venerdì 31 luglio 2020

Nightfall (Kenny Barron)

 Kenny Barron suona Nightfall di Charlie Haden, una composizione che io ricordo dal secondo disco di duetti di Haden, «Closeness» del 1976, con il titolo di Ellen David, il nome dell’allora moglie di Haden. 

 In quella versione di tanti anni fa, il pianista era Keith Jarrett. La melodia, molto romantica, «siede» assai bene sul pianoforte, e forse meglio in questa contenuta resa di Barron che in quella di Jarrett, che ricordo piuttosto sfrenata.

 Nighftall (Haden), da «Book Of Intuition», Impulse!. Kenny Barron, piano; Kiyoshi Kitagawa, contrabbasso; Jonathan Blake, batteria. Registrato nel luglio 2015.

giovedì 30 luglio 2020

One Two five (Jaki Byard)

 Divertissement lessicale di Jaki Byard sulla più comune formula cadenzale del jazz (ii-v-i), vòlta in un colorito studio di stili e tecniche.

 One Two Five (Byard), da «Blues For Smoke», Candid CJS 9018. Jaki Byard, piano. Registrato il 16 dicembre 1960.

martedì 28 luglio 2020

Tempus Fugit (Sonny Rollins)

 Di questo live di Sonny Rollins del 1962, anno del suo ritorno dal ponte e del massimo suo avvicinamento alle free forms in jazz, potrei ripetere quanto scrivevo qualche mese fa. La formazione è in pratica il quartetto di Ornette di due, tre anni prima con Rollins e Cranshaw al posto di Ornette e Haden, ma la musica che ne sortisce è lontanissima da quella: astratta, intellettualistica perfino, e infatti Don Cherry non vi si trova sempre a suo agio.

 Lo rende lampante questa prolissa versione della composizione di Bud Powell, che non è veramente suonata e nemmeno accennata, ma allusa. Insomma, che stiano suonando Tempus Fugit lo sanno loro; quella composizione è usata da loro come bussola nell’improvvisazione più che esposta per noi, i quali, se vorremo, potremo riconoscerne qua e là dei vaghi brandelli.

 Tempus Fugit (Powell), da «Sonny Rollins Quartet With Don Cherry. Complete Live At The Village Gate 1962», Solar Records. Don Cherry, cornetta; Sonny Rollins, sax tenore; Bob Cranshaw, contrabbasso; Billy Higgins, batteria. Registrato nel luglio 1962.

domenica 26 luglio 2020

Concerto for Billy The Kid (George Russell) RELOADED

Reload dal 6 luglio 2010  

 Piuttosto acidamente, il jazz writer Whitney Balliett scriveva nel 1957 degli esperimenti compositivi di George Russell che gli apparivano «a volte prossimi a un’abile contraffazione del jazz, escogitata da qualcuno che in realtà lo disprezza».

  Credo che però anche Balliett avrà apprezzato questo Concerto: Billy The Kid è un giovane Bill Evans all’esordio discografico o quasi, che nel mezzo dell’elaborata composizione esegue, in stop chorus, un meraviglioso assolo sul giro armonico di I’ll Remember April.

 Concerto for Billy The Kid, da «The Complete Bluebird Recordings of George Russell», Lone Hill Jazz LHJ10177. Art Farmer, tromba; Hal McKusick, sax alto; Barry Galbraith, chitarra; Bill Evans, piano; Milt Hinton, contrabbasso; Paul Motian, batteria. Registrato il 17 ottobre 1956.

sabato 25 luglio 2020

Le manoir des mes rêves (James Carter)

 Sabato. Sciogliti e batti il piedino con l’organ trio. Ha qualcosa in più: quest’organico redolente di soul jazz, James Carter lo ha adibito a un repertorio da lui amato e praticato, quello di Django Reinhardt.

 La fusion funziona bene né si vede perché non dovrebbe. Carter non si risparmia, anzi, ne fa come sempre di tutti i colori in quella sua maniera – ma forse può dirsi uno stile – in cui mantrugia tutta la storia del sax, non solo tenore, da Chu Berry ad Ayler a Braxton (di cui, unico mainstreamer a mia conoscenza, ha in repertorio alcune composizioni), una maniera a volte un po’ inconcludente ma quasi sempre felicemente disinibita. In Manoir, che diventa altro rispetto alle versioni propriamente manouche, Carter trova modo di prodursi in multiphonics, in un tratto di respirazione circolare e in una sequenza in sopracuti dei quali, per potenza e intonazione, credo nessun saxofonista credo abbia mai emesso gli eguali (forse Teo Macero in un vecchio disco di Teddy Charles, o Eddie Harris).

 La ripresa è dal vivo al festival di Newport del 2018.

 Le manoir des mes rêves (Reinhardt), da «Live From Newport», Blue Note B003079802. James Carter, sax tenore; Gerard Gibbs, organo; Alex White, batteria. Registrato il 5 agosto 2018.

venerdì 24 luglio 2020

Avalon – Borderline – Quin and Sonic (Mel Powell)

 Piano jazz con Mel Powell, uno dei maggiori pianisti bianchi, un pensatore musicale di prim’ordine, teste questa Avalon cui a un impianto stride di swing feroce si unisce uno straniamento armonico a momenti tristaniano (Lennie). Seguono due sue composizioni, delle quali non ha nemmeno senso, come volle John Hammond nelle note dell’LP originale, «Borderline» appunto, dire che Powell univa qua la sua anima di jazzman a quella di compositore classico, veste nella quale avrebbe vinto un Pulitzer: si tratta di musica che segue un’ispirazione singolarmente libera, e comunque sempre jazzistica.

 Per maggior libertà, il trio rinuncia al contrabbasso; dal punto di vista ritmico, è la competenza stride di Powell che non ne fa sentire la mancanza.

 È una bella occasione anche per sentire Paul Quinichette, iniquamente consegnato alla storia come una copia di Lester Young. È notevole come, soprattutto in Quin and Sonic che gli è intitolato e che è un complicato travisamento di I’ll Remember April, il contesto lo porti ad assomigliare per brevi tratti a Warne Marsh. Certo, nulla c’impedisce di pensare che, viceversa, Quinichette fosse servito d’ispirazione a Marsh.

 Avalon (Jolson-DeSilva-Rose), da «Four Classic Albums», Avid. Paul Quinichette, sax tenore; Mel Powell, piano; Bobby Donaldson, batteria. Registrato il 17 agosto 1954.

 Borderline (Powell), id.

 Quin and Sonic (Powell), id.

giovedì 23 luglio 2020

Nardis – Blue Funk (Cannonball Adderley)

 È la editio princeps del pezzo celeberrimo che Miles Davis compose per farne dono all’allora suo sideman Julian «Cannonball» Adderley in occasione di questo LP a suo nome. Miles aveva un debole per Cannonball, tanto da partecipare come sideman a sua volta, ultima apparizione in quella veste, a un altro disco del saxofonista, «Something Else», inciso in quell’anno stesso. Com’è noto, benché si tratti di una delle sue composizioni più eseguite, Miles non la incise né credo la suonò mai, mentre divenne invece un centerpiece di Bill Evans (presente anche qui) lungo il corso di tutta la sua carriera.

 Questa versione originale è più interessante che riuscita, in un disco per il resto assai bello; Il povero Blue Mitchell, fatto venire espressamente a NY dalla Florida, dovette prodursi sotto lo sguardo, posso immaginare quanto benevolo, di Miles stesso, presente alla seduta; l’esecuzione manca di agio e in ultima analisi di swing e di fascino; ci dirà qualcosa che la take scelta per la pubblicazione sia la quinta (l’edizione in CD ne presenta un’altra).

 Sono più riusciti tutti gli altri pezzi del disco, di cui qui ti presento Blue Funk di Sam Jones, una di quelle blues march di moda ai tempi.

 Nardis (Davis), da «Portrait of Cannonball», OJCCD361-2 (Riverside R-269). Blue Mitchell, tromba; Cannonball Adderley, sax alto; Bill Evans, piano; Sam Jones, contrabbasso; Philly Joe Jones, batteria. Registrato il primo luglio 1958.

 Blue Funk
(Jones), id.

sabato 18 luglio 2020

My Funny Valentine (Billy Harper)

 Riascolto dopo molto tempo questo disco del 1989 di Billy Harper e ne rimango così tanto entusiasta da non sapere davvero quali due o tre pezzi scegliere per farteli ascoltare, e del resto, nel parlartene, avrei a temere il mio stesso entusiasmo.

 Allora facciamo così: ti presento Harper e i suoi nell’esecuzione insolita di uno standard, l’unico del disco, e mi propongo di farti sentire dell’altro molto presto, quando l’eccitazione per questa musica si sarà, non raffreddata, ma solidificata in una forma comunicabile.

 Billy Harper è un mio pallino e te ne parlavo l’inverno scorso poco prima che il mondo finisse sottosopra.

 My Funny Valentine (Rodgers-Hart), da «Destiny Is Yours», SteepleChase SCCD 312260. Eddie Henderson, tromba; Billy Harper, sax tenore; Francesca Tanksley, piano; Clarence Seay, contrabbasso; Newman Baker, batteria. Registrato nel dicembre 1989.

venerdì 17 luglio 2020

Ecclusiastics – Passions Of A Man (Charles Mingus)

 Oggi c’è poco da dire, mi sembra: questo di Mingus è uno dei suoi dischi più  personali, quasi oltraggiosamente tale (per l’epoca) e fra l’altro con una delle copertine più belle del jazz, di Loring Eutemey.

 Ecclusiastics è nella sua vena chiesastica, la stessa di Better Git It in Your Soul ma più espressionista e mimetica della funzione sacra; Passions Of A Man è uno dei pezzi inquietanti e avveniristici di Mingus (siamo nel 1961), una specie di autoanalisi o di coeur mis à nu di cui non conosco pari.

 Per tutto il disco Mingus suona il pianoforte nel suo stile caratteristico, e canta e vocifera; del contrabbasso è accreditato Doug Watkins, ma lo strumento suonato con l’arco che si ascolta in Passions Of A Man, dalla sonorità di violoncello, era sicuramente nelle mani di Mingus.

 Ecclusiastics (Mingus), da «Oh Yeah», (Atlantic) Rhino 8122737482. Jimmy Knepper, trombone; Booker Ervin, sax tenore; Roland Kirk, manzello, flauto; Charles Mingus, piano, canto; Doug Watkins, contrabbasso; Dannie Richmond, batteria. Registrato il 6 novembre 1961.

 Passions Of A Man (Mingus), id.

giovedì 16 luglio 2020

Smoke Gets In Your Eyes – Motion – Indelible (Daniel Hersog)

 Daniel Hersog (Vancouver, 1985) è un jazzman canadese con l’istinto della big band e il talento che basta per seguirlo senza passi falsi o banalità. Senti questa versione del grande standard di Kern, condotta su un’alternanza di densità, da texture lussureggianti all’astringente semi-astrazione del pianista Carlberg, senza magniloquenza e anzi con una accorta economia dei pur cospicui mezzi.

 Hersog non ha bisogno di saturare lo spazio sonoro, né di farsi sentire in continuazione sotto i solisti, per creare un’atmosfera sonora persuasiva e personale: in questo è simile a Gil Evans il quale, se ricorda per la strumentazione, sbilanciata verso gli ottoni e ricca di legni-non saxofoni, non ricorda invece se non occasionalmente per gli impasti.

 Le doti di Hersog, per me evidenti anche o soprattutto in assenza qui di solisti di nota, me le conferma il resto di questo disco, per esempio l’omaggio a Jarrett di Motion e Indelible, la cui movenza motoristica in even eights, memore di certo jazz americano contemporaneo, non soccombe alla meccanicità grazie anche a una scrittura disinvolta per gli ottoni.

 Smoke Gets In Your Eyes (Kern), da «Night Devoid Of Stars», Cellar Music. Michael Kim, Brad Turner, Derry Byrne, Jocelyn Waugh, tromba e flicorno; Rod Murray, Jim Hopson, Brian Harding, trombone; Sharman King, trombone basso; Chris Startup, Michael Braverman, sax alto, soprano, clarinetto; Noah Preminger, Tom Keenlyside, sax tenore, flauto, ottavino, flauto contralto; Ben Enriques, sax baritono, clarinetto basso; Frank Carlberg, piano; James Meter, contrabbasso; Michael Sarin, batteria. Registrato il 10 e l’11 maggio 2019.


 Motion (Hersog), id.

 Indelible (Hersog)id.

mercoledì 15 luglio 2020

Night and Day (Joe Henderson)

 Rinnovamento armonico di uno standard un po’ consunto, ma sempre bellissimo, senza che ne risultino traditi la struttura e lo spirito. 

 Da notare qui: la felicità espressiva (proprio nel senso di: letizia, allegria) di McCoy Tyner ed Elvin Jones in procinto di lasciare Coltrane al destino misterioso e forse cupo dei suoi anni estremi; la soprendente individualità del ventisettenne Joe Henderson, saxofonista tenore fra l’incudine Rollins e il martello Coltrane.

 Night and Day (Cole Porter), da «Inner Urge», Blue Note CDP 7 84189 2. Joe Henderson, sax tenore; McCoy Tyner, piano; Bob Cranshaw, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 30 novembre 1964.

sabato 11 luglio 2020

Quiz #24

 Nel tentativo un po’ affannoso di ridare vita a questo blog… fra l’altro, con l’avvento dei social, di Instagram e di non so che altro, il blog è diventato un protocollo desueto, so early 2000, e temo si avvii a defungere come i newsgroup di Usenet, dopo qualche anno di fulgore. Bah.

 Nel tentativo, dicevo, di ridare fiato a Jazz nel pomeriggio, riesumo addirittura il Quiz, che ricorreva nei primi due anni e che era finito in soffitta addirittura nel 2012.

 Chi è il saxofonista e leader, qui? È facile. Proprio come una volta, chi indovina non vince un fico secco. Una volta il primo a indovinare era sempre Paolo il Lancianese.


Quiz #24

venerdì 10 luglio 2020

Wave – Warm Valley (Paul Desmond)

 Non sono appassionato della bossa nova, che anche nelle sue istanze migliori trovo una musica narcotica, e a me la musica narcotica non piace – ricordo le parole di Eugenio Montale a proposito di una certa esecuzione di Carmendisossata con cura, troppo amabile.

 Posso ascoltarla se la suona un grande jazzista; Paul Desmond non è che non abbia a sua volta degli aspetti narcotici, ma lo «salva», diciamo così, un’invenzione melodica sempre vigile. Diciamo anche che il chitarrista canadese Ed Bickert, che è morto da poco, faceva pendent ideale a Desmond, il quale, in base a un agreement informale con Dave Brubeck, non poteva registrare con altri pianisti (nota per i chitarristi in lettura: Bickert suona qui una Fender Telecaster, scelta insolita per un jazzista negli anni Settanta).

 Molto meglio Warm Valley, comunque.

 Wave (Jobim), da «Pure Desmond», CTI. Paul Desmond, sax alto; Ed Bickert, chitarra; Ron Carter, contrabbasso; Connie Kay, batteria. Registrato nel settembre 1974.

 Warm Valley (Ellington), id.

giovedì 9 luglio 2020

Blue Room – April in Paris (John Kirby)

 Il sestetto qui a nome di Buster Bailey era in realtà quel complesso di John Kirby che dal 1937 all’inizio della guerra – siamo nel 1940 – ottenne molto successo («The Biggest Little Band in the Land»), ebbe un programma radiofonico popolare, Flow Gently, Sweet Rhythm, e incise sotto varî nomi, con arrangiamenti raffinati di Bailey stesso, del pianista Billy Kyle e soprattutto di Charlie Shavers.

 L’ingegno musicale di Shavers appare già dalle battute dell’introduzione di Blue Room, con il gioco impressionistico degli accordi di settima e l’effetto metrico di emiolia (la melodia in «3» contro la pulsazione in «4»).

 Buster Bailey (1902-1967), che ascoltiamo pochi giorni dopo Edmond Hall, è un altro dei grandi clarinettisti del jazz classico, dall’esecuzione immacolata molto a proposito in questa musica elegante; come Jimmie Noone e Benny Goodman, altri due strumentisti impeccabili, Bailey era stato studente del clarinettista tedesco Franz Schoepp.

 Blue Room (Rodgers-Hart), da «Buster Bailey 1925-1940», Chronological Classics 904. Charlie Shavers, tromba; Buster Bailey, clarinetto; Russell Procope, sax alto; Billy Kyle, piano; John Kirby, contrabbasso; O’Neil Spencer, batteria. Registrato nel maggio 1940.

 April in Paris (Duke-Harburg) id.

mercoledì 8 luglio 2020

Big Stuff (Gil Evans): 10 anni con Jazz nel pomeriggio.

 Fra i disagi del 2020 novera pure l’andamento sussultorio di Jazz nel pomeriggio, che a dire il vero dura dal 2018 ma che l’anno funesto ha aggravato.

 Mi ha fatto trascurare la ricorrenza del 22 maggio, compleanno del blog; e sì che quest’anno era il decimo, che per un blog amatoriale e individuale non è poco. Quando l’ho cominciato nel 2010 non immaginavo che, sia pure negli ultimi due o tre anni con fermate anche di mesi, avrei avuto la costanza di farlo durare tanto e nemmeno avrei pensato che grazie al blog avrei trovato amici che mi sono restati, anche se in fondo lo scopo era proprio e soltanto di trovare qualche appassionato con cui discorrere di jazz.

 Il decennio 2010-20 è stato per me come per tutti popolato di cose belle e brutte e per me, inoltre, di cambiamenti: di casa (quattro volte), di città e anche più importanti di così. La costante è rimasta il jazz e Jazz nel pomeriggio. A meno che io non muoia prima o che la pestilenza in corso non sia che un prodromo a un flagello più dirimente, puoi stare ragionevolmente sicuro che mi ritroverai qui nel 2030.

 Big stuff, indeed.

 Big Stuff (Bernstein), da «Gil Evans And Ten», Prestige PRSA-720-6. Louis Mucci, tromba; Jimmy Cleveland, trombone; Bart Varsalona, trombone basso; Willie Ruff, corno; Steve Lacy, sax soprano; Lee Konitz, sax alto; Dave Kurtzer, fagotto; Gil Evans, piano, arrangiamento e direzione; Paul Chambers, contrabbasso; Nick Stabulas, batteria. Registrato il 10 ottobre 1957.

martedì 7 luglio 2020

5400 North – Ball of Fire (Roy Eldridge)

 Oggi c’è Roy Eldridge, un’altra delle voci inconfondibili del jazz di cui dicevo ieri, e una che su Jazz nel pomeriggio si è sentita poco. È una seduta organizzata a New York dalla Master Jazz Recordings di Bill Weilbacher, etichetta che dal 1967 al ’72 registrò una trentina di dischi che colgono nel loro autunno, ma non ancora nel declino, alcuni grandi musicisti del jazz classico trapassati in quello che verso la metà degli anni Cinquanta cominciò a dirsi il mainstream.

 Roy ebbe carta bianca quanto a collaboratori e repertorio e volle con sé fra gli altri il trombonista Bennie Morton, Nat Pierce già con Woody Herman e il grande Budd Johnson, quel giorno in vena specialmente estroversa. 

 Nel novembre del 1970, quasi sessantenne, si sente che non gli mancavano l’energia né la disposizione a correre rischi, teste l’incipit  stratosferico del suo assolo di Ball of Fire.

 5400 North (Eldridge), da «The Nifty Cat», Master Jazz Recordings MJR 8110. Roy Eldridge, tromba; Bennie Morton, trombone; Budd Johnson, sax tenore; Nat Pierce, piano; Tommy Bryant, contrabbasso; Oliver Jackson, batteria. Registrato il 24 novembre 1970.

 Ball of Fire (Eldridge-Krupa), id.

lunedì 6 luglio 2020

Celestial Express – Profoundly Blue #2 (Edmond Hall)

 Ha scritto Manfred Selchow, autore di un’amorevole monografia sul clarinettista Edmond Hall: «Se tutti i jazzisti fossero come Edmond Hall così riconoscibili dopo tre o quattro note, sarebbe la fine dei blindfold test».

 Hall (1901-1967), infatti, uno dei massimi esponenti del suo strumento nel jazz, è stato anche una delle sue voci più individuali: per questo e anche per ragioni più peculiarmente linguistiche mi ricorda il trombonista Vic Dickenson, con cui Hall lavorò e registrò sovente. Dickenson e Hall io li cito quando qualcuno mi domanda – ma dico il vero, non me lo domanda mai nessuno – che cosa si debba intendere per «grande solista di jazz».

 Il 5 febbraio del 1941 Hall fu messo alla testa di questo quartetto con la celesta dalla Blue Note di Alfred Lion nella sua prima incarnazione. Credo che la celesta compaia per la prima volta qui in un contesto jazzistico. La suona Meade Lux Lewis, con una delicatezza e anche con una fantasia insospettate, tanto in assolo quanto in accompagnamento.

 Completano il quartetto altri due grandi del jazz. Questa è l’unica occasione che ci è stata data di ascoltare Charlie Christian alla chitarra acustica, dalla quale trae un suono caldo e pieno e un fraseggio esuberante come sempre, anche se pour cause meno moderno di quello ispiratogli dallo strumento elettrico, soprattutto nelle jam registrate in quell’anno stesso al Minton’s da Jerry Newman, dove Christian suonò a tutti gli effetti bebop prima ancora che quel termine esistesse.

Al contrabbasso c’è Israel Crosby. I jazzofili lo ricordano, o almeno dovrebbero, con Ahmad Jamal in una serie di dischi il più famoso dei quali è «At The Pershing» del 1958 e poi con George Shearing. In realtà Crosby, che aveva esordito sedicenne nel 1935 con Gene Krupa ed era coetaneo di Jimmy Blanton, è stato uno dei contrabbassisti più importanti e innovativi del jazz.

 Strumentazione e anno della registrazione invitano a immaginare qualcosa di lezioso, tipo i Gramercy Five di Artie Shaw con il clavicembalo suonato da Johnny Guarnieri, o i complessi di John Kirby. Invece i cinque blues suonati quel giorno hanno nerbo e uno swing implacabile (Celestial Express nel segno della propulsione ferroviaria caratteristica dell’autore di Honky Tonk Train Blues), senza perdere per ciò un grammo di eleganza.

 Celestial Express (Lewis), da «The Complete Edmond Hall, James P. Johnson, Sidney De Paris, Vic Dickenson Blue Note Sessions», Mosaic. Edmond Hall, clarinetto; Meade Lux Lewis, celesta; Charlie Christian, chitarra; Israel Crosby, contrabbasso. Registrato il 5 febbraio 1941.

 Profoundly Blue #2 (Lewis), id.

domenica 5 luglio 2020

Straight, No Chaser (Piano Choir)

 Reparto stranezze: il Piano Choir, un complesso di sette pianisti sette, organizzato da Stanley Cowell. L’unico altro componente di pari notorietà è Harold Mabern, di qualche notorietà sono Danny Mixon, Hugh Lawson (ascoltato più volte su Jnp con Yusef Lateef) e Sonelius Smith; a me ignoti Nat Jones e Webster Lewis, dei quali ora come ora, privo come mi trovo di accesso a certe risorse, non potrei dirti più di quanto non ti direbbe il Web, al quale volentieri ti rimando.

 Disco Strata East. Forse ci tornerò sopra fra qualche giorno, nel caso, ricordamelo tu. La sequenza delle entrate  in Straight, No Chaser è: Lewis, Cowell, Mixon (piano elettrico), Jones, Smith, Mabern, Lawson.

 Straight, No Chaser (Monk), da «Handscapes», Strata East. Stanley Cowell, Nat Jones, Hugh Lawson, Webster Lewis, Harold Mabern, Danny Mixon, Sonelius Smith. Registrato il 28 ottobre 1972.

 Killers (Cowell), id.

sabato 4 luglio 2020

Bernie’s Tune (Earl Hines)

 Dunque, qui siamo con un grande jazzista nato nel 1903 o forse prima (pianista con gli Hot Seven di Armstrong, per dirne una) alle prese con una composizione classica del jazz moderno, Bernie’s Tune, resa famosa dal quartetto pianoless di Gerry Mulligan con Chet Baker. Con lui sono due colossi ritmici del jazz moderno, a un certo momento perfino d’avanguardia, Richard Davis ed Elvin Jones. L’anno è il 1966.

 Posto che l’interpretazione di «Fatha» Hines è fresca e vivace, che cosa ce la qualifica come il lavoro di un jazzista nato nel 1903 e cresciuto insieme con il jazz? Senza entrare in dettagli, io direi: l’automatico editing che Hines fa della sua improvvisazione; l‘esecuzione, di poco meno di quattro minuti, è un assolo continuo del pianista con il rispettoso accompagnamento dei due padreterni. A differenza degli assoli di suoi colleghi moderni, anche grandi, non c‘è alcun diffondersi, non viene lasciato spazio a momenti di in cui prendere fiato abbandonandosi momentaneamente a una formula, a una scala, a un ostinato: costante sembra la preoccupazione di dire qualcosa, e di farlo di maniera che ogni frase e ogni episodio consegua con logica discorsiva dal precedente. In definitiva, Earl Hines non suona mai dimenticandosi del pubblico che ha davanti.

 Bernie’s Tune (Miller), da «The Mighty Fatha», Flying Dutchman FD-10147. Earl Hines, piano; Richard Davis, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 17 gennaio 1966.

venerdì 3 luglio 2020

Dewey Square – The Windup – Ring of Fire (Rudresh Mahanthappa)

 Rudresh Mahanthappa, jazzmen fra i più segnalati dell’odierna scena USA, ha da pochissimo fatto un disco in trio che, nell’intenzione, può ricordare quello che ti ho proposto ieri di Branford Marsalis: una rassegna di influenze. Direi che la versione di Mahanthappa abbia più che quella di Marsalis un valore sentimentale – del resto Mahanthappa ha cinquant’anni e Marsalis, nel 1987, era ancora lontano dai trenta.

 Il disco è molto bello, a mio parere. Il saxofonista, nei pezzi che ti faccio sentire oggi, vi omaggia, con molto abbandono e senz’ombra dell’ironia posmoderna del suo collega, Charlie Parker, Keith Jarrett* e… Johnny Cash.

 * Anche qui, come nel disco di Marsalis, in un pezzo dell’European Quartet con Jan Garbarek. Mi sa che il disdegno in cui i jazzofili per bene, quorum ego, sono soliti tenere il norvegese, meriti un ripensamento.

 Dewey Square (Parker), da «Hero Trio», Whirlwind Recordings. Rudresh Mahanthappa, sax alto; François Moutin, contrabbasso; Rudy Royston, batteria. Registrato nel gennaio 2020.

 The Windup (Jarrett), id.

 Ring of Fire (J. Carter Cash), id.

giovedì 2 luglio 2020

I Thought About You – Lonely Woman – Crepuscule With Nellie (Branford Marsalis)

 Ventisettenne nel 1987, Branford Marsalis registrò «Random Abstract» con intento un po’ postmoderno un po’ sardonico, conforme alla sua indole capziosa e non poco intellettualistica. 

 Più che dare prova di una fedeltà pugnace ai valori della tradizione jazzistica, secondo l’ideologia implicita o professata dagli altri young lions e da suo fratello per primo, mi pare che qui Branford volesse da una parte mostrare gli attrezzi del mestiere – che possedeva tutti, in bell’ordine, luccicanti e affilati – e dall’altra dichiararsi his own man, artista libero da qualunque impegno dimostrativo o ideologico. 

 Da filologo disinibito, qui lo senti prima interpretare, quasi canalizzare Ben Webster (in I Thought About You) e poi rifare con gusto e abbandono addirittura Jan Garbarek (!) in una lettura di Lonely Woman di Ornette così attraversata di allusioni e significazioni da proporsi come un vero saggio di intersezionalità musicale e culturale. (Anni dopo, in Lykief, contenuto in «Requiem», disco del 1998, Marsalis si divertirà ancora a parodiare, o a omaggiare, l’European Quartet di Jarrett)

 Metto in fine Crepuscule With Nellie perché è un pezzo che, quando lo incontro in un disco, non posso non farti sentire, tanto mi commuove: credo sia la mia composizione di Monk preferita. Marsalis e i suoi, fra cui il molto rimpianto Kenny Kirkland, si limitano a suonare il tema con rispetto e un paio di modesti ritocchi armonici. L’esecuzione serve a ricordarci che, perfino per un musicista dell’intelligenza e della preparazione di Branford Marsalis, dare un’interpretazione significativa della musica di Monk non è impresa scontata.

 I Thought About You (Mercer-Van Housen), da «Random Abstract», Columbia CK 44055. Branford Marsalis, sax tenore; Kenny Kirkland, piano; Delbert Felix, contrabbasso; Lewis Nash, batteria. Registrato nell’agosto 1987.

 Lonely Woman (Coleman), id.

 Crepuscule With Nellie (Monk), id.

mercoledì 1 luglio 2020

Three On A Row – With A Song In My Heart (Shelly Manne)

 Che cosa ti viene alla mente se ti dico «dodecafonia» o «musica seriale»? Dipende da se tu sia interessato alla musica da concerto del Novecento, naturalmente, e se ti piaccia ascoltarla.

 Quasi certamente non ti verrebbe in mente il jazz; eppure la tecnica compositiva seriale, o dodecafonica, ha interessato diversi jazzmen e qui sopra ne abbiamo ascoltato almeno un’istanza anni fa, opera di Don Ellis. Ma laddove il lavoro di Ellis, pur interessante, restava espressivamente irrigidito da una certa dimostratività – cose che può dirsi anche di altra della sua musica – , questo pezzo di Shelly Manne mostra un impiego delle serie dodecafonica in modo espressivamente finalizzato a un jazz da una parte tardo-West Coast, dall’altra impegnato a swingare duro.

 (Il West coast jazz, mi piace ricordare, aveva poi sempre mostrato un côté intellettuale e avanguardistico, dovuto fra l’altro al fatto che alcuni dei suoi esponenti maggiori – proprio Shorty Rogers e Jimmy Giuffre qui presenti, e poi John Graas, Bob Florence e altri ancora – erano stati studenti di Wesley La Violette, compositore accademico di quell’inclinazione).

 La row del titolo del primo pezzo è, ovviamente, la serie di dodici note che fornisce la base alla composizione di Shorty Rogers, serie ripetuta a sua volta dodici volte nel corso dell’esecuzione.

 With A Song In My Heart viene da una seduta di pochissimi giorni dopo (siamo nel 1954) la cui singolarità è non la struttura musicale ma, come del resto nella precedente, la formazione, pianoforte e batteria. È sempre un piacere ascoltare Russ Freeman, musicista di inconfondibile personalità.

 Three On A Row
(Rogers), da «“The Three“ And “The Two”», [Contemporary] OJCCD-172-2. Shorty Rogers, tromba; Jimmy Giuffre, sax baritono; Shelly Manne, batteria. Registrato il 10 settembre 1954.

 With A Song In My Heart (Rodgers-Hart), ib. Manne; Russ Freeman, piano. Registrato il 14 settembre 1954.