t What They Used to Be (Mercer Ellington), da «Festival Session», Columbia/Legacy 51296 2. Cat Anderson, Shorty Baker, Clark Terry, Ray Nance, Andres Merenghito, trombe; Quentin «Butter» Jackson, Britt Woodman, John Sanders, trombone; Johnny Hodges, sax alto; Russell Procope, sax alto, clarinetto; Jimmy Hamilton, Paul Gonsalves, sax tenore; Harry Carney, sax baritono; Duke Ellington, piano; Jimmy Woode, contrabbasso; Sam Woodyard, Jimmy Johnson, batteria. Registrato l’8 settembre 1959.



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sabato 9 giugno 2012

Ballad of a Child Alone (Borah Bergman)

 Borah Bergman (1933) è una delle figure più originali sedutesi al pianoforte negli ultimi trent’anni. Fa una musica difficile, della quale è difficile anche solo parlare. In attesa che me ne senta capace (tu, come sempre, sentitene libero/a), eccone un breve saggio, tratto dall’ultimo dei suoi quattro dischi per piano solo, inciso a Milano.

 Ballad of a Child Alone (Bergman), da «Upside Down Visions», Soul Note 121080-2. Borah Bergman, piano. Registrato nell’ottobre 1984.



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venerdì 8 giugno 2012

Sameeda (Adbullah Ibrahim)

 Un’articolata composizione di Abdullah Ibrahim, che è un compositore d’ingegno e mezzi al di là della sua famosa vena melodica, dal disco da cui già ti ho fatto sentire e poi risentire Song for Sathima. Di questo bel settetto tutto americano mi piacciono particolarmente le due voci gravi, Dick Griffin e Charles Davis (entrambi ex-Sun Ra, fra l’altro).

 Sameeda (Ibrahim), da «Water from an Ancient Well», ENJA/Tiptoe 888812 2. Dick Griffin, trombone; Carlos Ward, sax alto; Ricky Ford, sax tenore; Charles Davis, sax baritono; Abdullah Ibrahim, piano; David Williams, contrabbasso; Ben Riley, batteria. Registrato nell’ottobre 1985.



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giovedì 7 giugno 2012

Soluzione del Quiz #21

 Va be’, non avete proprio voluto darmi soddisfazione. Come annunciato, il quiz finisce qui senza rimpianti.

 Le prime otto battute del tema di Rhumba Nhumba sono una citazione quasi esatta di una canzoncina novelty, Hawaiian War Chant, il cui titolo mi ha ricordato (e anche a Luca Conti) il pezzo di Mingus.

 That’s all, folks.

Village Joke (Lee Konitz), Adagio (3Quietmen & Stefano Battaglia), Stoned Ghosts (Sahib Shihab)

 Béla Bártok ha interessato molti jazzisti per la consonanza di alcuni suoi usi armonici e ritmici con omologhi tratti del jazz moderno. Tuttavia i riferimenti diretti al corpus bartokiano sono rari. Lee Konitz e i 3Quietmen & Stefano Battaglia, a distanza di quarant'anni l’uno dagli altri, hanno attinto ai sei volumi dei Mikrokosmos, una sorta di precipitato di certi caratteri della musica di Bártok destinato alla didattica pianistica.

 Konitz, con il concorso di Marshall Brown, ha prodotto un arrangiamento fedele, se pure non troppo fantasioso, della composizione di Bártok; a una regolare esposizione seguono gli assoli di tutti i componenti del quintetto, ciascuno in stop chorus e mai molto discosto dalla melodia.

 Gli italiani, che precisano di essersi «ispirati» a Bártok,  usano la lentissima «Melodia accompagnata» del n. 41, secondo libro, basata su un sol misolidio modificato (quarto grado eccedente, do# in chiave),  come cantus firmus sopra divagazioni di contrabbasso e percussioni. Nella mia conoscenza peggio che lacunosa del jazz italiano recente, «Bartokosmos» è una delle cose che mi sono piaciute di più.

 Caso ancora diverso è quello del quartetto tratto dalla Clarke-Boland, qui preso da un disco nell’occasione intitolato a Sahib Shihab. È il compositore di Stoned Ghosts, Benny Bailey, a precisare di aver avuto in mente il primo Bártok : «La sua musica era allora diversa da come sarebbe diventata; aveva degli elementi bluesy, funky, romantici». Il risultato finale è infatti un blues con marcatissimo backbeat.

 Village Joke [Mikrokosmos vol. IV n. 130], da «Peacemeal», Milestone/OJC 00025218710121. Marshall Brown, trombone a pistoni; Lee Konitz, sax alto; Dick Katz, piano; Eddie Gomez, contrabbasso; Jack DeJohnette, batteria. Registrato il 20 marzo 1969.



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 Adagio [Mikrokosmos vol. II n. 41], da «Bartokosmos», Auand AU9018. 3Quietmen: Ramon Moro, tromba, elettronica; Federico Marchesano, contrabbasso; Dario Bruna, batteria, percussioni, più Stefano Battaglia, piano. Registrato nel luglio 2007.



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 Stoned Ghosts (Bailey), da «And All Those Cats», Schema/Rearward RW102 CD. Benny Bailey, tromba; Sahib Shihab, sax baritono; Jimmy Woode, contrabbasso; Kenny Clarke, batteria. Registrato nel luglio 1970.



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mercoledì 6 giugno 2012

Trio Blues (Art Tatum)

 Art Tatum eseguì raramente il blues e nel farlo vi applicò i tratti suoi tipici con cui era solito trasfigurare gli standard. Ero sicuro che Arrigo Polillo avesse avuto al proposito una definizione icastica delle sue, ma non la ritrovo nel capitolo dedicato a Tatum suo «Jazz»: l’avrò letta in qualche vecchio numero di «Musica Jazz».

 Questo Trio Blues è evidentemente una composizione estemporanea. Tatum, colto nell’ultimo anno di vita, vi premette una breve, spiritosa introduzione in stile «honky tonk». Questo disco contiene l’unica collaborazione discografica fra Tatum e Jo Jones.

 Trio Blues (Tatum), da «The Legendary 1956 Session», Poll Winners PWR 27266. Art Tatum, piano; Red Callender, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 27 gennaio 1956.



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martedì 5 giugno 2012

Quiz #21

 Povero quiz, che ormai non gliene fotte più niente a nessuno, sì e no al Lancianese ma per pura vanagloria. Vuol dire che prima di farlo su in un foglio di plastica nera e portarlo in solaio mi divertirò con qualche variazione.

 Avrai notato che stavolta dei due pezzi che compongono il quiz ti viene data ogni possibile informazione; quello di Mingus, poi, non ne avrebbe nemmeno bisogno perché è stranoto. Ti chiedo di determinare quale sia il filo che li lega.

 È una relazione un po’ capziosa, pretestuosa anche, però reale e abbastanza evidente. Ti ho inflitto quiz peggiori; probabilmente questo sarà l’ultimo, per cui provaci, dài. Al limite mi faccio due risate.

 Rhumba Nhumba (Davis), da «Davis Cup», Blue Note CDP 7243 8 32098 2 8. Donald Byrd, tromba; Jackie McLean, sax alto; Walter Davis, piano; Sam Jones, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Registrato il 2 agosto 1959.



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 Haitian Fight Song (Mingus), da «The Clown», Atlantic/Rhino R2-75590. Jimmy Knepper, trombone; Shafi Hadi, sax alto; Wade Legge, piano; Charles Mingus, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria. Registrato il 12 marzo 1957.




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lunedì 4 giugno 2012

Lush Life (Jimmy Woode)

 Lush Life di Billy Strayhorn, uno dei punti alti dell’American songbook, è un percorso a ostacoli per un cantante, vuoi per la difficoltà della linea melodica in relazione alle armonie, vuoi per la particolarità della forma, vuoi anche per dei versi (di Strayhorn stesso) che, proprio a seconda dell’interpretazione, possono a momenti costeggiare il Kitsch.

 A me piace questa versione datane da Jimmy Woode, che non era un cantante di mestiere, ma il contrabbassista per anni con Duke Ellington anche in dischi celeberrimi come «Such Sweet Thunder» e poi con la Clarke-Boland Orchestra, nonché con un’infinità di musicisti americani ed europei – in Europa si era trasferito nel 1960 e vi è morto pochi anni fa.

 Qui Woode canta e suona in un sestetto tratto dalla Clarke-Boland, le cui incisioni, prodotte dal manager dell’orchestra Gigi Campi, sono state negli ultimi dieci anni più volte ristampate dalla milanese Schema Records; io prendo Lush Life da un album pubblicato nel 2002 con il titolo «Calypso Blues», da cui tolgo  la data d’incisione, che in una successiva riedizione del 2008 («Music for the Small Hours») appare diversa (1967 per 1965).

 Lush Life (Strayhorn), da «Calypso Blues», Rearward RW101. Sahib Shihab, flauto; Francy Boland, piano; Sadi, Joe Harris, percussioni; Jimmy Woode, contrabbasso e canto; Kenny Clarke, batteria. Registrato il 16 giugno 1965 o 1967.



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domenica 3 giugno 2012

Petits Machins (Miles Davis)

 «Filles de Kilimanjaro» è uno dei dischi più famosi di Miles Davis e di tutto il jazz moderno, e pubblicarne un pezzo non è certo prova di grande originalità. Ma questo blog intende anche essere, latu sensu, un diario di ascolti e in questi giorni, stimolato da varî commenti a Stuff, ho ascoltato «Filles» per la prima volta dopo molto tempo.

 È senz’altro un gran disco, che continua a non parermi all’altezza di un «Miles Smiles» o di un «Nefertiti». Comunque ha un fascino tutto suo, lievemente malsano, come tante cose degli ultimi anni di Miles prima del lungo ritiro. Ancora più che negli altri dischi del Secondo Quintetto, in «Filles» sembra di sentire un concerto o una suite per batteria e quartetto.

 Petits Machins (Davis-Evans), da «Filles de Kilimanjaro», Columbia CK 86555. Miles Davis, tromba; Wayne Shorter, sax tenore; Herbie Hancock, piano elettrico; Ron Carter, basso elettrico; Tony Williams, batteria. Registrato il 20 giugno 1968.



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sabato 2 giugno 2012

St. Louis Blues (Duke Ellington)

 Due o tre giorni fa, in conversazione con l’amico M.G., lui e io constatavamo un po’ mesti come Duke Ellington, a differenza di un altro musicista grande e molteplice come Miles Davis, rimanga essenzialmente mal conosciuto. «Eppure», sospirava quel genovese di multiforme ingegno, «è dentro di noi, anche se non lo sappiamo». Beh, non si dica che noi qui a Jazz nel pomeriggio non facciamo tutto quanto è in nostro potere per colmare questa lacuna.

 Osserva come il Duca, in questa versione molto classica della grande composizione di W. C. Handy, tragga partito dal trombone choir di questa insolita formazione ridotta: nella prima metà del pezzo esso è protagonista, con i solisti quasi dei semplici chiosatori, e torna poi nell’ultima, dopo gli assoli, per una perorazione stavolta in cui s’intreccia ai solisti. 

 St. Louis Blues (Handy), da «The Cosmic Scene», Mosaic MCD-1001. Clark Terry, flicorno; Paul Gonsalves, sax tenore; Quentin Jackson, Britt Woodman, trombone; John Sanders, trombone a pistoni; Jimmy Hamilton, clarinetto; Duke Ellington, piano; Jimmy Woode, contrabbasso; Sam Woodyard, batteria. Registrato il 2 aprile 1958.



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venerdì 1 giugno 2012

Body and Soul (Lee Konitz) (Roy Eldridge)

 Tranne che negli ultimi anni, in cui si è concesso con generosità un po’ indiscriminata soprattutto in Europa, i dischi di Lee Konitz hanno sempre avuto una ragione speciale d’interesse.

 Questa è una seduta del 1969 che io ho conosciuto solo da poco. Vi suona Dick Katz, appena sentito qui sotto, e il repertorio è molto insolito: tre pezzi dai Mikrokosmos di Bartok, alcuni originali di Konitz e di Katz e poi questo Body and Soul in cui Konitz e il trombonista Marshall Brown eseguono all’unisono la trascrizione effettuata da Lee di un famoso assolo di Roy Eldridge (nel disco lo stesso trattamento è riservato al celeberrimo assolo di Lester Young in Lester Leaps In).

 In questa prassi, Konitz si manifestava fedele all’insegnamento di Lennie Tristano, che prevedeva la trascrizione e poi l’esecuzione a memoria di assoli di coloro che Tristano riteneva i più grandi solisti del jazz: Armstrong, Eldridge, Young, Parker (in seguito avrebbe aggiunto a questo canone Freddie Hubbard). Per Tristano come per Konitz, a guidare la composizione istantanea di un assolo, più della scienza armonica, dovrà sempre essere l’orecchio, sensibile e perfettamente esercitato. Come ha ricordato Lee in un’intervista del 1985, «We start out playing by ear, learning everything we can, and finally ending up playing by ear again».

 A seguire, naturalmente, Roy Eldridge in quel famoso e bellissimo assolo, eseguito in un disco a nome di Chu Berry.

 Body and Soul (Heyman-Green), da «Peacemeal», Milestone/OJC 0002521871021. Marshall Brown, trombone a pistoni; Lee Konitz, sax alto; Dick Katz, piano; Eddie Gomez, contrabbasso; Jack DeJohnette, batteria. Registrato il 20 marzo 1969.




 Body and Soul, da «Little Jazz Trumpet Giant», Properbox 69. Roy Eldridge, tromba; Chu Berry, sax tenore; Clyde Hart, piano; Danny Barker, chitarra; Artie Shapiro, contrabbasso; Sidney Catlett, batteria. Registrato l’11 novembre 1938.



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