Che impiastro questo blog. Da una parte, decido di dare più attenzione all’attualità jazzistica; dall’altra, quest’attualità riguarda i soliti coi quali ti affliggo da anni, e per lo più in un repertorio scontato. Per dire, questo disco è nuovissimo, ma Ethan Iverson dev’essere questa la terza o la quarta volta in due settimane; e Song For My Father non è proprio una scelta estrosa.
Ad ogni modo, bello il disco e bella anche la versione del classico di Horace Silver, in cui Ron Carter si sente fare di tutto a eccezione del famoso obbligato eseguito da Teddy Smith nell’editio princeps.
Il titolo del disco è una citazione da Wodehouse, passione che Ethan Iverson condivide con me.
Song For My Father (Silver), da «The Purity Of The Turf», Criss Cross Jazz 1391. Ethan Iverson, piano; Ron Carter, contrabbasso; Nasheet Waits, batteria. Registrato il 22 febbraio 2016.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
Impiastro è immeritato. La scelta di prestare più attenzione all'attualità è apprezzata (almeno da me); poi, è evidente, uno dall'attualità estrae quel che vuole. Il vantaggio del blog è di non essere un'enciclopedia. Quindi, e in ogni caso, grazie per gli spunti.
Grazie a te e benvenuto qui se, come credo, sei un mio ascoltatore o almeno commentatore nuovo.
Beh, di jazz attuale ne ascolto molto poco ma non disdegno mai di ascoltare cose nuove (tendenzialmente cerco di non fossilizzarmi mai con le etichette). Meno male che c'è JnP a proporre cose vecchie e nuove.
Il pezzo che hai postato mi piace. Il "lavoro" del batterista (Waits lo conosco solo perché ha suonato nel live A Beautiful Day di Andrew Hill) è molto presente, tanto quanto quello di Iverson stesso.
P.S.: Non sapevo della tua passione per P.G. Wodehouse. Piace parecchio anche a me. Ho letto solo i primi due libri della serie Jeeves e mi riprometto sempre di continuare.
Non ricordo quella citazione nei primi libri che ho letto, ma ricordo di un episodio della serie tv (quella con Hugh Laurie) intitolato proprio così (che poi sarebbe questo).
Forse quel racconto in italiano non c'è. Se potessi ti esorto a cercare le vecchie traduzioni dell'editore Bietti, che fino a poco tempo fa si trovavano facilmente sulle bancarelle, almeno qui a Milano, non perché siano particolarmente accurate, ma perché sono in delizioso italiano d'epoca (Bietti ristampava negli anni Sessanta traduzioni degli anni Trenta), che si addice molto a Wodehouse. Comunque Wodehouse è bello sempre. Consiglio caldamente la serie del castello di Blandings e quella di Stanley F. Ukridge, la mia preferita.
è da un po' che non vedo Bietti sulle bancarelle.
Su questo blog si è sempre discusso di jazz. E ora anche di letteratura. L'accostamento mi piace.
Purtroppo andando per bancarelle, qui a Torino, di bietti non ne ho mai visti. E in realtà da quando la Polillo ha chiuso, anche le loro recenti e belle edizioni di Wodehouse si reperiscono con difficoltà. Restano quelli della Guanda, che sono però romanzi e racconti brevi slegati dalle principali saghe dello scrittore.
Beh, in qualche modo continuerò. Wodehouse mi mette una pace addosso...
La serie dI Blandings la conosco. Stanley F. Ukridge no. Segnato.
Posta un commento