mercoledì 31 ottobre 2012

Norwegian Nights-Norwegian Days - Tunisian Festival (Mickey Tucker)

 Bellissimo hard bop, a un tempo vigoroso e ricco di sfumature, da quel Mickey Tucker che qui hai già sentito all’organo e che è un altro sottovalutato. Alla front line di tromba e tenore Tucker ha qui aggiunto il sax baritono di Ronnie Cuber, che conferisce profondità al suono dell’ensemble. Le composizioni del disco sono tutte dedicate a questa o quella località d’Europa o del Nord Africa, ricordi di una tournée degli anni Settanta.

Norwegian Nights-Norwegian Days (Tucker), da «Sojourn», Xanadu 143. Bill Hardman, tromba; Junior Cook, sax tenore; Mickey Tucker, piano; Cecil McBee, contrabbasso; Eddie Gladden, batteria. Registrato il 28 marzo 1977.



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Tunisian Festival (Tucker), id.



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martedì 30 ottobre 2012

Never My Love - Autumn Leaves (Trudy Pitts)

 È sorprendente quanti fossero negli anni Sessanta del soul jazz i trii con l’organo: la formazione di Hammond, sax tenore o chitarra e batteria (con il risparmio del bassista) era diffusa capillarmente in locali e localini dei ghetti di tutte le grandi città del Nord, in particolare a Chicago e a Filadelfia. Cito il massimo storico dell’hard bop, David H. Rosenthal:
L’Hammond B-3 (…) generava una sonorità enorme, che nemmeno i pubblici più rumorosi del ghetto riuscivano a sopraffare. Era anche il primo sintetizzatore, in grado di ottenere una varietà di colori. (…). In generale, nel suo arsenale di lamenti, ruggiti e ansiti, nelle suoi flutti di ostinati striduli, c’era qualcosa di vociferante, di viscerale, che riusciva gradito agli ascoltatori di colore.
(D.H. Rosenthal, «Hard Bop. Jazz & Black Music 1955-1965»,
Oxford University Press 1992, p. 111).

 Ancora più sorprendente, forse, è constatare quanti di quegli organisti fossero davvero bravi. Oggi senti Trudy Pitts (1932-2010), di Filadelfia, che fu registrata dalla Prestige. Trudy non sfigura accanto a nessuno dei nomi maggiori dell’organo; imposta sullo strumento un suono particolare, un po’ nasale, hard, che sa variare a proposito, e ha uno swing da un quintale. Lascia anche spazio al chitarrista Wilbert Longmire, piacevolmente iperattivo in assolo. Il batterista Carney era il marito di Trudy.

 Never My Love (Bacharach), da «The Excitement of Trudy Pitts - Recorded Live! at Club Baron», Prestige 7583. Trudy Pitts, organo; Wilbert Longmire, chitarra; Bill Carney, batteria. Registrato il 24 maggio 1968.



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 Autumn Leaves (Prevert-Kozma), id.



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lunedì 29 ottobre 2012

The Yolk (Alan Skidmore)

 Immagino che quello che sto per dire farà arrabbiare almeno un paio di miei lettori o tre, nonché cari amici: ma questo jazz inglese, che non ha vergogna di mostrare da dove viene – cioè da una tradizione ineludibilmente americana – è quello che io preferisco, e sono convinto che questa sia la musica migliore prodotta dagli insigni musicisti qui impegnati.

 «Yolk» è il tuorlo dell’uovo. Alan Skidmore è un saxofonista con i fiocchi, ma Tony Oxley, quando suona jazz, non ce n’è per nessuno, in Europa. Il presente quintetto è già apparso tempo fa su Jnp.

 The Yolk (Skidmore), da «Once Upon A Time», Deram Nova SDN 11. Kenny Wheeler, tromba; Alan Skidmore, sax tenore; John Taylor, piano; Harry Miller, contrabbasso; Tony Oxley, batteria. Registrato nel 1969.



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domenica 28 ottobre 2012

Nickie (Anthony Braxton)

 Anche Anthony Braxton ha un’anima, seppure la mostri poco e da ultimo sempre meno. Qui lo fa in una modalità spiccatamente lirica, incoraggiato dall’intimità del duo. Il breve pezzo intitolato alla moglie è una visione fuggitiva, tenera, un po’ perplessa, priva dell’abbandono fiducioso al sentimento che servirebbe per definirlo una ballad.
 Braxton vi suona il clarinetto, strumento al quale (è un’opinione mia) avrebbe potuto con vantaggio dedicarsi di più.

 Nickie (Braxton), da «Duets 1976 with Muhal Richard Abrams», [Arista] Mosaic 242. Anthony Braxton, clarinetto; Muhal Richard Abrams, piano. Registrato il 2 agosto 1976.



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sabato 27 ottobre 2012

Love Story - My Scorpio Lady (Charles Earland)

 Una zaffata intensissima di anni Settanta, ma questa volta per niente affatto nel segno del Kitsch, se non marginalmente e in modo giocoso: Charles Earland, poderoso, dinamico organista soul funk jazz, incrocia i suoi groove con un empito di spiritual jazz contro la canzone Love Story (dall’omonimo, orrendo film di Arthur Hill). La canzoncina di Francis Lai, che nel 1971-72 risuonava veramente dappertutto, Earland la danneggia fino a levarle, incredibile auditu, tutta la saccarina, a costo di renderla irriconoscibile, un puro pretesto. Ne consegue che, a paragone, risulti più sciropposa My Scorpio Lady, dal vamp iniziale che, per tramite di Flamingo Sketches (Davis) via Peace Piece (Bill Evans), rimanda alle Gymnopédies di Satie.

 Del complesso, insolitamente esteso e dal bellissimo suono caldo, fanno parte nomi interessanti come Houston Pearson, Gary Chandler e Virgil Jones.

 Love Story (Lai), da «Soul Story», Prestige PR 10018. Gary Chandler, tromba; James Vass, sax soprano; Houston Pearson, sax tenore; Charles Earland, organo e canto; Maynard Parker, chitarra; Jesse Kilpatrick, batteria; Buddy Caldwell, percussioni. Registrato il 3 maggio 1971.



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 My Scorpio Lady (Earland), ib. Earland; Virgil Jones, tromba; Clifford Adams Jr, trombone; Arthur Grant Jr, sax tenore; Bill «Kentucky» Wilson, batteria; Arthur Jenkins Jr, percussioni,.



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venerdì 26 ottobre 2012

Lover (Charles McPherson)

 Lover (Rodgers-Hart), da «Beautiful!», Xanadu XCD 1230. Charles McPherson, sax alto; Duke Jordan, piano; Sam Jones, contrabbasso; Leroy Williams, batteria. Registrato il 12 agosto 1975.



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mercoledì 24 ottobre 2012

There Will Never Be Another You (Tony Scott)

 Dopo le boiate di ieri, ecco senz’altre cerimonie un’esecuzione magistrale di uno standard da parte di una formazione già apparsa su Jnp, con Tony Scott e il giovane Bill Evans al piano. Osserva come, nell’intento di dare al suono del clarinetto un corpo e un volume quasi da sax, Scott arrivi a richiamare, soprattutto nel vibrato delle note acute, Sidney Bechet.

 There Will Never Be Another You (Warren-Gordon) da «A Day in New York», Fresh Sound Records FSR-CD 333. Tony Scott, clarinetto; Bill Evans, pianoforte; Henry Grimes, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato il 16 novembre 1957.



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martedì 23 ottobre 2012

Limehouse Blues (Bobby Hackett) - Jamie (Donald Byrd) - Lucille (Sonny Rollins)

 Oggi programma molto leggero, con una delle periodiche mie visite al Kitsch, che so molto apprezzate.

 Bobby Hackett appare in questo disco del 1958 con una sezione d’archi (nove violini, due viole, due violoncelli). Il Kitsch è in agguato, e titolo parla di blues with a kick, «con qualcosa in più»: non solo gli archi, ma anche alcuni oltranzismi armonici e timbrici che tuttavia non vanno più in là delle bizzarrie della coeva exotica.

 Limehouse Blues (Brahm-Furber), da «Blues With A Kick», Capitol. Bobby Hackett, cornetta; Dave McKenna, piano; Nicky Tagg, organo; John Giuffrida o Milt Hinton, contrabbasso; Joe Porcaro, batteria; Harry Breuer, Phil Kraus, vibrafono e percussioni. Archi arrangiati e diretti da Stan Applebaum. Registrato il 25 novembre 1958.



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 Donald Byrd nel 1971 cominciava ad applicare il suo talento mimetico a un jazz elettrico e funky (per una Blue Note che aveva già cominciato a non sapere bene che cosa fare);  non essendo Miles Davis, Byrd cade mani e piedi nel Kitsch, almeno in questa breve Jamie, malinconicamente basata su quel povero infelice del Canone in re di Pachelbel e in cui figurano, sprecati in pieno, Harold Land, Bobby Hutcherson e due dei Jazz Crusaders, Joe Sample e Wilton Felder (quest’ultimo non al sax ma al basso).

 Jamie (Byrd), da «Ethiopian Knights», Blue Note BST 84380. Donald Byrd, tromba; Thurman Green, trombone; Harold Land, sax tenore; Bobby Hutcherson, bibrafono; Joe Sample, organo; Bill Henderson III, piano elettrico. Don Peake, Greg Poree, chitarra; Wilton Felder, basso elettrico; Ed Greene, batteria; Bobbye Porter Hall, percussioni. Registrato il 25 agosto 1971.



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 Infine Sonny Rollins nel 1975, e apra bene le orecchie chi sostiene che Rollins avesse svaccato con «Horn Culture», che è di due anni prima. In realtà Sonny non vi suona male, anche se l’arrochimento della sua sonorità suona un po’ artificioso, ma le tastiere di sottofondo sono improponibili, così come la povertà di un temino ripetuto per cinque minuti che sembrano venti.

 Lucille (Rollins), da «Nucleus», [Milestone] OJC 25218-6620-2. Sonny Rollins, sax tenore; Raul De Souza, trombone, Bennie Maupin, sax tenore; George Duke, piano elettrico e sintetizzatore; David Amaro, Black Bird, chitarra; Chuck Rainey, basso elettrico; Eddie Moore, batteria; Mtume, percussioni. Registrato nel settembre 1975.



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lunedì 22 ottobre 2012

[Guest post #25] Sergio Pasquandrea & JD Allen

 Io voglio bene a Sergio Pasquandrea, fra l’altro perché ha colto in pieno lo spirito di Jazz nel pomeriggio: condividere una cosa bella che capiti di sentire.

 Confesso: fino a qualche giorno fa, nemmeno sapevo chi fosse JD Allen. Ho pescato il cd fra un mucchietto di altri che mi erano stati inviati da recensire, attratto più che altro dal nome; e – a dirla proprio tutta – credo addirittura di averlo confuso con qualcun altro.

 Comunque: potenza della serendipità, è stata una bella scoperta. Allen non è più un ragazzino (risulta nato a Detroit nel 1972), ma ha cominciato a pubblicare regolarmente come leader solo da tre o quattro anni. Sassofonista dal linguaggio contemporaneo, ma con i piedi saldamente piantati nella tradizione: suono scuro, fraseggio affilato, piglio autorevole.
 Quelle che propongo sono la prima e la terza traccia del suo ultimo lavoro. Notare che in The Matador and the Bull la batteria procede in tre, il basso in cinque e il sassofono in quattro, mentre Ring Shout è in sette: ma il risultato non si trasforma mai in solfeggio, come invece succede spesso in simili esperimenti, bensì conserva un solido legame con il groove. «La matematica non è importante quanto il senso ritmico», chiosa Allen nelle note di copertina. «Invece che attenersi strettamente al gioco numerico, preferiamo avere un po’ di funk».

 I due brani, come tutti quelli del disco, sono brevi. Sempre nelle note di copertina, Allen scrive: «L’hanno chiamata la mia “estetica da juke-box”, ma non è un trucco commerciale. È vero che sono abbastanza vecchio da ricordarmi l’era pre-cd; e c’è una parte di me a cui piacerebbe ascoltare la mia musica su LP in vinile, come il jazz della mia adolescenza».

 Insomma, JD mi sta proprio simpatico.

 The Matador and the Bull (Torero) (Allen), da «The Matador and the Bull», Savant SCD 2121. JD Allen, sax tenore; Gregg August, contrabbasso; Rudy Royston, batteria. Registrato il 20 febbraio 2012.



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 Ring Shout (Allen), id.



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domenica 21 ottobre 2012

Great Gorge - Bass Folk Song (Joe Farrell)

 È domenica; ecco due pezzi domenicali, cioè divertenti e non troppo impegnativi, solo per chi ascolta, però. Suonano tre fuoriclasse e un bassista molto veloce, in pieno clima 1972.

 Great Gorge (Farrell), da «Moon Germs» [CTI] Epic 460414 2. Joe Farrell, sax soprano; Herbie Hancock, piano elettrico; Stanley Clarke, basso elettrico; Jack DeJohnette, batteria. Registrato il 21 novembre 1972.



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 Bass Folk Song (Clarke), id. ma Farrell suona il flauto e Clarke il contrabbasso.



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sabato 20 ottobre 2012

The Trip - For Mods Only (Chico Hamilton)

 Ecco Chico Hamilton all’apogeo dell’era cosiddetta psichedelica. Il titolo dell’album come quello del primo pezzo che ti presento mi paiono avere un riferimento drogastico piuttosto chiaro, anche se sulla copertina Hamilton si limita a succhiare una nazionale con filtro.

 Presa per buona questa chiave, direi che The Trip renda bene un’esperienza di LSD, con i fraseggi rapidissimi in semicrome degli strumenti in un’eterofonia che comunica l’impressione di eventi simultanei entro un caos calcolato.

 Questo disco, apprendo, vanta il merito di aver presentato al mondo il chitarrista Larry Coryell. No, neanche a me sembra un gran merito. Ad ogni modo il pezzo, come quasi sempre con i complessi di Chico Hamilton, è piacevole e ingegnoso, e piacevole e trascinante è anche For Mods Only, che contiene una prestazione pianistica del suo compositore Archie Shepp.

The Trip (Hamilton), da «The Dealer», Impulse! AS-9130. Arnie Lawrence, sax alto; Larry Coryell, chitarra; Richard Davis, contrabbasso; Chico Hamilton, batteria. Registrato il 9 settembre 1966.



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 For Mods Only (Shepp), id. più Archie Shepp, piano.



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venerdì 19 ottobre 2012

’Round About Midnight - Fire Waltz - Someday My Prince Will Come (Mal Waldron)

 La musica di Mal Waldron evocava solitudine e penombra più che malinconia o cupezza. Quasi immobile nella sua paucità di note e di colori, come in attesa della musica, Waldron era un pianista Zen, anche in un club rumoroso quanto una segheria, con un pianoforte dilapidato e una presa di suono di second’ordine.

 Emerge in questo disco postumo, favorita dalla sola compagnia di Friesen, impeccabile e a momenti ispirato,  la derivazione di Waldron da Bud Powell: tocco greve, frasi lunghe con un uso qui più ridotto del solito di block chords, sinistra ossificata ad appoggiare settime. ’Round Midnight, resa con un’agogica impassibile, scolpita, con un trattamento armonico che ne rileva i cromatismi, e senza alcuna concessione all’atmosfera, mostra la distanza presa negli anni da quel modello. Fire Waltz è più vicino alla versione originale (in «The Quest») che a quella famosa del Five Spot, entrambe con Dolphy: dopo un’introduzione a quinte discendenti, gioca sulle ambiguità metriche del 4 su 3 e su accorti trapassi dal 3/4 al 4/4 al 6/8; Someday My Prince Will Come è volutamente funereo; del valzerino prediletto da Bill Evans non reca più nemmeno il ricordo.

 ’Round About Midnight (Monk), da «Remembering Mal», Soul Note 121398-2. Mal Waldron, piano; David Friesen, contrabbasso. Registrato nel luglio 1985.



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 Fire Waltz (Waldron), id.



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 Someday My Prince Will Come (Churchill-Marey), id.



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giovedì 18 ottobre 2012

Staircase (Keith Jarrett)

 Non so – quando mi viene l’ispirazione di pubblicare su Jnp un pezzo di Keith Jarrett (non è capitato spesso), debbo vincere una resistenza interna, una specie di autocensura, soprattutto se Jarrett vi suoni da solo, sotto l’egida ECM. Dopo essere stato esaltato in maniera iperbolica e anche ridicola, da qualche anno KJ patisce un certo discredito, del pari immeritato, anche se lui ha fatto il possibile e qualche volta l’impossibile per attirarselo.

 Con tutti i suoi difetti (musicali, dico; di quelli personali mi darò pensiero quando m’inviterà a trascorrere le vacanze a casa sua), io resto persuaso che negli anni Settanta Jarrett abbia detto una parola importante, anche al piano solo, per la musica di quegli anni, non solo e forse non particolarmente per il jazz.

 Fra i suoi piani soli, «Staircase» è forse, con «Facing You», quello che mi piace di più. È anche, guarda un po’, uno dei meno jazzistici.

Staircase I (Jarrett), da «Staircase», ECM 1090/91. Keith Jarrett, piano. Registrato nel maggio 1976.



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 Staircase II (Jarrett), id.



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 Staircase III (Jarrett), id.



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mercoledì 17 ottobre 2012

Criss Cross (Steve Lacy)

 A dispetto della datazione alta, questo disco non rientra fra gli iuvenilia di Steve Lacy: si tratta del terzo microsolco a suo nome, dopo che era già comparso in dischi importanti di Gil Evans e di Cecil Taylor. Tuttavia il titolo fa intuire come l’idea di un saxofonista soprano «esclusivo» (Coltrane aveva cominciato a suonare il soprano solo quell’anno, ispirato proprio da Lacy) nel 1960 ancora dovesse suonare esotica.

 È in questo disco tuttavia che comincia a manifestarsi meglio una sua concezione dell’ensemble, intorno a una personalità solistica ormai, se non matura, bene distinta. Come sempre è un piacere particolare ascoltare Lacy interpretare una composizione di Monk. John Ore era all’epoca bassista nel quartetto di Monk; Roy Haynes dà in questo disco una prestazione brillantissima.

 Criss Cross (Monk), da «The Straight Horn of Steve Lacy», Candid CD 9007. Steve Lacy, sax soprano; Charles Davis, sax baritono; John Ore, contrabbasso; Roy Haynes, batteria. Registrato il 19 novembre 1960.



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martedì 16 ottobre 2012

Waltzing in the Sagebrush (Sheila Jordan & Roswell Rudd)

 Un soave valzer jazzistico composto da Hod O’Brien e cantato alla sua inconfondibile maniera da Sheila Jordan, con un quartetto a nome di Roswell Rudd.

 Questo disco del 1974, originariamente un Arista, è molto bello, come tutto ciò che faceva  Rudd in quegli anni («Numatik Swing Band» è del ’73) e anche dopo, e  ha il pregio di proporre Hod O’Brien, uno di quei musicians’ musician più noti ai colleghi che al pubblico. Dietro la batteria siede lo scomparso – nel senso che non ha più dato notizia di sé dagli anni Ottanta – Barry Altschul, già complice abituale, fra gli altri, di Braxton e di Bley.

 Waltzing in the Sagebrush (O’Brien), da «Flexible Flyer», [Arista] Black Lion BLCD 760215. Sheila Jordan con Roswell Rudd, trombone; Hod O’Brien, piano; Aril Andersen, contrabbasso; Barry Altschul, batteria. Registrato nel marzo 1974.



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lunedì 15 ottobre 2012

Speak Low (Gary Bartz)

 Ho trovato avvincente questa lunga esecuzione – live al Birdland – di Speak Low da parte di un quintetto di Gary Bartz,  saxofonista che non dà spesso notizia di sé ma che è  tuttora fra i migliori specialisti del contralto (qui l’hai sentito un paio di volte con Max Roach e con Charles Tolliver). Mi ha colpito in particolare l’assolo di Claudio Roditi, il trombettista brasiliano: nei salti di registro e nelle discontinuità armoniche fa venire in mente Woody Shaw.

 Speak Low (Weill-Nash), da «West 42nd Street», Candid CCD79049. Claudio Roditi, tromba; Gary Bartz, sax alto; John Hicks, piano; Ray Drummond, contrabbasso; Al Foster, batteria. Registrato il 31 marzo 1990.



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domenica 14 ottobre 2012

Pyramid - Play Blue (Lee Konitz, Paul Bley, Bill Connors)

 Questo è un disco del 1977 che forse sarebbe piaciuto produrre a Manfred Eicher per la sua ECM. Il genere parrebbe grosso modo quello. Ma è solo apparenza.

 L’improvvisazione vi si trova liberissima su quelli che sono spunti, più che temi (il blues in Play Blue), l’interplay è evidenziatissimo. Ma, a differenza di tante produzioni ECM di cui qua sopra si è detto anche troppo, l’impulso ritmico è sempre ben presente anche quando è dissimulato (e l’assenza di batteria dunque evita l’ipocrita omaggio alla «sonorità da jazz» che la sua presenza è spesso nelle produzioni ECM); l’emissione sonora del sax e il tocco di pianoforte e chitarra sono variati anche secondo le esigenze dell’articolazione ritmica e sono ripresi con molta naturalezza e giusta il loro naturale equilibrio, senza echi, separazioni artificiali e altri artifizî. Nelle improvvisazioni, infine, è sempre in luce la ricerca di un principio costruttivo armonico, anche a costo di imboccare qualche vicolo cieco: mai i tre si abbandonano alle suggestioni narcotiche di una facile modalità o ripetitività, seguendo piuttosto un binario «narrativo» che è nelle loro corde di jazzisti.

 Infatti, dei tre musicisti in scena due sono senza meno dei grandi, dalle radici jazzistiche troppo profonde per poter mai essere obliterate. Il terzo, il chitarrista Bill Connors, ebbe un breve momento di notorietà in ambito fusion, dovuto soprattutto alla sua partecipazione al primo Return to Forever di Chick Corea. È un buon musicista, che qui suona per lo più lo strumento acustico con gusto e attenzione a ciò che fanno altri due, ma forse sono proprio la natura sonora della chitarra e la sua geometria armonica a renderla inadatto a simili contesti improvvisativamente liberi, talché Connors finisce sovente col restare estraneo al flusso sonoro generato dagli altri due.

 Pyramid (Connors), da «Pyramid», IAI 37.38.45. Lee Konitz, sax alto; Paul Bley, piano; Bill Connors, chitarra. Registrato l’11 giugno 1977.



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 Play Blue (Bley), c.s. ma Konitz suona il sax soprano.



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sabato 13 ottobre 2012

The Basie Twist (Count Basie)

 Incursione basiana nel rhythm & blues, del 1961. Composizione e arrangiamento sono di Benny Carter, che l’anno prima aveva scritto per il Conte e i suoi la bellissima Kansas City Suite. Solista di sax tenore, nello stile degli honker texani, è il grande Budd Johnson.

 The Basie Twist (Carter), da «Plays the Music of Benny Carter», [Roulette] Fresh Sound FSR-CD 713. Al Aarons, Sonny Cohn, Thad Jones, Snooky Young, tromba; Henry Coker, Quentin Jackson, Benny Powell, trombone; Benny Carter, Frank Wess, sax alto; Budd Johnson, Frank Foster, sax tenore; Charles Fowlkes, sax baritono; Count Basie, piano; Sam Herman, chitarra; Eddie Jones, contrabbasso; Sonny Payne, batteria. Registrato il 31 ottobre 1961.



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venerdì 12 ottobre 2012

Honeysuckle Rose - Sky and Sun (Sun Ra)

 In barba alla varietà della programmazione, ecco il terzo piano solo di seguito.

 Il suo ruolo di compositore e caporchestra, così come la sua sinistra inclinazione per le tastiere elettriche ed  elettroniche più esoteriche e stridenti, hanno messo in ombra il pianismo di Sun Ra, che era stato un bambino prodigio. Ascoltando la sua intensa versione di Honeysuckle Rose aiuta ricordare come Sun Ra fosse nato nel 1914, avesse cominciato a suonare professionalmente nei primi anni Trenta e avesse fatto in tempo a lavorare come pianista con una delle ultime orchestre di Fletcher Henderson. Insomma, la canzone di Fats Waller gli era pienamente contemporanea.

 Honeysuckle Rose (Razaf-Waller), da «St. Louis Blues (Solo piano)», IAI 37.38.58. Registrato il 3 luglio 1977.



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 Sky and Sun (Sun Ra), ib.



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giovedì 11 ottobre 2012

Prelude To A Kiss - Peace (Jasper van’t Hof)

 Jasper van’t Hof (1947) è il pianista e compositore olandese che hai sentito ieri con Zbigniew Seifert (Seifert suonò anche come sideman di van’t Hof in alcuni dischi). Rinomato soprattutto per le sue imprese in ambito fusion, van’t Hof è un musicista molto colto e personale. Senti come affronta, direi da compositore, il classico ellingtoniano e poi la bellissima Peace di Horace Silver: indugiando sulle melodie stirandone i periodi e alterandone l’armonia, ma senza mai smarrirne il tactus implicito, cioè il senso ritmico, e questo a dispetto, in Prelude, di un tempo molto lento.

 Sono esecuzioni particolari, singolarmente prive di dramma. Al loro fascino statico contribuiscono la sonorità di uno strumento magnifico e l’ambience calda e riverberante del Concertgebouw di Amsterdam.

 Prelude To A Kiss (Ellington), da «At The Concertgebouw - Solo», Challenge CHR 70010. Jasper van’t Hof, piano. Registrato il 26 dicembre 1993.



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Peace (Silver), ib.



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mercoledì 10 ottobre 2012

My One and Only Love (Jaki Byard)

 È una delle più belle, secondo me, nel milione di versioni di questa canzone. 

 My One and Only Love (Wood-Mellin), da «Live at Maybeck Recital Hall, Vol. 17», Concord Jazz CCD-4511. Jaki Byard, piano. Registrato l’8 settembre 1991.



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Love in the Garden (Zbigniew Seifert)

 Qui si cade faccia avanti in pieno universo sonoro anni Settanta, anche un po’ fusion: tu che mi conosci sai che per somministrarti una cosa simile devo avere un motivo serissimo.

 Questo motivo è la presenza del magnfico polacco Zbigniew Seifert, quella specie di Coltrane del violino (secondo il suo proprio auspicio), uno dei più bei doni, per quanto brevissimo, dell’Europa al jazz.

 Love in the Garden (Seifert), da «Man of the Light», MPS 68.163. Zbigniew Seifert, violino; Jasper van’t Hof, piano elettrico & organo. Registrato dal 27 al 30 settembre 1976.



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martedì 9 ottobre 2012

Bernie’s Tune (Hampton Hawes)

 Torna dopo qualche mese uno dei numi tutelari di Jazz nel pomeriggio: Hampton Hawes, evocato da Giorgio nei commenti al post su Warne Marsh.

 Qui Hawes è nella sua Los Angeles, a Hollywood per la precisione, nel 1952, con una ritmica locale e una front line di grande livello, in un classico del West Coast Jazz.

 Bernie’s Tune (Miller), da «Memorial»,  The Jazz Factory JFCD22806. Art Farmer, tromba; Wardell Gray, sax tenore; Hampton Hawes, piano; Howard Roberts, chitarra; Joe Mondragon, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 9 settembre 1952.




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lunedì 8 ottobre 2012

The Chess Players (Art Blakey & The Jazz Messengers)

 «The Big Beat» (1960) è il primo disco dei Jazz Messengers di Art Blakey che presenti Wayne Shorter come sax tenore titolare, oltre che autore di tre dei sei pezzi.

 Shorter si era già illustrato come saxofonista e compositore molto personale in qualche disco a nome proprio e come sideman, per esempio di Wynton Kelly. The Chess Players, che apre il disco, è un bellissimo tema di 32 battute più coda la cui sezione A è movimentata da un effetto di «stop and go»: chiaro fonosimbolismo dello svolgersi di una partita di scacchi, con la mossa di un giocatore e, dopo una breve pausa, la contromossa dell’altro. Nel bridge e nella ripresa l’attenzione del solista è mantenuta vigile con una serie di risoluzioni evitate e con un turnaround su pedale.

 Il quintetto assemblato quell’anno da Blakey era fantastico e chiedo che non passi inosservato l’apporto essenziale e poderoso del contrabbassista Jymie Merritt.

 The Chess Players (Shorter), da «The Big Beat», Blue Note CDP 7 46400 2. Lee Morgan, tromba; Wayne Shorter, sax tenore; Bobby Timmons, piano; Jymie Merritt, contrabbasso; Art Blakey, batteria. Registrato il 6 marzo 1960.



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domenica 7 ottobre 2012

I Love My Man [Billie’s Blues] (Billie Holiday)

 Billie Holiday nel 1944 canta in uno dei concerti della Esquire All Stars al Metropolitan. Billie è nel pieno delle forze; le quattro stupefacenti battute d’introduzione di Roy Eldridge, che in quei giorni era proprio in palla, preludono a un’esecuzione di un pathos e di uno swing indescrivibili.

 I Love My Man [Billie’s Blues] (Holiday), da «The First Esquire Concert at the Metropolitan Opera House, Vol. 1», Jazz Unlimited CD 2016. Billie Holiday con Roy Eldridge, tromba; Barney Bigard, clarinetto; Art Tatum, piano; Al Casey, chitarra; Oscar Pettiford, contrabbasso; Sidney Catlett, batteria. Registrato il 18 gennaio 1944.



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sabato 6 ottobre 2012

Spring Can Really Hang You Up The Most - Confirmation - ’Round Midnight (Albert Dailey & Stan Getz)

 Pensando a insigni pianisti accompagnatori, torno una volta di più a ricordare Albert Dailey (1939-1984), che già hai sentito qui associato a molti artisti famosi e che con ancora di più ha suonato, fra l’altro facendo per alcuni anni l’accompagnatore di Ella Fitzgerald.

 Questo di duetti con Stan Getz, inciso l’anno prima di morire, è forse il disco più famoso in cui Albert appaia. È in grandissima forma, tanto da oscurare la prestazione di Getz. Il programma è interessante in quando le ballad vi sono presenti ma non prevaricano, come di solito è il caso in simile formazione. Io infatti oggi te ne faccio sentire una, ma seguita da un classico uptempo del bebop. ’Round Midnight è un assolo di piano.

 Dailey aveva una solida formazione classica, non solo come strumentista, e aveva una tecnica e un intuito armonico sensazionali. Per conoscerlo meglio  puoi ascoltare questo programma radiofonico della NPR, sempre del 1983, una nella famosa serie di interviste ai colleghi della pianista Marian McPartland. Albert parla e racconta cose interessanti e insolite sulla sua formazione; ma soprattutto suona molto il pianoforte e lo fa splendidamente, come sempre.

 Spring Can Really Hang You Up The Most (Wolfe-Landesman), da «Poetry», [Elektra Musician] Blue Note 7 24352 86712 7. Stan Getz, sax tenore; Albert Dailey, piano. Registrato il 12 gennaio 1983.



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Confirmation (Parker), id.



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’Round Midnight (Monk), id. Dailey solo.



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venerdì 5 ottobre 2012

How Deep Is The Ocean - How High The Moon (Warne Marsh)

 Seguire Warne Marsh che improvvisa su uno della manciata di standard che, in forma originale o contraffatta, costituirono tutto il suo repertorio, è come vedere un soffiatore di vetro dare al suo materiale trasparente, in una solido e fluido, la vita di forme inusitate, cangianti e definitive.

 Come faccio sempre quando capita che al piano sieda Lou Levy, ti invito ad apprezzarne il lavoro musicalissimo, tanto in assolo che in accompagnamento.

 How Deep Is The Ocean (Berlin) da «A Ballad Album», CrissCross 1007. Warne Marsh, sax tenore; Lou Levy, piano; Jesper Lundgaard, contrabbasso; James Martin, batteria. Registrato il 7 aprile 1983.



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 How High The Moon (Hamilton-Lewis), ib.



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giovedì 4 ottobre 2012

Travelling - Suffering - Playing (Bauer, Kowald & Sommer)

 Non è perché ho dato una critica piuttosto sommaria del disco di Michael Formanek che io sia normalmente repulso dal jazz astratto o altrimenti «difficile». Ti  presento tre pezzi a caso di un disco che mi pare ricco di fantasia, di comunicativa e di puro e semplice swing a dispetto delle libertà prese con ogni parametro della musica e specialmente con il timbro, che è tutt’altro che smaterializzato ed etereo.

 Si tratta dell’ultima incisione del grande contrabbassista tedesco Peter Kowald.

 Travelling (Bauer-Kowald-Sommer), da «Between Heaven And Earth», Intakt CD 079. Conrad Bauer, trombone; Peter Kowald, contrabbasso; Günter Sommer, batteria e percussioni. Registrato il 30 novembre o il primo dicembre 2001.



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 Suffering (Bauer-Kowald-Sommer), ib.



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 Playing (Bauer-Kowald-Sommer), ib.



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mercoledì 3 ottobre 2012

Memories of You - Blue Monk (Hank Jones)

 Memories of You (Eubie Blake), da «Live at Maybeck Recital Hall, Vol. 16», Concord Jazz. Hank Jones, piano. Registrato l’11 novembre 1991.



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 Blue Monk (Monk), ib.



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martedì 2 ottobre 2012

R.i.p. Eric J. Hobsbawm

 Il Many mi avvisa che è morto Eric J. Hobsbawm, il grande storico inglese; se ne va uno degli ultimi pezzi belli del Novecento.

 Gli appassionati di jazz hanno una ragione speciale per averlo caro. Hobsbawm amava il jazz, in particolare Louis Armstrong, e Jnp, seguendo il suggerimento del Many, gliene dedica rispettosamente questo pezzo.

 Basin Street Blues (Williams), da «The Chronological Louis Armstrong and His Orchestra 1928-1929», Classics 570. Louis Armstrong, tromba; Fred Robinson, trombone; Jimmy Strong, clarinetto; Earl Hines, piano & celesta; Mancy Cara, banjo; Zutty Singleton, batteria. Registrato il 4 dicembre 1928.



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Twenty Three Neo (Michael Formanek)

 Seguo male l’attualità jazzistica; infatti scopro quasi ogni giorno  cose «vecchie» a me ignote o poco note, che mi sembrano più degne di attenzione e anche più immediatamente rimunerative in termini di piacere estetico: e preferisco dedicarmi a quelle. Non pretendo di avere ragione, perché so che non ce l’ho. Non riesco, per usare l’espressione di un mio amico, a essere «contemporaneo di me stesso».

 Ad ogni modo ho ascoltato solo da poco questo disco quasi recente di Michael Formanek (dello stesso quartetto ne è appena uscito un altro, che non ho sentito). Il lavoro è stato fra i più elogiati dell’ultimo anno e secondo alcuni osservatori sarebbe anche un’indizio forte del ritorno della ECM sul sentiero del jazz.

 I quattro in questione sono tutti musicisti di alto livello; Taborn, in particolare, mi sembra uno dei pianisti di maggiore talento in circolazione e nel disco ha un rilievo evidente, anche rispetto al sax alto di Tim Berne. Ho ascoltato fino a un certo punto con interesse, ma quanto al piacere estetico, boh. Ne ho ricavato piuttosto il compiacimento superficiale che un ascoltatore può ritrarre dal riconoscere gli ingranaggi della macchina musicale e dal riuscire a nominarli. La musica, che è di esecuzione difficile ed è eseguita benissimo, sembra porre molto sforzo nell’evitare ogni comunicativa immediata anche quando s’ingrana una specie di groove, come nella prima sezione del pezzo eponimo del disco. I quattro strumenti procedono su binari ritmici accortamente sfasati evitando gli equivoci metrici, il trompe l’oreille del minimalismo e quest’intreccio è reso con trasparenza, ma in qualche modo lasciando i fili a pendere, senza cioè che si arrivi a una sintesi espressiva collettiva.

 A questo – e a controbattere l’idea che questa release ECM sia poi tanto più jazzistica di altre – si aggiunge il fatto che la batteria figura sonicamente in secondo piano, in maniera anche paradossale, vista la difficoltà delle sue parti. Io alla fine non riesco a sentirvi molto più che un’elaborata clic track e dunque quella riduzione della batteria a mero dispositivo metronomico che è in genere un segno che ci si trovi in territori diversi dal jazz (e che era anche una mezza ossessione di Lennie Tristano).

 Non erano poi diversissime le acque in cui navigava il quartetto di Billy Hart (sempre ECM) di cui ho parlato bene qualche tempo fa, ma là, se non ricordo male, tutto filava con un senso minore di sicurezza e preordinazione, dunque con meno prudenza e con un pathos maggiore, e seguendo una direttiva espressiva marcatamente melodica.

Morale della favola: io mi sono annoiato.

 Twenty Three Neo (Formanek), da «The Rub And Spare Change», ECM 2167. Tim Berne, sax alto; Craig Taborn, piano; Michael Formanek, contrabbasso; Gerald Cleaver, batteria. Registrato nel giugno 2009.



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lunedì 1 ottobre 2012

Flamingo (Larry Young)

 È un po’ che non ti infliggo Flamingo. Eccolo, anche come omaggio a Valentina. 

 Flamingo (Grouya-Anderson), da «Testifying» [Prestige] OJCCD-1793-2. Joe Holiday, sax tenore; Larry Young, organo; Thornel Schwartz, chitarra; Jimmie Smith, batteria. Registrato il 2 agosto 1960.



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