Christian Scott (1983), trombettista di New Orleans, è un nome fra i più segnalati della new wave jazzistica razzialmente connotata, diciamo così.
Fra gli affezionati di Jnp, a cui sono a mia volta affezionato, c’è di sicuro almeno un suo sostenitore strenuo. Io non trovo ragioni per entusiasmarmi della musica di Scott, che è intelligente, abbastanza piacevole e per me, dopo ben poco, noiosa, perché troppo sollecita di un suono e poco di un linguaggio: come, paradossalmente, certa avanguardia jazzistica che da questa musica sembrerebbe lontanissima, l’una e l’altra preoccupate di presentarsi come oggetti contemporanei. Come strumentista, Scott mi sembra al di sotto di altri trombettisti americani suoi contemporanei come Ambrose Akinmusire, Marquis Hill, Jonathan Finlayson o Sean Jones.
Il disco è stato registrato, per volontà di Scott, da Rudy Van Gelder.
The Eraser (Scott), da «Yesterday You Said Tomorrow», Concord Jazz. Christian Scott, tromba; Milton Fletcher jr, piano; Matthew Stevens, chitarra; Kristopher Keith Funn, contrabbasso; Jamire Williams, batteria. Registrato il 30 marzo 2010.
Angola, LA & The 13th Amendment (Scott), id.
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27 commenti:
Sono uno degli strenui, fin dal secondo disco Anthem. Non capisco solo una cosa: che intendi con sollecitudine per un suono e non per un linguaggio?
Se ho capito bene per 'sollecitudine per un suono e non per un linguaggio' si intende la ricerca di un suono prodotto e globale, che colpisca l'immaginazione e l'orecchio, prima che le sovrastrutture musicali, per chi ce le ha, comincino ad indagare su dove e come le note si mettono in relazione l'una con l'altra, e come interagiscono con il silenzio, in modo da formare appunto un 'linguaggio'. Tipico di questo modo di fare musica è una certa corrente jazz lounge, per fortuna ormai scomparsa. Aggiungo che i protagonisti dell'estetica del suono sono principalmente dj e produttori cross-over che generalmente sono convinti di amare il jazz ma amano in realtà il suono della parola e le lettere j a z z che la formano. Sono figli meno raffinati di quelli che dicevano di preferire il jazz caldo a quello freddo, (ma in tazza grande, aggiunsi io senza vederli ridere) Sempre se ho capito bene...
Ciao Negrodeath, intendevo evocarti necromanticamente e ha funzionato. tafuri spiega abbastanza bene quello che intendevo, anche se vi aggiunge una certa polemica nella quale non mi addentro.
Ma no niente polemica, tra l'altro si fa il nome di Ambrose Akinmusirè, e diventa difficile rimanere neutrali davanti a questa distanza. Aggiungo poi che peraltro anche il manifesto musicale di Ambrose non è esente da questa tua critica, Marco Bertoli, e mi riferisco agli esperimenti canzonettistici che si trovano anche nell'ultimo suo lavoro.
Anche le canzonette c'è modo e modo di farle (non ho sentito l'ultimo di Akinmusirè, io arrivo sempre un po' in ritardo sull'attualità). Ma intendevo dire che, fra i nuovi o seminuovi del jazz americano, Scott mi sembra piuttosto sopravvalutato, e non solo per questo disco, che credo sia uno dei suoi primi.
Sono d'accordo.
Personalmente non sono tanto scandalizzato dalle ricerche sonore; in un linguaggio ormai supercollaudato come quello jazzistico, sono una delle possibili vie per dire qualcosa di nuovo (l'altra è quella della composizione/arrangiamento che ha spazi enormi di rilettura). Ho invece poca fiducia in possibili sorprese sul linguaggio strumentale di per sè.
Quanto alla sopravvalutazione, faccio fatica a giudicarla, visto che dalle mie parti non erano giunte lodi così sperticate da farmi rizzare le orecchie, ma io sto in periferia...
Quanto al bravo in questione mi sempre poco focalizzato e mancante di una vera tensione.
Ah ok. Beh io sono in disaccordo con tutti, come immagini... lo trovo addirittura molto sottovalutato. Per lo meno da noi dove è un perfetto sconosciuto. Questo album per la cronaca è il terzo in studio su cinque.
Al di là delle valutazioni personali su un musicista che non sono in grado ancora di valutare appieno e ammesso che Christian Scott attraverso il suono ricerchi un facile modo di risultare contemporaneo (se ho ben compreso il discorso),osservo che un analoga critica si potrebbe fare per la gran parte della produzione ECM (ma vigliacca se qualcuno osa farlo) e, come mi pare abbia anche accennato Bertoli, la ricerca del suono di certe supposte "avanguardie". Qualcuno mi può spiegare dal suo punto di vista le differenze? grazie.
lascio solo un flash perchè il discorso è molto complesso. secondo me la sonorità di un musicista è parte del suo stile e in certi momenti e per certi strumenti è una vera ossessione (vedi i chitarristi sia di rock che di fusion, ma anche di jazz). per un gruppo è un'importante asso nella manica, ovviamente è più essenziale in gruppi con strumenti elettrici, ma anche gli impasti sonori acustici contano molto e diventano spesso un marchio di fabbrica.
per quanto riguarda l'ECM, il suono è solo l'iceberg di un'estetica musicale anticipata da Jimmy Giuffrè nei suo trio con Paul Bley), non a caso ristampata dalla suddetta casa. per ECM quindi, il suono trascende il singolo artista che viene inserito in un contesto "magico". chiaramente l'operazione funziona meglio con piccoli gruppi o con un solo musicista, piuttosto che con un folto gruppo, e con atmpsfere un po' sospese. non so se queste caratteristiche condizionino l'artista nella scelta del repertorio e nell'esecuzione, so di certo che alcuni musicisti un po' spigolosi (Art Ensemble of Chicago, Lester Bowie) hanno fatto con questa etichetta i loro dischi più patinati (alcuni molto belli anche per questo).
osservo che un'analoga critica si potrebbe fare per la gran parte della produzione ECM
Beh, immagino di sì. Io, per quel che vale, dell’«estetica» ECM ho parlato qui sopra e anche altrove abbastanza sovente da annoiare me stesso :-)
Qualcuno mi può spiegare dal suo punto di vista le differenze?
Le differenze fra che cosa e che cos'altro? Fra i dischi di Christian Scott e i dischi ECM? Mi sa che non ho capito, perché mi sfugge l'utilità di un simile paragone.
Grazie a te
la differenza sulla "ricerca di un suono", non dei dischi, intendevo, e perché nel caso di Scott la cosa sarebbe negativa ( se ho capito bene...) rispetto agli altri casi.
x loopdimare: mi pare che il trio di Giuffre avesse anche un contenuto musicale, non solo un'estetica, che certa attuale produzione ecm si sogna. Magari...
@riccardo: ma io non ho detto che negli altri casi la cosa sia positiva; anzi, se non mi sbaglio io ad altri casi non ho prorio accennato.
Comunque, il jazz che ha nel sound, nell'atmosfera una dominante espressiva così pronunciata come mi appare in Christian Scott, mi annoia in genere, sotto qualunque etichetta me la ritrovi. In questa luce, questo disco di Scott non mi sembra, «esteticamente», così diverso da tanti ECM: propone con abilità un tono uniforme, «crea un'atmosfera» (come la Vecchia Romagna Etichetta Nera) che molti gradiscono; a questo punto, però, è come mettersi a discutere perché uno preferisce le giacche verdi e un altro le giacche marroni.
Bé non sarebbe male accennare anche agli altri casi, ma ti sei spiegato. Grazie. Quanto alla faccenda del sound come dominante espressiva ricorrente, nella mia esperienza personale l'ho riscontrata spesso come una specifica esigenza degli appassionati provenienti più dal rock che dal jazz. Non so se la cosa è valsa anche per altri. Nel miglior jazz raramente diventa la dominante espressiva, in effetti.
l'estetica dell'ECM in fondo è la ricerca del sublime e dell'ineffabile. e cosa è meglio di un bell'accordo aperto di piano che risuona in una stanza per qualche minuto?
Ho capito ora, grazie. Sebbene, di nuovo, non concordi. Un qualche tipo di atmosfera in generale caratterizza ogni musicista con una sua personalità, no? Emerge chiaramente da quello che ci fa ascoltare. Nel caso di Christian Scott questo avviene anche mediante una produzione molto potente, quasi da gruppo rock o hip-hop (musiche che comunque trovano, soprattutto la seconda, ampio spazio nella sua proposta), ma ci trovo tantissima sostanza sotto.
Sì, hai fatto un'osservazione molto precisa: gli ascoltatori del rock hanno un'attenzione maggiore al "suono" complessivo come valore un po' a sé. Un valore però statico: sappiamo benissimo come un jazzista sia, assolutamente, il suo suono, ma nel jazz il suono personale – personale come le impronte digitali, unico – è un elemento di dinamismo; la sonorità inconfondibile di Armstrong, Hawkins, Davis, chi vuoi tu, anche i c.d. "minori", ha in se il seme anche del loro stile ritmico, per dire.
PS Ma mi viene in mente solo ora - sei per caso il Facchi? Ciao! :-)
Ciao Negrodeath, rispondendo a Riccardo credo di avere risposto anche a te, prima di leggere il tuo ultimo intervento.
Sì sì, ti sei spiegato benissimo!
certo , sono "il Facchi"..:-)
Sembra che oggi tutti ascoltino il jazz ma alla fine, da vent'anni, ci ritroviamo sempre con la stessa compagnia di giro… :-D
Non capisco una cosa: dopo il Miles elettrico (e i suoi allievi) discutere del "suono" mi sembra sinceramente capzioso. la tecnica mette a disposizione strumenti vari che possono ampliare un discorso o possono diventare solo un espediente. sta all'artista saperli usare.
al piano di sopra c'è uno che di suoni, elettricità ed ecclettismo ne sa più del diavolo.
Sì, per carità; facevo solo un'osservazione di gusto, come tutte quelle di questo blog tranne poche, e dicevo che, non solo nel jazz ma soprattutto nel jazz, la musica in cui la qualità «organolettica» del suono predomina con nettezza sulle altre, se almeno io la sento così, mi dice poco. Il che non toglie, come ho provato a spiegare, che tutto il grande jazz abbia una dimensione di colore sonoro pronunciatissima, essenziale, ma che lì è generativa, e altrove è fine a se stessa.
come tutte le tecniche bisogna saperle usare. anche la tecnica strumentistica se non la sai usare diventi un mostro come Lang Lang...
del resto il culto del suono viene proprio da Miles, i suoi famosi "silenzi" gli echi delle sordine, forse anche da lì è attecchito il germe ECM. solo che Miles aveva anche la sostanza.
Questo è poco ma sicuro; tutto è cambiato il giorno in cui, doveva essere il 1953 o il ’54, Miles ha suonato per la prima volta con la sordina Harmon quasi attaccata al microfono.
Ascensore per il patibolo è un capolavoro di sonorità.
Ed è una sonorità artificiosa, ottenuta in camera d'eco. Questo non le toglie nulla, ovviamente.
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