martedì 30 settembre 2014

Dinner for Two (Jasper van’t Hof)

 Jasper van’t Hof, il brillante olandese, è in un umore musicale diverso da quello che ci aveva mostrato la prima volta ch’era comparso qui sopra, un paio d’anni fa. Si tratta comunque di quella medesima sera, al Concertgebouw di Amsterdam.

 Dinner for Two (van’t Hof) da «At The Concertgebouw - Solo», Challenge CHR 70010. Jasper van’t Hof, piano. Registrato il 26 dicembre 1993.



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lunedì 29 settembre 2014

Calypso – The Star-Crossed Lovers (Kenny Barron)

  Kenny Barron nel suo primo disco di piano solo (1981) si diverte con lo scheletro di un calypso – dispettosamente, lo titola Calypso – , poi suona con sensibilità ed eloquenza The Star-Crossed Lovers di Billy Strayhorn, da «Such Sweet Thunder» di Duke Ellington. Voglio dirti, pour parler, che ho scelto invece di tralasciare due interpretazioni monkiane che in teoria avrebbero dovuto essere pezzi forti del disco, Misterioso e Rhythm-A-Ning, l’una perché senza carattere, l’altra perché macchinosa e spettacolare sopra tutto il resto; è più interessante e «sentito», invece, un contraffatto budpowelliano, Bud-Like appunto, che ti farò ascoltare un’altra volta; e se non me ne ricordassi, ricordamelo tu.

 Impossibile trovare in queste due esecuzioni qualcosa da criticare seriamente, anche a costo di fare quello che spacca il capello in quattro, parte che ha finito per stufarmi; difficile, forse, anche trovare qualcosa che si faccia ricordare, ma poco importa in questa mattina, perché Kenny Barron suona sempre bene, benissimo!, e la canzone di Strayhorn, soprattutto, è così bella che quasi quasi si suona da sola.

 Calypso (Barron) da «At The Piano», Xanadu 188. Kenny Barron, piano. Registrato il 13 febbraio 1981.



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 The Star-Crossed Lovers (Strayhorn), id.



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domenica 28 settembre 2014

What’s New – Mahjong (Linc Chamberland)

 Guarda, ti dico la verità: di questo chitarrista Linc Chamberland (1940-1987) io davvero non so una parola in più che ne dica la sua voce su Wikipedia, che peraltro si dilunga in technicalities che potranno interessare soprattutto i suoi colleghi di strumento (per esempio: in questo disco Chamberland suona una Gibson L-5 degli anni Sessanta; in precedenza aveva adoperato una Fender Telecaster così pesantemente contraffatta da risultare insuonabile a chiunque altro).

 Io non sono chitarrista, ma posso dirti che Chamberland era un virtuoso, dallo stile prevalentemente accordale ma capace di tratti single note mozzafiato, v. Mahjong, armonicamente astuto. La collaborazione con Dave Liebman, qui, è particolarmente riuscita.

 Se tu sapessi di Linc qualcos’altro, sentiti libero di istruire me e tutti nei commenti.

 What’s New (Haggart-Burke), da «A Place Within», Muse MR5064. Linc Chamberland, chitarra; Lyn Christie, contrabbasso; Bob Leonard, batteria. Registrato nel giugno 1976.



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 Mahjong (Chamberland), id. più David Liebman, sax tenore.



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sabato 27 settembre 2014

Klactoveededstene – The Blessing (Ornette Coleman & Paul Bley)

  Ornette Coleman, come sanno anche i cocker, apparve al mondo con il disco «Something Else!!!», registrato a Los Angeles per la Contemporary nel febbraio del 1958 (qui se n’è sentito, ed è comunque di quei dischi che bisogna conoscere). Con lui erano già il diòscuro Don Cherry e Billy Higgins alla batteria, ma il quintetto era completato da due musicisti più o meno occasionali – Walter Norris e Don Payne – che con il saxofonista non avrebbero lavorato mai più.

 Nell’ottobre del medesimo 1958, vigilia dell’anno che avrebbe visto deflagrare con conseguenze enormi la musica di Ornette a New York e il suo primo depositarsi su due dischi Atlantic nella formazione del classico quartetto («The Shape of Jazz To Come» e «Change Of The Century»), Ornette suonò due sere all’Hillcrest Club di LA: ingaggio procurato da Paul Bley, che provvide anche a registrare il tutto, maldestramente quasi tagliandosi fuori dalla gamma dell’udibile negli accompagnamenti.
Sotto nome di Bley, infatti, queste registrazioni videro postumissima la luce.

 Per la presenza del pianoforte, strumento per molti anni estraneo alla sua concezione, la situazione fu ancora, diciamo così, «di compromesso» per Ornette, così come lo fu la presenza di diversi standard nel repertorio della serata; a risarcimento di ciò, in primo luogo, Paul Bley era assai più avanzato del Norris di «Something Else!!!», e più consonante con la sensibilità di Ornette; in secondo luogo, i mesi trascorsi da quella prima registrazione avevano conferito ai musicisti, e al leader prima che a tutti gli altri, una coscienza di sé, un agio e un’audacia che quel primo disco non poteva rappresentare, perché in febbraio ancora non c’erano.

 Klactoveededstene è il classico del bebop ascoltato pochissimi giorni fa da Harold Land, e comprende anche degli interludi in unisono dei fiati, nonché una lunga e astratta cadenza di Bley; The Blessing è una composizione di Ornette struggente e bluesy sentita per la prima volta in «Something Else!!!». In confronto a quanto si sente qui, otto mesi dopo, quella di «Something Else!!!» è musica perfino un po’ esangue, incerta. Non è poi una grande esagerazione quella di chi ha paragonato queste precarie registrazioni dell’Hillcrest alla registrazioni effettuate quasi vent’anni prima alla Minton’s Playhouse e alla Clarke Monroe’s Uptown House da Jerry Newman. Ciò che nel febbraio del 1958 era ancora un’intuizione, una forma vaga dietro uno spesso velo, quella sera di ottobre a Los Angeles si rivelò con l’abbagliante evidenza del roveto che arde e non brucia: il free jazz era arrivato sul pianeta Terra.

 Klactoveededstene (Parker), da «Live At the Hillcrest Club 1958», Inner City IC1007. Don Cherry, cornetta; Ornette Coleman, sax altro; Paul Bley, piano; Charlie Haden, contrabbasso; Billy Higgins, batteria.Registrato nell’ottobre del 1958.



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 The Blessing (Coleman), id.



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venerdì 26 settembre 2014

All The Gin Is Gone – You Go To My Head (Jimmy Forrest)

 Come promesso un paio di settimane fa ciarlando al proposito di Bennie Green, ecco Jimmy Forrest (1920-1980), saxofonista tenore compatto, veloce e preciso come un buon peso medio (pare che fosse particolarmente apprezzato dal peso massimo Sonny Liston).

 Forrest, nato nel Missouri, veterano delle orchestre di Jay McShann, Andy Kirk e Duke Ellington, conobbe un grande successo personale con Night Train nel 1951. Aveva la qualità sonora e l’espressività un po’ greve dei tenori rhythm ’n’ blues degli anni Cinquanta, ma la moderna disinvoltura di fraseggio di un bopper di classe.

 Notevole il quartetto che lo accompagna: fra gli altri senti Grant Green all’esordio discografico, ed Elvin Jones.

 All The Gin Is Gone (Forrest), da «Black Forrest», Delmark DL-404. Jimmy Forrest, sax tenore; Harold Mabern, piano; Grant Green, chitarra; Gene Ramey, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 10 dicembre 1959.



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 You Go To My Head (Coots-Gillespie), id.



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giovedì 25 settembre 2014

I Love You – Lush Life (John Coltrane)

 Nel medesimo periodo in cui Sonny Rollins («A Night At the “Village Vanguard”») sperimentava con il trio senza pianoforte, Coltrane si trovava a sperimentare con un pianista lavativo  che non si presentava alla registrazione e quindi, alla fine, anche lui con un trio senza pianoforte. A parte questo, Earl May non era davvero Wilbur Ware.

 I Love You (Cole Porter), da «Lush Life», [Prestige] OJCCD-131-2. John Coltrane, sax tenore; Earl May, contrabbasso; Art Taylor, batteria. Registrato il 31 maggio 1957.



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 Lush Life (Strayhorn), ib; Coltrane con Donald Byrd, tromba; Red Garland, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Louis Hayes, batteria. Registrato il 16 agosto 1957.



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mercoledì 24 settembre 2014

Klactoveedsedstene – Ursula (Harold Land)

 Santa polenta, che jazz. La ritmica del quintetto di Cannonball Adderley fu colta da Orrin Keepnews a San Francisco nel 1960; il produttore della Jazzland (una specie di sussidiaria della Riverside) chiamò Wes Montgomery, che in quel periodo abitava a San Francisco, poi fece venire da Los Angeles Harold Land e Joe Gordon. Tutti costoro sono ampiamente rappresentati su Jazz nel pomeriggio, soprattutto Harold Land, uno dei miei sax tenore preferiti, e Joe Gordon, trombettista squisito e personalissimo, di immensa promessa, morto in giovane età nell’incendio di casa sua.

 Il disco, non serve dirlo, è una gioia e, come quello di Dexter Gordon di due giorni fa, è una riuscita inserzione di sensibilità East Coast in atmosfera West Coast.

 Klactoveedsedstene (Parker), da «West Coast Blues!», [Jazzland] OJCCD-146-2. Joe Gordon, tromba; Harold Land, sax tenore; Barry Harris, piano; Wes Montgomery, chitarra; Sam Jones, contrabbasso; Louis Hayes, batteria. Registrato nel maggio 1960.



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 Ursula (Land), id.



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martedì 23 settembre 2014

In Your Own Sweet Way – Pensativa (Gil Coggins)

 Gil Coggins (1924-2004), pianista newyorkese di origini indiane occidentali, è di quelli che entrarono nel jazz, si può dire, dalla porta principale, suonando e registrando per Blue Note e Prestige con Miles Davis e poi occasionalmente con Lester Young, Rollins, Coltrane, Jackie McLean (che fu suo studente) e diversi altri.

 Eppure nel 1954 si stufò della vita jazzistica, che per tanti versi è effettivamente terribile e tanto più lo era sessant'anni fa, e si mise a vendere case. Tornò a incidere come leader nel 1990, con questo «Gil’s Mood» in trio da cui ho scelto due canzoni che mi piacciono: In Your Own Sweet Way di Brubeck e Pensativa di Clare Fisher.

 Gil suona con gusto e spirito, ma non si può dire di lui quello che in circostanze simili si è potuto dire di altri, che «sembra che non abbia mai smesso di suonare»: si sente che aveva smesso per anni, invece: le dita non sono sempre leste a ubbidirgli, il discorso musicale non è sempre filante e in qualche momento i due accompagnatori devono fare lavoro di rammendo. Ma uno swing, magari non troppo disinvolto, un po’ vecchio stile, non manca, e insomma l’agente immobiliare si fa ascoltare con simpatia, che non è cosa che si possa dire tutti i giorni.

 In Your Own Sweet Way (Brubeck), da «Gil’s Mood», Venus Record TKCZ-79067. Gil Coggins, piano; Calvin Hill, contrabbasso; Leroy Williams, batteria. Registrato il 15 novembre 1990.



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 Pensativa (C. Fisher), id.



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lunedì 22 settembre 2014

Dolo – Field Day (Dexter Gordon)

 Io non sono mai riuscito a entusiasmarmi per Dexter Gordon, è una cosa che dico con ritegno e l’ho pure già detta diverse volte su Jazz nel pomeriggio. Non è per questo che io ne disconosca meriti e importanza: non sono solipsistico nei miei gusti.

 So inoltre che Dexter è viceversa graditissimo dalla maggior parte degli ascoltatori di Jnp ed è per mostrare loro riguardo, affetto e gratitudine a principio di settimana che oggi presento Dexter  nel 1960, in ottima forma e parco anche nelle citazioni, che sono limitate nel numero di una mezza dozzina a esecuzione. Disco prodotto a Los Angeles da Cannonball Adderley; al piano, e a provvedere buona parte del repertorio e degli arrangiamenti, si sente un musicista viceversa a me caro, per quanto non propriamente una celebrità, Dolo Coker, all’epoca un residente di Los Angeles, come il resto del cast, il cui membro più noto è il batterista Larance Marable, colonna del West Coast Jazz in decine di sedute del decennio precedente e per questo, anni dopo, voluto accanto a sé da Charlie Haden nella versione originale del Quartet West.

 La marea del c.d. West Coast jazz stava infatti nel 1960 finendo di ritirarsi, il jazz dell’Est (di New York) aveva ripreso carisma e attrazione e Gordon si sarebbe rilocato là almeno per un poco, prima di partire per l’Europa. Tuttavia questa seduta, specie nei temi e delle parti arrangiate, porta il sentore salso e arioso dell’Oceano Pacifico, che è pervasivo e irresistibile.

 Dolo (Dolo Coker), da «The Resurgence Of Dexter Gordon», [Jazzland] OJCCD-929-2. Dexter Gordon, sax tenore; Dolo Coker, piano; Charles Green, contrabbasso; Lawrence (Larance) Marable, batteria. Registrato il 13 ottobre 1960.



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 Field Day (Coker), ib. più Martin Banks, tromba; Richard Boone, trombone.



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domenica 21 settembre 2014

Antony And Cleopatra’s Theme – Action In Alexandria (Paul Gonsalves)

 Ti avvio la domenica, la prima d’autunno, con una squisita bizzarria di Paul Gonsalves, gigante del sax tenore e artista perfettamente rappresentativo di quello che sia, o sia stato, il jazz in America.

 Il «concept» imperniato su Cleopatra fu stimolato dalla polpettonica versione cinematografica che della faraona in quell’anno 1963 diede Joseph L. Mankiewicz, dico quella con con Liz Taylor. Antony And Cleopatra’s Theme viene da lì; Action in Alexandria è una composizione di Duke Ellington. La formazione del disco ne fa un kolossal in its own right.

 Antony And Cleopatra’ Theme (Alex North), da «Cleopatra’s Feelin’ Jazzy», Impulse! IMPL 8047. Paul Gonsalves, sax tenore; Dick Hyman, organo; Hank Jones, piano; Kenny Burrell, chitarra; George Duvivier, contrabbasso; Roy Haynes, batteria; Manny Albam, percussioni. Registrato il 21 maggio 1963.



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 Action In Alexandria (Ellington), id.



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sabato 20 settembre 2014

Music Matador – Ojos de Gato (Paul Bley)

 Ecco Paul Bley, il Bloomsday (16 giugno) di trentasette anni fa, ripreso a Como in un concerto a cui presero parte anche Lee Konitz, Bill Connors – i quali con lui, giusto una settimana prima, avevano inciso negli Stati Uniti un disco singolare – e Jimmy Giuffre, che aveva con sé anche un flauto basso. I quattro si produssero quella sera in varie combinazioni.

 In quegli anni le esibizioni di piano solo di Bley avevano qualcosa di mesmerizzante, o forse ero solo io che, avendo appena scoperto il jazz, ero in un stato stuporoso continuo. Music Matador è una composizione di Prince Lasha e Sonny Simmons; Ojos de Gato (nota anche come Olhos de Gato) è una splendida composizione di Carla Bley dai riflessi spagnoleggianti, dovuti all’insistenza sul modo frigio, dedicata a Gato Barbieri. Qui sopra la si è già sentita più di una volta, fra l’altro ancora in un piano solo di Bley.

 Gli anni Settanta furono per il jazz, come per tutte le altre musiche, anni strani e affascinanti, in particolare la seconda metà; quella sera d’estate a Como la musica aveva davvero qualcosa di eerie, di misterioso e inquietante. Su «Musica Jazz», ricordo bene, si meritò una recensione perplessa da Arrigo Polillo, che la giudicò «sfibrata» e anche peggio; del resto, il summentovato disco cooperativo di Bley-Konitz-Connors fu sulla stessa rivista giustiziato da Marcello Piras, che in quel tempo, giovanissimo, recensiva dischi e concerti con la baionetta fra i denti, ed era uno spettacolo. Particolare, e molto diversa da quella di oggi, in questo disco è la reazione degli ascoltatori, vivace e spontanea, anche un po’ inconsulta, molto caratteristica di quegli anni assai meno ingessati e stupidamente cool di oggi, quando ai concerti jazz tutti sembrano ascoltare con il sopracciglio alzato, senza per questo capirne più degli ascoltatori di una volta, anzi. Nostalgia canaglia.

 Io sento qui, inadulterato, il brodo di coltura di tanta musica dei decenni successivi, quella patrocinata dalla Ecm, certo (manca il contrabbasso, manca la batteria), ma anche altra di marca assai diversa. Comunque ci torneremo, intanto mi piacerebbe che dicessi la tua nei commenti, se mai l’avessi.

 Music Matador (Lasha-Simmons). Paul Bley, piano. Registrato al Teatro Sociale di Como il 16 giugno 1977.



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 Ojos de Gato (Carla Bley), id.



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venerdì 19 settembre 2014

Cool Blues – Shaw ’nuff – Relaxin’ At Camarillo (Clark Terry & Cecil Payne)

 Di quando in quando, poi, arriva un disco che non vuole tante parole. Persone come Clark Terry e Cecil Payne sono venute al mondo per parlare direttamente al cuore e alla fantasia delle altre persone attraverso i loro strumenti. Non hanno mai voluto fare altro e altro non hanno mai fatto, nel migliore dei modi.

 (Uno che parli dei grandi saxofonisti baritoni e non si dilunghi su Cecil Payne – che fu il primo a suonare il bebop sul baritono e a mio giudizio il più fluido e naturale fra tutti i baritonisti – , non è degno che gli si offra nemmeno una cedrata Tassoni).

 Cool Blues (Parker), da «Cool Blues», DJM DJSLM 2032. Clark Terry, tromba; Cecil Payne, sax baritono; Duke Jordan, piano; Ron Carter, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato nel 1961.



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 Shaw ’nuff (Parker), id.



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Relaxin’ At Camarillo (Paker), id.



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giovedì 18 settembre 2014

Alfie – Mira (Arild Andersen, Tommy Smith, Paolo Vinaccia)

 Ad attirare la mia attenzione su questo recente disco è stata la presenza, insolita in una pubblicazione Ecm, di Alfie, canzone che Burt Bacharach scrisse come traino per il film di Lewis Gilbert con Michael Caine (1966) e che divenne subito uno standard (nel film, la cui incidental music è fornita da un quartetto inglese di Sonny Rollins, la si sente sotto i titoli di coda, cantata da Cher; nel disco che uscì prima del film era cantata dall’inglese Cilla Black).

 In trio senza pianoforte, e registrata à la Ecm, Alfie suona un po’ diversa da come siamo abituati, ma sempre bella, perché Tommy Smith, il multiforme musicista scozzese (chissà se più tardi, quest’oggi stesso, potremo ancora dirlo «britannico»), è un saxofonista coi fiocchi, e certo sa il fatto suo anche il norvegese Arild Andersen, uno dei migliori bassisti d’Europa.

 Di Paolo Vinaccia non ho la minima ragione di pensare che sia da meno degli altri due: il fatto è che il suo già sparuto e delicatissimo contributo si sente così lontano, ma così lontano, che l’apprezzamento è quasi tutto sulla fiducia.

 To round things up, una composizione in tre quarti di Andersen, questa sì in mood Ecm; mood che, in dosi farmaceutiche, ministratemi da musicisti di classe, so apprezzare.

 Alfie (Bacharach), da «Mira», Ecm 2307. Tommy Smith, sax tenore; Arild Andersen, contrabbasso; Paolo Vinaccia, batteria. Registrato nel dicembre 2012.



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 Mira (Andersen), id.



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mercoledì 17 settembre 2014

Booker’s Blues – Hazy Hues (Booker Little)

 È Booker Little, io credo, il musicista sul quale mi sono più avventurato in termini di vocabolario emotivo, un registro che di norma di maneggio occhiutamente; non ho dunque molto da aggiungere  a questo Booker’s Blues, perché leggendo quanto già  ho scritto di questo musicista angelico (puoi ricorrere alla «nuvola» qui a destra) immaginerai che altro ne potrei dire. Il blues è un tema bipartito AB, con A un giro di blues in minore di 12 battute, e B una release di otto. Gli obbligati iniziale e finale adoperano i voicing caratteristici degli ultimi dischi di Booker Little (e questo è proprio l’ultimo). Spazio per distinguersi ha Don Friedman.

 Hazy Hues (da «Out Front», disco che precede l’altro di pochissimi mesi) è di quelle composizioni-esecuzioni di Booker che, per l’atmosfera insondabile, tesa fra estasi e annichilazione, non trovano paragoni nel jazz contemporaneo o successivo, e pochi nella musica in genere.

 Booker’s Blues (Little), da «Victory And Sorrow», Betlehem BCP-6034. Booker Little, tromba; Julian Priester, trombone; George Coleman, sax tenore; Don Friedman, piano; Reggie Workman, contrabbasso; Pete LaRoca, batteria. Registrato nell’agosto o settembre 1961.



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 Hazy Hues (Little), da «Out Front», Candid CJM 8027. Booker Little, tromba; Eric Dolphy, sax alto; Julian Priester, trombone; Don Friedman, piano; Ron Carter, contrabbasso; Max Roach, batteria, timpani. Registrato il 4 aprile 1961.



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martedì 16 settembre 2014

Once I Loved – El Hombre (Pat Martino)

 Ecco Pat Martino, ventiduenne, al suo esordio discografico sotto proprio nome.

 Nota la presenza rassicurante all’organo di Trudy Pitt, la magnifica musicista e didatta di Filadelfia che era stata uno dei primi bandleader di Martino, se non il primo, e che anche in ruolo di supporto lascia il segno evidente della sua classe. Il classico organ trio è aumentato qui da due percussionisti (e talvolta da un flauto) ed è sbilanciato per una volta a favore della chitarra.

 Once I Loved (O Amor Em Paz) (Gilbert-Jobim-de Moraes), da «El Hombre», Prestige PR 7513. Pat Martino, chitarra; Trudy Pitts, organo; Mitch Fine, batteria; Vance Anderson, bongos; Abdu Johnson, congas. Registrato il primo maggio 1967.



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 El Hombre (Martino), id. più Danny Turner, flauto.



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lunedì 15 settembre 2014

Toucouleur – Third Line And The Cape Town Shuffle (Ernest Dawkins & The New Horizons Ensemble).

 Ernest Dawkins (1953) è un saxofonista di Chicago uscito dall’AACM, noto nell’ultima quindicina d’anni soprattutto come leader di questo New Horizons Ensemble.

 È un solista vivace che ricorda, più che altri colleghi chicagoani, Archie Shepp e Sam Rivers (senza esprimersi ai livelli di quei due). La musica del NHE, colorita ed energica, si definirebbe convenzionalmente  «fra post-bop e free», e qui, ripresa dal vivo, omaggia l’Africa e Il jazz africano. Impressionante e suggestiva, in Third Line, la riproduzione quasi filologica che il trombettista Ameen Muhammad dà di un sermone del genere che si ascolterebbe in una chiesa nera battista del Sud degli Stati Uniti.

 Toucoleur (Dawkins), da «Cape Town Shuffle», Delmark DG-545. Ernest Khabeer Dawkins, sax tenore; Ameen Muhammad, tromba; Steve Berry, trombone; Darius Savage, contrabbasso; Avreeayl Ra, batteria. Registrato il 25 febbraio 2003.



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 Third Line And The Cape Town Shuffle (Dawkins), id.



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domenica 14 settembre 2014

She Walks In Beauty – What’s That (Mal Waldron & Gary Peacock)

 Ecco Mal Waldron e Gary Peacock nel loro primo incontro, come buccinato dal titolo del disco (del 1971). Non so che ve ne siano stati altri; consegnati al disco, almeno, non mi pare.

 Il quale disco contiene quattro piuttosto lunghe esecuzioni, tre temi molto caratteristici di Mal Waldron e uno di Peacock. Nella musica di Waldron, Peacock s’inserisce con superiore abilità – ci mancherebbe – , ma con affinità, non direi: del resto le composizioni di Waldron, armonicamente uniformi, con uso prevalente di pedali e di ostinati ritmici, non saranno il terreno ideale di nessun bassista per mettersi in luce. Il fatto poi che anche l’unico tema di Peacock sembri… un tema di Mal Waldron, fa capire come questo incontro fosse in primo luogo «un disco di Mal Waldron», artista che in Giappone, dove il disco fu registrato, è stato sempre popolarissimo.

 She Walks In Beauty (Waldron), da «First Encounter», Catalyst CAT-7906. Mal Waldron, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Hiroshi Murakami, batteria. Registrato l’8 marzo 1971.



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 What’s That (Peacock), id.



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sabato 13 settembre 2014

Mystical Lady – Hall of Jazz (Shirley Scott)

Saturday morning, light fare. Fra anni Sessanta e Settanta fu epoca, fra tanto altro, di spiritual jazz, di cui qui sopra mi piace ogni tanto presentarti delle istanze di disuguale valore: appena qualche giorno fa abbiamo ascoltato Alice Coltrane in un complesso che aveva «mystical» nel nome.

 In quel decennio e nelle sue propaggini, l’allusione a un misticismo d’Oriente, più spesso che no di dubbia origine,  non lasciò intatto il jazz e personaggi legati a tutt’altri suoni, come Shirley Scott, organista a noi molto cara e associata piuttosto a un elegante soul jazz, in ispecie in compagnia di sax tenori quali Eddie Lockjaw Davis e Stanley Turrentine, il quale ultimo le fu marito (famosi, e paventati dai sidemen, i loro diverbi in scena).

 Ora, l’organo Hammond è l’ultimo strumento che, per la greve materialità del suo suono e per l’articolazione percussiva, si lascerebbe attenuare dai fumi dell’incenso, benché ci abbiano provato in tanti (qui, cercando nella nuvola a destra, troverai Larry Young e il turbantato Dr Lonnie Smith). Questo disco del 1971 non prova seriamente a nascondere la sua intenzione commerciale, non sarebbe bastato l’attire indiano che pure, in copertina, non disdice alla Shirley. Gli è che la tracklist parla chiaro: canzoni dei Beatles, di John Fogerty, di Elton John, dove Shirley canta anche, senza troppa convinzione.

 Facendomi strada col machete fra un po’ di robaccia, ti ho rimediato due composizioni della titolare, una un po’ sdilinquita nel senso che dicevamo, l’altra prossima alla sua ispirazione più genuina e dunque più interessante. Di alto livello i comprimari.

 Mystical Lady (Scott), da «Mystical Lady», Cadet CA 50009. Pee Wee Ellis, sax tenore; Shirley Scott, organo; George Freeman, chitarra; Richard Davis, contrabbasso; Freddie Waits, batteria. Registrato nel 1971.



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 Hall of Jazz (Scott-Hall), ib. Scott; Danny Turner, sax tenore; Wally Richardson, chitarra; Ron Carter, contrabbasso; Bobby Durham, batteria.



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venerdì 12 settembre 2014

Solidão – Não è Desgraça Ser Pobre – Coimbra (Amalia Rodrigues & Don Byas)

 Non fu oziosa come potrebbe sembrare l’idea di aggiungere a un complesso di tipica strumentazione fado il sax tenore di Don Byas, perché accompagnasse Amalia Rodrigues, la classica interprete di quella musica tradizionale portoghese. Amalia, il fado e Don erano accomunati da un’espressione (per intenderci) melodrammatica, da un pathos melodico pronunciato che qui si esprime compiutamente in dodici composizioni molto caratteristiche. Don non era più da un pezzo in his prime, ma in un ruolo tutto sommato di comprimario fa un’ottima figura, fra l’altro spesso in piccante contrasto d’intonazione, o di temperamento, con le chitarre. Una delle tre chitarre in formazione è la chitarra portoghese, la cui cassa ha forma «a pera», fondo piatto e corde di metallo.

 Le note del disco non chiariscono quando sia stato inciso; uscì nel 1973, Don Byas morto da un anno, quindi ritengo probabile che la registrazione sia avvenuta poco prima. Ricordo che un disco di fusion fado-jazz lo fece una quindicina d’anni fa il pianista italiano Arrigo Cappelletti, anche lui con tutti musicisti e cantanti portoghesi. Forse te ne farò sentire qualcosa, ma forse anche no.

 Solidão (Brito-Trindade-Ferreira), da «Encontro - Amalia & Don Byas», Columbia 7 90874 2. Amalia Rodrigues con Don Byas, sax tenore; Fontes Rocha, Carlos Gonçalves, Pedro Leal, chitarra e chitarra portoghese; Joel Pina, contrabbasso. Registrato prob. nel 1972.



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 Não è Desgraça Ser Pobre (José Alfredo Santos Moreira-Norberto de Araújo), id.



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 Coimbra (José Galhardo-Armando Vieira Pinto), id.



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giovedì 11 settembre 2014

Hallucinogen – Specific Gravity One (Mike Nock)

 Ecco una bella seduta di jazz avanzato dei tardi Sessanta, non free – strano per l’etichetta di Paul Bley – ma un post bop evidentemente cògnito del free, col quale i confini sono incerti nel primo pezzo in trio che qui ti presento.

 I componenti del quartetto sono tutti comparsi più volte su Jazz nel pomeriggio, tranne proprio il titolare del disco, Mike Nock (1940), pianista e compositore australiano di nascita neozelandese. Nock è stato lungo attivo negli USA in ambito soprattutto fusion con il suo complesso Fourth Way, ma per qualche anno fu pianista di Yusef Lateef (lo si sente in «Live at Pep’s») nonché collaboratore occasionale di Booker Ervin, Stanley Turrentine, John Handy e attivo sulla scena della musica elettronica.

 Hallucinogen (Nock), da «Almanac», I.A.I. Mike Nock, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Eddie Marshall, batteria. Registrato nel 1967.



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 Specific Gravity One (Nock), ib. più Bennie Maupin, flauto.



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mercoledì 10 settembre 2014

Solitude – Cool Struttin’ (Bennie Green)

 Il suono ampio e cordiale del trombone di Bennie Green, musicista sulle cui qualità di swing e di blues feeling nessuno vorrà obiettare (v. la conversazione nei commenti al post del 7 settembre), ricorre non spesso ma regolarmente su Jazz nel pomeriggio, perché Green è uno dei miei trombonisti preferiti, che fra anni Cinquanta e Sessanta ha fatto dei dischi che non mi stanco mai di ascoltare.

 Anche questo sestetto del 1960 è bellissimo, con Sonny Clark e un importante tenorista che temo non si sia ancora mai sentito da queste parti, Jimmy Forrest, un complemento ideale in front line al trombone del leader. Su Forrest tornerò presto.

 Solitude (Ellington), da «Bennie Green», (Time Records) Bainbridge BCD1046. Bennie Green, trombone; Jimmy Forrest, sax tenore; Sonny Clark, piano; George Tucker, contrabbasso; Al Drears, batteria; Joe Gorgas, congas. Registrato il 27 settembre 1960.




 It’ Time (aka Cool Struttin’) (Sonny Clark), id.



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martedì 9 settembre 2014

Weird Nightmare – Peggy’s Blue Skylight (Kenny Drew Jr.)

 «Più un Lied che una convenzionale ballad»: così Stefano Zenni ha caratterizzato Weird Nightmare, una composizione del 1946 che Mingus avrebbe riproposto più di una volta negli anni successivi, anche con titoli diversi.

 Kenny Drew Jr., il bravissimo pianista appena resosi defunto, la suona come si conviene alla natura cupa e armonicamente densa del pezzo. Poi, in trio, sempre di Mingus, Peggy’s Blue Skylight, nella tonalità che sempre lo Zenni identifica come propria alle elaborazioni più «autobiografiche» di Mingus, il re bemolle. Un’esecuzione brillante.

 Weird Nightmare (Mingus), da «Portraits of Mingus and Monk», Claves Jazz. Kenny Drew Jr., piano. Registrato nel giugno 1994.



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 Peggy’s Blue Skylight (Mingus), ib. Drew più Lynn Seaton, contrabbasso; Marvin «Smitty» Smith, batteria.



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lunedì 8 settembre 2014

Ohnedaruth (Alice Coltrane)

 Alice McLeod Coltrane nel 1968. È il primo disco a suo nome.

 Sembrerà strano ma un titolo come Ohnedaruth (sanscr., «compassione») è stato assegnato a diverse composizioni jazzistiche: una dell’Art Ensemble of Chicago, una di Ethan Iverson per il quartetto di Billy Hart, sentita qui sopra, e questa. «Spiritual jazz» al suo più tipico e più genuino in omaggio a John Coltrane, morto l’anno prima. Si tratta nei fatti dell’ultimo complesso di quel grande, con un secondo batterista (Ben Riley).

 Ohnedaruth (A. Coltrane), da «A Monastic Trio», Impulse! AS 9156. Pharoah Sanders, sax tenore; Alice Coltrane, piano; Jimmy Garrison, contrabbasso; Rashied Ali, Ben Riley, batteria. Registrato il 29 gennaio 1968.



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domenica 7 settembre 2014

Reflections (Anthony Braxton)

 Reflections è una delle composizioni più astratte e distese di Monk, sicuramente una delle più belle. Ed è bello che Anthony Braxton, in questa seduta milanese degli anni Ottanta, vi applichi il suo suono e il suo fraseggio che molti accusano di essere poco idiomatici e poco swinganti. In tutto il disco, invece, Braxton si rivela un interprete esperto e personale della musica di Monk; soprattutto, un interprete affine.

 Succede così, grazie anche alla collaborazione della ritmica, che questa sia una versione preziosa di Reflections. Nel suo assolo, Mal Waldron riesce a essere in una convincentemente monkiano e pienamente Mal Waldron.

 Reflections (Monk), da «Six Monk’s Compositions (1987)», Black Saint 120116-2. Anthony Braxton, sax alto; Mal Waldron, piano; Buell Neidlinger, contrabbasso; Bill Osborne, batteria. Registrato il 30 giugno 1987.



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sabato 6 settembre 2014

Picture In The Reflection Of A Golden Horn (Sonny Rollins)

 Sonny Rollins in un suo disco ritenuto deforme ma che a me piace molto, anzi, ci sono proprio affezionato. Il secondo sax tenore che si comincia a sentire verso 02:40 è sempre Sonny.

 Picture In The Reflection Of A Golden Horn (Rollins), da «Horn Culture», Milestone M-0951. Sonny Rollins, sax tenore; Masuo, chitarra; Walter Davis Jr., piano; Bob Cranshaw, basso elettrico; David Lee, batteria. Mtume, percussioni. Registrato nel 1973.



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venerdì 5 settembre 2014

Sweet Lorraine – China Boy (Sidney Bechet)

 Oggi ti rammento una semplice verità e la rammento a me stesso: per capire il jazz, non negligere il Sidney Bechet. In una front line, era l’unico che Louis Armstrong non si permettesse (non poteva!) di guardare dall’alto in basso.

 Qui, nel 1940 con l’ottimo Muggsy Spanier, Bechet è voce guida in questo singolare quartetto senza pianoforte, e non ha nemmeno bisogno di forzare.

 Sweet Lorraine (Burwell-Parish-Vallee), da «A Tribute To Sidney Bechet», Ember FA 2009. Muggsy Spanier, cornetta; Sidney Bechet, sax soprano; Carmen Mastren, chitarra; Wellman Braud, contrabbasso. Registrato il 28 marzo 1940.



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 China Boy (Winfree), id.



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giovedì 4 settembre 2014

The Peacocks – As Long As There’s Music – Spring Is Here (Fred Hersch)

 Oggi ci soffermiamo in compagnia di Fred Hersch, un grande pianista che, mi è stato fatto osservare, Jazz nel pomeriggio ha trascurato (però ormai avrai capito che Jnp non è soggetto a un «piano editoriale» né tanto meno, D*o liberi, a un intento didattico).

 Spring Is Here e in misura minore The Peacocks sono due canzoni legate a Bill Evans, pianista che ha ispirato Hersch come legioni di altri, ma il cui linguaggio Hersch ha integrato nel proprio in modo insolitamente personale. In particolare osserva come l’improvvisazione di Hersch in Peacocks mantenga, espandendola in maniera per dir così frattale, il disegno spiraliforme, a gorgo, dell’incantevole e desolata melodia di Jimmy Rowles, peraltro esposta con rilievo e freschezza meravigliosi.

 In questo trio del 1995 (completato per un obbligato iniziale e finale in As Long da due session men di lusso) Fred è accompagnato da Drew Gress e Tom Rainey, nomi legati, il secondo soprattutto, a temperie più avanzate, qui musicalissimi e idiomatici.

 The Peacocks (Rowles), da «Point In Time», Enja ENJ 9035 2. Fred Hersch, piano; Drew Gress, contrabbasso; Tom Rainey, batteria. Registrato nel marzo 1995.



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 As Long As There’s Music (Cahn-Styne), id.



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 Spring Is Here (Rodgers-Hart), id., più Dave Douglas, tromba; Rich Perry, sax tenore.



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mercoledì 3 settembre 2014

[Guest Post #52] Riccardo Facchi & Rob McConnell

 Rob Mc Connell fa parte di quella categoria di jazzisti che gode di grande considerazione tra i musicisti (il primo a farmelo conoscere fu per caso Gabriele Comeglio circa una quindicina di anni fa) e inspiegabile scarsa conoscenza nella gran parte del pubblico degli appassionati, forse perché bollabile per essere considerato in quella pletora di jazzisti da mettere superficialmente nel calderone del mainstream, più o meno tradizionale o modern. Di fatto, si tratta di un formidabile bandleader, arrangiatore, eccellente strumentista di trombone a pistoni (non di molto inferiore ad un altro grande, spesso immeritatamente trascurato, come Bob Brookmeyer), oltre che stimato didatta.

 Canadese, nato a London nell’Ontario nel 1935 e scomparso nel 2010, ha iniziato la carriera professionale nei primi anni ’50, fondando nel 1968 la «Boss Brass Band», caratterizzata dalla presenza di una folta sezione ottoni, composta da trombe, tromboni e corni francesi. Inizialmente priva peculiarmente di sezione ance, la formazione si estese nel 1970 a 22 elementi, con l’aggiunta dei saxofoni e di una quinta tromba.

 Il brano della sua orchestra che vi propongo è Just Friends tratto dal premiato album «Big Band Jazz» del 1978 ed è dimostrativo della sua arte di dotato arrangiatore e di notevolissimo solista.
L’orchestra, pur non essendo composta da nomi noti (con eccezione forse della sezione ritmica comprendente Ed Bickert alla chitarra e Terry Clarke alla batteria), ha un sound molto compatto, peculiare e preciso. Il brano è una esplosione di swing sia nelle brillanti parti scritte che nelle parti solistiche con particolare menzione per il primo solo di Mc Connell, davvero eccellente.
Musica per big band di assoluto livello, certo non innovativa, ma di gran gusto e piacevolissima fruizione.

 Just Friends (Klenner-Lewis), da «Big Band Jazz», Umbrella (2) ‎– UMB-DD4. Rob McConnell And The Boss Brass: Arnie Chycoski, Erich Traugott, Bruce Cassidy, Guido Basso, tromba; Dave McMurdo, Ron Hughes, Bob Livingston, Ian McDougall, trombone; Brad Warnaar, George Stimpson, corno; Moe Koffman, Jerry Toth, sax alto; Eugene Amaro, Rick Wilkins, sax tenore; Gary Morgan, sax baritono; Jimmy Dale, piano; Ed Bickert, chitarra; Don Thompson, contrabbasso; Terry Clarke, batteria; Marty Morell, percussioni. Registrato nel 1977.



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martedì 2 settembre 2014

Kids Know (Sonny Rollins)

 In questo valzerino, la tua attenzione la vorrei appuntata sull’asse Sonny Rollins-Max Roach. Non tutta: tieni posto per Kenny Dorham e magari anche per il pensoso Wade Legge, un pianista (ex-bassista) che suonò e registrò anche con Gillespie, Mingus («The Clown»), Milt Jackson e altri prima di morire a ventinove anni nel 1963.

 Kids Know (Rollins), da «Rollins Plays For Bird»,  Prestige 00025218621427. Kenny Dorham, tromba; Sonny Rollins, sax tenore; Wade Legge, piano; George Morrow, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 5 ottobre 1956.



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lunedì 1 settembre 2014

The Opening Interlude. Shovels, The Survivors, Grave Train – Interlude. Lament, Intermission Music (Carla Bley & Gary Burton)

 Su alcuni musicisti, ma anche su argomenti di altra natura, mi ripeto come un disco rotto. Te ne sarai bene accorto o accorta tu che da anni segui il Jazz nel pomeriggio con sedulità degna di cause migliori.

 Ricorderai allora che per Carla Bley in quanto caporchestra io nutro un’ammirazione perplessa: ammirazione per le evidenti qualità della Carla, mentre la perplessità (non grave) risale alla natura del suo umorismo. Io del resto condivido il dubbio di quel tale, does humor belong in music? Insomma, regolarmente, ascoltando le sue orchestre, mi sono domandato se la Bley «ce sia» o «ce faccia». Sia chiaro che riconosco questo come un problema tutto mio, non della Bley.

 Di certo posso dire che Carla Bley non è affatto, ma nemmeno un po’, la musicista istintiva e fondamentalmente naïve, nonché un po’ oca, che le sue interviste vorrebbero far intendere; sono certo doversi trattare di una tattica per non rispondere a domande che ritiene stupide, quasi sempre con buona ragione.

 Questo disco la mostra collaborare con Gary Burton: lui lo apprezzo perché, pur essendo un solista consumatissimo e originale, sa sempre mettersi al servizio della composizione. Le composizioni della Bley, in barba al titolo della suite e del disco, sono indenni da cineserie da gift shop e al quartetto di Burton – da solo nel secondo pezzo – affiancano un sestetto di star, prime fra tutte Steve Lacy e Gato Barbieri. Si tratta del primo lavoro esteso dalla Bley affidato al disco, nel 1967.

 The Opening Interlude. Shovels, The Survivors, Grave Train (Bley), da «A Genuine Tong Funeral», RCA/Bmg 74321192552. The Gary Burton Quartet With Orchestra: Gary Burton, vibrafono; Larry Coryell, chitarra; Steve Swallow, contrabbasso; «Lonesome Dragon» (Bob Moses), batteria. Mike Mantler, tromba; Jimmy Knepper, trombone, trombone basso; Howard Johnson, tuba, sax baritono; Steve Lacy, sax soprano; Gato Barbieri, sax tenore; Carla Bley, piano, organo. Registrato nel luglio 1967.



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 Interlude. Lament, Intermission Music (Bley), ib. Solo il Quartetto Gary Burton.



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