Càpita – anzi, restringiamo, càpita a me: càpita che io creda di conoscere a menadito certi dischi di jazz e sono magari dischi che ho ascoltato l'ultima volta per intero quando era ancora in piedi l’Unione Sovietica e, alle scuole medie, vigeva l’insegnamento di «applicazioni tecniche»; di fatto, quando mi càpiti di riconsiderarli, quei dischi, mi avvedo che ne avevo un’immagine distorta, lontana, sommaria e quasi sempre falsa. Te lo dico anche perché tu faccia la tara a tante cose che scrivo qui sopra.
È questo il caso di «Percussion Bitter Sweet», di cui mi ha colpito al riascolto neanche tanto l‘esecuzione davvero meravigliosa da parte di tutti e soprattutto di Max Roach e di Booker Little (ma vi figura benissimo anche la Abbey Lincoln, cantante che di norma non mi piace), quanto il pregio e l’intelligenza delle composizioni e degli arrangiamenti di Roach, con quei voicing aperti, virtualmente bitonali, dai quali avrebbe tratto grande partito Booker Little nei suoi ultimi due dischi: qui sopra ne ho parlato sovente, se ti va puoi leggere sotto l’etichetta Booker Little.
Le composizioni, molto caratterizzate senza essere facili, sono stimolo a improvvisazioni espressive e liberissime, che – soprattutto quando è Dolphy a suonare – trattano con libertà pulsazione e armonia senza distaccarsene del tutto; le percussioni latin sono adoperate con grande intelligenza e non a gramo scopo di colore. E Max Roach, ebbene sì, è stato infine il più gran batterista di jazz e lo resterà chissà per quanto tempo ancora.
Nel 1961 questo era un disco molto avanti e continua a esserlo dopo tanti anni; uno dei dischi più belli del decennio, direi proprio, superiore all’altro di Roach dell’anno precedente, più noto, la «Freedom Now Suite».* Il livello ne è così costantemente alto che avrei potuto scegliere due pezzi a caso, e così ho fatto.
Tu sei d’accordo? Non sei d’accordo? Fatti sentire, santo D*o, scrivi, telefona.
* Che non ascolto dai tempi di un qualche governo Andreotti, per cui non escludere una pronta ritrattazione.
Man From South Africa (Roach), da «Percussion Bitter Sweet», Impulse!/GRP GRD 122. Booker Little, tromba; Julian Priester, trombone; Eric Dolphy, sax alto e flauto; Clifford Jordan, sax tenore; Mal Waldron, piano; Art Davis, contrabbasso; Max Roach, batteria; Carlos «Potato» Valdez, conga; Carlos «Totico» Eugenio, campanaccio. Registrato nell’agosto 1961.
Tender Warriors (Roach), id. Dolphy suona anche il clarinetto basso.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Tutto in questo disco è perfetto, davvero. Se superiore o no all'altro, che importa? Siamo nell'Empireo, e il grado di beatitudine non cambia.
Lì per lì, ho collegato la nota soltanto a Dio... E funziona!
(Sei un genio)
:-)
Io aggiungerei anche Drums Unlimited.
E vi è anche un suo altro bel disco sostanzialmente ignorato: Members don't git weary, dove l'unica cosa debole è la composizione del titolo.
Posta un commento