Ho scritto questo pezzetto, con altri simili, per una rivista che l’anno scorso ha avuto vita meno che breve, ed è stato un peccato; al che puoi imputare un certo didascalismo di norma estraneo a Jnp, che si rivolge a lettori evoluti. Absit iniuria.
Il quartetto «pianoless» di Gerry Mulligan nella sua formazione originale con Chet Baker alla tromba durò meno di due anni, fra il 1952 e il ’53, ma s’incise indelebile, prima ancora che nella storia del jazz, nella coscienza collettiva, ideale colonna sonora di un momento e di un luogo, la California meridionale, anche se il suo successo sarebbe stato mondiale e avrebbe diffuso innumerevoli emuli e imitatori, più ancora in Europa che in America.
Mulligan, nato nel 1927 e affermatosi giovanissimo come dotato arrangiatore e compositore al tramonto dello Swing e poi con il nonet di Miles Davis, si trovò di contraggenio, lui così individualista, a essere caposcuola di quella declinazione quasi esclusivamente bianca del cool jazz che prese il nome di «West Coast jazz», dalla costa della California, e che dal 1952 per circa un quinquennio riportò il jazz a livelli di popolarità che non aveva più conosciuto dopo l’epoca delle big band. Riconciliò infatti il pubblico bianco middle class con la musica afroamericana, fosse pure in una versione molto temperata, per non dire sedata.
Ma le ambizioni di Mulligan erano più vaste e quell’etichetta non gli piacque mai. Fatto è che la musica del quartetto, in cui fece colpo la mancanza del pianoforte, mostrava in pezzi quali Bernie’s Tune, Walking Shoes, Nights at the Turntable tutti i caratteri della West Coast che presto sarebbero diventati formulari nelle mani di musicisti meno originali, attivi a Los Angeles e negli studios di Hollywood: dinamiche quiete, uno swing rilassato, semplicità ritmica quasi pre-moderna, melodie elaborate ma cantabili, armonie raffinate e colori sommessi, voci interne e accenni di contrappunto e, caratteristica questa tipicamente mulliganiana, una vena particolare di umorismo, quasi di clownerie.
Contraltare assai indovinato al sax baritono di Mulligan fu Chet Baker, subito dipinto come un James Dean del jazz, trombettista musicalmente analfabeta ma d’istinto melodico infallibile, che nei gusti di critica e pubblico, in quei pochi mesi assolati e un po’ storditi, superò perfino, incredibile dictu, Miles Davis.
Nights at the Turntable (Mulligan), da «The Best of the Gerry Mulligan Quartet with Chet Baker», Pacific Jazz CDP 7 95481 2. Chet Baker, tromba; Gerry Mulligan, sax baritono; Bob Whitlock, contrabbasso; Chico Hamilton, batteria. Registrato il 15 o 16 ottobre 1952.
Walkin’ Shoes (Mulligan), id.
1 commento:
Unico quartetto pianoless al di fuori del free. Superclassico, anche se forse quello successivo con Brookmeyer è più disinvolto.
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