A presentarci Randy Weston lungo quasi tutta la sua carriera oggi c’è Enrico Bettinello, penna e voce note agli appassionati di jazz e anche di altre musiche, direttore artistico del Teatro Fondamenta Nuove di Venezia e proprio in questi giorni uno dei conduttori estivi di Battiti, la trasmissione musicale notturna di Radio Tre.
È nato lo stesso anno di Miles Davis, ha inciso St. Thomas prima che lo facesse Sonny Rollins, ha gestito un night club a Tangeri, ha attraversato la storia del jazz dagli anni Cinquanta a oggi con un’originalità il cui valore non sempre viene riconosciuto con la dovuta forza. Chi è?
Ti parlo di Randy Weston, pianista, compositore, uomo carismatico e straordinario, tra i musicisti che più hanno voluto vivere in prima persona il rapporto tra jazz e Africa, affrontandolo – come ben ricorda Luigi Onori nel suo libro sull’argomento – «non in chiave mitico-mistica – come ha fatto John Coltrane – né esclusivamente politica, alla Archie Shepp», ma sintetizzando nella propria musica un dialogo culturale e linguistico (ritmico in primis) ininterrotto e sempre comunicativo.
Sessant’anni di carriera offrono ascolti per molti pomeriggi, io ne ho scelti per te quattro che raccontano le varie fasi e le varie anime della musica di Weston.
Il primo pezzo è proprio quello che tutti conoscono come St. Thomas. Il buon Sonny Rollins ci ha messo la sua firma ad ogni buon conto (e mi sa che il conto non è davvero cattivo!), ma il pezzo ha una storia lunga come un viaggio. Nasce come canzone popolare danese Det var en Lørdag aften, arriva alle isole Vergini – che sono state colonia danese fino al 1917 – e diventa un calypso tradizionale. Prima di Rollins lo incide Louis Farrakhan (proprio lui, il politico leader della Nation Of Islam, che negli anni ’50 faceva il cantante!) e lo incide Weston in trio con Sam Gill al contrabbasso e Wilbert Hogan alla batteria. Siamo nel 1955.
Fire Down There (Weston), da «Get Happy», [Riverside] OJCCD-1870-2. Randy Weston, piano; Sam Gill, contrabbasso; Wilbert Hogan, batteria. Registrato nell’agosto 1955.
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Negli anni Sessanta il rapporo tra Weston e l’Africa diventa sempre più stretto, con dischi bellissimi come «Uhuru Africa» o «Music from the African New Nations – Highlife», effettuando i suoi primi viaggi nel Continente Nero (Lagos, 1961, in compagnia di Nina Simone, Langston Hughes, Lionel Hampton e altri) e mettendo in pratica quel «ritorno» all’Africa predicato da Marcus Garvey e che Randy conosceva attraverso il pensiero di suo padre.
Colmo d’Africa e percussioni è anche il disco «Tanjah» del 1973, un bellissimo lavoro orchestrale (la formazione vede coinvolti tra i tanti il percussionista – e qui narratore – Candido Camero, trombettisti come Jon Faddis e Ray Copeland, sassofonisti come Billy Harper, un bassista come Ron Carter) orchestrato da quella Melba Liston che sarà spesso al fianco di Weston con i suoi splendidi arrangiamenti.
In «Tanjah» Weston riprendeva anche uno dei suoi temi più celebri, Hi-Fly.
Hi-Fly (Weston), da «Tanjah», Verve 527778-2. Ernie Royal, Ray Copeland, Jon Faddis, tromba e flicorno; Al Grey, Jack Jeffers, trombone; Julius Watkins, corno; Norris Turner, sax alto; Budd Johnson, sax tenore; Danny Bank, sax baritono; Randy Weston, piano; Ron Carter, contrabbasso; Rudy Collins, batteria; Azzedin Weston, Candido Camero, Omar Clay, Taiwo Yusve Divall, Earl Williams, percussioni. Registrato nel maggio 1973.
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Due anni dopo, ma situazione opposta, pianoforte solo. Il disco è «Blues To Africa», registrato dal vivo a Zurigo per la Arista/Freedom e svela tutta la ricchezza del pianismo di Weston, uno strumentista che cresce in tempi di be bop, ma che da una concezione verticale pre-boppistica sviluppa poi uno stile in cui troviamo Ellington, l’amico Thelonious Monk, un personalissimo senso del blues e una percussività sempre funzionale alla costruzione della musica.
Uhuru Kwanza (Weston), da «Blues to Africa», Freedom 741014. Randy Weston, piano. Registrato il 14 agosto 1974.
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Negli anni Novanta la figura di Weston ha ottenuto il meritato riconoscimento, con una serie di dischi Verve che lo hanno riportato alla ribalta internazionale. Uno di questi, «The Spirits of Our Ancestors», è particolarmente riuscito e vede ospiti Dizzy Gillespie o Pharoah Sanders, qui in questa Blue Moses.
Blue Moses (Weston), da «The Spirits of Our Ancestors», Verve 511 847-2. Pharoah Sanders, sax soprano; Randy Weston, piano; Jamil Nasser, contrabbasso; Idris Muhammad, batteria. Registrato nel maggio 1991.
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3 commenti:
sai qual è il guaio di questo blog? che ogni volta che lo leggo, mi viene qualche nuova idea, mentre in questo periodo le idee avrei bisogno di sfrondarle e focalizzarle.
(scherzo, eh? bel post ;-) )
Apprezzo molto la scelta di Bettinello. Weston è un grandissimo, sia come pianista che come compositore. Uno dei pochi ancora viventi. Sono molto belli anche i dischi più recenti. C'è un live a Monterey del '66 se non erro con Booker Ervin davvero notevole.
«Jazz nel pomeriggio», il blog troppo buono per la vostra salute! (del resto le cose buone, o sono illegali, o immorali, o fanno male alla salute).
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