Sergio Pasquandrea è al lavoro su Steve Lacy, come ci spiega; nell’attesa di apprezzare il risultato della sua fatica possiamo goderci, insieme con queste sue osservazioni a latere, due pezzi magnifici del grande sopranista (quanto a Errol Garner, incassiamo la critica e promettiamo di riparare presto).
Il nostro beneamato blogger è reduce da quella che lui stesso definisce «un’abbuffata di Bill Evans». Per quanto io ami Evans, capisco che l'esperienza non dev’essere stata facile. Per prestargli una mano amica, avevo intenzione di proporre qualcosa di un musicista che, ad ogni ascolto, ha sempre l'effetto di instillarmi allegria: Erroll Garner. Nome, fra l'altro, singolarmente latitante da questo blog. E non è detto che, prima o poi, non lo faccia.
Però, c’è anche il fatto che io stesso, per motivi – credo – analoghi a quelli di Marco, sono reduce da una simile ubriacatura. Negli ultimi tempi, ho ascoltato intensivamente Steve Lacy. Non tutto, perché la sua produzione è notoriamente sterminata (credo che i soli titoli a suo nome ammontino ad almeno centocinquanta, e la stima è senz'altro per difetto), ma diciamo che mi sono ripercorso molte delle sue cose più importanti. Ho anche letto parecchie sue interviste, e intervistato io stesso musicisti che con lui hanno avuto rapporti lavorativi e umani.
Risultato: Lacy mi rimane tuttora impenetrabile. È uno dei musicisti più personali della storia del jazz, riconoscibile dopo due o tre note: però la sua musica mi appare come un prisma dalle infinite facce, del quale vedo con assoluta chiarezza la superficie, ma non riesco (ancora?) a intuire l'interno.
Vi propongo due brani che provengono dalle estremità opposte della sua discografia e che lo vedono entrambi in compagnia di uno dei suoi sodali di più lungo corso: Mal Waldron. Combinazione già incontrata più volte qui su JnP, e che è sempre una sicurezza e un bel sentire.
Four In One è tratto dal secondo titolo a suo nome, di cui Marco fece già sentire un brano in tempi non recentissimi. Da notare la scioltezza con cui Lacy (ventiquattrenne, già padrone di un sound del tutto definito) affronta una delle più intricate composizioni del corpus monkiano. Waldron, da parte sua, confeziona un assolo insolitamente facondo.
Smooch proviene da uno dei primissimi dischi di Lacy che io abbia mai ascoltato, edito dalla più che benemerita Soul Note.
Four In One (Monk), da «Steve Lacy Plays Thelonious Monk. Reflections», Prestige/New Jazz OJCCD-063-2 (NJ-8206). Steve Lacy, sax soprano; Mal Waldron, piano; Buell Neidlinger, contrabbasso; Elvin Jones, batteria. Registrato il 17 ottobre 1958.
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Smooch (Mingus-Davis), da «Communiqué», Soul Note 121298-2. Steve Lacy, sax soprano; Mal Waldron, pianoforte. Registrato l’8 o il 9 marzo 1994.
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4 commenti:
E' proprio così. Steve Lacy è uno sterminato continente che è già arduo esplorare in superficie. Quando ci riesci, ti rendi conto che il viaggio è appena incominciato. Lì viene il difficile, forse l'impossibile. Ma - oh se ne vale la pena!
avevo scritto una poesia su di lui...
Steve Lacy o il fuoco dell’intelligenza
Si parla sempre della lucidità dell’intelligenza,
della freddezza dell’intelligenza,
contrapponendola al fuoco del sentimento,
ma quando sento Steve Lacy capisco
che anche il cervello può amare
e generare calore e passione.
Nelle sue sequenze matematiche ad incognite
multiple sapeva nascondere il guizzo
che dal fosforo generava una fiamma tenue
ma compatta, flebile ma decisa a resistere.
Faceva musica zen, da solo e spesso anche
in cattive compagnie
ma sembrava sempre a suo agio
e riusciva spesso a risolvere equazioni
complicatissime, senza l’aiuto del computer
ma solo col suo piffero incantatore.
Alberto Arienti Orsenigo (loopdimare) sta per esordire sul Jazz nel pomeriggio come «guest poster».
come devo vestire?
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