«Il processo compositivo del signor [Cecil] Taylor consiste nell'indicare agli esecutori le altezze e nel lasciare che ne internalizzino il ritmo dopo che lui le abbia suonate alcune volte, precisando in quale sezione voglia che essi suonino, e in quale non voglia. Confini e parametri non sono definiti dal tempo ma dal sentimento, dall’idea e dalla consapevolezza della sua personalità. Roscoe e io abbiamo scelto i flauti, sorprendendolo molto per l’enorme differenza da quello che sarebbe stato il risultato se avessimo adoperato i saxofoni. La lieve danza dei flauti è un bellissimo complemento a quanto scritto dal signor Taylor».
Nutty è naturalmente la composizione di Monk, a cui il disco è intitolato, e l’esecuzione dei chicagoani, senza Taylor, è davvero nutty, svitata, tuttavia con grazia.
Nel resto del disco si sente anche Cecil Taylor declamare lungamente dei propri versi, ma non te lo faccio sentire perché poche cose mi aduggiano come le declamazioni poetiche nei dischi e nei concerti jazz (la pestifera, ubiqua «spoken word», che Zeus s’incachi lei e i suoi praticanti) e anche perché la poesia di Cecil Taylor, secondo me, non vale una cicca. Oh, uno mica può essere bravo in tutto.
Caseworks (Taylor), da «Thelonious Sphere Monk. Dreaming Of the Masters, Vol. 2», Columbia CK 48962. Lester Bowie, tromba; Joseph Jarman, Roscoe Mitchell, flauto; Cecil Taylor, piano; Malachi Favors, contrabbasso; Don Moye, batteria e percussioni. Registrato nel 1990 o nel 1991.
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Nutty (Monk), id. ma Jarman suona il sax baritono; non c’è Taylor.
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3 commenti:
Parole sante!
(Dicevo a proposito di Zeus, ovviamente).
Lieto di avere il conforto di un poeta in questo mio disgusto…
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