mercoledì 11 gennaio 2023

Summertime – Lowland-ism – Catwalk (Bennie Green)

 Nel 1927 James Weldon Johnson (1871-1938) pubblicò una raccolta di poesie intitolata God’s Trombones: Seven Negro Sermons in Verse, ispirata all’oratoria sacra afroamericana. 

 La dice lunga che il poeta scegliesse il trombone come voce vicaria della spiritualità cristiana degli africani negli Stati Uniti. Questo strumento, che il jazz ha reinventato come tutti quelli che ha fatto suoi, esprime una qualità vocale e, appunto, oratoria, tipicamente afroamericana, soprattutto nei trombonisti del jazz premoderno e, fra i moderni, in uno stilista straordinario come Bennie Green, che ti ho presentato diverse volte su Jazz nel pomeriggio

 Green, nato a Chicago nel 1923, morto nel 1977, fece parte della leggendaria orchestra di Earl Hines che comprendeva Parker, Gillespie, Billy Eckstine e Sarah Vaughan e suonò poi e registrò con i grossi calibri del jazz moderno, ma il suo bello è che non venne mai meno alla sonorità e a quell’approccio caratteristico del trombone classico; somiglia pochissimo, per intenderci, a J. J. Johnson.

 Non esagera in fondo Bill Coss, autore delle liner notes di questo bellissimo disco del 1960, quando scrive che «nel trombone di Bennie Green risiede il cuore del retaggio jazzistico»Il disco ci mostra nella luce migliore anche Jimmy Forrest, tenorista con la qualità sonora e l’espressività un po’ greve dei tenori r’n’b degli anni Cinquanta ma la disinvoltura di fraseggio di un bopper di classe.

 Summertime (Heyward-Gershwin-Gershwin), da «Hornful of Soul». Bethlehem. Bennie Green, trombone; Jimmy Forrest, sax tenore; Archie Hall, organo; Wyatt Ruther, contrabbasso; Art Taylor, batteria; Tommy Lopez, conga. Registrato nel dicembre 1960.

 Lowland-ism (Babs Gonzales), ib.; c.s. più Lem Davis, sax altro; Mal Waldron, piano, al posto di Hall.

 Catwalk (Waldron), id.

martedì 10 gennaio 2023

Angel – Little Wing (Gil Evans)

 Non so se a tutti i frequentatori dei social media, segnatamente Facebook, sia capitato come a me in questi giorni di vedere una quantità di post su Jimi Hendrix. Io mi ero per questo persuaso dovesse ricorrere qualche anniversario relativo al chitarrista, che però era nato in novembre e morto in settembre. Boh.

 Comunque qui abbiamo il famoso disco del 1975 nel quale Gil Evans interpreta canzoni di Hendrix, con qualche anno di ritardo su un progettato incontro discografico dei due. La natura non jazzistica del repertorio non incide sull’impegno profuso da Evans nelle partiture, che sono, pur in consonanza con lo spirito degli originali e nell’uso di strumenti e ritmiche rock, ancora distintamente evansiane: parlo di impegno perché nei successivi incontri di Gil Evans con un musicista di quell’ambito, cioè Sting, a me Evans è parso rinunciatario e non veramente coinvolto; ebbi quest’impressione anche ascoltando i due in persona a Umbria Jazz, sullo scorcio finale degli anni Ottanta.

 Little Wing qui è presente in una versione diversa e meno concisa (o almeno mi sembra così: non ho al momento modo di controllare) di quella che compare in un altro disco di Evans del periodo, «There Comes A Time». A cantare è sempre Hannibal Peterson.

 Angel (Hendrix), da «Plays the Music of Jimi Hendrix», RCA. «Hannibal» Marvin C. Peterson, Lew Soloff, tromba; Tom Malone, trombone, sintetizzatore, flauto, basso; Peter Gordon, corno francese; Howard Johnson, clarinetto basso; David Sanborn, sax alto; Billy Harper, sax tenore; Trevor Koehler, sax tenore, flauto; David Horowitz, piano elettrico, sintetizzatore; Peter Levin, sintetizzatore; John Abercrombie, Keith Loving, Ryo Kawasaki, chitarra; Michael Moore, Don Pate, basso: Warren Smith, campane, percussioni, vibrafono; Bruce Ditmas, batteria; Susan Evans, conga, batteria. Registrato nel giugno 1974.

 Little Wing (Hendrix), ib.; Peterson, Soloff, Ernie Royal, tromba, flicorno; Tom Malone, Joe Daley, trombone; Peter Gordon, John Clark, corno francese; David Sanborn, sax alto, soprano, flauto; George Adams, sax tenore; Howard Johnson, sax baritono, clarinetto basso, tuba; Bob Stewart, tuba; David Horowitz, sintetizzatore, organo; Ryo Kawasaki, chitarra; Paul Metzke, basso elettrico, sintetizzatore, koto; Herb Bushler, basso elettrico; Bruce Ditmas, tabla, cuica, percussioni; Joe Gallivan, drum synthesizer, campane; Warren Smith, marimba, campane, gong, vibrafono, tamburo intonato; Sue Williams, percussioni; Tony Williams, batteria. Stessa data.

sabato 7 gennaio 2023

April in Paris (Thad Jones)

 Thad Jones è ricordato più per i suoi meriti di arrangiatore e bandleader che per quelli di trombettista (e cornettista), eppure era uno strumentista eccelso – per Mingus, il migliore che avesse mai sentito sullo strumento – e immediatamente riconoscibile per il suono aperto e il fraseggio ricercato.

  In questa April In Paris (lenta, quasi cauta e stupita, come anche gli altri pezzi del disco) Thad apre il suo assolo citando la canzone popolare Pop, Goes The Weasel, proprio come aveva fatto nell’esecuzione famosa di Count Basie a cui aveva preso parte quello stesso anno. Osserva Bob Blumenthal nelle note alla riedizione del disco: «Questa versione di April in Paris fa pensare che Jones avesse prestato attenzione alle sospensioni accordali così come Miles Davis cominciava ad adoperarle nel suo primo grande quintetto, un approccio che aveva interessato particolarmente Davis quando l’aveva sentito nel trio di Ahmad Jamal».

 April In Paris (Duke-Harburg), da «The Magnificent Thad Jones», Blue NOte 0946 3 92768 0. Thad Jones, tromba; Billy Mitchell, sax tenore; Barry Harris, piano; Percy Heath, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 14 luglio 1956.

venerdì 6 gennaio 2023

Good Gravy – The Cellar Dweller – Avalon (Teddy Edwards)

 Ci fu vita sulla West Coast, intendo, fra i musicisti che avevano animato il West Coast jazz, anche dopo il tramonto del West Coast jazz vero e proprio, che a ben vedere durò ben poco, grosso modo dal 1952, anno delle prime incisioni del quartetto Mulligan-Baker, al 1956-57.

 Teddy Edwards, di cui su Jazz nel pomeriggio ho parlato diverse volte, era un californiano che per la verità con il West Coast in quanto stile ebbe poco a che vedere. Era un affascinante, personale sax tenore ma anche un arrangiatore e compositore di talento e mestiere, teste questa session del 1960 che ci permette anche di ascoltare quell’altro eccentrico di Jimmy Woods, un artista interessantissimo che non diede più notizia di sé dopo il 1966.

 Se da una parte i pezzi di questo disco richiamano, anche per il tipo di formazione e per il repertorio scelto, il West Coast «di scuola», dall’altra hanno un’edge, un’urgenza sonora ed espressiva, una franchezza ritmica che dimostrano che i tempi erano cambiati.

 Good Gravy (Edwards), da «Back To Avalon», Contemporary CCD-14074-2. Nathaniel Mees, tromba; Lester Robertson, trombone; Jimmy Woods, sax alto; Teddy Edwards, sax tenore; Modesto Brisenio, sax baritono; Danny Horton, piano; Rogers Alderson, contrabbasso; Larance Marable, batteria. Registrato nel dicembre 1960.

 The Cellar Dweller (Edwards), id.

 Avalon (Jolson-De Silva-Rose) (take 1), id.

giovedì 5 gennaio 2023

But Not For Me – Dream Of Monk (Fred Hersch & esperanza spalding)

 Mi fa dispiacere, ed è la seconda volta in poco tempo, non poter dire bene di un disco di Fred Hersch, che tanto ammiro come musicista e, anche se non lo conosco, come persona.

 La primavera scorsa si era trattato del disco con il quartetto d’archi; ora di un duetto d’imminente uscita, live at the Village Vanguard, con la cantante esperanza spalding (le iniziali minuscole, come per e.e. cummings, sono requisito dell’artista stessa).

 Non mi è di grande sollievo il fatto che stavolta l’insuccesso del lavoro non sia da attribuire a Hersch, che vi suona bene, ma alla spalding, della quale potrei dire molto ma decido invece di non dire niente, da tanto la sua prestazione mi è sembrata orribile sotto tutti i punti di vista. 

 Per giunta, la ripresa dal vivo non ci risparmia il banter della cantante con il pubblico: non che spiritoso o disinvolto, imbarazzante. Al proposito meriterà che riporti dalla press release* questa chiosa alla molto scadente versione di Girl Talk che qui si ascolta: «Il motivetto maschilista (chauvinistic) di Neal Hefti e Bobby Troup è sottoposto qui a un caustico esame da una prospettiva non soltanto femminista, ma anche eco-consapevole».

 L’omaggio a Monk è una composizione di Hersch francamente insulsa, frammenti monkiani o pseudo-tali contesti fra loro, con dei versi in tutto adeguati.

* Dove un tempo avevamo le liner notes, infatti, oggi abbiamo le press release; dove un tempo i critici o, nei casi sfortunati, i giornalisti musicali, oggi i PR people.

 But Not For Me (G.& I. Gershwin), da «Alive At The Village Vanguard», Palmetto. esperanza spalding con Fred Hersch, piano. Registrato nell’ottobre 2018.

 Dream Of Monk (Hersch), id.

mercoledì 4 gennaio 2023

Milano (The Jazztet)

 John Lewis nel 1956 dedicò a Milano questa ballad di caratteristica ispirazione melodica; si contiene nell’LP «Django» del MJQ. Lewis avrebbe avuto a che fare direttamente con Milano ancora nel 1962, quando provvide la musica a una pellicola dimenticata di Eriprando Visconti, «Una storia milanese»

 La versione del Jazztet di Benny Golson e Art Farmer, in questo disco del 1960 dedicato tutto alla musica di Lewis, è molto diversa dall’originale, meno atmosferica e più vicina alla temperie dell’hard bop, sia pure nelle mani di musicisti emotivamente contenuti come Farmer, Golson e Walton. A me, tuttavia, la versione originale del MJQ pare più «milanese», per come riusciva a cogliere una qualità delicata e umbratile, che spesso sfugge a chi la visita e anche a chi vi abita, della mia bella città, dove torno sempre con piacere. 

 Milano (Lewis), da «The Jazztet and John Lewis», Argo LP 684. Art Farmer, tromba; Thomas McIntosh, trombone; Benny Golson, sax tenore; Cedar Walton, piano; Thomas Williams, contrabbasso; Albert Heath, batteria. Registrato il 20 dicembre 1960.


martedì 3 gennaio 2023

Invisible Words – Breathing Altered Air (Falkner Evans)

 Falkner Evans è un pianista immagino fra i sessanta e i settanta, originario dell’Oklahoma, terzo cugino di William Faulkner, m’informa la press release di questo disco uscito nel 2021. Evans risiede a NY e ha avuto delle collaborazioni importanti. Io non l’avevo mai sentito nominare.

 Questa è una seduta di piano solo occasionata da una sua circostanza esistenziale triste, la morte della moglie nel 2020; la musica che ne è uscita è sommessa e ruminativa ma non disperata e intrisa di presagi cupi come lo fu, per dire, «You Must Believe In Spring», registrato da Bill Evans a seguire la morte, pure di propria mano, del fratello.

 Falkner Evans inventa una musica essenziale, di passo misurato che cambia poco o per nulla nel corso degli otto pezzi del disco; musica intima ma non «monologica», che non esclude né allontana l’ascoltatore, anzi: sembra chiedergli, con garbo, di fermarsi a prestarle ascolto.

 Invisible Words (Evans), da «Invisible Words», Consolidated Artists Productions CAP 1070. Falkner Evans, piano. Registrato l’11 gennaio 2021.

Breathing Altered Air (Evans), id.