mercoledì 10 ottobre 2018

[Comunicazione di servizio]


 Come già una volta, nel 2015, Jazz nel pomeriggio si trova tradito dal servizio di hosting (a pagamento, NB). All’epoca DivShare semplicemente collassò; FileFactory invece funziona così male e il supposto «supporto tecnico» è una tale supposta che ho preferito cancellare il mio account e, spero, riavere indietro i miei soldi, piuttosto che guastarmi il sangue.

 Spero di trovare un’altra soluzione, se no questa volta addio davvero. Se volete o potete, fate la peggior pubblicità possibile a FileFactory.

 MB

[Guest post #70] Paolo il Lancianese e Count Basie.


 Ho trascurato a lungo Jazz nel pomeriggio; me ne sono sentito un po’ in colpa verso chi la mattina passava comunque di qui a vedere se ci fosse della musica nuova.  Paolo il Lancianese, l’ascoltatore e collaboratore di più vecchia data di Jnp, amico mio, poeta, pur in un momento per lui difficile ha addirittura trovato la voglia e il tempo di concepire per me e per tutti un guest post e di corredarlo di una poesia di Vittorio Sereni, bellissima da sé, che assume un colore particolare nell’accostamento con la musica che i versi suggeriscono.

Nel mutismo domestico nella quiete
pensandosi inascoltata e sola
ridà fiato a quei redivivi.
Lungo una striscia di polvere lasciando
dietro sé schegge di suono
tra pareti stupefatte se ne vanno
in uno sfrigolìo
i beneamati Scarafaggi.

Passato col loro il suo momento già?

Più volte agli incroci agli scambi della vita
risalito dal niente sotto specie di musica
a sorpresa rispunta un diavolo sottile
un infiltrato portatore di brividi
– e riavvampa di verde una collina
si movimenta un mare –
seduttore immancabile sin quando
non lo sopraffanno e noi con lui altre musiche.

Vittorio Sereni, «Giovanna e i Beatles», da Stella variabile, Garzanti 1981.


 I Wanna Be Your Man (Lennon-McCartney), da «Basie's Beatle Bag», Verve V6-8659. Orchestra di Count BasieAl Aarons, Sonny Cohn, Wallace Davenport, Phil Guilbeau,tromba; Henderson Chambers, Al Grey, Grover Mitchell, trombone; Bill Hughes, trombone basso; Marshal Royal, clarinetto, sax alto; Bobby Plater, flauto, sax alto; Eric Dixon, flauto, sax tenore; Eddie "Lockjaw" Davis, sax tenore; Charlie Fowlkes, flauto, sax baritono; Count Basie, piano; Freddie Green, chitarra; Norman Keenan, contrabbasso; Sonny Payne, batteria; Chico O'Farrill, arrangiamento. Registrato il 3-5 maggio 1966.

 Do You Want To Know A Secret? (Lennon-McCartney), id., ma Count Basie, organo.

martedì 9 ottobre 2018

Buona notte (Maarten Altena)


 Il jazz europeo non passa spesso da queste parti; è un loro, un mio limite. In tanta rarità, rarissimo è il jazz olandese, mi pare. Quella olandese è o è stata una scena, come si dice, molto «vivace» ma verso la quale non ho mai sentito affinità per il prevalervi di uno spirito ironico, a volte pesantemente tale (Willem Breuker) che mi annoia perché ho poco sviluppato il senso dell’umorismo e musicalmente sono bigotto. In linea generale, i musicisti jazz olandesi sono molto validi.

 È ironico fin dal titolo questo pezzo di un complesso del contrabbassista Maarten Altena che presenta anche Kenny Wheeler, poi Ab Baars e Wolter Wierbos, figure molto note di quell’ambiente, e Linsday Cooper, una suonatrice di fagotto attiva sulla scena progressive inglese. Tutti quanti si limitano a leggere la loro parte in una composizione che si apre con una citazione un po’ contraffatta da Satie, la stessa di Peace Piece di Bill Evans.
 Buona notte (Altena), da «Quick Step», Claxon 86. 16. Kenny Wheeler, tromba; Wolter Wierbos, trombone; Paul Termos, sax alto; Ab Baars, sax tenore; Maud Sauer, oboe; Linsday Cooper, fagotto; Guus Janssen, piano; Maarthie ten Hoorn, violino; Maarten Altena, contrabbasso. Registrato il 13 o 14 maggio 1984. 

giovedì 4 ottobre 2018

’Round Midnight – Effi (Charles Tolliver) RELOADED

Reload dal 7 gennaio 2017. 

Un live entusiasmante di Charles Tolliver del 1973, ripreso il giorno di Sant’Ambrogio a Tokyo. Fatta salva la lunga intro e la cadenza prefinale a tempo libero, Tolliver suona il classico di Monk come gli è sempre piaciuto fare, a 300 di metronomo e con la furia cieca di un bisonte che corre nella notte. Gliela sentii fare così anche a Milano nel 19**, in trio con Wilbur Little e Alvin Queen (anche qui, dopo la suddetta intro, Stanley Cowell tace e i tre procedono in liberà armonica per un paio di minuti), e poi una decina di anni fa con una sua bella big band.

 Effi è il valzerino di Stanley Cowell, in una leggiadro e minaccioso, che Cowell e Tolliver suonavano quand’erano insieme con Max Roach e che Roach avrebbe poi a lungo tenuto in repertorio.

 ’Round Midnight (Monk), da «Live in Tokyo», Strata-East 660-51-016. Charles Tolliver, tromba; Stanley Cowell, piano; Clint Houston, contrabbasso; Clifford Barbaro, batteria. Registrato il 7 dicembre 1973.

 Effi (Cowell), id.

mercoledì 3 ottobre 2018

The Monster – Soft Touch (Buddy Collette) RELOADED

Reload dal 10 agosto 2017.

 Il jazz precisino di quel precisino di Buddy Collette. Jazz della West Coast, eppure non precisamente «West Coast Jazz», nemmeno attardata. Qui tira un’aria troppo volutamente asettica, quasi ricercatamente puerile ma con niente dell’aria jaded e comunque sempre swingante del West Coast jazz.

 Questa musica sembra parodiare la West Coast, in quel momento in fase calante già da un pezzo. È vagamente inquietante, burattinesca e non è la prima volta che Buddy Collette (bravissimo, eh) mi fa questo effetto.

 The Monster (Collette), da «Jazz On the Bounce», Bel Canto SR/1004. Rolf Ericson, tromba; Buddy Collette, clarinetto; Al Viola, chitarra; Wilfred Middlebrooks, contrabbasso; Earl Palmer, batteria. Registrato il 17 febbraio 1958.

 Soft Touch (Collette), ib. ma Collette suona il flauto.

domenica 30 settembre 2018

If You Could See Me Now – What’s New (Wynton Kelly)

 Wynton Kelly è stato fra i pianisti moderni, a mio parere, il suonatore di blues più elegante e fu certo questa sua caratteristica a renderlo caro a Miles Davis. L’esecuzione strumentale del blues non esclude l’eleganza, che tuttavia non è certo il tratto che viene in mente per primo pensando a quell’idioma, nel quale anzi musicisti di norma contenuti hanno spesso ecceduto: se parliamo di pianisti, pensiamo a certo modo di enfatizzare le appoggiature zappando la tastiera o d’indugiare troppo a lungo su un ostinato o d’inzeppare oltre il lecito il discorso di blue note o ancora all’abuso del tremolo, peccati in cui sono incorsi anche grandi nomi.

 Kelly, mai. Per Davis era «una via di mezzo fra Red Garland e Bill Evans», i due pianisti che lo precedettero nei suoi complessi. Le differenze di stile rispetto a Evans sono troppo evidenti per parlarne, anche se Kelly risentì un certo influsso del collega. Rispetto a Garland, un pianista per il quale io non sono mai andato matto, Kelly manca del tutto di leziosità ed è molto raramente meccanico o poco ispirato.

 Certamente non lo era in questa bella session ripresa dal vivo a Washington nel 1966. In What’s New al trio si unisce Wes Montgomery, d’umore meno esuberante del solito in un assolo eseguito tutto in ottave.

  If You Could See Me Now (Cameron-Sigman), da «Smoking’ in Seattle - Live at the Penthouse», Resonance. Wynton Kelly, piano; Ron McClure, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato nell’aprile 1966.

  What’s New? (Haggart-Burke), ib. più Wes Montgomery, chitarra.

venerdì 28 settembre 2018

Blues March (Art Blakey & The Jazz Messengers)


 Questa esecuzione del classico dei Jazz Messengers (composto da Benny Golson) è più quieta, mellow del solito. Joanne Brackeen, la bravissima pianista che fu l’unica donna Messenger, pur nell’arrangiamento che la vincola a scandire i four beats to the bar si fa valere con dei voicing sagaci. Si risente su Jnp dopo due giorni Bill Hardman, che dai Messengers entrò e uscì lungo circa vent’anni.

 Altrove nel disco la front line, va detto, appare alquanto linfatica e a momenti anche stonata. Dal vivo a Tokyo.

 Blues March (Golson), da «Jazz Messengers ’70», Catalyst CAT 7902. Bill Hardman, tromba; Carlos Garnett, sax tenore;  JoAnne Brackeen, piano; Jan Arnet, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il19 febbraio 1970.

giovedì 27 settembre 2018

Ornithology (Charlie Parker & Angelo Maria Ripellino) RELOADED

Reload dal 20 aprile 2017.

 Nonché Aristofane e chi sa che cos’altro.

Le mostrerò la strepitante patria degli uccelli, signor Solferino,
Così mi disse stizzito Rabàs, l’organista.
Ed io vidi d’un tratto il cinguettío inestinguibile,
che trabocca dagli alberi come schiuma di birra,
le cupole di madreperla delle ali, una Terrasanta
di zampine smagrite con fogli portafortuna.
Vidi d’un tratto una bianca città stercoraria,
un gran circo vocale molto ostinato,
un’esecuzione nemica alle querulose ranocchie,
caldo fieno di piume, e niente carceri.
Gavinelli e calandre e fagiani e smerigli
si accapigliavano nel loro parlamento.
Vidi una cerchia di mura canterine, e grovigli
di ciuffi e penne, e remiganti castelli,
e dolce lanúgine di case trampoliere,
e scorte di tórtore ed altre ragioni di uccelli.
Mi rallegravo dei garriti e dei gorgheggi
di questa pluralità democratica.
Ma l’arruffío, il pigolío sulle statue di Braun
infastidiva la musica dell’aggrondato organista.
E Rabàs diede agli uccelli una ciòtola
di chicchi di miglio imbevuti di rum,
perché durante il concerto dormissero.

                             A.M. Ripellino, Notizie dal diluvio, 34, Einaudi 1969.


 Ornithology (Parker), da «A Studio Chronicle 1940-1948», JSP  RECORDS JSP915C. Miles Davis, tromba; Charlie Parker, sax alto; Lucky Thompson, sax tenore; Arvin Garrison, chitarra; Dodo Marmarosa, piano; Vic McMillan, contrabbasso; Roy Porter, batteria. registrato il 28 marzo 1946.

 Ornithology, da «Bird & Fats Live At Birdland», Cool & Blue C&B-CD103. Fats Navarro, tromba; Charlie Parker, sax alto; Bud Powell, piano; Curley Russell, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 30 giugno 1950.

 Ornithology, da «The Complete Legendary Rockland Palace Concert 1952», Jazz Classics CD-JZCL-5014. Charlie Parker, sax alto; Walter Bishop, piano; Mundell Lowe, chitarra; Teddy Kotick, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 26 settembre 1952.

mercoledì 26 settembre 2018

Samba Do Brilho – I Remember Love (Bill Hardman)


Bill Hardman, il titolare di questa seduta del 1978, racconta nelle note di copertina di aver trovato I Remember Love in un baule custodito da un suo amico che conservava composizioni inedite e forse mai eseguite di Tadd Dameron.

 Hardman è uno di quei jazzisti per i quali io ho un debole; un journeyman, direbbero gli americani, un onesto lavoratore della musica che non è uno stilista né tantomeno un caposcuola ma che riesce tuttavia a esprimersi sempre con un’individualità inconfondibile, cioè non solo con abilità artigianale ma con arte, che è quello che il linguaggio del jazz consente a chi lo pratichi con conoscenza, devozione e sincerità (e talento, va senza dire) e che forse lo rende unico fra le musiche evolutesi nel Novecento. 

 Hardman aveva inciso l’anno prima con Junior Cook e Mickey Tucker, pianista che ti ho già presentato (v. la nuvola qui a destra) e di cui potrei dire quello che ho detto di Hardman.  

 Etichette come la Muse di Joe Fields, la Xanadu di Don Schlitten, la Timeless di Wim Wigt, la Mainstream di Bob Shad e la Flying Dutchman di Bob Thiele (la più avventurosa, quest’ultima) negli anni Settanta registrarono con cura e amore una quantità dischi di jazzmainstream creativo e fantasioso. Nei decenni successivi, così pare a me, più raramente il mainstream avrebbe presentato queste qualità né avrebbe trovato produttori discografici del pari sensibili e intelligenti.

 Samba Do Brilho (G. Verqueiro), da «Home», Muse MR 5152. Bill Hardman, tromba; Junior Cook, sax tenore; Mickey Tucker, piano; Chin Suzuki, contrabbasso; Victor Jones, batteria; Lawrence Kilian, percussioni. Registrato il 10 gennaio 1978.
 I Remember Love (Dameron), id.

martedì 25 settembre 2018

Some Blues But Not The Kind That’s Blue – My Favorite Things (Sun Ra)

 Sun Ra, colto qui nel 1977, apparteneva all’avanguardia del jazz? A parte che dubito forte che lui si sia mai posto il problema, se anche restiamo nel campo puramente musicale, come probabilmente non è giusto fare con un artista dal paratesto così impegnativo e appariscente, dagli anni Cinquanta fino alla fine non riconosco in lui i caratteri delle avanguardie che sono ben riconoscibili in quasi tutti gli altri progressivi jazzistici degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. 

 La libertà armonica, la selvaggia eterodossia sonora e formale mancano dell’aspetto metodico e dimostrativo di tutta l’arte d’avanguardia, e vi manca anche l’aspetto riluttantemente servile che l’avanguardia ha di necessità verso la tradizione: Sun Ra non aveva bisogno di oltraggiare la tradizione, tantomeno di omaggiarla, perché (credo io) se ne sentiva parte e sapeva, o sentiva, che ne avrebbe fatto parte qualsiasi strada avesse mai deciso d’imboccare.

 (Dubbio corollario: parlare di avanguardia a proposito del jazz sarà appropriato o è solo comodo?).

 Sarà per questo che, della molesta My Favorite Things, Sun Ra era l’unico in grado di dare versioni interessanti senza nulla dovere all’inevitabile stravolgimento coltraniano: qui, come tante altre volte, con il sostanziale contributo di John Gilmore.

 Some Blues But Not The Kind That’s Blue (Sun Ra), da «Some Blues But Not The Kind That's Blue», Saturn 1014077. Akh Tal Ebah, tromba e flicorno; Marshall Allen, sax alto; John Gilmore, sax tenore; Danny Davis, flauto; James Jacson, fagotto; Eloe Omoe, clarinetto basso; Sun Ra, piano; Richard Williams, contrabbasso; Luqman Ali, batteria; Atakatune, conga. Registrato nel 1977.

 My Favorite Things (Rodgers-Hammerstein III), id.

lunedì 24 settembre 2018

Suspension Blues – I Cover the Waterfront (Vic Dickenson) RELOADED


Reload dal 6 gennaio 2017.

 Mi piace tanto Vic Dickenson perché suona il trombone come andrebbe suonato ma soprattutto perché suona come parla. Mi spiego: io naturalmente non so come parlasse Vic Dickenson, non l’ho mai sentito, ma i suoi assoli hanno l’articolazione, il passo, il pathos, le pause, l’umorismo, anche gli occasionali difetti o eccentricità di pronuncia di un eccellente e affabile conversatore, di quelli che sanno parlare di tutto con tutti e hanno sempre cose interessanti da dire, mai invadenti, mai ossessi di sé; lo stesso direi dei suoi colleghi di front line qui, Shad Collins, Ruby Braff e soprattutto il meraviglioso Edmond Hall al clarinetto, uno dei veri grandi del suo strumento.

 La qualità vocale, discorsiva, dialogica, unhurried dell’eloquio musicale era più spesso riscontrabile nei vecchi musicisti, quelli di prima del ’45 e certamente qui è stimolata ed agevolata, in Suspension Blues, dalla sezione ritmica di Count Basie. Nota anche come, in questi incunaboli del mainstream, Dickenson sia per usi armonici e ritmici, più ancora che «moderno», fuori dal tempo.

 In Waterfront, Sir Charles Thompson sembra non fare niente di speciale, ma costruisce tre brevi assoli di compiuto arco drammatico.


 Aggiunta del giorno dopo: leggo ora che cosa ha detto Tom Harrell a Ethan Iverson:
Trumpet playing — all brass playing — interacts with singing and talking, too, because you’re forming words, you’re forming syllables as you play for different articulation, different types of tonguing.

 Suspension Blues (Dickenson), da «Vic Dickenson Septet», Vanguard VRS 8520/1. Lester «Shad» Collins, tromba; Vic Dickenson, trombone; Edmond Hall, clarinetto; Sir Charles Thompson, piano; Steve Jordan, chitarra; Walter Page, contrabbasso; Jo Jones, batteria. Registrato il 29 novembre 1954.

 I Cover the Waterfront (Heyman-Green), id. ma Ruby Braff, cornetta, al posto di Collins; Les Erksine, batteria, al posto di Jones. Registrato il 29 dicembre 1953.

sabato 22 settembre 2018

I Get A Kick Out Of You (Charles McPherson)




 Un quartetto elegantissimo. Charles McPherson, ottantenne lanno venturo, è l’ultimo e maggiore rappresentante del sax alto bebop.

 I Get A Kick Out Of You (Cole Porter). Charles McPherson, alto; Barry Harris, piano; Buster Williams, bass; Roy Brooks, drums. Registrato il 23 dicembre 1969.



sabato 5 maggio 2018

O Grande Amor – Gettin’ It Togetha’ (Bobby Timmons) RELOAD

Reload dal 15 marzo 2017 

 Non può dirsi di sicuro un sottovalutato Bobby Timmons, che ha avuto oltretutto carriera e vita molto brevi, ma le storie lo relegano un po’ sbrigativamente, sia pure con distinzione, nel soul jazz di cui pure fu parte importante, come pianista e compositore.

 Al di là di quell’ambito che contribuì a definire, si trattava di un pianista personale e raffinato. Ascoltane qui  il fraseggio deliziosamente individuale, attento in modo insolito ai valori dinamici della musica e mai sprovvisto di un senso di avventura e di sorpresa: sembra più volte, soprattutto nel pezzo di Jobim, quasi volersi fermare su un inciso, perplesso a cavallo delle stanghette di battuta, indifferente al procedere inesorabile della ritmica, con esiti quasi malwaldroniani, ma senza la filosofica cupezza di quel pianista. Questi tratti linguistici del suo solismo sono ben serviti dalla curiosa composizione seguente, Gettin’ It Together’: otto sole battute che sembrano dover modulare, cioè andare armonicamente da qualche parte, e invece non vanno da nessuna parte, ricadendo sulla dominante.

 Insomma, Timmons era un musicista sempre presente e vigile, che non lasciava mai o quasi mai che le mani pensassero al posto suo, come succede spesso anche i jazzisti più dotati e a tutti gli altri quasi sempre.

 Tootie Heath è, come sempre, la perfezione, uno dei batteristi più musicali.

 O Grande Amor (Jobim), da «Chun-King», Prestige PR 7351. Bobby Timmons, piano; Keter Betts, contrabbasso; Al «Tootie» Heath, batteria. Registrato il 12 agosto 1964.

 Gettin’ It Togetha’ (Timmons), ib.

venerdì 4 maggio 2018

Uptankt (Charlie Rouse)

 Era già il 1960 ma per questa rhythm changes a rotta di collo io parlerei semplicemente di bebop, ch’era la lingua madre di tutti e cinque i musicisti, almeno due dei quali – Charlie Rouse e Walter Bishop – sono certo abbiano suonato con Charlie Parker.

 Uptankt (Rouse), da «Takin’ Care Of Business», [Jazzland] OJCCD-491-2. Blue Mitchell, tromba; Charlie Rouse, sax tenore; Walter Bishop Jr, piano; Earl May, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Registrato l’11 maggio 1960.

giovedì 3 maggio 2018

Indiana (Arnett Cobb)

 Come forse ricordi, ho un affetto e un gusto particolare per Arnett Cobb, il grande sax tenore della scuola texana. Qui è verso la fine della sua vita (sarebbe morto cinque anni dopo) con una ritmica modern mainstream la cui somma è minore delle parti – Junior Mance, di cui sono ammiratore, sembra dormicchiare, George Duvivier non è sempre preciso ed è registrato malissimo – e una front line di grosso modo coetanei, dei quali Joe Newman fa secondo suo solito una magnifica figura.

 Cobb risuona affaticato, ma i suoi due brevi chorus ne conservano intatta la caratteristica musicalità e il pathos.

 Indiana (Hanley-McDonald), da «Keep On Pushin’», Bee Hive BH 7017. Joe Newman, tromba; Al Grey, trombone; Arnett Cobb, sax tenore; Junior Mance, piano; George Duvivier, contrabbasso; Panama Francis, batteria. Registrato il 27 giugno 1984.

martedì 1 maggio 2018

September In The Rain – Dancing In The Dark – I Cover The Waterfront (Sarah Vaughan) RELOAD

Reload dal novembre 2015 

 Poche chiacchiere, oggi: «the Divine» ripresa dal vivo nel 1957 a Chicago.

 Una parola, anzi: Dancing In the Dark, con i valori lunghi della sua melodia e il lento ritmo armonico, è ben difficile da sostenere a un tempo così largo, ma Sarah vi riesce come nessun’altra, con il concorso dell’eccelso trio ritmico. Prima di I Cover, poi, senti poi il banter di Sarah, che  canta anche quando parla, e come si mette il pubblico in tasca.

 September In The Rain (Warren-Dubin), da «At Mister Kelly’s», Mercury 9034. Sarah Vaughan con Jimmy Jones, piano; Richard Davis, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato nell’agosto 1957.

 Dancing In The Dark (Dietz-Schwartz), id.

 I Cover The Waterfront (Heyman-Green), id.

lunedì 30 aprile 2018

Seven Minds – Bolivia – You Are The Sunshine Of My Life (Sam Jones)

 Tutti gli ascoltatori del jazz conoscono Sam Jones, che si ascolta in tantissimi dischi dagli Cinquanta all’anno della sua morte, il 1981 (era del ’24); tuttavia credo che non a molti verrebbe in mente di nominarlo nella prima schiera dei contrabbassisti moderni.

 Invece Jones, pur meno spettacolare, meno flashy di altri che hanno suonato il contrabbasso come una chitarra, è stato davvero un bassista eccezionale, di quelli che innalzano immediatamente il livello musicale di qualsiasi complesso. La sua pulsazione è solida, ovviamente, ma elastica e all’occasione sottilmente variata e la sua sonorità sempre profonda e «legnosa», di legno, come dovrebbe essere quella dello strumento, o almeno come piace a me.

Questo del 1977 è un gran bel disco di hard bop evoluto, decisamente segnato dalla presenza, credo anche come arrangiatore, di Cedar Walton, un classico collaboratore di Jones.

 Seven Minds (Jones), da «Something In Common», 32 Jazz CD 32217. Blue Mitchell, tromba; Slide Hampton, trombone; Bob Berg, sax tenore; Cedar Walton, piano; Sam Jones, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 13 settembre 1977.

 Bolivia (Walton), id.

 You Are The Sunshine Of My Life (Stevie Wonder), ib. senza Mitchell, Hampton e Berg; Walton suona il piano elettrico.

sabato 28 aprile 2018

Flamingo – Pepi’s Tempo (Marion Brown)

 Mah, che robe strane circolavano una volta. Marion Brown un tipo strano lo era davvero, fin dall’aspetto vorrei dire; Coltrane lo volle in «Ascension» ma io non ho mica mai capito quanto sapesse davvero suonare; per il resto fece cose e cosette, appunto, strane, inclassificabili, addirittura (per me) incomprensibili come  «Afternoon Of A Georgia Faun» o questo disco del 1976 che sta fra funk, reggae, fusion, psichedelia of some sort, forse un po’ di ubriachezza ma non molesta: perché il disco, per quanto in tralice sotto ogni punto di vista, è colorito e si lascia ascoltare con piacere.

 Stranezza estrema, Marion Brown si concede il lusso di convocare Ed Blackwell come percussionista aggiunto.

 Flamingo (Grouys-Anderson), da «Awofofora», Disco Mate DSP-5002. Ambrose Jackson, tromba; Marion Brown, sax alto; René Arlain, chitarra; Fred Hopkins, contrabbasso; Chris Henderson, batteria; Juuma Santos, Ed Blackwell, percussioni. Registrato nel luglio 1976.

 Pepi’s Tempo (Brown), id.

venerdì 27 aprile 2018

Un libro su Prince

 L’editrice EDT di Torino ha pubblicato ieri una biografia di Prince opera di Ben Greenman; il titolo italiano è Purple Life; è un bel libro, documentato e avvincente, e l’ho tradotto io.

First Impressions – Meterologicly Tuned (Shamek Farrah)

 Ora della fine, le etichette discografiche che nel jazz rimangono come «iconiche», cioè come marchi caratteristici e al tempo stesso come emblemi di una temperie musicale e culturale, sono quelle che riescono a cogliere una sonorità generale, uno Zeitgeist o un’atmosfera, e a riprodurla in maniera efficace e riconoscibile pur nella varietà delle singole espressioni. A volte quell’atmosfera sonora arrivano a influenzarla di riflesso.

 Dagli anni Settanta fino a oggi la ECM ha fatto di questo un vero modus operandi e addirittura una ragione d’essere; prima ancora, fatte le distinzioni del caso, c’era stata la Blue Note ma per esempio, e così per chiarire, non lo avevano fatto etichette importantissime e fondamentali come la Prestige o la Riverside (mentre a mezza via, secondo me, si poneva la Atlantic degli anni Sessanta), che pubblicarono dischi cardinali della storia del jazz moderno ma senza l’idea di creare un’identità sonora inconfondibile, e non è detto che questo fosse un demerito.

 Negli anni Settanta si mise in in quel solco la newyorkese Strata-East di Charles Tolliver e Stanley Cowell; qui sopra ne ho parlato più di una volta. Per quell’etichetta, che aveva anche un distinto cachet visivo, registrarono dischi importanti i due fondatori e poi Clifford Jordan, Pharoah Sanders, Billy Harper, Charlie Rouse, Charles Brackeen, Cecil McBee, Max Roach con M’Boom, ma anche jazzisti oscuri come quelli che senti qui, nel 1974

 Riuniti sotto la leadership nominale dell’altista Shamek Farrah (nato Anthony Domacase nel 1947 a New York), mi sono tutti sconosciuti e lo restano anche dopo qualche ricerca, con l’eccezione del bassista Suggs e del pianista Sonelius Smith, assente in questi due pezzi e che tre anni dopo sarebbe stato co-titolare dell’altro disco Strata-East a nome di Shamek Farrah, The World of Children. Farrah avrebbe pubblicato un terzo LP nel 1980. 

 Il disco è una time capsule di quell’anno e di un decennio di jazz a cui io sono perdutamente affezionato; ed è inoltre un disco che contiene della musica bella, ispirata, autenticamente libera pur se non free ed eseguita ad alto livello; musica che, come gran parte di quella pubblicata dalla Strata-East, è perfettamente del suo tempo e insieme perfettamente attuale.

 First Impressions (Farrah), da «First Impressions», Strata-East. Norman Person, tromba; Shamek Farrah, sax alto; Kasa Mu-Barak Allah, piano; Milton Suggs, contrabbasso; Clay Herndon, batteria. Registrato nel 1974.

 Meterologicly Tuned (Farrah), id.

giovedì 26 aprile 2018

Hot House – Soultrane – Casbah (Barry Harris) RELOAD

 Reload dal marzo 2017 

È cosa risaputa: Barry Harris considera tutto quello che è avvenuto nel jazz dalla metà degli anni Cinquanta in poi “sbagliato”: non dico neanche il free jazz, ma sbagliato il cool, sbagliato il soul jazz, sbagliati Coltrane, Rollins, il jazz europeo, sbagliato tutto quello che non è il bebop rigoroso che lui pratica e insegna in giro per il mondo. O forse insegnava, ne ha compiuti 87 tre mesi fa.

 Non è questo di cui m’interessa parlare, anche se questo fa del vecchio Barry un tipo pittoresco e caratteristico di curmudgeon (ne ha anche  l’aspetto). In questo disco stupendo del 1975  senti come effettivamente Harris non abbia bisogno d’altro che del lessico bebop, che quando suona lui è vivo e attuale, per esprimersi in modo personale e incredibilmente espressivo e variegato; sotto le sue dita, quegli elementi che in tanti altri, anche suoi coetanei, suonano scuola, metodo e formula, sono un’autentica, articolata visione del mondo. Quale materiale migliore su cui esercitarla se non le composizioni di Tadd Dameron, un altro che del bebop aveva fatto la sua vita, in modo personalissimo?

 Hot House (Dameron), da «Plays Tadd Dameron», Xanadu 113. Barry Harris, piano; Gene Taylor, contrabbasso; Leroy Williams, batteria. Registrato il 4 giugno 1975.

 Soultrane (Dameron), id.

 Casbah (Dameron), id.

mercoledì 25 aprile 2018

Dem Tambourines (Don Wilkerson)

 Ciao.

 Era già capitato che Jazz nel pomeriggio tacesse per più di tre mesi senza mai neanche battere colpo, e non vale qualche scusa esalata nei commenti?

 Domanda retorica: no, non era ancora successo e infatti perfino la meccanica dell’editor di Blogspot mi risulta ormai poco agevole. Spero che non dovrà più succedere anche se non mi azzardo nemmeno a promettere che l’aggiornamento del blog sarà mai più, non dico assiduo, ma frequente come lo è pur stato per i trascorsi otto anni, che si compiranno il mese venturo. Potrà succedere, ma insomma ecco, non prendo impegni.

 Intanto io so che almeno una persona ha gettato qui sopra uno sguardo ogni mattina, perfino in questo jazzisticamente desolato inverno, e costui è il caro Paolo il Lancianese, di cui ho lasciato trascorrere il compleanno che si festeggiava l’8 aprile, due giorni prima del mio. Questo pezzo molto qualunque di soul jazz lo dedico quindi a lui, personificazione vivente dell’ascoltatore-lettore di Jnp.

 Dem Tambourines (Wilkerson), da «The Complete Blue Note Sessions», Blue Note 24555. Don Wilkerson, sax tenore; Sonny Clark, piano; Grant Green, chitarra; Butch Warren, contrabbasso; Billy Higgins, batteria; Jual Curtis, tamburino. Registrato il 18 giugno 1962.

martedì 9 gennaio 2018

Some Other Time (Lee Colbert)

 «Some Other Time» di Leonard Bernstein è una delle mie canzoni preferite e qui l’hai ascoltata tempo fa da Monica Zetterlund e Bill Evans. Eccola ora in un’esecuzione molto diversa e interessante: canta l’argentino-statunitense-italiana Lee Colbert insolitamente accompagnata da pianoforte e flauto.

 La Colbert è un’interprete vocale enciclopedica che ha lavorato anche con Luciano Berio e Luis Bacalov, molto nota per la sua collaborazione, anche come direttore musicale, con Moni Ovadia, e ha un amore e un’affinità speciale per il musical: direi che lo si senta bene in questa esecuzione spumeggiante, gioiosa, d’impeccabile musicalità.

 Some Other Time (Bernstein-Comden-Green), da «Zumersayt/Summertime», Zone di Musica ZDM 0501. Lee Colbert con Paolo Cintio, piano; Emilio Vallorani, flauto. Registrato nel 2005.