lunedì 28 settembre 2020

Someday My Prince Will Come – Mother of Earl (Bill Evans)

 Bill Evans si giovava di un batterista autorevole o addirittura autoritario, che gli serviva da sprone e ne arricchiva l’espressione per complemento o contrasto, ampliando inoltre le dinamiche del trio. Andò così con Philly Joe Jones, suo grande amico e compagno di malefatte, il batterista preferito con cui lavorò e incise diverse volte lungo tutta la sua vita musicale, e in uno sporadico incontro con Shelly Manne («Empathy», 1962).

 Nel 1968 Evans ebbe con sé brevemente Jack DeJohnette, che nel trio succedeva a un grande, molto discreto batterista come Larry Bunker e all’inglese Arnold Wise, che si sente nel disco della Town Hall del 1966 dove non fa molto più che segnare il tempo. Il live a Montreux attesta uno dei momenti più estroversi della discografia del pianista.

 Qui, se ti interessasse, c’è un articolo sul periodo Verve di Bill Evans che ho scritto qualche anno fa.

 Someday My Prince Will Come (Churchill-Morey), da «At The Montreux Jazz Festival», Verve 539 758-2. Bill Evans, piano; Eddie Gomez, contrabbasso; Jack DeJohnette, batteria. Rergistrato il 15 giugno 1968.

 Mother of Earl (Zindars), id.

sabato 26 settembre 2020

Mule Walk (James P. Johnson)

 Stride piano!

 Mule Walk (Johnson), da «The Complete Edmond Hall, James P. Johnson, Sidney De Paris, Vic Dickenson Blue Note Sessions», Mosaic. James P. Johnson, piano. Registrato il 15 dicembre 1943

giovedì 24 settembre 2020

Stars Fell on Alabama – Moonlight in Vermont (Ella Fitzgerald & Louis Armstrong)

 Stars Fell on Alabama (Parish-Perkins), da «Ella and Louis», Verve. Ella e Louis con Oscar Peterson, piano; Herb Ellis, chitarra; Ray Brown, contrabbasso; Buddy Rich, batteria. Registrato il 16 agosto 1956.

 Moonlight in Vermont (Blackburn-Suessdorf), id.

mercoledì 23 settembre 2020

E Flat Tuba G - Norwegian Wood (Ira Sullivan) RELOAD

Reload dal 23 marzo 2011. Ira Sullivan è morto, ottantanovenne, due giorni fa.  

Conosci Ira Sullivan?
  «Mi è sempre piaciuto suonare il mio strumento, i miei strumenti. Voglio solo suonare i miei strumenti come meglio posso e spero, facendolo, di riuscire a dire qualcosa. Ho e ho sempre avuto un’unica ambizione nella vita: suonare il mio strumento. Non compongo, non arrangio, non leggo nemmeno bene la musica. Io voglio solo suonare».
Ira Sullivan, questionario per The Encyclopedia of Jazz, circa 1959
  E Flat Tuba G (Sullivan), da «Horizons», Collectables COL-CD-6619. Ira Sullivan, tromba & sax tenore; Lon Norman, trombone; Dolphe Castellano, piano; William Fry, contrabbasso; Jose Cigno, batteria. Registrato il 2 marzo 1967.    

 Norwegian Wood (Lennon-McCartney), ibid., ma Sullivan suona il sax soprano, Norman l’euphonium e Castellano una tastiera elettrica. 

martedì 22 settembre 2020

(re)new – (over)taken (Alister Spence)

 Con me devi avere pazienza in questo periodo: ricevo questo disco doppio del pianista e compositore australiano Alister Spence (n. 1955). Non so di lui e certo dovrei, ma a una ricerca corsiva su Google trovo ben poco. Del disco doppio, che lo Spence pubblica da se stesso, leggo nella press release che i più di venti pezzi in cui è frammentato, tutti dal nome ancipite, sono completamente improvvisati. I quattro o cinque che ho ascoltato presentano tutti un carattere agogico di vortice o mulinello, giusta la suggestione del titolo generale. Mi piacciono davvero. 

 Per cui, in ispirito improvvisativo o di cronaca, te ne propongo due così, senz’altro dire e senza elaborare, quasi li ascoltassimo insieme per la prima volta. Forse ci ritornerò.

 (re)new (Spence), da «Whirlpool», Alister Spence Music. Alister Spence, piano. Registrato nell’autunno del 2019.

 (over)taken (Spence), id.

domenica 20 settembre 2020

I’m Beginning To See The Light – Blues In The Closet (Oscar Pettiford)

 Uno dei maggiori contrabbassisti del jazz (arriverei a dirlo il più grande) e un pioniere del jazz moderno, Oscar Pettiford cominciò sul finire degli anni Quaranta a pizzicare anche il violoncello, perfezionando su quello strumento il fraseggio di respiro saxofonistico che dimostrava in assolo sul contrabbasso. Quest’uso del cello come «contrabbasso piccolo» sarebbe stato ripreso da altri grandi bassisti come Doug Watkins e Ron Carter, mentre altri – Fred Katz, Calo Scott, Diedre Murray, Abdul Wadud – , violoncellisti di formazione ed esclusivi, lo avrebbero suonato con l’arco.

 Tuttavia non fu Pettiford il primo jazzista a incidere con il violoncello, come mi è capitato di leggere (lo adoperò per la prima volta in quartetto con Duke Ellington nel 1950); credo che il primato spetti a Harry Babasin con Dodo Marmarosa nel 1947, lo stesso Babasin che senti qui duettare con Oscar in Blues In The Closet.

 I’m Beginning To See The Light (Ellington), da «In A Cello Mood», Fresh Sound Records FSR-CD 452. Oscar Pettiford, violoncello; Billy Taylor, piano; Charles Mingus, contrabbasso; Charlie Smith, batteria. Registrato il 16 ottobre 1952.

 Blues In The Closet (Pettiford), ib.; Pettiford, Harry Babasin, violoncello; Arnold Ross, piano; Joe Comfort, contrabbasso; Alvin Stoller, batteria. Registrato il 14 maggio 1953.

giovedì 17 settembre 2020

Glass Bead Games – Prayer To The People – John Coltrane (Clifford Jordan) RELOAD

Reload dal 6 dicembre 2011.

«Glass Bead Games»
, del 1973, è considerato
il disco più rappresentativo di Clifford Jordan, che vi si presenta alla testa di due formazioni ferratissime, proponendo una musica che risente dell’afflato spirituale coltraniano e di quello che, sulla sua scia, in quei primi anni Settanta qualcuno aveva definito spiritual jazz. L’omaggio a Coltrane è esplicito nel terzo dei pezzi che pubblico qui. La musica ha comunque la trasparenza e la pulizia di segno caratteristica di questo insigne saxofonista. 

 Non so bene che relazione ci sia fra questa musica e il romanzo di Hermann Hesse da cui il disco prende il nome (Il gioco delle perle di vetro). C’è da dire anche che io quel libro non l’ho mai letto. 

 Glass Bead Games (Jordan), da «Glass Bead Games», [Strata East] Harvest Song Records #HS2006-1. Clifford Jordan, sax tenore; Cedar Walton, piano; Sam Jones, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato il 29 ottobre 1973

 Prayer to the People (Jordan), id

 John Coltrane (Jordan), id. ma Stanley Cowell, piano; Bill Lee, contrabbasso, al posto di Walton e Jones.

martedì 15 settembre 2020

Tone Field (Gary Peacock)

 Questo disco di Gary Peacock del 1977 presenta per la prima volta la formazione che sarebbe diventata il trio di Keith Jarrett. 

 Tone Field (Peacock), da «Tales Of Another», ECM. Keith Jarrett, piano; Gary Peacock, contrabbasso; Jack DeJohnette, batteria. Registrato nel febbraio 1977.

lunedì 14 settembre 2020

Warm Valley – Maimoun (The Heath Brothers)

 È il primo LP degli Heath Brothers, inciso nel 1975 per l’impavida Strata-East, editrice nella prima metà dei Settanta di una sessantina di dischi di jazz e dintorni (Gil Scott-Heron, per esempio) vari, eterodossi, a volte sconcertanti per i benpensanti come me, interessanti sempre, e parecchi sono molto belli, utili quando non essenziali per dare conto della storia del jazz di quel periodo soprattutto in una prospettiva culturale e anche politica nera, multiforme e non banale. Ti invito a cercare «Strata-East» con la funzione di ricerca nel blog, qui a fianco, e a leggerne quanto già ne ho detto in passato.

 Stanley Cowell era stato pianista nella band di Jimmy Heath e con Charles Tolliver aveva fondato la Strata-East. Nell’occasione funse da produttore, da pianista e da esecutore di m’bira, il lamellofono africano-occidentale noto in dimensioni e tagli diversi come sanzakalimba, ashiwa e con altri nomi ancora. Percy adopera anche un contrabbasso piccolo, Jimmy il flauto, soprattutto, e i sax tenore e soprano, e Albert «Tootie» si cimenta in un paio di pezzi anche al flauto.


 Il disco, d’ispirazione sorprendente, è Strata-East al suo meglio ed è al meglio di quegli anni straordinari per il jazz, i primi Settanta, che io non sono certo abbiano avuto la ricognizione critica complessiva che meritano, compositi e disinibiti come si sono trovati a essere, quindi di definizione complicata. Gli Heath Brothers non hanno mai più suonato niente di simile, a mia scienza; la musica, timbricamente caratterizzata dalla m’bira e dai flauti, ha più di un contatto con il coevo cosiddetto spiritual jazz senza nulla ritenerne di certa brodosità, e nella Smilin’ Billy Suite (a cui dedicherò un post separato e se tardassi, ricordamelo tu) assume accenti spontaneamente funky e soul che consuonano con la temperie di quegli anni e che infatti sono stati in tempi recenti oggetto di sampling da parte di artisti dell’hip hop.

 Warm Valley, con due flauti, m’bira e contrabbasso piccolo suonato con l’arco, ha un cachet afro-cameristico che la rende unica e affascinante, un esempio di musica diasporica cosmopolita.

 Warm Valley (Ellington), da «Marchin’ On», Strata-East SES-19766. Jimmy Heath, Albert «Tootie» Heath, flauto; Stanley Cowell, m’bira; Percy Heath, contrabbasso piccolo. Registrato nel 1975.

 Maimoun (J. Heath), ib., Jimmy Heath anche sax tenore; Albert Heath anche batteria; Stanley Cowell, piano; Percy Heath, contrabbasso.

domenica 13 settembre 2020

Albert (Jenny Scheinman)

 Interessante e obliquo omaggio ad Ayler di Jenny Scheinman. Scrivevo quindici anni fa, recensendo per Musica Jazz questo disco della Scheinman: 

«La tenuità bucolica della palette nessuno l’assocerebbe a quel grande. Ma, pensandoci dopo, la melodia di Albert ha gli stessi accenti e anche gli stessi intervalli delle marce ayleriane, spogli della loro spaventosa vitalità vociferante, non del loro evocativo arcaismo; il suono irreale che insieme creano la chitarra, la fisarmonica e il violino sono stranianti e “memoriosi” come quello dell’assurdo clavicembalo di Call Cobbs».

 Con Bill Frisell alla chitarra. 

 Albert (Scheinman), da «12 Songs», Cryptogramophone CG 125. Jenny Scheinman, violino; Ron Miles, cornetta; Doug Wieselman, clarinetto; Bill Frisell, chitarra; Rachel Garniez, fisarmonica; Tim Luntzel, contrabbasso; Dan Rieser, batteria. Registrato il 14 dicembre 2004.

sabato 12 settembre 2020

Nesuih’s Instant (Lee Konitz)

 Lee Konitz si è cimentato di rado con il blues, che tuttavia, a mio giudizio, entrò nel suo lessico almeno un po’ dalla seconda metà degli anni Sessanta per il tramite di Ornette (le note calanti).

 Qui, 1956, quartetto di tristaniani di osservanza stretta, il giro di blues di fatto a-tematico è attribuito nei credit al bassista Peter Ind. «Nesuhi» è ovviamente uno dei due fratelli Ertegun dell’Atlantic. Lee usa il tenore e Sal Mosca, allievo dei più séduli di Lennie Tristano, si sforza in modo commovente di suonare bluesy, e noi apprezziamo lo sforzo.

 Nesuih’s Instant (Peter Ind), da «Inside Hi-Fi» [Atlantic] Koch Records CD8502. Lee Konitz, sax tenore; Sal Mosca, piano; Peter Ind, contrabbasso; Dick Scott, batteria. Registrato il 26 settembre 1956.

giovedì 10 settembre 2020

O-Go-Mo – Oh Kai (Kai Winding)

 Cinque musicisti bianchi, tre (Winding, Safranski, Manne) freschi freschi dall’orchestra di Stan Kenton, al principio del 1947 fanno del bebop in una maniera, pare a me, particolare e interessante, almeno storicamente: con l’eccezione di Allen Eager appena diciottenne, tutti gli altri mi sembrano impegnati in quella che, senza intenzione, è una parodia del bebop, certi caratteri del quale, come sentirai soprattutto in O-Go-Mo, appaiono enfatizzati fino alla caricatura. 

 Marty Napoleon, pur essendo della generazione dei bopper, svolse tutta la sua carriera in un ambito tardo-swing o proto-mainstream e il suo momento di maggior splendore ebbe con la All-Stars di Louis Armstrong, dove aveva sostituito Hines; qui suona in un stile premoderno e non è a suo agio; la sezione ritmica, pur con un padreterno come Manne, è molto middle of the road. Kai Winding è forse con Eager, qui tuttavia devotamente lesteriano, il più disinvolto ma la sua caratteristica sonorità rasposa rimanda piuttosto a trombonisti classici come Dicky Wells o Jimmy Harrison.

 Un confronto con il bebop che in quel medesimo torno di tempo suonavano i bopper neri è, come suol dirsi, istruttivo, soprattutto quanto alle differenze di concetto ritmico.
 

 Insomma, come notavo qualche mese fa, si fa presto a dire «bebop».

 O-Go-Mo (Winding), da «In the Beginning… Bebop!», Savoy SV 0169. Kai Winding, trombone; Allen Eager, sax tenore; Marty Napoleon, piano; Eddie Safranski, contrabbasso; Shelly Manne, batteria. Registrato il 22 gennaio 1947.

 Oh Kay (Winding), id.

martedì 8 settembre 2020

Dead Man Blues (Jelly Roll Morton) RELOAD

Reload dal 19 febbraio 2013. 

 Questo pezzo del 1926 dei Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton s’inizia con alcune battute di dialogo da vaudeville, non troppo divertenti ma che immagino servano a JRM per ambientare il pezzo, a beneficio di chi non conosca le peculiari tradizioni funebri di New Orleans.

 Sentiamo quindi dapprima otto battute di un classico inno-marcia funebre, Flee As A Bird To The Mountain, dal quale attacca, senza soluzione, un blues nella tipica eterofonia di New Orleans, con le tre voci di cornetta, clarinetto e trombone in contrappunto libero. Seguono, con un nuovo tema, un chorus solistico del clarinetto e due della cornetta.

 E poi… a 2:00 qualcosa d’inaudito – siamo, ricorda, in pieno clima New Orleans – succede: un trio di clarinetti sviluppa una trasfigurante, estatica variazione in armonia, tutta scritta, che quindi si ripete accompagnata da una contromelodia del trombone il cui sol bemolle (blue note) confligge con l’armonia diatonica-maggiore dei clarinetti. Segue un chorus di chiusura nuovamente polifonico, come il primo. Ma a chiudere è un tag dei clarinetti, che citano la prima battuta del loro chorus.

 Capolavoro, serve puntualizzarlo?, e uno di quei pezzi in cui è possibile osservare il jazz proprio nell’attimo in cui sta compiendo un passo innanzi.

 Dead Man Blues (Morton), da «Jelly Roll Morton», JSP Jazzbox 309. Jelly Roll Morton’s Red Hot Peppers: George Mitchell, cornetta; Kid Ory, trombone; Omer Simeon, Barney Bigard, Darnell Howard, clarinetto; Jelly Roll Morton, piano; Johnny St. Cyr, banjo; John Linsday, contrabbasso; Andrew Hilaire, batteria. Registrato il 21 settembre 1926.

lunedì 7 settembre 2020

Parisian Thoroughfare – Bouncing With Bud (Claude Williamson)

 Claude Williamson (1926-2016) viene identificato senza residui dai pochi che se ne ricordano con il West Coast Jazz, et pour cause; fu fra l’altro il pianista dei Lighthouse All Stars, istituzione di quella corrente, in sostituzione di Russ Freeman. 

 In questo disco del 1995 Williamson ripaga il debito che tutti i pianisti di jazz moderni hanno con il primo e il più grande di tutti loro, Bud Powell, suonando tutte sue composizioni o composizioni a lui legate. Williamson suona benissimo ma si sarebbe giovato di una sezione ritmica appena meno routinière e disossata di quella costituita da questi due bravi session men californiani.

 Io credo, e l’ho scritto qui sopra anche più di una volta e più di due, che il West Coast Jazz, così in apparenza sereno e perfino solare anzi assolato, nasconda un’anima, se non nera, di certo inquieta.

 Parisian Thoroughfare (Powell), da «Hallucinations», V.S.O.P. #95. Claude Williamson, piano. Registrato nel 1995.

 Bouncing With Bud (Powell), ib. Williamson con Dave Carpenter, contrabbasso; Paul Kreibich, batteria.

domenica 6 settembre 2020

The One That Makes The rain Stop – Destiny Is Yours (Billy Harper)

 In luglio (come ha corso questa strana estate) presentavo Billy Harper in uno standard e annunciavo che sarei tornato su quel disco che all’ascolto mi aveva esaltato.

 Adempio a quella mezza promessa oggi, visto che l’entusiasmo non è calato ma per fortuna lo ha fatto la temperatura esterna. Nel quintetto di Harper del 1989 l’unico altro di buona notorietà è Eddie Henderson, il cui eloquio intenso ma controllato provvede una bella alternativa espressiva al fervore del leader.

 Le composizioni di Harper, soprattutto da un certo momento in poi, hanno avuto titoli di carattere sapienziale, ora profetico ora omiletico; musicalmente, il carattere oratoro delle melodie è rilevato da metri e lunghezze delle frasi irregolari che ne accentuano l’energia vocale, adagiate su semplici armonie chiesastiche, sovente scandite in vamp.

 The One That Makes The Rain Stop (Harper), da «Destiny Is Yours», SteepleChase SCCD 312260. Eddie Henderson, tromba; Billy Harper, sax tenore; Francesca Tanksley, piano; Clarence Seay, contrabbasso; Newman Baker, batteria. Registrato nel dicembre 1989.

 Destiny Is Yours (Harper), id.

venerdì 4 settembre 2020

There’s No Greater Love (Wynton Kelly)

 Wynton Kelly è stato secondo me uno dei musicisti più spontaneamente eleganti del jazz moderno e credo che sia uno dei non pochi artisti che ha dato al jazz ben più di quanto abbia ricevuto. Quest’esecuzione del bellissimo standard di Isham Jones la trovo entusiasmante, nell’ascoltarla mi sembra di essere lì in quel club di Seattle, a centellinare una camomilla al seltz.

 There’s No Greater Love (Jones-Syme), da «Smokin’ in Seattle - Live at the Penthouse», Resonance. Wynton Kelly, piano; Ron McClure, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria. Registrato nell’APRILE 1966.

giovedì 3 settembre 2020

[Comunicazione di servizio] Un articolo su Horace Silver

 Oggi anzi ieri era il compleanno di Horace Silver (1928-2014). Qui c’è un mio pezzo su Silver che uscì nel 2008 sulla rivista «Musica Jazz» (.pdf).

Movement C (Jerome Cooper)

 Jerome Cooper (1946-2015) l’abbiamo sentito qui sopra l’anno scorso con il Revolutionary Ensemble e prima con Braxton (suonava nel famoso «New York Fall ’74»).

 Così si esprime Cooper nelle succinte note di copertina di questo disco in solo del 1979
«Questo disco non è destinato ai soli batteristi… lo può apprezzare chiunque sia interessato alla musica. Gli appassionati di musica classica perché è strutturato, gli appassionati del rock per il ritmo marcato, gli appassionati del jazz per l’aspetto improvvisativo, e quelli interessati alla musica etnica per lo strumentario adoperato».
 Movement C (Cooper), da «The Unpredictability Of Predictability», About Time AT-1002. Jerome Cooper, batteria, percussioni. Registrato il 6 luglio 1979.

martedì 1 settembre 2020

After Hours (Dizzy Gillespie, Sonny Stitt, Sonny Rollins) RELOAD

Reload dal 4 aprile 2011Da allora, appena pochi giorni fa, chi ha lasciato il grande batterista Charlie Persip.

 Ah, come mi piace questo disco. Riunisce parecchie cose che mi vanno a genio: il blues, la jam competitiva ma cavalleresca, Sonny Stitt, Sonny Rollins e Ray Bryant, oltre naturalmente a Dizzy, che è il lievito che fa sollevare la seduta impedendo che si afflosci in una tenzone muscolare (anche se con Rollins non ce n’era veramente il pericolo), e Potter e Persip, due dei più duttili e classici rhythm men moderni. C’è anche uno di quei titoli alimentari a cui ho fato cenno più volte: le uova sunny side up (qui sonny per omaggio ai due tenoristi), cioè con il sole rivolto verso l’alto, sono le uova fritte con il tuorlo intero.

  After Hours è uno standard jazz del pianista Avery Parrish, che lo incise nel 1941 in un disco popolarissimo dell’orchestra di Erskine Hawkins. Horace Silver ha raccontato di aver trascritto e imparato l’assolo di Parrish in quel disco, e David H. Rosenthal (in Hard Bop. Jazz & Black Music, 1992), ha ricordato che «frasi tolte dall’assolo di Parrish e dal repertorio standard di frasette funky (funky licks) del blues e del boogie-woogie emergono in pezzi che pure non sono blues: un elemento dello stile di Silver, questo, che ebbe un impatto incalcolabile su altri pianisti alla fine degli anni Cinquanta. Incorporando materiale delle radici del jazz nella sua musica, [Silver] tramandò molte delle sue frasi preferite, che a tutt’oggi sono parte costitutiva del vocabolario del jazz».

  After Hours (Parrish), da «Sonny Side Up», Verve MGV-8262. Dizzy Gillespie, tromba; Sonny Rollins, Sonny Stitt, sax tenore; Ray Bryant, piano; Tommy Potter, contrabbasso; Charli Persip, batteria. Registrato nel dicembre 1957.