mercoledì 29 febbraio 2012

Mister P. C. (Archie Shepp)

  Ecco una scelta un po’ diversa dalle solite. Si tratta di una registrazione radiofonica, a tratti molto disturbata, che ho trovato sul mio hard disk, scaricata da non so dove: ignoro se sia mai uscita in disco. Riprende una «John Coltrane Memorial Jam Session» tenutasi il 21 luglio 1977, decimo anniversario della morte di quel grande, ad Antibes, sede di un noto festival.

  Nella front line di questo Mister P. C. i sax tenori sono ben tre (non so con quanto diritto il file sia a nome di Shepp): lascio a te il piacere di identificarli. David Schnitter in quel periodo era con i Jazz Messengers e in seguito è rimasto a lungo nell’ombra, per riemergere in anni recenti. Fa’ attenzione ad Albert Mangelsdorff.

  Mister P. C. (Coltrane), «John Coltrane Memorial Jam Session», registrazione radiofonica dal festival del jazz di Antibes, 21 luglio 1977.



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martedì 28 febbraio 2012

Gertrude’s Bounce - Snowbound (Bill Carrothers)

  Il 26 febbraio, per la stagione dell’Aperitivo in Concerto, ha suonato a Milano il trio del pianista Bill Carrothers.

  Carrothers, che ha quarantotto anni, ha esordito discograficamente nel 1987 e ha lavorato come sideman in compagnia prestigiosa e varia, ma ha deciso dopo pochi anni di tornare da New York nel natìo Minnesota. Per conseguenza, non ha la notorietà che arride a pianisti press’a poco suoi coetanei, pur essendo più bravo di molti di loro. Mi riservo di parlare meglio in un altro momento di lui, delle sue singolari scelte di carriera e della sua collocazione in un panorama tipicamente bianco e mid-western del jazz contemporaneo (ma invito te a farlo, se volessi); qui dico solo come si tratti di un pianista eccezionale, dotato di un intuito e di una fantasia armonici fuori dal comune (il suo repertorio di accordi di sostituzione è sorprendente: l’altra mattina non ha suonato due chorus dello stesso pezzo con gli stessi accordi), un vero improvvisatore capace di invenzioni melodiche di improvvisa bellezza e ritmicamente mobile al punto da poter costituire un vero cimento per gli accompagnatori.

  Non è stato il caso qui a Milano, dove aveva con sé Drew Gress e Bill Stewart; e nemmeno lo fu nel 2009 al Village Vanguard, dove il repertorio di quel concerto, che si propone come omaggio a Clifford Brown, è stato eseguito da Carrothers con una ritmica europea molto ferrata, pur se non altrettanto brillante.

  Gertrude’s Bounce (Richie Powell), da «A Night at the Village Vanguard», Pirouet PIT3056. Bill Carrothers, piano; Nicolas Thys, contrabbasso; Dré Pallemaerts, batteria. Registrato l 18 luglio 2009.



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  Snowbound (Carrothers), id.



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lunedì 27 febbraio 2012

Queer Notions (Fletcher Henderson)

  Fletcher Henderson. La storia del jazz per big band, cioè la storia del jazz, passa per lui. A differenza della musica di Duke Ellington o di Count Basie, però, che è davvero sempre fresca, eterna, quella di Henderson, malgrado la presenza di solisti come Coleman Hawkins e Red Allen, risulta alle nostre orecchie irrimediabilmente datata e c’è poco da fare. Per questo oggi ho deciso di proporla al tuo ascolto.

  Queer Notions, composizione di Coleman Hawkins arrangiata da Horace Henderson, adotta un dispositivo armonico (la scala a toni interi) che era usato in quegli anni a connotare «avvenirismo in musica», tanto che è alla base di un pezzo di James P. Johnson intitolato You Got to Be Modernistic.

  Queer Notions (Hawkins), da «Fletcher Henderson», Charly. Russell Smith, Bobby Stark, Henry «Red» Allen, tromba; Dicky Wells, Claude Jones, trombone; Russel Procope, Hilton Jefferson, sax alto; Coleman Hawkins, sax tenore; Horace Henderson, piano; Bernard Addison, chitarra; John Kirby, contrabbasso; Walter Johnson, batteria. Registrato il 22 settembre 1933.



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domenica 26 febbraio 2012

I Didn’t Know What Time It Was (Sir Roland Hanna)

  Sir Roland Hanna (1932-2002), nativo di Detroit come altri grandi pianisti fra cui Barry Harris e Tommy Flanagan (il «Sir» si riferisce al cavalierato conferitogli dal presidente della Liberia William Taubman), è stato un pianista delizioso, di abilità immensa e capace di suonare in ogni stile. Trovo interessante presentartelo con un breve estratto dalle note di copertina di questo disco del 1978.
  «Alle scuole superiori trascorrevo molto tempo studiando musica classica nell’auditorium, dove c’era un gran coda Steinway. A volte una altro pianista veniva a scambiare qualche idea. Si chiamava Tommy Flanagan, e fu dopo averlo ascoltato che cominciai a interessarmi al jazz»

  «Quello che faceva Tommy mi veniva facile», ricorda Hanna. Ma trovare lavoro come jazzista era un’altra faccenda. «Se dicevi che suonavi jazz, non lavoravi. Il jazz era una parolaccia», dice Hanna. «Non che oggi sia diverso».

  Dunque, malgrado la sua affinità spontanea con il jazz, Hanna decise piuttosto di perfezionarsi nella musica classica europea, una forma d'arte, confessa, che «non mi veniva affatto naturale, perché in più d’un senso va contro il senso ritmico naturale e innato che mi viene dal mio retaggio neroamericano. Per suonare la musica classica europea mi toccò davveri reimparare a suonare.
  Hanna avrebbe studiato in conservatori illustri come la Eastman School of Music e la Juilliard. Direi che nel suo stile, nella fluidità della sua tecnica e nella varietà dell’attacco del tasto questo si senta bene, senza per nulla inficiare quel senso ritmico innato.

  I Didn't Know What Time It Was (Rodgers-Hart), da «This Must Be Love», Audiophile AP-157. Roland Hanna, piano; George Mraz, contrabbasso; Ben Riley, batteria. Registrato il 2 febbraio 1978.



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sabato 25 febbraio 2012

Hi-Fly (Ronnie Mathews)

  Ronnie Mathews (1935-2008), pianista amato dai colleghi e apprezzato dalla critica e dagli appassionati che lo conoscevano, non ha mai raggiunto una grande fama ma è stato uno dei sideman più richiesti, suonando con quasi tutti e incidendo con Max Roach, Freddie HUbbard, Woody Shaw, Johnny Griffin, Clifford Jordan. Qui, in rara uscita a proprio nome, esegue una famosa composizione di Randy Weston in un quintetto che comprende Frank Foster, del quale si potrebbero dire approssimativamente le stesse cose che di Mathews.

  Hi-Fly (Weston), da«Roots, Branches & Dances», Bee Hive BH 7008. Frank Foster, sax tenore; Ronnie Mathews, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Al Foster, batteria. Registrato il 7 dicembre 1978.



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venerdì 24 febbraio 2012

Double Arc Jake (Don Pullen & George Adams)

  Evocato in un commento al post prima del precedente, come per magia riappare Don Pullen e con lui i grandi George Adams e Dannie Richmond, tutti mingusiani di più o meno lunga osservanza, qui registrati a Milano l’anno della morte di quel grande. Double Arc Jake comincia alternando un inciso angoloso e dissonante a un interludio in tempo e modi di calypso, ma presto li sovrappone.

  Double Arc Jake (Pullen), da «Don’t Lose Control», Soul Note SN 1004. George Adams, sax tenore; Don Pullen, piano; Cameron Brown, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria. Registrato il 2 o il 3 novembre 1979.



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giovedì 23 febbraio 2012

On a Clear Day (Wynton Kelly)

  On a Clear Day (You Can See Forever), da «Full View», Milestone/OJCCD-912-2. Wynton Kelly, piano; Ron McClure, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato nel settembre 1966.



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mercoledì 22 febbraio 2012

Duke Ellington’s Sound of Love (Paul Motian) (Charles Mingus)

  Questo trio di Paul Motian, anche di più quando ampliato da Charlie Haden, fece delle belle cose, molto atmosferiche, come credo si dica, soprattutto suonando gli standard. Bill Frisell vi stava a proposito, ma fra la sua «atmosfericità» e quella di Motian – non il più incalzante dei rhythm maker – le esecuzioni finivano per essere troppo uguali e alla fine stucchevoli. Ma non prese una per una, come questa Duke Ellington’s Sound of Love, celebre composizione di Mingus che nell’ultima frase contiene una citazione da Lush Life (la quale però era di Billy Strayhorn).

  Ammetto che il paragone che t’impongo con l’esecuzione d’autore non è generoso verso Motian e i suoi; né lo è quello fra Joe Lovano e George Adams, anche se qui sarà questione di gusti.

  Duke Ellington’s Sound of Love (Mingus), da «Sound of Love», Winter & Winter 910 008-2. Joe Lovano, sax tenore; Bill Frisell, chitarra; Paul Motian, batteria. Registrato dal 3 al 10 giugno 1995.



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  Duke Ellington’s Sound of Love (Mingus), da «Changes One», Rhino/Atlantic R2 71403. Jack Walrath, tromba; George Adams, sax tenore; Don Pullen, piano; Charles Mingus, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria. Registrato nel dicembre 1974.



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martedì 21 febbraio 2012

Guest post #12: Claudio Bonomi & Graham Collier

  Graham Collier, istituzione del jazz inglese, è già comparso qui tempo fa, mentre esordisce come guest poster su JnP Claudio Bonomi, che del jazz inglese in generale, ma dell’attività multiforme di Collier in particolare, si può ben definire un’autorità (credo addirittura che del compositore inglese sia stato amico).

  Collier, che è morto il settembre scorso, avrebbe compiuto oggi 75 anni. Mi pare che il pezzo scelto da Claudio, enormemente suggestivo, lo ricordi nel modo migliore.

  Composizione o scomposizione. Questo è stato da sempre il dilemma musicale di Graham Collier, compositore britannico scomparso lo scorso settembre e che oggi avrebbe compiuto 75 anni. Quasi mezzo secolo passato alla ricerca di un, forse impossibile, compromesso tra struttura e improvvisazione. Un processo vissuto con passione e non poca inquietudine soprattutto negli ultimi anni e che traspariva nelle pieghe dei sui lavori più recenti come il doppio «directing 14 Jackson Pollocks» del 2009, lavori molto concettuali e complessi. Quasi che quell’esplorazione nella terra di nessuno, dove la scrittura finisce per tramutarsi in altro, fosse diventata un percorso progressivamente sempre più in salita e accidentato.

  E, allora, torniamo indietro nel tempo. Quando Collier suonava ancora il contrabbasso nel suo sestetto, denominato Graham Collier Music, e a una composizione tratta da un album registrato nel 1975, «Midnight Blue», ispirato ai quadri del pittore americano Barnett Newman. Un astrattista. Collier amava l’astrattismo. E forse si sentiva un po’ come un pittore di quadri astratti in grado di dominare il caos e alla costante ricerca del«terzo colore», di una linea immaginaria di comunicazione tra forme e cromatismi. Ebbene, in Adam, la combinazione tra ciò che è scritto e ciò che invece è inventato al momento è perfetta. Talmente perfetta che i due piani si confondono e, di fatto, si annullano. Il brano, diviso in tre movimenti, è una sintesi dello stile di Collier, dall’uso della cadenza alla concatenazione alternata di assoli, e ha uno sviluppo inaspettatamente lirico. Il duetto finale tra la tromba di Harry Beckett e la chitarra elettrica di Ed Speight è uno dei momenti più toccanti e di tutto il repertorio di Collier.

  Adam è incluso nell'antologia «Relook», che esce oggi per jazzcontinuum, compilata dallo stesso compositore appena prima della sua scomparsa. Si tratta di un doppio cd con 20 brani che spaziano in un periodo che abbraccia quasi 50 anni di carriera: dal 1963, con una versione inedita di The Barley Mow registrata a Berklee insieme a Gary Burton, al 2004 con un estratto dall’opera The Vonetta Factor (tutte le informazioni su www.grahamcolliermusic.com).

  Adam (Graham Collier), da «Midnight Blue» [Mosaic 1975] BGO 2009. Harry Beckett, flicorno, tromba; Derek Wadsworth, trombone; Roger Dean, piano; Ed Speight, chitarra elettrica; Graham Collier, contrabbasso; John Webb, batteria. Registrato il 17 febbraio 1975.



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lunedì 20 febbraio 2012

Capra Black (Billy Harper)

  Ieri mattina sono inaspettatamente andato al teatro Manzoni di Milano per l’Aperitivo in concerto (grazie per l’invito all‘amico Andrea Di Gennaro) e vi ho sentito il settetto The Cookers.   Coordinati dal trombettista David Weiss, i Cookers sono cinque insigni jazzmen nati dal 1935 al 1944, più un sesto, Craig Handy, che è del 1962 (Weiss stesso è del ’64). Parlo di grandi nomi, quasi tutti già apparsi su Jazz nel pomeriggio: Billy Harper, Eddie Henderson, George Cables, Cecil McBee (che hai sentito qui due giorni fa con Chico Freeman) e Billy Hart. Non farò qui la recensione del concerto, perché non è il luogo, ma ho constatato con gioia che questi nostri vecchi amici sono tutti in buonissime condizioni fisiche e musicali. Harper poi, che ha settant'anni, è quasi uguale a com’era la prima volta che l’ho visto, nel 1978 con Max Roach; sono diversi solo i capelli e la barba, che ora sono bianchi.   I Cookers hanno suonato diverse composizioni molto note di Harper, che è un compositore di ottimo livello oltre che un grande sax tenore; fra le altre, Priestess e Capra Black, forse la sua più famosa e incisa anche da Lee Morgan. Te la propongo qui nell’esecuzione originale dell'autore, 1973. Il titolo si riferisce al segno del Capricorno; per quanto ingegnosamente dissimulato, si tratta di un blues di forma modificata, nel tempo insolito di 8/8 (3+3+2).   Capra Black (Harper), da «Capra Black», Bomba Records [Strata East] 24109. Jimmy Owens, tromba; Julian Priester, Dick Griffin, trombone; Billy Harper, sax tenore; George Cables, piano; Reggie Workman, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato nell’ottobre 1973.   Download

domenica 19 febbraio 2012

Sunshine - Cast Away (Jaki Byard)

  Questo è il mio disco preferito di uno dei miei pianisti preferiti, cioè a dire è uno dei più bei dischi di pianoforte jazz che io conosca. Il trio non è una working band ma una specie di all star in cui Jaki Byard si è associato Elvin Jones e David Izenzon, il contrabbassista di purtroppo breve carriera che si ascolta, fra l’altro, nei dischi dal Golden Circle di Ornette.

  La copertina mette il faccione di Byard nella corolla di uno psichedelico girasole (era il 1967) e la musica è inattesa e whimsical come l’illustrazione. Nel blues Sunshine il tripudio di poliritmi mette a partito nel modo migliore la presenza di Elvin; in Cast Away, astratto ed estatico, Elvin suona i timpani, Izenzon usa l’arco generando un bellissimo suono da violoncello e, all’inizio, Byard mette mano a una chitarra.

  Sunshine (Byard), da «Sunshine of my Soul», Prestige PR 7558. Jaki Byard, piano; David Izenzon, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 31 ottobre 1967.



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  Cast Away (Byard), id., Byard anche chitarra.



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sabato 18 febbraio 2012

C & M (Chico Freeman)

  C & M (Freeman-Abrams), da «Destiny’s Dance», Contemporary/OJCCD-799-2. Wynton Marsalis, tromba; Chico Freeman, sax tenore; Bobby Hutcherson, vibrafono; Dennis Moorman, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Ronnie Burrage, batteria. Registrato il 30 ottobre 1981.



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venerdì 17 febbraio 2012

Waltz for Roma - Alex (Frank Rosolino)

  Frank Rosolino (1926-1978) è stato uno dei trombonisti moderni più spettacolari, un solista di grande fantasia, swing e humor.

  Noto e apprezzato dai colleghi, oltre che per il virtuosismo, per la bonomia, Rosolino scelse di levarsi dalla vita in circostanze particolarmente atroci. Qui è in Italia e con lui, per l’n-esima volta in pochi giorni, è su Jazz nel pomeriggio Franco D’Andrea (in Alex si sente anche Gianni Basso, che suona come un padreterno ricordando un po’ Joe Henderson).

  I dischi della Horo di Aldo Sinesio sono rimasti finora incomprensibilmente inediti in CD. Ne ha resi disponibili molti, con passione e generosità, Jazz from Italy, che mi onoro di avere fra i miei lettori.

  Waltz for Roma (Rosolino), da «Jazz a confronto 4», Horo HLL 101-4. Frank Rosolino, trombone; Franco D’Andrea, piano; Bruno Tommaso, contrabbasso; Bruno Biriaco, batteria. Registrato il 26 maggio 1973.



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  Alex (B. Tommaso), id. più Gianni Basso, sax tenore.



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giovedì 16 febbraio 2012

Manhâ de Carnaval (Hampton Hawes)

  Io spero che Hampton Hawes ti piaccia almeno quanto piace a me, diversamente per te l’ascolto-lettura di questo blog rischia di farsi raro. Rieccolo nel 1966 dal vivo nella sua Los Angeles con i suoi due accompagnatori più sperimentati e solidali.

  A Manhâ de Carnaval (uno di quei pezzi che può far sbadigliare solo a dirne il titolo, tanto è strasentito), Hamp e i suoi levano ogni linfatica malinconia. Anzi, nel primo chorus d’improvvisazione, Hamp parte come un razzo con le mani in unisono d’ottava e, in un empito forse inconsapevole di «pan-latinismo», subito seguito da Bailey, riproduce qualcosa che sembra proprio un montuno cubano.

  Manhâ de Carnaval (Bonfá-Maria), da «I’m All Smiles», Contemporary/OJCCD-796-2. Hampton Hawes, piano; Red Mitchell, contrabbasso; Donald Bailey, batteria. Registrato il 30 aprile o il 1 maggio 1966.



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mercoledì 15 febbraio 2012

It Ain’t Necessarily So (Franco D’Andrea & Modern Art Trio) [era: Quiz #19]

  Tanto per (non) cambiare, ci è arrivato primo e unico (oltre al Lancianese, fuori concorso) aL. Erano Franco D’Andrea, Bruno Tommaso e Franco Tonani, cioè il Modern Art Trio, in uno dei più bei dischi del jazz italiano, che in quarant’anni e rotti è invecchiato benissimo (aL, essendo uno studente di D’Andrea, era certo avvantaggiato).

  It Ain’t Necessarily So (G. Gershwin-I. Gershwin), da «Modern Art Trio», Vedette VPA 8434. Franco D’Andrea, piano; Bruno Tommaso, contrabbasso; Franco Tonani, batteria. Registrato nell’aprile 1970.



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Imagination - Diffugalty (Joe Newman)

  Joe Newman (1922-1992) fu un amabile, esperto trombettista la cui carriera e il cui stile epitomizzano il c.d. mainstream come venne a definirsi negli anni Cinquanta.
  Il suo nome rimane legato soprattutto a Count Basie, con il quale suonò per oltre dieci anni, a cominciare dal 1943 e con brevi intervalli, ma Joe aveva prima di allora già suonato con Lionel Hampton e in seguito si sarebbe associato, fra gli altri, a Illinois Jacquet. In quel mentre, e anche dopo, registrò molto con dei piccoli gruppi a proprio nome. Al suo fianco nella front line c'è qui un altro basiano e grande saxofonista, Frank Foster, morto pochissimo tempo fa. Affiancato a un terzo, Freddie Greene, la cui inconfondibile chitarra informa la sonorità della sezione ritmica, John Lewis manifesta la sua derivazione da Count Basie.

  Imagination (van Heusen-Burke), da «I Feel Like a New Man», Black Lion BLCD 760905. Joe Newman, tromba; Bill Byers, trombone; Gene Quill, sax alto; Frank Foster, sax tenore; John Lewis, piano; Freddie Greene, chitarra; Milt Hinton, contrabbasso; Osie Johnson, batteria. Registrato nell’aprile 1956.



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  Diffugalty (Osie Johnson), id.



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martedì 14 febbraio 2012

Willow Weep for Me - Going Home Blues (Jaki Byard)

  Mike Lipskin, allievo di Willie «the Lion» Smith e storico dello stride piano, nonché pianista lui stesso, sostiene che «uno stride fatto come si deve è davvero pianoforte jazz alla sua massima espressione». Quello stile e le sue tecniche, insomma, hanno una portata espressiva amplissima e non possono circoscriversi agli anni di splendore della scuola pianistica di Harlem (Venti e Trenta) con il suo triumvirato di James P. Johnson, Fats Waller e Wille «the Lion» (ma c’erano anche Luckey Roberts, Joe Turner…).

  In effetti anche molti pianisti di scuola moderna hanno praticato lo stride, anche se forse nessuno lo ha incorporato al proprio stile quanto quella vera enciclopedia vivente della musica che è stato Jaki Byard. In questa serie di assoli nel 1971, Byard adopera costantemente lo stride con proprietà, modernità e varietà di approccio.

  Willow Weep for Me (Ronell), da «Parisian Solos», Futuraswing 5. Jaki Byard, piano. Registrato il 29 luglio 1971.



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  Going Home Blues (Byard), id.



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lunedì 13 febbraio 2012

Improvisation No. 1 - Perfum (Django Reinhardt)

  Django Reinhardt, che sorprendentemente non è ancora mai uscito su Jazz nel Pomeriggio, è stato uno dei grandi improvvisatori della musica. Non ho detto «del jazz», perché non ritengo che Django abbia fatto sempre del jazz: forse non lo fece davvero mai ma, come ha osservato (mi pare) Arrigo Polillo, si limitò sempre a vagheggiarlo da lontano.

  Improvisation No. 1 (Reinhardt), da «Complete Recordings For Solo Guitar (1937-1950», Definitive Records DRCD11286. Django Reinhardt, chitarra. Registrato il 27 aprile 1937.



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  Perfum (Reinhardt), id.



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domenica 12 febbraio 2012

Quiz #19

  Chi è il pianista? E qual è la composizione, piuttosto dissimulata ma riconoscibile? La soluzione, mercoledì nella mattinata.



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sabato 11 febbraio 2012

[comunicazione di servizio] Biografia di Monk

  A quanto pare, è finalmente giunta nelle librerie la versione italiana della ponderosa biografia di Thelonious Monk scritta da Robin D. G. Kelley: s’intitola «Thelonious Monk, storia di un genio americano» ed è pubblicata da minimum fax.

  Advertisement for myself, come direbbe Norman Mailer: l’ho tradotta io.

Over the Rainbow (Milt Jackson & John Lewis) (Django Bates) (Keith Jarrett)

  Tre versioni di Over the Rainbow: una naufraga nella squisitezza del sentimento, una naufraga in una riscrittura armonica e timbrica inconsulta, una è semplicemente magnifica. Ma non sono in quest’ordine.

  Over the Rainbow (Arlen-Harburg), da «Fontessa», WEA 75435. Milt Jackson, vibrafono; John Lewis, piano. Registrato il 22 gennaio 1956.



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  Over the Rainbow, da «Quiet Nights», Screwgun screwu 70007. Iain Ballamy, sax tenore; Django Bates, tastiere; Michael Mondesir, basso elettrico; Martin France, batteria; Josefine Crønholm, canto. Registrato nel 1998.



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  Over the Rainbow, da «La Scala», ECM 1640. Keith Jarrett, piano. Registrato il 3 febbraio 1995.



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venerdì 10 febbraio 2012

Delaunay’s Dilemma (The Modern Jazz Quartet)

  Viene da uno dei primi e più celebri dischi del MJQ questa ennesima variazione sull’eterna sequenza armonica di I Got Rhythm. John Lewis vi ha sovrapposto una melodia delle sue, che risolve in perfetta e cantabile naturalezza una serie di anticipi armonici e di sincopi ritmiche. Il pezzo è dedicato all’écrivain de jazz Charles Delaunay.

  Delaunay’s Dilemma (Lewis), da «Django», Prestige/OJC 057. The Modern Jazz Quartet: Milt Jackson, vibrafono; John Lewis, piano; Percy Heath, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato nel gennaio 1955.



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giovedì 9 febbraio 2012

Caravan (Franco D’Andrea)

  Come sai seguo poco o per nulla l’attualità jazzistica, o per meglio dire seguo solo pochi artisti che m’incuriosiscono e raramente mi deludono. Degli italiani, forse il solo Franco D’Andrea: questa sua nuova uscita con diverse formazioni dal vivo, ma incentrate sullo sperimentatissimo quartetto, mi lasciava perplesso per la sua dovizia – ben due ore di musica – ma non mi sono annoiato un momento. Senti questa versione di Caravan, dallo swing potente malgrado l’assenza del contrabbasso (ma con Han Bennink al rullante).

  Caravan (Tizol), da «Traditions and Clusters», El Gallo Rojo 314-55. Daniele D’Agaro, clarinetto; Mauro Ottolini, trombone; Franco D’Andrea, piano; Han Bennink, tamburo rullante. Registrato il 4 marzo 2011.



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mercoledì 8 febbraio 2012

Berkshire Blues (Randy Weston)

  Berkshire Blues (Weston), da «African Cookbook», Koch Jazz KOC-CD-8517. Ray Copeland, flicorno; Booker Ervin, sax tenore; Randy Weston, piano; Vishnu Bill Wood, contrabbasso; Lennie McBrowne, batteria; Big Black, percussioni. Registrato nell’ottobre 1964.



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martedì 7 febbraio 2012

Captain Marvel (Stan Getz)

  Dopo Rollins, due giorni fa, anche oggi ti porto a sentire che cosa combinava un famoso tenorista nei primi anni Settanta, quando molti jazzisti che avevano compiuto i quaranta parevano non saper bene dove sbattere il capo.

  Nel 1971 Stan Getz, che tornava da due anni di sabbatico in Spagna, commissionò un nuovo book a Chick Corea, che assunse poi nel suo quartetto che comprendeva un terzo grande, Tony Williams alla batteria (il bassista, invece, era Stanley Clarke). Ne venne fuori questo disco, che molti considerarono e considerano una pacchianata ma che fu il maggior successo discografico mai conosciuto da «the Sound».

  Captain Marvel (Corea), da «Captain Marvel», Columbia COL468412. Stan Getz, sax tenore; Chick Corea, piano; Stanley Clarke, contrabbasso; Tony Williams, batteria; Airto Moreira, percussioni. Registrato il 3 marzo 1972.



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lunedì 6 febbraio 2012

Ustab - Holding Together (Oliver Lake)

  Una figura lievemente eccentrica della magnifica fioritura del secondo free fu Oliver Lake, tutt’oggi attivo e di quando in quando presente anche dalle nostre parti (qui su JnP l’hai già trovato con il World Saxophone Quartet, di cui è membro fondatore). Oliver Lake apparteneva all’altro grande collettivo musicale della musica afroamericana di quegli anni, il BAG (Black Artists Group) con sede a St. Louis nel Missouri, dunque al confine con l’Illinois dell’AACM di Chicago. Il jazz di St. Louis aveva un carattere meno abrasivo e meno apertamente sperimentale di quello dei chicagoani, e decisamente più estroverso; nel caso delle musiche di Lake, con un'intimità tipica della musica da camera. Al sax, Lake rivelava e rivela tutta la sua ammirazione per Eric Dolphy, al quale ha dedicato un disco.

  In quegli anni con lui e con altri di quella stessa scena si sentiva spesso il chitarrista Michael Gregory Jackson. Più che non oggi, era allora raro trovare nel jazz d’avanguardia la chitarra, acustica o elettrica. Jackson, che in seguito, per intuibile motivo, accorciò il suo nome in Michael Gregory, suona elettrico nel primo pezzo e acustico nel secondo. Questo bel quartetto ha alle fondamenta i bassi poderosi del grande Fred Hopkins, contrabbassista del trio Air.

  Ustab (Lake), da «Holding Together», Black Saint 120009-2. Oliver Lake, sax alto; Michael Gregory Jackson, chitarra; Fred Hopkins, contrabbasso; Paul Maddox, batteria, percussioni. Registrato nel marzo 1976.



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  Holding Together (Lake), id. ma Lake suona il flauto.



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domenica 5 febbraio 2012

Notes for Eddie (Sonny Rollins)

  Alla metà degli anni Settanta o forse appena prima – questo disco è del 1973 – , Sonny Rollins aveva raggiunto il punto di massima densità del suo linguaggio: poche note di grande peso specifico, articolate in modo possente ma quasi a fatica, con un senso di torsione muscolare (volevo dire michelangiolesca, poi mi sono trattenuto appena in tempo).

  Il contorno sonicamente diffuso, elettrico, un po’ funky, molto Seventies, accentua il drammatico bassorilievo del sax.

  Notes for Eddie (Rollins), da «Horn Culture», Milestone M-0951. Sonny Rollins, sax tenore; Masuo, chitarra; Walter Davis Jr., piano; Bob Cranshaw, basso elettrico; David Lee, batteria; Mtume, percussioni. Registrato nel 1973.



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sabato 4 febbraio 2012

Killing Me Softly With His Words (Sonny Stitt & Barry Harris)

  L’unico difetto che posso trovare in quest’esecuzione è nel suono che la registrazione conferisce al contrabbasso di George Duvivier, per il resto impeccabile, al suo solito. Di Jimmy Cobb ho tessuto le lodi proprio recentemente; Stitt e Harris non hanno rivali nell’idioma bebop compiuto e storicizzato, che sanno applicare a praticamente ogni tipo di repertorio, tanto da smentire quello che dicevo su Killing Me Softly come canzone poco assoggettabile all’improvvisazione; infine Killing Me Softly, come ormai dovresti sapere, è una canzone che mi piace molto.

  Killing Me Softly With His Words (Fox-Gimbel), da «The Complete Late Quartets, vol. 2», Jazz Row JR652. Sonny Stitt, sax alto; Barry Harris, piano; George Duvivier, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato il 18 marzo 1981.



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venerdì 3 febbraio 2012

Syeeda’s Song Flute (Art Taylor)

  Syeeda’s Song Flute Coltrane l’aveva incisa l’anno prima in «Giant Steps». Non ricordo che sia mai stata ripresa da altri che da questa studio band riunita dalla Blue Note nel 1960 intorno ad Art Taylor, ma è possibile che mi sbagli (M.G, Lancianese.…?). Wynton Kelly e Paul Chambers erano stati con Trane nel quintetto di Miles fino all’anno prima, e Art Taylor è presente proprio in «Giant Steps». Stanley Turrentine, impermeabile a influssi coltraniani, soffia imperterrito un assolo dei suoi.

  Syeeda’s Song Flute (Coltrane), da «A.T.’s Delight», Blue Note CDP 7 84047-2. Dave Burns, tromba; Stanley Turrentine, sax tenore; Wynton Kelly, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Registrato il 6 agosto 1960.



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giovedì 2 febbraio 2012

Who Knows? - Reflections in D - Melancholia (Duke Ellington)

  Duke Ellington, il più grande dei musicisti di jazz, ragione in fondo di questo blog e del mio amore per il jazz, è assente da troppo tempo e te ne chiedo scusa. Sull’Ellington pianista trascrivo quanto ne ha scritto Gunther Schuller, qui nella traduzione di Marcello Piras:
  (…) non era, né ambiva essere, un Hines, un Tatum o Bud Powell. Era invece un pianista d’assieme nato, e si valeva di questa incredibile sonorità dal timbro «orchestrale» per trasmettere agli altri l’essenza, il mondo sonoro di un dato pezzo: insomma per dirigere, galvanizzare, ispirare l’inventiva, e all’occorrenza completare l’opera dal pianoforte. Forse per apprezzare tutta la pienezza e profondità di quel suono bisognava stargli accanto mentre suonava. Ho avuto spesso questo privilegio, e posso dire in tutta coscienza che con poche eccezioni (…) non ho mai incontrato un esecutore, jazz o eurocolto, capace di controllare al tempo stesso una purezza timbrica e una gamma di dinamiche e colori pari alle sue. Suonava in un modo che definirei «nel profondo dei tasti» per produrre il più chiaro e controllato impatto del martelletto sulle corde, e ottenerne la risonanza più piena e pura. Sapeva tener testa all’intero organico a tutta forza, eppure non l’ho mai udito forzare o battere, come tanti quando si avventurano nel ff. Con quel timbro e quella pronuncia, un solo accordo o poche note di riempitivo elettrizzavano l’orchestra. A questa sonorità di base sapeva poi unire effetti timbrici di ogni genere: nel suo pianoforte si sentivano trombe, sax, corni oboi e perfino archi (…).

 Gunther Schuller, Il Jazz - L’era dello Swing, EDT, Torino, 1999, p. 54 n. 3.
  Questo splendido disco del 1953 mette il pianista Ellington nella luce migliore, in alcune sue composizioni pensate per il pianoforte in cui si dimostra discendente degli impressionisti (magari, come qualcuno osservò, tramite Delius) e in versioni di alcuni classici. Nota come la bizzarra Who Knows sia interamente scritta, prevedendo anche l’obbligato del contrabbasso all’ottava con la mano destra del pianista.

  Who Knows? (Ellington), da «Piano Reflections», Capitol C2-92863. Duke Ellington, piano; Wendell Marshall, contrabbasso; Butch Ballard, batteria. Registrato il 13 aprile 1953.



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mercoledì 1 febbraio 2012

Song for Sathima (Abdullah Ibrahim)

  È vero, questa te l’ho già fatta sentire due volte più o meno un anno fa. Pazienza, mi piace tanto, e comunque non faccio che restare fedele all’assunto del blog, che non è pedagogico né informativo ma si propone semplicemente di condividere un po’ delle cose che ascolto. OK?

  Song for Sathima (Abdullah Ibrahim), da «Water from an Ancient Well», ENJA/Tiptoe 888812 2. Dick Griffin, trombone; Carlos Ward, sax alto; Ricky Ford, sax tenore; Charles Davis, sax baritono; Abdullah Ibrahim, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Ben Riley, batteria. Registrato nell’ottobre 1985.



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